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Gaetano Enea Melani in viaggio da Messina sino a Venezia (1743 49)

«Eccomi finalmente col Divino favore scappato dal Purgatorio e ritornato alla bella Italia ch’io riveggio dopo 24 anni con indicibil pena e cordoglio troppo desolata ed afflitta e mi convien dire col Filicaja: Deh fossi tu men bella»224.

Era il 5 novembre del 1746 ed Enea Gaetano Melani, un abate senese, scriveva all’amico Muratori di esser partito dalla Sicilia per ritornare in Italia; la meta del suo viaggio era Loreto, ma a causa delle pessime condizioni atmosferiche e di salute fu costretto a fermarsi a Roma. Allo storico modenese scrisse otto lettere inviate, tra il 1743 e il 1749, da Messina, Roma, Ferrara e Venezia225.

Sul corrispondente muratoriano possediamo non molte notizie ma comunque risultano sufficienti per ricostruire almeno una parte della sua vita e soprattutto per capire cosa lo spinse sino a Ferrara.

Il 18 marzo del 1743 scriveva da Messina una lettera all’erudito in cui lo avvisava del fatto che un suo concittadino gli inviava da Torrenuova la qui annessa per drizzarla a V.S. Illustrissima. Io profitto di questa occasione per dedicarle la mia umile servitù e supplicarla a farmi degno della sua grazia226.

In realtà il Melani approfittò di quell’occasione per far arrivare al modenese un poemetto composto quando si trovava a Malta, dove era stato investito della croce di giustizia dell’Ordine dei Cavalieri dell’isola. Sappiamo che il corrispondente muratoriano fosse un abate senese e che in quel periodo svolgeva l’incarico di aio presso una nobile famiglia siciliana quella dei Villafranca; molto probabilmente si trattava di don Giuseppe Letterio Alliata principe di Buccheri, nato, nel 1732, da Vittoria di Giovanni duchessa di Saponara, principessa di Ucria e da Domenico Alliata principe di Villafranca. Avanziamo tale ipotesi perché nel 1756 Melani pubblicò a Venezia un saggio in cui descriveva il

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BEUMo, AM, Melani Gaetano Enea, F. 71, fasc. 40, Roma, 5 novembre 1746.

il Melani fa riferimento a Vincenzo da Filicaja (Firenze 30 dicembre 1642- Firenze 20 settembre 1707), poeta italiano nato da una famiglia fiorentina molto facoltosa e di antica nobiltà. Ebbe un’educazione liberale, studiò lettere e storia all’università di Pisa divenendo membro dell’accademia della Crusca con lo pseudonimo arcadico di Polibo Emonio. L’appartenenza a tale Accademia, la levatura letteraria, l’influenza del proprio casato e di quello della moglie e la profonda amicizia nata con la regina Cristina di Svevia gli permisero di stringere rapporti con personalità culturali di altissimo livello quali: Lorenzo Magalotti, Benedetto Menzioni e Francesco Redi. Nel 1696 fu nominato governatore di Volterra dove distinse per la politica moralizzatrice, nel 1700 diventò governatore di Pisa. Il modo con cui condusse i due incarichi gli fece guadagnare il favore del pubblico, tanto che quando venne richiamato a Firenze, per coprire la carica di senatore, il popolo pisano insorse affinché gli venisse prolungato il mandato.

Il sonetto di cui parla il senese è tratto Dalle poesie toscane del Filicaja ed è intitolato Italia, Italia o tu cui feo

la sorte!

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Nel fascicolo appartenente al Melani è conservata anche una missiva del fratello Girolamo Melani. 226

terremoto che nel 1755 colpì il Portogallo; l’opera venne dedicata alla nobile donna Vittoria di Giovanni e Alliata duchessa di Saponara e di Villafranca e governatrice della città di Messina227.

