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La Sicilia, soprattutto quella orientale, è tra le zone a più alto rischio sismico, i terremoti (fig.50) in quest’area furono tra i più forti che si siano mai verificati. Nel corso dei secoli questi eventi hanno continuato a verificarsi intaccando, naturalmente, anche il territorio e di conseguenza gli edifici, con i loro caratteri artistici, presenti sull’isola.

2.2.1 Terremoto del 1169

Tra i più famosi si ricorda il terremoto del 4 febbraio del 1169, verificatosi lungo la costa tra Catania e Siracusa.Queste furono le zone più colpite arrivando a provocare numerose vittime stimate, nella sola città di Catania tra le 15 e le 20mila persone. Qui la cattedrale di Sant’Agata, non resistendo al sisma, crollò provocando un massacro, nel quale persero la vita il vescovo Giovanni d'Aiello246 e un elevato numero di fedeli e del clero catanese, chiusi al suo interno mentre era in corso una funzione religiosa alla vigilia della festa di Sant'Agata; per questo motivo il terremoto del 1169 è anche noto come Terremoto di Sant'Agata.

Le città della Val di Noto, della Piana di Catania e della Val Demone furono seriamente danneggiate e alcune vennero totalmente rase al suolo.

Oltre al terremoto, questi movimenti sismici provocarono un’onda anomala che risalì nella zona di Messina per 6 chilometri, facendo tabula rasa di alcuni paesini mai più ricostruiti.

Secondo fonti antiche, si verificò anche un'eruzione dell'Etna con il crollo parziale del versante orientale247.

2.2.2 Terremoto del 1542

Il terremoto del 10 dicembre 1542 avvenuto nella Val di Noto, di cui viene fissato l’epicentro in corrispondenza di Siracusa, anche se viene ricordato come la meno

246 Giuseppe Giarrizzo, LA SICILIA DEI TERREMOTI, Lunga durata e dinamiche sociali, atti del

Convegno, Università degli Studi di Catania Facoltà di Lettere e Filosofia ex Monastero dei Benedettini, Catania 11-13 dicembre 1995, Catania: Giuseppe Maimone Editore, 1996, pp.101-114.

247

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80 disastrosa tra le catastrofi sismiche nella storia della Sicilia orientale248, ha comunque provocato la distruzione totale di alcune città, come Sortino, Melilli e Grammichele. L'evento sismico non fu terribile solo per via della sua forza ma soprattutto per la frequenza e la quantità di scosse che si replicarono ne successivi 40 giorni portando la popolazione alla preoccupazione e alla paura di scosse ancora più dannose.

Questo evento si tradusse in un’opportunità di rinnovamento dell’immagine urbana attraverso ristrutturazioni, nuove architetture o riconfigurazioni monumentali di più ampio respiro249.

2.2.3 Terremoto del 1693

Il più violento terremoto passato alla storia fu quello avvenuto l’11 gennaio del 1693, ricordato come il terremoto della Val di Noto (fig.51).

Durante quest’occasione, l’intera Sicilia tremò sotto violentissime scosse, che portarono alla distruzione di più di 45 centri abitati causando almeno 60 mila vittime e provocando un maremoto le cui onde arrivarono fino in Grecia.

Gli effetti del sisma, secondo quanto riporta il catalogo dei forti terremoti italiani, furono catastrofici.

La parte sud-orientale della Sicilia fu la più colpita, interessando soprattutto le zone di Catania, quasi del tutto distrutta, Siracusa e Ragusa.

Distruzioni vastissime si verificarono in tutti i centri della Val di Noto, tra questi: Sortino, Ragusa, Modica, Melilli, Lentini, Avola, Augusta, Noto. Molti crolli e danni estesi si ebbero a Siracusa, Caltagirone, Vittoria, Comiso250.

Altri danni furono provocati dalle onde anomale che si abbatterono sulla costa orientale. Crolli e gravi danni si verificarono anche a Messina e in alcuni centri della costa nord-orientale, fra cui Patti e Naso.

