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All‟interno del capitolo si sono andate a illustrare sinteticamente l‟insieme di dinamiche socio-demografiche che hanno generato l‟esigenza dell‟introduzione delle politiche di conciliazione.

I mutamenti a livello demografico hanno prograssivamente alterato la struttura tradizionale delle famiglie; al contempo, la crescente partecipazione femminile al mercato del lavoro ha messo in discussione gli equilibri delineatisi all‟interno del modello del male breadwinner, rendendo di fatto poco sostenibile una configurazione all‟interno della quale la totalità del carico di cura è affidato in via esclusiva alla donna. La destandardizzazione dei modi e dei tempi di lavoro ha reso sempre più complesso riuscire a coordinare ritmi privati e invidividuali con i ritmi sociali e professionali. Ne risulta alterato, pertanto, il modello di organizzazione temporale della vita quotidiana; i dati relativi alla divisione dei carichi di cura tra i generi, tuttavia, sottolineano il permanere di una cultura fortemente incentrata su una delega alle donne che resiste nella maggior parte dei Paesi europei, evidenziando la sopravvivenza di un insieme di norme e aspettative sociali che non sono ancora state superate per ampie fasce della popolazione.

La riduzione delle differenze di genere cui si è assistito negli ultimi anni, inoltre, sembra essere legata più a una ridefinizione dei ruoli sociali rivestiti dalle donne che a un mutamento dei comportamenti maschili, dato che il coinvolgimento di questi nelle attività di cura appare ancora molto limitato.

Quali soluzioni si delineano al fine di affrontare la sfida che il permanere di un modello segnato dalla doppia presenza (Balbo 1978) reca con sè? Sono diverse le strategie che si possono perseguire e spesso si intersecano tra di loro e sono poste in atto in momenti diversi del ciclo di vita.

In primo luogo è possibile per la donna adottare una soluzione “classica” assumendo su di sè il carico di cura e riducendo la presenza all‟interno del mercato del lavoro, anche attraverso una fuoriuscita temporanea in prossimità dell‟evento della maternità. Il carico di cura, in alternativa, può essere gestito sempre all‟interno della famiglia ma senza che sia posto in capo esclusivamente alla madre; pertanto, può essere condiviso con il partner oppure con altri membri della famiglia (frequentemente i nonni). Infine, è possibile tentare di defamilizzare il carico di cura, ricorrendo a un sostegno esterno all‟interno della rete dei servizi pubblici o privati.

In letteratura è stato osservato che a queste differenti strategie corrispondono strumenti specifici3 (De Henau, Meulders e O‟Dorchai 2008). In particolare:

i congedi parentali costituiscono lo strumento più adatto nel momento in cui la cura è esercitata direttamente dai genitori;

i trasferimenti monetari costituiscono uno strumento prediletto nel momento in cui è presente un forte orientamento affinché le attività di cura siano organizzate dalla sfera privata dei genitori, che possono così acquistare servizi privati dal mercato;

i servizi pubblici, infine, sono maggiormente presenti nei casi in cui si ritiene che allo Stato spetta la titolarità della cura dell'infanzia.

Tali distinzioni non implicano, naturalmente, che la presenza di un gruppo di strumenti precluda quella di un altro, per quanto sia presente un certo livello di complementarietà; vi possono essere, piuttosto, differenti configurazioni che attribuiscono un peso maggiore a una famiglia di dispositivi piuttosto che a un‟altra a seconda del paradigma di conciliazione presente.

I tipi di strumenti individuati sono anche quelli che verranno analizzati all‟interno del lavoro di ricerca e corrispondono precisamente alla strutturazione dei prossimi capitoli: il Capitolo 3 sarà, in particolare, dedicato allo studio dei Servizi di cura, il Capitolo 4 ai Congedi e il Capitolo 5 ai Trasferimenti monetari.

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In questa classificazione è implicito e molto forte il riferimento all‟asse familizzazione /defamilizzazione elaborato da Saraceno e presentato nel Capitolo 1

Tali capitoli segnano l‟inizio della parte più empirica della tesi dedicata all‟analisi vera e propria degli strumenti attraverso la metodologia QCA fuzzy precedentemente illustrata.