Il “compatriotto”, di cui parla il senese nella lettera a Muratori, era l’abate Francesco Pagliai che nel 1743 si trovava a Torrenuova, anche lui in veste di precettore ma del principe di San Marco228. Pare che negli anni venti del XVIII secolo sull’isola fosse stata presa in considerazione l’idea di fondare un Collegio per i nobili palermitani sul modello di quello del Tolomei di Siena229.

Ne parla il senese Francesco Bandiera, giurisperito e dottore in sacra teologia, nell’epistolario con Uberto Benvoglienti erudito e corrispondente muratoriano230. Nel 1727 due baroni siciliani, il principe Antonio Ventimiglia conte di Prades e Giovanni Filingeri dei principi di Santa Flavia, dopo un soggiorno a Siena rimasero molto colpiti dall’accoglienza che la nobiltà gli serbò e dalla lingua ritenuta “la più pura di Toscana”. Il conte di Prades entusiasta di quanto aveva visto a Siena decise con l’amico di istituire a Palermo un Nuovo Collegio dei Nobili su base di quello dei Tolomei. Nel 1728 contattarono il Benvoglienti affinché inviasse nella città siciliana alcuni prefetti e un maestro di grammatica. Gaetano Melani faceva parte di quei precettori, senesi che operavano in Sicilia, nel 1723 aveva avuto un impiego a Malta ma sembra che il luogo non fosse di suo gradimento perché non vi aveva trovato buone consuetudini e conversazioni letterarie. Vi restò per due anni, e il Benvoglienti l’esortava a trarre beneficio dalla trasferta sull’isola andando alla ricerca di

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Enea Gaetano Melani, Varie notizie intorno a' terremoti. Descrizione esattissima del Regno di Portogallo,

colla carta corografica, e colla topografica di Lisbona ec. Relazione dell'orribil tremoto accaduto il di primo novembre 1755. e delle rovine e danni prodotti in Portogallo, e altrove. Dedicate e umiliate a sua eccellenza la nobil signora donna Vittoria Di Giovanni, e Alliata duchessa di Saponara, principessa di Villafranca, ec. principessa del Sagro Romano Impero; dama di corte di s.m. la regina di Napoli, e di Sicilia, governatrice della citta di Messina, ec. ec. dall'autore del Saggio di tutto. Venezia 1756. Il Melani scrisse un altro

componimento intitolato Il Libro per le donne pubblicato a Venezia nel 1757. Il senese discute su quanto sia utile e fondamentale l’insegnamento della filosofia per l’istruzione delle donne. Di quest’opera ne parla Paula Findlen nel suo saggio su Diamante Medaglia Faini, una poetessa bresciana nata nel 1724 e morta nel 1770. Si batté pienamente per il diritto all’educazione femminile e contrastò le idee di alcuni uomini quali Francesco Algarotti (1712-1765) che considerarono alcune materie come la matematica poco adatte alla mente delle donne. Invece, si è schierata con Enea Gaetano Melani, il cui libro per le donne (1757) è apparso a Venezia negli anni in cui ha iniziato a prendere in considerazione l'assenza di matematica e la filosofia delle donne in materia di istruzione cfr. Paula Findlen Becoming a scientist Gender and Knowledge in Eighteenth-Century Italy department of History Stanford University California, in Science in context, 16, 2003, pp. 59-87.

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Il precettore fu l’ultimo maestro senese di grammatica o di retorica nel nuovo Collegio Imperiale di Palermo. Nel 1734 si recò a Pescia e ritornò solo nel 1741 nella città siciliana come istitutore in famiglie principesche.

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Il Collegio senese venne fondato da Celso Tolomei nel 1628 ma l’apertura fu definitiva solo il 25 novembre del 1676. La scuola venne fondata con l’intento di servire i giovani della nobiltà senese ma in seguito vi accorsero anche studenti forestieri e soprattutto dalle province meridionali d’Italia e dalla Sicilia.