248 The Catalogue of Strong Italian Earthquakes describes this earthquake sequence under the

following heading, http://storing.ingv.it/cfti/cfti4/quakes/00694.html. Data di consultazione: Maggio 21, 2019. Cfr. Domenica Sutera, Il terremoto del 1542 in Val di Noto come occasione di

rinnovamento: un quadro d’insieme, in Catastrofi e dinamiche di inurbamento contemporaneo. Città

nuove e contesto, a cura di Marco Rosario Nobile, Palermo: Caracol, 2012, pp. 13-

249 D. Sutera, Il terremoto del 1542 in Val di Noto come occasione di rinnovamento: un quadro

d’insieme, cit., pp. 13-18.

250I terremoti nella storia: Il catastrofico terremoto dell’11 gennaio 1693 nella Sicilia orientale,

l’evento più forte della storia sismica italiana, in INGV terremoti,

https://ingvterremoti.wordpress.com/2015/01/30/i-terremoti-nella-storia-il-catastrofico-terremoto- dell11-gennaio-1693-nella-sicilia-orientale-levento-piu-forte-della-storia-sismica-italiana/. Data di consultazione: Ottobre 29, 2018.

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81 Il terremoto fu così violento da provocare danni e crolli parziali anche nelle zone di Palermo, Agrigento, Reggio Calabria e a Malta251.

Come si può intuire dalla vastità dei luoghi colpiti, non meno rilevanti furono i numeri delle vittime e dei feriti, che tocca numeri altissimi, più di 60.000 persone252. Per via di tutto ciò, il terremoto del 1693 è ritenuto fra i più violenti della storia d’Italia, secondo solo al sisma dello stretto di Messina verificatosi nel 1908.

L’unica nota positiva di questa catastrofe venne dalla forza che i siciliani dimostrarono nel ricostruire intere città, preservate oggi dall’UNESCO come patrimonio dell’umanità, contraddistinte dal barocco siciliano.

La popolazione, infatti, collaborò attivamente con importanti architetti sopraggiunti in aiuto, per la riedificazione delle città andate distrutte.

Catania, ad esempio, venne riprogettata dall’ingegnere militare fiammingo Carlos de Grünenberg253, che si occupò insieme a Giuseppe Lanza, duca di Camastra, della decisione del nuovo sito urbano per la città di Noto.

Quest’ultima venne ricostruita da zero grazie al lavoro degli architetti Rosario Gagliardi, l’allievo Vincenzo Sinistra e i fratelli Labisi 254

. Medesima fu la situazione per Ragusa dove si scelse di ricostruire la nuova città vicino l’altopiano del Patro255. Diversa invece fu la condizione di Siracusa dove, il centro storico non venne distrutto in modo irreparabile dal terremoto, così da permetterne una ricostruzione postuma nel medesimo sito per merito degli architetti Andrea e Giovanni Vermexio, Luciano Caracciolo, Andrea Palma, Pompeo Picherali e Luciano Alì256, nonché del contributo delle maestranze locali.

Noto, Palazzolo Acreide, Scicli, Modica, Ragusa, Militello Val Di Catania e Caltagirone sono state inserite nel 2002, durante i lavori della 26° sessione del Comitato Scientifico Internazionale di Budapest, nella World Heritage List (Lista del

251

Ibidem.

252 INGV, sezione Catania,

http://www.ct.ingv.it/it/?option=com_content&view=article&id=60&Itemid=312, Data di consultazione: Maggio 21, 2019.

253 D. Sutera, Il terremoto del 1542 in Val di Noto come occasione di rinnovamento: un quadro

d’insieme, cit., p.17.

254 1693 Iliade funesta: la ricostruzione delle città del Val di Noto, a cura di Lucia Trigilia, Palermo:

Lombardi, 1994, p.33.

