2. Una nuova famiglia
2.2 Calo della natalità e invecchiamento della popolazione
Per la maggior parte dei Paesi occidentali è possibile osservare, a partire dai primi anni Ottanta, un incremento della velocità di invecchiamento complessivo della popolazione dettato dall'effetto congiunto di due fenomeni distinti: l'aumento delle speranze di vita accompagnate da un decremento dei tassi di natalità. Gli impatti di tali processi sono ben rappresentati all'interno della Figura 8 che raffigura la composizione per fasce di età della popolazione europea. L‟allargamento del vertice della piramide demografica, accompagnandosi a un restringimento della base, dà luogo alla nota figura della “piramide inversa”, un‟immagine in grado di ben suggerire una condizione di equilibrio fragile, in cui i costi generati dall‟invecchiamento sono sostenuti da una fascia ristretta della popolazione. L‟aumento e la concentrazione degli oneri finanziari su di un numero di lavoratori attivi in progressiva diminuzione può costituire il volano per il generarsi di conflitti intergenerazionali oltre che di discriminiazioni sulla base dell‟età (Leira e Saraceno 2008); il calo del tasso di natalità, secondo alcuni autori, può quindi alla lunga mettere in discussione la sostenibilità stessa del welfare state (Ferrera 2008).
Figura 8 – Piramide demografica, Eu 27 (2012) (v.a.)
Fonte: elaborazioni proprie su dati Eurostat (2013)
Ad oggi, l‟Italia è uno dei Paesi a più basso tasso di fecondità del mondo occidentale (Figura 9); il numero medio di figli per donna ha raggiunto il suo picco storico verso la metà degli anni Sessanta (2,5 media nazionale) per poi ridiscendere nel corso degli anni successivi.
30000000 20000000 10000000 0 10000000 20000000 30000000 Meno di 5 anni Da 10 a 14 anni Da 20 a 24 anni Da 30 a 34 anni Da 40 a 44 anni Da 50 a 54 anni Da 60 a 64 anni Da 70 a 74 anni Da 80 a 84 anni Maschi Femmine
Figura 9 - Tasso di fertilità a livello, UE (2011)
Fonte: Eurostat (2013)
Il trend, al di là di occasionali oscillazioni, è rimasto costantemente decrescente nonostante l‟apporto fornito dalla popolazione immigrata (Del Boca 2009), la quale nel corso degli anni ha adottato sempre più il medesimo stile comportamentale.
Milano, al di là di occasionali scostamenti, presenta valori analoghi a quelli nazionali, distinguendosi invece dai valori della Lombardia, che negli ultimi anni ha fatto registrare tassi più elevati di quelli nazionali (Figura 10). Il territorio italiano costituisce una realtà tutt'altro che omogenea; tradizionalmente, le famiglie delle regioni del Nord erano caratterizzate da un numero inferiore di bambini rispetto alle famiglie delle regioni meridionali. Tuttavia, è proprio nelle regioni del sud che negli ultimi anni si sta osservando la riduzione più marcata della fecondità, mentre le regioni del Nord, pur manifestando un calo anch'esse, presentano valori più elevati rispetto alle prime, facendo osservare un ribaltamento delle posizioni iniziali.
Figura 10 - Tasso di natalità – Milano, Italia, Lione, Francia (2002-2010)
Fonte: elaborazioni proprie su dati Istat e Insee (2012)
La Francia, invece, insieme al Regno Unito e ai Paesi del Nord, costituisce una delle realtà in cui sono presenti i tassi più elevati in Europa. La peculiarità del caso francese è la presenza negli ultimi anni di un trend stabile a partire dai primi anni 2000, che fa seguito a un calo il quale aveva portato il numero di figli per donna a 1,7 verso la metà degli anni Novanta. Rispetto al contesto nazionale, la città di Lione presenta tassi di natalità significativamente più elevati in linea con la regione delle Rhône-Alpes, che costituisce l‟area più fertile dell‟intera nazione.
