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5. L‟analisi della regolazione degli strumenti

5.2 Fuzzy analisys dei paradigmi di conciliazione

Le politiche di conciliazione, come si è detto, costituiscono degli ambiti di policy particolarmente complessi caratterizzati da una molteplicità di strumenti differenti; anche gli stessi dispositivi, tuttavia, devono essere letti prendendo in considerazione numerosi aspetti relativi alla loro regolazione. Ogni dimensione regolativa, infatti, si presta a differenti declinazioni, alle quali corrispondono interpretazioni e significati diversificati; uno strumento può quindi essere del tutto ben compreso solo se letto nel complesso delle caratteristiche che lo definiscono (Ciccia e Verloo 2011). La metodologia presentata consente di soddisfare questa richiesta andando ad interpretare ogni dimensione non come indipendente ma guardando alla configurazione complessiva e interpretando le relazioni che si

formano (Kvist 2007, Ciccia e Verloo 2011). Si desidera sottolineare che tale approccio, nella misura in cui sarà applicato all‟analisi della regolazione normativa dei dispositivi, avrà lo scopo di restituire un quadro più formale che sostanziale del funzionamento dei dispositivi analizzati e quindi costituisce un metodo con finalità più illustrative che rappresentative.

Nel presente lavoro saranno analizzati tre macro gruppi di strumenti; servizi di childcare, congedi e trasferimenti monetari. Per ciascun gruppo sono state individuate delle specifiche dimensioni di analisi che si ritiene possano andare ad intercettare le questioni chiave intorno alle quali si sono articolati i maggiori dibattiti e che rappresentino i tratti essenziali e più significativi della regolazione. Servizi di cura, congedi e trasferimenti monetari costituiscono i tipi di strumenti ritenuti in letteratura tra i più significativi ai fini dell‟analisi delle politiche di conciliazione per i bambini in fascia 0-3 anni e costituiscono dei veri e propri pilastri del childcare. Tra gli strumenti analizzati all‟interno del presente lavoro, si noterà, non figurano quelle riguardanti direttamente il mondo del lavoro. E‟ possibile sviluppare alcune considerazioni a riguardo.

In primo luogo, le politiche per il lavoro così come attualmente formulate hanno il potere di condizionare la conciliazione in modo forte ma indiretto, senza che quest'ultima costituisca un obiettivo dichiarato e manifesto. L‟aspetto che maggiormente incide sulla conciliazione riguarda le modalità organizzative dei tempi di lavoro. La distribuzione dei part time - che costituisce la forma di modulazione dell'orario di lavoro più favorevole alla conciliazione, oltre che uno degli strumenti più efficaci nei contesti segnati dalla mancanza di altri interventi a supporto della gestione dell'attività di cura - segue spesso logiche interne all'azienda che non sono fotografabili attraverso l'approccio individuato per questo lavoro di ricerca. In secondo luogo, la dimensione lavorativa è comunque (indirettamente) presente all'interno delle analisi che saranno condotte dato che l'accesso a diversi degli strumenti considerati è strettamente legato alla posizione lavorativa ricoperta. Si presenteranno, pertanto, anche alcune riflessioni riguardo alla diversa titolarità presente in connessione ai vari inquadramenti contrattuali, con particolare attenzione alle nuove forme di lavoro “precario”. Gli strumenti esplicitamente rivolti a favorire la conciliazione all'interno della sfera del lavoro sono ancora residuali in termini generali; si tratta, tuttavia, di un tema che sta riscontrando un crescente interesse anche perché frequentemente intrecciato al filone del cosiddetto secondo welfare. Il welfare aziendale, in particolare, prevede che le imprese diventino attori coinvolti in prima linea nella ideazione ed erogazione di servizi rivolti ai propri dipendenti e “tagliati su misura” sulla base delle necessità da questi palesate. Tali iniziative costituiscono delle pratiche in realtà ancora poco diffuse in quanto prevalentemente ad appannaggio delle grandi

imprese anche se è possibile rilevare, specialmente a livello locale, la presenza di alcuni interventi pubblici volti a favorire tali pratiche.

All‟interno dei prossimi capitoli andremo a condurre l'analisi vera e propria degli strumenti di conciliazione individuati secondo la prospettiva teorica e la metodologia presentata all'interno di questo capitolo. Tuttavia, prima di procedere con il lavoro analitico vero e proprio, si ritiene indispensabile fornire un inquadramento generale dell‟insieme di fenomeni che hanno creato le condizioni affinchè si generasse la necessità dell‟introduzione delle politiche di conciliazione (Capitolo 3); tale analisi offrirà al contempo anche l‟occasione per presentare in modo più approfondito i due contesti urbani esaminati, ovvero Milano e Lione.