Capitolo 3

I servizi all’infanzia

1. Introduzione

La questione dei servizi all‟infanzia è una delle più delicate e dibattute nell‟ambito delle tematiche di conciliazione, all‟interno della quale si intrecciano orientamenti valoriali, giudizi, tradizioni, vincoli pratici ed economici; la discussione rispetto all‟appropriatezza dell‟utilizzo di questi servizi si fa ancora più accesa proprio quando entrano gioco bambini molto piccoli, quelli in fascia 0-3 anni. Le indicazioni fornite a livello comunitario sono note e ampiamente condivise dai governi di quasi tutti i Paesi europei, almeno a livello teorico. Nel 2002, il Consiglio Europeo di Barcellona aveva fissato, infatti, un obiettivo ambizioso: entro il 2010 il 33% dei bambini in fascia 0-3 anni avrebbe dovuto frequentare servizi pubblici e privati (nidi famigliari, aziendali, etc.) professionali. I tecnici europei avevano stimato che se si fosse raggiunta quella percentuale, l‟occupazione femminile avrebbe potuto crescere sino a raggiungere il 60% indicato dalla Strategia di Lisbona. La realtà sembra parzialmente smentire ipotesi ed aspettative del Consiglio Europeo: attualmente i tassi di copertura dei servizi per la prima infanzia sono molto diversi tra i vari Paesi in Europa e questo dato non è sempre proporzionale al tasso di partecipazione delle madri al mercato del lavoro (Saraceno 2009), per quanto sia comunque presente una debole correlazione tra i due fenomeni. Il tasso dei bambini che frequentano servizi di childcare rimane in quasi tutte le realtà inferiore alla percentuale di donne che partecipano al mercato del lavoro (Saraceno 2009).

Il tema dell'Early Childhood Education and Care (OECD 2001) è divenuto oggetto di grande dibattito anche a livello accademico nel momento in cui gli studiosi hanno cominciato ad esplorarne in termini scientifici le ricadute da diversi punti di vista. (Esping-Andersen 2005, Jenson 2006 e 2009, Ferrera 2008, Del Boca e Pasqua 2010 et. al.)

In primo luogo, sono stati analizzati gli effetti dei servizi sullo sviluppo cognitivo dei bambini nei primi anni di vita. La letteratura europea mostra un certo grado di accordo nell‟evidenziare i maggiori benefici che forme di cura professionale di buona qualità hanno rispetto a modelli educativi che prevedono il solo accudimento da parte di genitori o famigliari (Cerea 2013). I bambini che hanno frequentato servizi per la prima infanzia fanno registrare mediamente risultati più positivi nei test di apprendimento scolastici in diverse ricerche realizzate sia in Svezia (Broberg Wessels Lamb Hwang 1997) che in Francia (Jeantheau e Murat 1998) e Danimarca (Datta Gupta e Simonsen 2010). Questi bambini, inoltre, rispetto ai coetanei educati direttamente dei genitori, mostrano una maggiore capacità di relazionarsi con gli altri bambini, una più alta autostima e migliori capacità di risoluzione di problemi e di ragionamento; tali evidenze sono state presentate all'interno di una serie di rapporti curati dall'OECD a partire dal 2001 volte a sottolineare l'importanza dei servizi della prima infanzia per lo sviluppo del bambino (OECD 2001, 2004, 2006).

Un altro consistente gruppo di ricerche si è focalizzato sull'impatto del ricorso a servizi di cura per quanto concerne la trasmissione intergenerazionale delle diseguaglianze. I servizi della prima infanzia, infatti, sembrano portare particolari benefici soprattutto ai bambini provenienti da contesti svantaggiati (provenienti da famiglie povere, appartenenti a minoranze etniche o residenti in aree degradate). L'influenza esercitata dalle caratteristiche socioeconomiche del contesto famigliare sullo sviluppo cognitivo dei bambini fin dai primi anni di vita è stata messa in evidenza da diversi autori (Feinstein 2003, Esping-Andersen e Mestres 2003) anche se è stato possibile registrare consensi univoci a riguardo (Del Boca e Pasqua 2010); maggiore concordanza è stata riscontrata in merito agli effetti che il contesto famigliare è in grado di generare non solo sulle prime performance scolastiche dei bambini ma sull'intero percorso formativo e di istruzione (Esping-Andersen e Mestres 2003). I servizi per la prima infanzia possono costituire uno strumento efficace al fine della riduzione delle diseguaglianze legate alla nascita in contesti famigliari svantaggiati dato che sono in grado di stimolare in modo efficace i bambini favorendone l'accrescimento di competenze e capacità cognitive (Esping-Andersen e Mestres 2003, Havnes e Mogstad 2010, Brilli, Del Boca e Pronzato 2011).