Quali siano ad oggi le cause che soggiacciono ai bassi tassi di natalità italiani è ancora oggetto di dibattito. La teoria economica ha tradizionalmente sostenuto che il tasso di occupazione femminile è inversamente proporzionale al tasso di natalità (Esping-Andersen 1999, Ferrera 2008); fino agli anni Settanta, questo trade-off negativo sembra essere confermato dai dati. Tuttavia, nel corso degli ultimi 25 anni è stata registrata una brusca inversione di tendenza per la quale i tassi di natalità più elevati si sono registrati in quei Paesi dove la partecipazione femminile al mercato del lavoro è più elevata (Esping-Andersen 1999, Ferrera 2008). In Italia, inoltre, Paese caratterizzato da una modesta propensione delle donne alla partecipazione al mercato del lavoro, il fenomeno del calo della natalità si è fatto sempre più importante negli ultimi anni.
Secondo alcuni autori (Morgan 2009, Zanatta 2008), la motivazione alla base della variaibilità della fertilità è da ricercarsi nella maggiore (o minore) forza e incisività delle politiche di conciliazione; i tassi di natalità più elevati si trovano proprio in quei Paesi - come Svezia e Francia - dove sono state adottate forti misure ad hoc per la conciliazione vita-lavoro. Il basso tasso di natalità proprio del contesto italiano sarebbe dunque facilmente spiegabile attraverso il ritardo e la parzialità di adattamento alle nuove esigenze delle madri (Zanatta 2008). Questa
8,0 10,0 12,0 14,0 16,0 18,0 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 Italia Milano Francia Lione
evidenza sembra essere confermata dall‟indagine campionaria condotta da Istat (Istat 2008), che individua tra le motivazioni addotte dalle madri in relazione al calo della natalità la preoccupazione per il cattivo funzionamento del sistema dei servizi di cura, non in grado di supportare a pieno l‟attività di accudimento che spesso viene delegata ad altri membri della famiglia - più frequentemente nonni; i padri risultano in genere poco presenti. A tale proposito aggiungiamo, infine, che il supporto dei padri alla cura dei figli e al lavoro domestico è in grado di condizionare positivamente la fecondità (Del Boca 2009, Mc Donald 2000). Un elemento in grado di condizionare negativamente la natalità, inoltre, è la tendenza a posticipare la maternità. Negli ultimi trent‟anni i Paesi sviluppati hanno registrato uno “spostamento in avanti” di tutte le scelte (uscita di casa, formazione di una famiglia, etc.) che i demografi definiscono posticipazione della
transizione allo stato adulto (Ferrera 2008). È possibile individuare diversi fattori
che inducono a questa scelta; la decisione di avere figli viene presa dopo aver completato il percorso formativo - il quale, con l‟aumento costante dei tassi di iscrizione all‟università, sta divenendo sempre più lungo -, dopo aver trovato un lavoro stabile, dopo aver trovato una casa e lasciato la famiglia di origine (Zanatta 2008).
In Italia, questa sindrome ha connotati molto più forti che non negli altri Paesi, soprattutto per quanto concerne l‟uscita da casa; inoltre, la procreazione è stata (ma lo è sempre meno) tradizionalmente legata al matrimonio e come tale è stata posticipata quanto lo sono state le nozze. L‟insieme di condizioni che caratterizzano il periodo attuale - elevata disoccupazione giovanile, diffusione dei lavori precari, un mercato delle case a prezzi alti rispetto ai redditi - rende così particolarmente lungo e difficoltoso il processo che porta a formare un nuovo nucleo famigliare.
La Figura 11, che illustra l‟età media del primo figlio all‟interno dell‟Unione Europea, permette di evidenziare che le madri meno giovani sono presenti per lo più nei Paesi dell‟area mediterranea, con l‟eccezione dell‟Olanda e dell‟Irlanda. La Francia, invece, presenta un‟età media decisamente inferiore rispetto all‟Italia, anche se non ancora allineata con i Paesi con le età più basse come l‟Inghilterra o l'est europeo. La Francia appartiene al gruppo di Paesi che ha fatto registrare un incremento significativo di tale valore nel periodo tra il 1970 e il 1990, per poi assestarsi su valori che sono rimasti pressocchè invariati nei seguenti decenni (OECD Familiy Database 2012).