255 Ivi, p.37. 256

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82 patrimonio dell'Umanità)257. Il sito nel suo complesso è stato denominato "Le città tardo barocche del Val di Noto (Sicilia sud-orientale)"258.

I criteri di presentazione furono: primo, questo gruppo di città del sud-est della Sicilia fornisce una notevole testimonianza del genio esuberante dell'arte e dell'architettura del tardo Barocco; secondo, le città rappresentano l'apice e la fioritura finale dell'arte Barocca in Europa; terzo, i centri storici e i siti urbani proposti testimoniano le tradizioni culturali che scomparvero altrove, con una capacità di progettazione affiancata da approccio innovativo; quarto, l'eccezionale qualità dell'arte e dell'architettura del tardo Barocco, la posizionano in una omogeneità geografica e cronologica; e quinto, le otto città del sud-est della Sicilia sono l'esempio di sistemazione urbanistica in questa zona permanentemente a rischio di terremoti ed eruzioni da parte dell'Etna259.

I criteri suddetti conferiscono al Val di Noto un valore universalmente eccezionale, confermato dall'UNESCO nel documento N° 1024rev, riguardante l'intero sito costituito dagli 8 comuni260.

2.2.4 Terremoto del 1908

Incentrato sullo stretto di Messina e per questo noto come il terremoto di Messina, l’evento sismico del 28 dicembre 1908 è ricordato come il più catastrofico della Sicilia per numero di vittime e per intensità sismica261.

Per via della sua posizione, le scosse provocarono un violento maremoto, che si scagliò lungo le coste della Calabria e della Sicilia; l’onda fra Messina e la costa a sud della città provocò circa 100 mila vittime e altrettanti sfollati, che nelle settimane successive vennero trasferiti nelle maggiori città siciliane ed italiane262.

257 Archivio del Patrimonio dell’UNESCO,

https://web.archive.org/web/20150924065126/http://www.patrimoniounesco.it/VALDINOTO/scheda. htm. Data di consultazione: Maggio 28, 2019.

258

Lucia Trigilia, La Valle Del Barocco: Le città siciliane del Val di Noto "Patrimonio dell'Umanità", Catania: Domenico San Filippo Editore, 2002 pp.297-303.

259 Documento UNESCO n. 1024rev,

https://web.archive.org/web/20131126092015/http://www.patrimoniounesco.it/VALDINOTO/1024re v.pdf. Data di consultazione: Maggio 28, 2019.

260

Ibidem.

261 I terremoti del ‘900: La “catastrofe sismica” del 28 dicembre 1908, in INGV terremoti, https://ingvterremoti.wordpress.com/2015/12/28/i-terremoti-del-900-la-catastrofe-sismica-del-28- dicembre-1908/. Data di consultazione: Maggio 21, 2019.

262

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83 Questa calamità produsse uno stato d’emergenza che mobilitò, per la prima volta, una rete di solidarietà nazionale e internazionale, che si affiancò al governo nell’opera di soccorso e ricostruzione.

2.2.5 Terremoto del 1968

Passato alla storia come terremoto del Belice, il sisma del 14-15 Gennaio 1968 si verificò nella parte occidentale della Sicilia compresa tra Agrigento e Palermo. Questo evento non fu isolato ma venne preceduto e seguito da numerose piccole scosse che andarono avanti fino al 1969.

Il 14 gennaio si verificò il primo forte sisma, che anche se non causò ingenti danni, mise in allarme la popolazione che per proteggersi decise di non rientrare nelle case263; questa fu la principale causa del ridotto numero di vittime in quanto nella notte si verificò una scossa violentissima che rase al suolo e provocò danni in diverse città tra cui: S. Ninfa, Gibellina, Salaparuta, Montevago, S. Margherita Belice e molte altre.

Anche se, si contarono alcune centinaia di vittime e oltre 100.000 senzatetto264, il danno più consistente fu causato al patrimonio edilizio, con gravi ripercussioni sull’economia quasi esclusivamente agricola dell’area.

