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Ferdinando Caldari, nato a Firenze nel 1688, fu un personaggio dal temperamento irrequieto e questa particolare caratteristica gli provocò non poche avversità. Compiuti gli studi letterari, in cui si distinse per le ottime qualità di poeta volgare, conseguì nel 1710 a Pisa la laurea in utroque iure dopodiché ritornò nella città natale dove lavorò come cancelliere delle gabelle dei contratti. Nonostante gli impegni lavorativi non tralasciò mai l’amore per la poetica diventando membro dell’Arcadia di Roma e dell’accademia degli Apatisti di Firenze ma per oscuri motivi dovette abbandonare la città trasferendosi a Milano e successivamente a Piacenza271. Nell’ottobre del 1738 Ferdinando approdò a Ferrara per volere di Guido Bentivoglio d’Aragona che già mesi prima era alla ricerca di un nuovo segretario e sotto consiglio del Muratori aveva scelto il fiorentino. Le cose però non andarono per il verso giusto ed è proprio intorno a quest’argomento che si sviluppa la corrispondenza tra lo storico modenese e il Caldari272.

Le missive a noi pervenute sono cinque mentre delle responsive muratoriane, di cui peraltro il corrispondente fa accenno, non vi è alcuna traccia273.

Nell’agosto del 1738, il Bentivoglio si trovò nella necessità di cambiare segretario e pensò di rivolgersi al Muratori, contattato già altre volte per analoghi motivi, il quale dopo varie ricerche gli propose Ferdinando Caldari274. Il marchese si dimostrò molto contento della scelta effettuata dal modenese ma quando il nuovo assistente arrivò a Ferrara dovette tribolare un po’ prima di occupare l’incarico promessogli; pare che il Bentivoglio stesse aspettando il momento giusto per poter licenziare il vecchio segretario che dopo otto anni di buon servizio aveva incominciato a commettere delle mancanze. Il Caldari scriveva al Muratori che per servire il nobile ferrarese aveva abbandonato un lavoro, meno allettante, a Venezia e restò sbigottito quando apprese delle mutate condizioni, soprattutto perché la notizia gli venne comunicata solo quando arrivò a Ferrara275. Dopo tali vicissitudini il

271

Giovanna Sarra, ‘Caldari Ferdinando’, in D.B.I., Roma 1973, vol 16, pp. 581-582. Non è specificato per quanto tempo il Caldari si trattenne a Milano e a Piacenza e non sappiamo quale mansione andò a coprire. 272

Il marchese Guido Bentivogio d’Aragona per il reclutamento di personale per la sua segreteria si rivolgeva spesso al Muratori del quale giudizio si fidava ciecamente. Cfr. Carteggi con Bentivoglio..Bertacchini, a cura di in edizione nazionale del carteteggio di L.A.M. Firenze 1982, vol. 6. P. 5.

273

B.E.Mo, Archivio Soli-Muratori, Caldari Ferdinando, F. 57, fasc. 45. 274

Cfr. Carteggi con Bentivoglio/ Bertacchini in edizione nazionale del carteggio di L.A.M. carteggio muratoriano, p. 15

275

Nell’agosto del 1738 il Caldari si stava recando a Venezia per servire la casa Grimani, durante il tragitto si fermò a Ferrara presso il Bentivoglio che gli parlò dell’imminente cambio di segretario. Il fiorentino ritornò, intorno ai primi di ottobre, nella città legatizia ma vi trovò che il posto promessogli era ancora occupato. Il

corrispondente occupò il posto che gli era stato promesso come apprendiamo dalla lettera scritta il 9 dicembre del 1740; purtroppo per lui erano in serbo nuove disavventure. Da questa missiva all’ultima trascorsero quattro anni e fu lo stesso Muratori a lamentarsi col Bentivoglio del fatto che il Caldari, da quando aveva preso servizio presso di lui, non l’aveva più contattato276; l’avrebbe fatto successivamente in occasione del suo licenziamento.