Figura 11 - Età media primo figlio, UE (2011)
Fonte: Eurostat (2012)
L'invecchiamento della popolazione costituisce l‟altro lato della medaglia del problema del calo della natalità e ci rimanda a una accezione di conciliazione parallela rispetto a quella affrontata all'interno di questa tesi; rappresenta, quindi, un problema molto rilevante dal punto di vista sociale, economico e politico ma che qui sarà affrontato solo per gli impatti che genera sul problema della conciliazione legata alla cura dei bambini piccoli.
In termini assoluti, l‟allungamento della speranza di vita permesso dal miglioramento degli standard sanitari ha portato a un ampliamento della fascia anziana della popolazione. L'invecchiamento, tuttavia, non ha una connotazione temporale univoca; generalmente si è soliti collegare la soglia al momento dell‟uscita dal mercato del lavoro, per cui, anche in considerazione degli standard adottati dai Paesi dell‟Europa nelle loro riforme pensionistiche, si utilizza sovente il limite dei 65 anni per indicare l‟ingresso in età anziana. Anzianità, quindi, coincide - almeno inizialmente - con l‟abbandono del lavoro; questa definizione è significativa per comprendere le ripercussioni del fenomeno sul welfare state, che si declinano in una problematica duplice.
Da un lato, vi è la questione della futura sostenibilità dello stato sociale, e in particolare del sistema pensionistico; il superamento in termini quantitativi del gruppo di anziani su quello dei giovani è già avvenuto nella maggioranza dei Paesi occidentali e la combinazione di invecchiamento e bassi tassi di natalità minaccia di rendere la situazione ancor più problematica.
Dall‟altro lato, vi è un aumento della domanda per quanto riguarda pensioni, assistenza sanitaria e altri servizi sociali per la terza età (assistenza domiciliare, case di riposo, etc.) legato soprattutto all‟incremento dei “grandi anziani” ultraottattenni, i quali hanno innanzi a sé più anni di vita rispetto al passato ma anche una prospettiva di non autonomia e di dipendenza quotidiana (Saraceno e Naldini 2001).
In Europa l‟invecchiamento demografico non si manifesta ovunque con la medesima intensità; l'Italia ha la più alta percentuale di anziani al 2005 – uno ogni cinque abitanti – mentre la media comunitaria è di un anziano ogni sei abitanti. L‟Irlanda, che è il Paese più “giovane”, ha solo un over 65 ogni dieci abitanti. Le differenze riguardano anche la dinamica recente dei rispettivi livelli di invecchiamento; tra il 1990 e il 2005, in alcuni Paesi dell‟Europa settentrionale - Danimarca, Irlanda e Svezia - la percentuale di anziani è addirittura diminuita, mentre gli stati che si affacciano sul Mediterraneo hanno evidenziato aumenti mai inferiori ai due punti percentuali.
Figura 12 – Indice di dipendenza, principali Paesi europei (2011)
Fonte: elaborazioni proprie su dati Eurostat (2013)
Il tema dell'invecchiamento della popolazione si interseca a quello della conciliazione da diversi punti di vista; innanzitutto, l‟invecchiamento della popolazione, come si è detto, si lega a un incremento della domanda di cura.
0,0 5,0 10,0 15,0 20,0 25,0 30,0 35,0
Al tempo stesso, l‟incremento della longevità si accompagna a una qualità della vita migliore che garantisce ai diversi membri della famiglia, bambini, adulti e anziani, di poter condividere un sostanzioso numero di anni di vita in buona salute. Il contributo che le fasce meno giovani della popolazione, specialmente se non più attive sul mercato del lavoro, possono fornire nell‟attività di cura dei più piccoli è già stata analizzata frequentemente in letteratura, specialmente nell‟ambito degli studi sulle norme di reciprocità intergenerazionali (Igel e Szydlik 2011, Saraceno e Keck 2010).