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Nel 1714 il Muratori intraprese un viaggio attraverso l’Italia settentrionale alla ricerca di fonti storiche per comporre le Antichità Estensi ed Italiane, in quest’occasione strinse rapporti di collaborazione con letterati influenti. Durante la visita in Toscana incominciò la corrispondenza con Uberto Benvoglienti. Cfr. Carteggi

fortezze o chiese dove vi potesse essere qualche iscrizione antica o altro che potesse avere un valore storico. Nel 1725 ricevette il trasferimento a Palermo dove assunse il nuovo incarico di istitutore presso la nobile famiglia del conte Francesco Perlongo. Nel 1728, al momento della nomina del maestro di lingua latina, presso il Nuovo Collegio, Melani, che aveva cambiato in tre anni sei mansioni, sperava di ottenere quella cattedra; le cose andarono diversamente e Benvoglienti affidò l’incarico al dott. Paolo Maria Vallesi. Il senese per ripicca si mise a screditare l’insegnante formando intorno a se un ambiente ostile tanto che spesso venne ammonito per il comportamento diffamatorio.231 L’abate Pagliai invece fu l’ultimo maestro senese di grammatica e di retorica nel nuovo Collegio Imperiale di Palermo, nel 1734 andò via dalla Sicilia recandosi a Pescia e solo nel 1741 ritornò sull’isola come istitutore in famiglie principesche.

Ritorniamo alla corrispondenza tra Melani e Muratori: Il 5 novembre del 1746 il senese scriveva di essere scappato dal Purgatorio e che era felice di essere ritornato in Italia dopo 24 anni di assenza: era in viaggio verso Loreto ma per motivi di salute e a causa della brutta stagione aveva dovuto fare tappa a Roma. Il Melani aveva approfittato di quella sosta forzata per far visita al Papa al quale presentò un’operetta di sei mila versi sdruccioli sull’ondata di peste che colpì, nel 1743, Messina232; il morbo arrivò, nel porto della città siciliana, il 20 marzo di quell’anno dalla città greca di Missolungi (Mesolongion), tramite un veliero genovese, al servizio di Napoli, comandata da Iacopo Bozzo233. Melani, che in quel periodo si trovava nella città e aveva assistito con i propri occhi ai disastri dell’epidemia, decise di comporre un poema su quell’evento tragico anzi aveva addirittura in mente di mandarlo alle stampe: «già io stò in pensiero di mandare alle stampe questo poema per soddisfare alla curiosità del pubblico che ne brama la relazione veridica e però diversa da altre stampate finora, ed è anche per far aprir meglio gli occhi per guardarsi da un nemico così temibile qual è il contagio»234. L’attenzione rivolta dal senese al bene pubblico ricalca gli insegnamenti di Muratori già espressi nella sua opera Del governo della peste…(1714).

231 Per ulteriori informazioni sull’istituzione del Collegio dei Nobili a Palermo, sui rapporti culturali tra Siena e la città siciliana cfr. Provasi Pacifico, Relazioni di cultura fra Siena e Palermo dal 1723 al 1729, in Bollettino senese

232 BEUMo, AM, Melani Gaetano Enea, F. 71, fasc. 40, Roma, 5 novembre 1746

233 Il comandante dichiarò che durante la traversata era morto a bordo, di morte naturale, uno dei suoi uomini e perciò la nave fu messa in quarantena. Poco dopo si ammalò e morì un altro marinaio solo allora si scoprì che la causa di quei decessi era dovuta alla peste bubbonica. Ben presto l’epidemia si estese all’intera città. Sopra una popolazione di 62.775 unità i morti furono 51.259, gli scampati furono 11.496 cioè più dell’80%. Dei villaggi rimasero immuni solo due Molini ed Altolia, negli altri i morti furono 10.659 sopra una popolazione di 19.671 unità, cioè poco più del 50%. La durata del morbo dichiarato contagioso il 6 giugno fu di tre mesi giusti, la mortalità maggiore si verificò il 15 giugno e soltanto dall’8 settembre in poi il contagio cominciò a regredire. Per le notizie sulla peste di messina cfr. La Sicilia dal Vespro all’Unità d’Italia, a cura di Vincenzo d’Alessandro- Giuseppe Giarizzo, vol. XVI, Torino 1989, pp. 412-417.