Infine, un ulteriore corpo di studi e ricerche si è concentrato sull'effetto esercitato dai servizi della prima infanzia sulla promozione della partecipazione delle donne al mercato del lavoro. I risultati non sono sempre coerenti per quanto concerne le evidenze emerse dalla letteratura internazionale (Cerea 2013); se in alcuni casi si registra un forte incremento dell'occupazione materna anche tra le donne sposate (Baker, Gruber e Milligan 2008), in altri effetti significativi sono riscontrabili solo in relazione alle madri single (Cascio 2009). Le principali ricerche italiane (Del

Boca 2002; Del Boca e Vuri 2006; Brilli, Del Boca e Pronzato 2011) hanno messo in evidenza una relazione tra la disponibilità di posti nei nidi e la partecipazione delle madri al mercato del lavoro piuttosto positiva. In particolare, gli effetti più pronunciati si osservano nei casi in cui le madri presentano un basso livello di istruzione. Indirettamente, dunque, viene riconfermata l'evidenza per la quale i servizi di cura per la prima infanzia possono avere effetti molto positivi soprattutto nei contesti svantaggiati, sia per quanto concerne il benessere dei bambini (come evidenziato dalle ricerche precedentemente presentate) che per quanto riguarda la condizione occupazionale delle madri.

A monte dell‟analisi degli effetti generati dai servizi di cura, la riflessione si è concentrata sul momento in cui è opportuno che i bambini vengano introdotti a forme di custodia diversa da quelle esercitate dalla famiglia d'origine e sul tipo di custodia ritenuto più idoneo al fine di una massimizzazione degli effetti positivi dell‟educazione.

Le raccomandazioni in merito a quali parametri vadano considerati per determinare la qualità del servizio e quali siano i livelli minimi da rispettare sono state dibattute a livello comunitario e ve ne è ampia trattazione all'interno dei vari report dell'OECD (OECD 2001, 2004, 2006). Indicazioni in merito agli standard minimi per il funzionamento dell'accreditamento sono, inoltre, contenute all'interno delle varie normative nazionali e locali. La questione dell'età di ingresso dei bambini ai servizi di childcare è invece meno regolata a livello normativo e più lasciata alla sensibilità soggettiva dei genitori; è possibile osservare in Europa una tendenza diffusa all'incremento di infanti di età inferiore all'anno che vengono assistiti anche fuori casa (Unicef 2008), nonostante quest'età sia indicata dai pedagogisti come soglia minima da non anticipare al fine di uno sviluppo cognitivo ottimale del bambino. Esiste, a tale proposito, una forte interdipendenza fra i diversi strumenti di conciliazione, che può condizionare in modo significativo il momento di ingresso dei bambini nei servizi di childcare. Il sistema dei congedi (e la relativa modulazione in termini di durata e compensazione economica), specialmente se combinato ad una ammissione precoce alle scuole materne (Saraceno e Keck 2008), può fare la differenza. Il caso svedese è in tal senso emblematico. In Svezia, fino a 20 anni fa c‟era un vasto ricorso agli asili sino a quando non è stato introdotto il congedo all‟80% del salario; da quel momento in poi, la scelta delle madri svedesi è stata quella di affidare il proprio bambino ai servizi pubblici solo al superamento del primo anno di età (Esping-Andersen, 2005). Sistema dei congedi e sistema dei servizi di childcare possono essere considerati strumenti complementari ed opposti, espressione di due differenti modi di concepire la ripartizione dei carichi di cura tra nucleo famigliare e società, laddove i congedi sono tradizionalmente a

supporto di sistemi familisti mentre le strutture di childcare favoriscono la condivisione delle responsabilità educative con la società (Saraceno e Keck 2008). Tuttavia, esiste anche una differente modulazione e regolazione degli stessi strumenti che può portarli a declinarsi in modo tale da favorire implicitamente un orientamento valoriale piuttosto che l'altro; il proposito che ci si pone dunque è quello di individuare in primo luogo la declinazione idealtipica della regolazione degli strumenti di childcare per poi andare ad indagare in che modo la regolazione effettivamente attuata sui territori di Lione e Milano corrisponda a quelle individuate in sede teorica.

All'interno del presente capitolo andremo quindi in primis a presentare una breve rassegna degli strumenti di childcare presenti all'interno dei due territori urbani, evidenziandone storia, evoluzione degli ultimi anni e tratti regolativi essenziali. In secondo luogo, si intraprenderà l'analisi vera e propria dei servizi; alla presentazione delle dimensioni di analisi che saranno utilizzate per condurre il nostro approfondimento seguirà una sintetica illustrazione delle regolazioni idealtipiche relative alle dimensioni di analisi precedentemente individuate. Infine, procederemo con l'analisi vera e propria e concluderemo con un confronto tra i due diversi sistemi di strumenti, cercando di individuare affinità e tensioni con i modelli idealtipici individuati in sede teorica.