263 Terremoto del Belice 1968, in Protezione civile,

http://www.protezionecivile.gov.it/jcms/it/terremoto_belice.wp. Data di consultazione: Ottobre 29, 2018.

264 I terremoti del ‘900: Il terremoto del 15 gennaio 1968 nella Valle del Belice, in INGV terremoti, https://ingvterremoti.wordpress.com/2018/03/29/i-terremoti-del-900-il-terremoto-del-15-gennaio- 1968-nella-valle-del-belice-parte-1/, Data di consultazione: Maggio 21, 2019.

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Figura 42: Palermo, chiesa di San Cataldo. Figura 41: Palermo, Palazzo della Zisa.

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Figura 43: Palermo, Palazzo dei Normanni, particolare degli archi ciechi intrecciati.

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Figura 45: Siracusa, Castel Maniace.

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Figura 47: Catania, Casello Ursino.

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Figura 50: Cartina dei Terremoti degli ultimi mille anni in Sicilia.

Figura 49: Trapani, particolare del portale e del rosone della facciata di

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Capitolo III

I campanili in Sicilia

In questo capitolo si andranno ad elencare ed analizzare, in ordine cronologico, i più importanti e significativi campanili di origine normanna, ancora esistenti e non, in Sicilia.

L’architettura siciliana ha, durante il Medioevo, selezionato nell’arte dei nuovi conquistatori, i caratteri ritenuti più concordi alla propria cultura, scartando quelli inadeguati, realizzando così una convivenza fra l’arte della classe dirigente precedente e quella appena arrivata la cui unione creava un nuovo stile caratterizzato da maggiore vivacità ed eclettismo265.

L’arte normanna sull’isola rappresenta il simbolo della grande tolleranza che i sovrani ebbero nei confronti delle popolazioni residenti sul territorio dopo la conquista266, permettendo loro di continuare a professare la propria religione e il proprio stile di vita, in una convivenza priva di scontri, in collaborazione e unione. Ciò è visibile anche nei diversi stili e nelle tecniche riprese e fuse tra loro nell’arte e nell’architettura, come nelle grandi cattedrali dove, con una pianta basilicale e una struttura possente, con imponenti torri in facciata e decorazioni con motivi a

chevrons di tradizione normanna, convivono mosaici bizantini, archi acuti intrecciati

e coperture a cupoletta d’influenza islamica267, anche se radicati nelle precedenti culture architettoniche del Mediterraneo in età tardo-antica.

Le maestranze bizantine si distinguevano nelle realizzazioni di grandi cicli musivi268, con soggetti sacri e profani su splendidi fondi dorati e, con l’arrivo dei Normanni

265 E. Calandra, Breve storia dell’architettura in Sicilia, cit., p.24.

266 Norman Daniel, Gli arabi e l'Europa nel Medio Evo, Bologna: Il mulino, 1981 (I ed.1975), pp.234-

243.

267

George Zarnecki, Normanni, in Enciclopedia dell’Arte Medievale Treccani, 1997,

http://www.treccani.it/enciclopedia/normanni_%28Enciclopedia-dell%27-Arte-Medievale%29/. Data di consultazione: Giugno 12, 2019.

268 Francesco Panvini Rosati, BIZANTINA, Arte, in Enciclopedia dell’Arte Medievale Treccani, 1992, http://www.treccani.it/enciclopedia/arte-bizantina_%28Enciclopedia-dell%27-Arte-Medievale%29/.

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92 continuarono l’esecuzione di meravigliosi mosaici anche lungo le superfici interne dei nuovi edifici, come nella Cappella Palatina, nel Duomo di Cefalù e nella chiesa di Santa Maria dell’Ammiraglio a Palermo.

L’influenza araba, invece, è riconoscibile nella rigorosa semplicità dei volumi, in cui prevalgono forme cubiche o cupole, nelle decorazioni, spesso policrome, con eleganti motivi geometrici e astratti269.