Per comporre il poema il senese avrebbe utilizzato il verso sdrucciolo perché riteneva che si prestasse facilmente alla lettura e che fosse più orecchiabile; fu lo stesso Muratori, due anni prima a consigliargli questa unità metrica e ora nuovamente Melani gli chiedeva preziosi consigli e la correzione della bozza del lavoro:

«Ieri col solito foriero mi giunsero due fogli pregiatissimi di V.S. Illustrissima in un tempo. Il primo in data del 17 del caduto, il secondo del 23 dello stesso. Per quanto ho rilevato da medesimi è stata veramente grande la bontà sua, mentre s’è degnata a dispetto delle molte e gravi occupazioni scorrere così presto la mia relazione»235. Muratori entusiasta per l’opera di Melani e per il beneficio che ne avrebbe portato al popolo gli scriveva:

«L’altro è l’avere V.S. Illustrissima si attentamente notati tutti gli spropositi commessi da que’ medici e magistrati. Ciò servirà d’istruzione e cautela a i posteri e di questo più che d’altro ha bisogno il pubblico giacché speranza non c’è di trovare un pestifugo. Del resto ella ha ragion di appellar questa una tragicommedia ed ho ben riso talvolta al dispetto di quell’orrido spettacolo. I versi sono andanti e, a riserva di alcuni pochi che non saranno intesi dal volgo, gli altri tutti sono limpidi e possono piacere anche ai dotti»236;

Muratori entusiasta per l’opera di Melani e per il beneficio che ne avrebbe portato al popolo gli dava il placet per poterla stampare:« Bisogna pensare ora alla stampa. Se non avesse in coteste parti, chi la servisse, ne avvisi me, che mi studierò di trovare in Venezia qualche stamperia. Meglio nondimeno sarà che si faccia sotto i suoi occhi, e questo per le correzioni»237.

Da questo momento il viaggio del corrispondente cambia meta e da Roma si metterà in viaggio verso la Serenissima: «vengo io maggiormente animato a farla stampare e ciò forse seguirà quando sarò giunto in Ferrara ove forse presto m’incamminerò dopo la visita della Casa Santa»238.

Continuando nella lettera informa lo storico modenese dell’esistenza di un’altra relazione sulla peste di Messina: era stata stampata, nel 1745 a Palermo, da Francesco Testa (1705- 1773) storico e autore di scritti teologici e letterari, canonico della metropolitana di Palermo, vescovo di Siracusa e arcivescovo di Monreale dove istituì scuole fiorenti per le lettere e per

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Ibidem, Roma, 3 dicembre 1746. 236

Epist.: vol. XI pp. 4995- 4996. 237

Ibidem; 238

le scienze. Melani sembrava alquanto infastidito perché, secondo lui, il mero fine dello scritto era solo propagandistico e inoltre la relazione, intitolata Storia della peste, era stata redatta sulla base di fonti poco accreditate: Il sig. canonico Testa, che in vigore non ha il titolo di monsignore ma gli viene da molti suoi concittadini accordato perché non costa lor niente e frattanto con esso titolo specifico compensano e soddisfano l’onore ch’egli ha fatto a Palermo nel raccogliere con tanta puntualità i bandi, lettere, istruzioni e biglietti di que’ Maestrati per far conoscere con quanta attenzione vegliavano ed ha intitolata questa raccolta Storia della peste quando quest’ultimo sostantivo pare che sarebbe meglio in luogo del primo, come il primo in luogo dell’ultimo; veramente non avea notizie ne si curò di averle prima di scrivere239.