L’11 dicembre del 1744 il fiorentino scrisse una lunga lettera nella quale cercava di dimostrare all’erudito modenese quali fossero le reali cause del suo esonero. Pochi giorni prima il Caldari aveva intercettato, grazie ad un amico che lavorava presso palazzo Benitvoglio, una missiva del marchese al Muratori nella quale accusava il segretario d’infedeltà perché, essendo incline ai pettegolezzi, aveva diffuso notizie d’argomento segreto277. Il fiorentino si difendeva dall’accusa affermando che il nobile ferrarese dopo la morte del padre era diventato scontroso e insopportabile a tutta la famiglia e incalzava giurando che in sei anni di servizio non aveva mai mancato di rispetto al padrone e che la fuga di voci era dovuta, più che a lui, alla troppa loquacità del Bentivoglio. Si conclude così la corrispondenza tra il Caldari e il Muratori, il fiorentino successivamente si trasferì a Venezia, sempre come segretario, presso il nunzio pontificio Martino Innico Caracciolo e in questa città morì il 30 marzo del 1749278.

Ferrara, 16 ottobre 1738

L’umanissimo foglio di V.S. illustrissima, segnato de’ 23 del caduto, ha sofferto fino a questa presente settimana incagliamento nella posta di Venezia, di dove solo adesso mi vien rimesso per negligenza di lui cui avevo lasciata la cura di recuperare e trasmettermi le mie lettere in questa città. Fu brevissimo il mio soggiorno colà poiché appena giuntovi m’avvidi ben chiaramente che l’affare, per cui ero condotto, era effimero ed immaginario

marchese per sdebitarsi dell’iconveniente promise al Caldari di tenerlo presso di se, offrendogli vitto e alloggio, fino a quando non avrebbe trovato il giusto pretesto per licenziare il vecchio segretario. Cfr. pp.16- 18.

276 Pp. 28. 277

Il Bentivoglio il 7 dicembre del 1744 scriveva al Muratori che il Caldari da più di un anno presentava delle mancanze nel lavoro svolto, inoltre aveva dovuto licenziarlo senza preavviso perché il fiorentino, dopo essere stato ripreso, perse la pazienza incominciando ad inveire contro il marchese. Il nobile ferrarese rincarava la dose aggiungendo che Ferdinando, dalla chiacchiera facile, aveva sparso in giro notizie private arrivate ad orecchie sbagliate. Il Muratori accettava in parte le accuse del Bentivoglio: sapeva che il Caldari fosse una persona impulsiva e altezzosa ma incapace di macchiarsi di infedeltà. Cfr. pp.27, 28.

278

onde, abbracciando la più sicura strada che mi veniva aperta dalle umanissime offerte di Sua Eccellenza il sig. marchese don Guido, mi restituì in Ferrara ove pur contentissimo mi ritrovo nel posto da me a V.S. illustrissima enunciato nella prima mia lettera di cui l’Eccellenza Sua vuol farmi godere fino a che io non ritrovi altra apertura di maggior mio avvantaggio. Questa è la presente mia situazione della quale, siccome da lei principalmente derivante, così a lei unicamente ne protesto le mie umilissime obbligazioni e ne rendo distintissime grazie. Intanto augurandole felicissimamente il diporto della villeggiatura se pure tuttavia va godendolo con viva brama di servirla pieno di stima e rispetto mi protesto…