Capitolo 2

Alle origini della conciliazione

1. Introduzione

La necessità sempre più pressante di introdurre nuove politiche e nuovi strumenti di welfare affermatasi negli ultimi decenni è stata in larga parte dettata dall‟incongruenza che si è generata tra i nuovi rischi sociali emersi e le soluzioni che il modello tradizionale di politica proponeva (Hemerijek 2008). Le politiche di conciliazione appartengono a questa famiglia di politiche “nuove”; il tema della conciliazione, infatti, ci racconta di una società all‟interno della quale le famiglie sono sempre più instabili, il tasso di natalità non è più in crescita e la partecipazione femminile al mercato del lavoro non è più un fenomeno residuale, bensì una realtà consolidata. Scopo di questo capitolo sarà dunque quello di illustrare le dinamiche sociali ed economiche che hanno generato una pressione tale da spingere i governi a varare le nuove politiche di conciliazione (Morgan 2009, Ferrera 1993). Il capitolo, inoltre, ci consentirà di fornire elementi di contesto per quanto concerne gli ambiti urbani oggetto di analisi, Milano e Lione; le tematiche trattate saranno dunque lette anche attraverso un‟ottica territoriale, che ci permetterà di mettere in luce quali siano i tratti salienti delle città analizzate e come queste si relazionino rispetto al più generale contesto nazionale.

Punto di partenza del percorso di riflessione sarà il modello di famiglia nucleare e

salariato; il successo dei Welfare Capitalism, affermatisi dopo la Seconda Guerra

Mondiale, fu determinato anche da una particolare configurazione famigliare all‟interno della quale lavoro di produzione e lavoro di riproduzione erano nettamente separati e contrapposti. La famiglia nucleare e salariata assumeva che la donna fosse una massaia e l‟uomo un addetto alla produzione standard, ovvero un operaio semi-qualificato del manifatturiero che da solo avrebbe provveduto al reddito famigliare (male breadwinner), garantendo allo stesso tempo anche i

diritti sociali (Mingione 2001). Il mercato del lavoro, al contempo, avrebbe garantito a tutti gli uomini contratti a tempo indeterminato e la (quasi) piena garanzia di occupazione. Il ciclo di vita di uomini e donne che andava definendosi era costante, scandito da tappe puntuali e distinto sulla base del genere. Gli uomini, dopo un primo periodo di studio, erano destinati a lavorare fino ai 65 anni per poi godere di qualche anno di anzianità socialmente tutelata attraverso la pensione. Il modello del corso di vita femminile, invece, era fortemente segnato dal matrimonio e dalla maternità; era prevista, infatti, l'uscita dal mercato del lavoro subito dopo il matrimonio affinché il tempo delle donne fosse messo a disposizione dei bisogni di cura (prima dei bambini e poi dei genitori anziani). Unioni matrimoniali durature e stabili costituivano l'elemento cardine in grado di garantire tale divisione di carriere e ruoli, simultanei e paralleli; la conciliazione, pertanto, non costituiva un problema, dato che il lavoro di cura poteva essere svolto interamente dalle madri escluse dal mercato del lavoro. L'equilibrio sul quale si sosteneva il modello famigliare nucleare e salariato è andato incrinandosi progressivamente a partire dagli anni Settanta. Un insieme complesso di fattori cooperò alla definitiva destabilizzazione di questa configurazione sociale e istituzionale, facendo venir meno quello che è stato definito il “corso di vita standard” (Myles 1990; Bussmaker 1999). In particolare, furono minati alla base i tre pilastri principali su cui si basava: una buona stabilità famigliare basata sul matrimonio e accompagnata da una rigida divisione del lavoro, la presenza forte di un breadwinner e la piena occupazione (Naldini 2006).

Il capitolo presenterà dunque la seguente strutturazione: verranno in primo luogo presentati e analizzati i principali mutamenti avvenuti negli ultimi decenni per quanto concerne i modelli famigliari, ora caratterizzati dal calo della natalità, dalla posticipazione dei matrimoni accompagnata da un aumento del numero di separazioni e divorzi, di famiglie monogenitoriali e di nuclei formati da un solo componente. In secondo luogo, verranno discusse le principali innovazioni a livello di mercato del lavoro, con particolare attenzione alle caratteristiche dell'occupazione femminile. Infine, si concluderà con un'analisi della diversa gestione del tempo tra generi, con particolare riferimento alla suddivisione delle attività di cura e riproduttive all'interno della famiglia.