Nonostante i disagi causati dalle continue piogge e dalla neve che rendevano le strade impraticabili, il Melani intraprese il viaggio verso Venezia. Trascorse le feste di Natale a Loreto dopodiché si incamminò verso Bologna dove si fermò per qualche giorno. A gennaio raggiunse Ferrara, e ad attenderlo c’era il fratello Girolamo, segretario dell’arcivescovo Marcello Crescenzi, che non vedeva da ventisette anni240. L’abate senese non nascondeva la gioia di sapersi vicino al Muratori e appena sarebbe arrivata la bella stagione non avrebbe mancato di fargli visita. Lo sperava anche l’erudito che gli rispondeva: «Questa vicinanza a Modena mi ha tutto rallegrato, e massimamente per la speranza ch’ella potesse dare una scorsa qua, dove potessi conoscere anche di vista, chi ha tanta bontà per me»241 Passarono quattro mesi e a giugno del 1747 il Melani arrivò a Venezia dove incontrò Apostolo Zeno che aveva letto e approvato pienamente il poema sulla peste. Il componimento venne dato alle stampe nello stesso anno presso il tipografo Giovanni Battista Recurti con il titolo: La peste di Messina accaduta nell'anno 1743. Fedelmente rapportata in versi sdruccioli dall'abate di S. Giacinto Enea Gaetano Melani detto tra gli Arcadi Eresto Eleucanteo.

Sulla fine di luglio del 1747, l’abate senese ritornava a Ferrara soddisfatto dall’esperienza veneziana e già aveva in mente un altro poema da scrivere: L’opera che ho adesso per le mani non è di poca fatica ne di piccol dispendio. Eppure mi comprometto di pubblicare almen due giochi ben presto com’Ella rileverà dal manifesto che qui compiego242. Melani confidava nuovamente nei consigli preziosissimi del Muratori e chiedeva anche il sostegno del Sabbatini, il Giuliano Sant’Agata di cui parlava Pier

239

Ibidem;

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BEUMo, AM, Melani Gaetano Enea, F. 71, fasc. 40, Ferrara 13 gennaio 1747. Marcello Crescenzi era corrispondente muratoriano.

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Epist.: vol. XI, pp. 5016-5017. 242

Francesco Manetti, affinché divulgasse, tra i giovani seminaristi, il poema “pestilenziale” e i Giochi eruditi.

L’ultima missiva che possediamo dell’abate senese fu scritta a Venezia il 5 luglio del 1749, era alle prese con nuovi lavori che aveva inviato al papa in carica Benedetto XIV; nella lettera parla di una Storia cronologica che doveva essere corredata di fogli miniati e di cartine geografiche. Anche il cardinale Valenti aveva ricevuto la bozza di quest’opera e gli aveva scritto lodando e benedicendo questi miserabili miei lavori e facendomi coraggio per continuarli243. Purtroppo il Melani lamentava al Muratori le ristrettezze economiche in cui versava, aveva speso più di cinquecento filippi e sperava che: «se potrà formarsi un numero competente di associati li continuerò certamente»244. Intanto sembra che Apostolo Zeno fosse diventato un suo sostenitore e lo rassicurava dicendogli che sicuramente che con i suoi componimenti aveva dato nel segno. Dall’ultima missiva, inviata nel 1747 da Ferrara al Muratori, a questa scritta da Venezia nel 1749 troviamo una lacuna nella corrispondenza di circa due anni e mezzo. Di conseguenza non possiamo stabilire se il soggiorno dell’abate senese nella provincia legatizia durò più a lungo di quello che le lettere ci confermano però siamo sicuri che in quell’arco di tempo continuò a scrivere all’erudito come lo stesso Melani scrisse: «ecco a V.S. Illustrissima due fogli figurati per la storia cronologica fatta che accompagnano i primi a modo di scacchieri che le inviai fino di gennaio»245.