Ferrara, 20 ottobre 1738

Dall’ultima lettera di V.S. illustrissima venutami pur qui per la parte di Venezia, ricevo la prima notizia della mutata buona intenzione di Sua Eccellenza nell’offertomi posto in sua casa, ne mai da questo sig. Barbieri mi è stata comunicata ne poteasi, come egli asserisce, da esso parteciparmisi come che l’Eccellenza non ne abbia al medesimo tenuto proposito. S’ella è così come pur troppo per la fatalità del mio destino sarà, convenie ch’io mi eserciti tuttavia a pazientare sui contrattempi della mia mala sorte, oramai da me per tanto tempo speritata ostinatissima alla mia depressione, ciò che in tale stato scema il mio rammarico è che io non perdo al presente un posto da me ne ricercato ne per maneggio procuratomi, solo vengo escluso da quello che (ultroneamente?) mi è stato offerto e per il quale sono stato invitato a non proseguire il mio viaggio a Venezia o ad affrettarne il ritorno per prontamente occuparlo e mi consolo che non già mi venga tolto da mio demerito ma soli da pentimento di quella generosità che me ne aveva fatta l’offerta. Dio sa s’io abbia mai avuto in pensiero di far torto o pregiudizio al sig. dott. Barotti per il quale protesto infinita stima e rispetto ma come ricuserà un posto al quale vengo così espressamente chiamato. Il sig. Barbieri se ne fa le maraviglie e dice volerne rintracciare dell’Eccellenza Sua gl’occulti motivi allora che sarà ritornato da Rovigo ove al presente si trova. Io goderò per tanto di quella generosità di cui il cavaliere si degna onorarmi fino a qualche mio accomodamento e fino che egli non si penta di questa ancora. Intanto rendo a V.S. illustrissima distintissime grazie per le gentili espressioni con le quali si degna di compassionare li casi miei che per verità si fanno un giorno più dell’altro peggiori ed offerendole la inabile ed infelice servitù mia col solito rispetto mi do l’onore di protestarmi…

Ferrara, 28 dicembre 1738

Supplico V.S. illustrissima di perdono se non ho risposto subito al cortese di lei foglio arrivatomi in questa città di Venezia dopo essermi in essa restituito e ciò a motivo delle molte arretrate occupazioni dalle quali mi sono trovato sorpreso col mio arrivo. Io godo al presente la compagnia del sacerdote don Matteo nel quale ritrovo tutto il merito di onestà e di abilità anche eccedente al suo impiego. Sua Eccellenza ne è pienamente soddisfatta, anche spero che sempre più l’uno e l’altro doveranno trovarsi contenti e dell’impiego e del servizio. Io vorrò per esso e per le di lui qualità e per la dipendenza che ha da V.S. illustrissima quella stima che è dovuta all’uno ed altro riflesso e mi farò altresì gloria di rimostrarmegli buon amico e compagno. Mi onori ella de’ frequenti suoi comandamenti mentre con vero rispetto mi protesto...

Ferrara, 9 dicembre 1740

Ritrovandomi io ancora in Ferrara, trattenuto dalla lunga convalescenza di una non breve pericolosa sofferta malattia, ricevo in questo ordinario nuovi ordini da Sua Eccellenza il sig. marchese Bentivoglio mio padrone per rinnovare a V.S. illustrissima l’incomodo delle di lui premure sul particolare del prete a lei dal medesimo fatto ricercare, in adempimento adunque di ciò passo a supplicarla riverentemente a degnarsi di cooperare con l’efficacia maggiore e con la possibile sollecitudine acciò restino soddisfatte le brame dell’Eccellenza Sua che unicamente confida nella di lei parzialità ed amore e che non ha altro canale che il suo onde rimpiazare il posto vacante. È inutile che a tali premure aggiunga le mie suppliche, le quali unicamente saranno dirette dal vivo desiderio de suoi stimatissimi comandamenti perchè egli protestandole la mia rassegnazione ed obbedienza con vera stima e rispetto mi confesso ossequiosamente…