I Normanni hanno fatto di questa mescolanza di stili un punto di forza, arrivando a creare, come dice Zanca270, quella mirabile arte romanica siciliana.

Esamineremo a seguire i maggiori campanili delle chiese normanne di Sicilia che, anche se con caratteristiche diverse, ricordano nelle forme i tradizionali campanili normanni costruiti tra l’XI ed il XII secolo, caratterizzati da volumi verticali a torre a cannocchiale, traforati da bifore su ogni ordine, decorati con motivi geometrici semplici, come intrecci di ricordo altomedievale e fasce a zigzag, tipiche della scuola romanica di Normandia271.

Anche le tecniche murarie rivelano diverse analogie tra la Normandia e la Sicilia, come l’uso di blocchi di pietra, accuratamente intagliati e disposti con perizia, o la lavorazione dei conci di pietra utilizzati per creare complessi impianti con conglomerati lapidei, spesso a spina di pesce, ritmati dalle cornici e dalle modanature dei vani o rinforzati da contrafforti esterni in conci squadrati272 che, in Sicilia sono realizzate con l’arenaria, capace di conferire alle costruzioni un tono caldo e dorato, la pomice, caratterizzata da un colore chiaro quasi bianco, e la pietra lavica, dal colore scuro tendente al nero273.

Oltre alla Normandia da cui indubbiamente le costruzioni siciliane presero riferimenti, l’architettura dell’isola mostra diverse analogie anche con le costruzioni dell’Italia meridionale sotto il dominio normanno.

Data di consultazione: Giugno 12, 2019. Cfr. Roberto Salvini, Mosaici Medievale in Sicilia, Palermo: Edizioni librarie siciliane, 1948, pp.10-15.

269

Elia Mauro, Ettore Sessa, Introduzione storico-artiscica, in L'arte siculo-normanna: la cultura

islamica nella Sicilia medievale, Palermo: Kalos, 2007, p.50.

270 A. Zanca, La cattedrale di Palermo (1170-1946), cit., p.10.

271 Lucien Musset, Normandie romane: la Basse Normandie, trad. Paul Veyriras e David Rowe,

Vauban: Zodiaque, 1987, pp.11-24 Cfr. Wolfgang Krönig, Il Duomo di Monreale e l'architettura

normanna in Sicilia, Palermo: S F. Flaccovio, 1965, p. 158.

272 E. Mauro, E. Sessa, Introduzione storico-artistica, in L'arte siculo-normanna: la cultura islamica

nella Sicilia medievale, cit., p.50.

273 Giorgio Blanco, Dizionario dell'architettura di pietra, Roma: Carocci, 1999, pp. 24-25, 173-174,

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93 Diverse sono le ricerche, sotto elencate, che hanno cercato di capire dove in Italia, queste caratteristiche architettoniche abbiano incominciato ad insediarsi e irradiarsi, se dalla Sicilia verso il continente, o dalla Campania, portate poi dai benedettini e dai Normanni stessi, sull’isola274

.

Tra i primi il Bertaux275, nei suoi studi, arrivò ad escludere l’architettura derivante da Montecassino quale guida per le costruzioni siciliane, convinto com’era che la costruzione cassinese fosse in realtà l’archetipo dal quale presero il via le cattedrali normanne di Salerno e Capua276 e dal quale solo successivamente poterono ispirarsi le cattedrali siciliane; argomentazione che trovò l’accordo del Toesca il quale, nei suoi studi, eliminò l’accezione normanna dall’architettura in questione convenendo che l’arte siciliana di questo periodo si costituì invece, su quella varietà di caratteri, di scambi d’idee e di forme artistiche, che appartenevano alla vita intellettuale e alle maestranze siciliane e non ai sopravvenuti dominatori o ad influenze esterne277.

Queste conclusioni si opposero alla tesi del Venturi 278 che studiando la documentazione riguardante la costruzione della cattedrale di Monreale, in cui sono documentate maestranze campane e l’arrivo di cento monaci da Cava dei Tirreni in provincia di Salerno, dimostra l’esistenza di contatti tra i monumenti e di conseguenza le influenze esercitate dalla Campania verso la Sicilia.

Anche la Townsend White279 resta convinta dei legami e degli influssi che il monachesimo cluniacense e occidentale in genere ebbe sui caratteri costruttivi dell’architettura monastica normanna in Sicilia, legando l’isola e l’Italia meridionale indissolubilmente.

Nei suoi studi il De Angelis280 affermò che l’espansione dell’architettura normanna non deve essere vista in modo unidirezionale, ritenendo che entrambe le aree fossero in realtà soggette ad una comune origine poi divisa a causa delle precedenti forme

274 Luigi Kalby, Tarsie ed archi intrecciati nel romanico meridionale, Salerno: Ambrogio

Testaferrata, 1971, p.13.

275

Antonio Cadei, L’art siculo-campanien du XIII siécle, in L'art dans l'Italie méridionale:

aggiornamento dell’opera di Émile Bertaux, a cura di Adriano Prandi, vol.V, Roma: École française

de Rome, 1978, p.773.

276

Angelo Pantoni, La basilica di Montecassino e quella di Salerno ai tempi di San Gregorio VII, in «Benedictina», X, 1956, pp.23-47.

277 Pietro Toesca, Storia dell’arte italiana, Il Medioevo, vol.I, par.III, Torino: UTET, 1927, p.612. 278 Adolfo Venturi, Storia dell’arte italiana, L’arte romanica, vol.III, tomo I, Milano: Hoepli, 1904,

p.264.

279

Cleofe Giovanni Canale, Le strutture architettoniche normanne in Sicilia, Palermo: Flaccovio, 1959, pp.21-22, nota 10. Cfr. Lynn Townsend White, Il monachesimo latino nella Sicilia Normanna, Catania: Dafni, 1984 (I ed.1937).

280 Michele De Angelis, Le origini dell’architettura nell’Italia meridionale ed i mosaici della

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94 artistiche presenti sui territori, arabo-sicula in Sicilia e bizantina-lombarda nell’Italia meridionale; si trova concorde lo Schiavo281 che rinvenne ad Amalfi elementi comuni ai monumenti siciliani, non tanto per influsso reciproco ma perché legati da una derivazione comune proveniente dalla Normandia.

Il Lavagnino282, l’Argan283 e il Clapham284, nei loro studi, attribuirono l’origine di queste forme artistiche alla mescolanza tra elementi lombardi e arabi, anche se ritennero che queste si affermarono in tutto il territorio normanno grazie al lavoro degli architetti amalfitani.

Il Calandra285, al fine di capire i legami tra le due aree, ritenne importante soffermarsi sulla scuola aulica palermitana, formatasi sotto il regno di Guglielmo II, reputando che da questa dovevano provenire le maestranze che diedero vita ad una scuola costiera tirrenica; tesi contraddetta dallo Zevi286 che rileva la presenza già dall’XI secolo di un’architettura con caratteri ben distinti in Campania prima ancora che dalla Sicilia partissero le prime influenze.

Gli studi sopra citati ci aiuteranno nelle analisi dei campanili delle grandi cattedrali normanne in Sicilia, grazie al confronto e alle analogie con le costruzioni e le caratteristiche architettoniche provenienti dalla Normandia, dall’Inghilterra normanna, dalla Germania e dell’Italia meridionale.

Gli edifici siciliani di epoca normanna con la loro mescolanza di elementi normanni, bizantini e islamici, e con le loro forme arabeggianti, le ricchissime decorazioni a mosaico e l’imponenza delle forme, lasciano in chi li vede per la prima volta l’impressione di qualcosa di singolare e irripetibile.

Purtroppo oggi, soprattutto nella parte orientale dell’isola, sono davvero poche le