Ferrara,11 dicembre 1744

Doveva io nel passato ordinario render conto a V.S. illustrissima della mia forzata risoluzione di abbandonare il servizio si questo sig. e marchese Bentivoglio, dopo averlo per lungo tempo sostenuto a prova di sofferenza inimitabile ed a fronte di stravaganze insopportabili, fui perciò necessitato a differirlo al presente poiché me ne impedirono le cure, appunto, della partenza da quella Casa che appunto cadde in quel giorno. Io seppi bene che il presente sig. marchese glie ne avanzò la notizia ed, o fosse accidentalità o fosse artificio a bella posta praticata, ne vidi e ne lessi la di lui lettera il di cui contenuto eccedentemi ed in tutte le parti calunnioso mi ha raddoppiati gl’impulsi per incomodarla con la presente per difendermi dall’aggravio che ingiustamente mi vien recato. Lascio da parte le accuse della minorata attenzione al mio dovere, quali sarebbe bastantemente al coperto a confronto della di lui incontentabilità e del cambiamento totale del di lui contegno dopo la seguita morte del padre suo che lo ha renduto noioso ed insopportabile a tutta la sua famiglia, lasciò pure senza riflessi le accuse di mancanza di rispetto poiché voglio sperare smentite dalla universal cognizione del mio contegno e da quella particolare che ella ha di mia persona. Non posso però lasciare senza risentimento l’aggravio che in essa lettera viene diretto alla mia onestà ed alla incorrotta fedeltà nel mio esercizio onde essendo tenuto per legge divina et umana a vindicarne l’oltraggio debbo farlo principalmente con V.S. illustrissima giacché a lei ne ho veduta diretta l’accusa e quantunque io voglio sperare che io ne sia appresso di lei sufficientemente difeso dalla mia onoratezza e dalla universale opinione di essa, nonostante acciò il tacere su gli aggravi non mi rechi pregiudizio, debbo risentirmene e parlare. Volevo farne formal ricorso a questo Eminentissimo Legato ma il riflesso di non pregiudicare al sig. don Matteo […] che mi fece vedere la lettera nominata me ne ha trattenuto. Ora io supplico V.S. illustrissima a riflettere sull’accusa e su le circostanze di essa, come è possibile che il sig. marchese Bentivoglio che adesso la fa da accorto non si sia avveduto di mia infedeltà se non dopo il corso di anni sei ne quali si è per lungo tempo tenuto [(continovo) forse è un lapsus calami e sta per continuo] carteggio in vari luoghi e con molte e diverse persone sopra l’accomodamento di sua moglie? Se non si è saputo per il tempo passato il segreto di questo affare quando se ne è trattato con calore e con replicati maneggi come se ne dà egli in sospetto adesso che da più d’un anno se ne tratta di rado con una sola per sua incidentemente e con estrema freddezza? E se io sono stato l’idea dell’onore e della segretezza fin ora, come egli stesso se ne dichiarò a persona che me lo ha riferito appunto otto giorni prima della mia partenza di Casa, come sono divenuto così

contrario a me stesso, non dico nella partenza, ma solo poche ore dopo di essa? Mi riconviene egli in mia presenza benché ingiustamente di mancanza di rispetto e questo è il delitto di cui mi rimprovera ed in appresso cambia con lei questa colpa in accusa d’infedeltà e perché tacerla a me stesso?

Sapeva ben egli essere io in ciò inappuntabile e sapeva altresì essere così delicato su questo punto sicché vedeva benissimo che mi sarei tanto risentito su la calunnia ch’egli non sarebbe più stato in grado di farla giocare a suo modo. Io poteva smentirlo con porgli sotto degl’occhi le replicate occasioni nelle quali gli ho manifestate io medesimo alcune persone si domestiche che estranee che anno manifestati i di lui segreti ricavati dalla di lui loquacità, egli medesimo se ne è dichiarato tenuto alla mia sagacità ed onoratezza e me ne ha fatto encomi me presente a vari cavalieri di questo paese. Se egli vuole un pretesto, che gli serva di scusa nel mio allontanamento, lo prenda d’onde più gli piace senza fare aggravio alla mia onoratezza che è la più bella delle qualità che mi pregio di conservare. In somma io non ho nulla in ciò da rimproverarmi e quanto a me vivo al chi sopra anche dell’aggravio medesimo poiché la sana coscienza m’assecura. Desidero che ciò sia anche rispetto a lei, cui spero non debba aver fatto la minima impressione un rapporto cotanto contrario alla mia condizione ed alle riprove che ho date in ogni luogo della mia onestà. Così spero che debba anche a lui far rimorso il riflesso della praticata ingiustizia che ad esso più che ad ogni altro è palese. Perdoni l’incomodo e mi onori de suoi comandamenti in cuore con vera stima mi professo…

VI