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Capitolo 2 I Principi di Politica

4.3 Il ruolo delle idee e degli intellettual

Per chi non crede nella possibilità della perfettibilità l'ordine sociale di volta in volta vigente non è altro che una delle mille combinazioni fortuite possibili, forme più o meno transitorie destinate a distruggersi e a succedersi. Se non fossimo sostenuti dall'idea della perfettibilità sarebbe inutile parlare di libertà, di lumi, di filosofia. Confidare nel perfezionamento progressivo della nostra specie, invece, significa credere nell'esistenza di legami sicuri fra le generazioni: le conoscenze umane formerebbero una massa eterna che si tramanda nel tempo e alla quale ogni individuo

apporta il suo contributo214. La teoria della perfettibilità del genere umano sostenuta da

Constant è inestricabilmente legata all'importanza che egli conferisce alle idee. Egli ritiene che quest’ultime costituiscano la vera molla del processo storico: le forza materiali che vediamo operare, quali il potere, la violenza, gli interessi, non sono altro che l'effetto delle idee degli uomini. Il primo celebre passo in cui Constant delinea una concezione filosofica generale è rintracciabile nel capitolo VII del De la force215, nel

quale, svolgendo una critica al principio ereditario, concepito come fulcro del governo monarchico, usa come argomentazione decisiva il fatto che il sistema ereditario sarebbe destinato a scomparire perché storicamente superato. Esso è diventato, infatti, insostenibile sul piano delle idee e sono le idee, per Constant, a guidare la storia.

Il dominio del mondo – egli scrive – è stato affidato alle sole idee. Sono le idee che creano la forza, trasformandosi in sentimenti, passioni, entusiasmi. Esse si formano e si elaborano nel silenzio, ma si incontrano e si accendono grazie agli scambi tra individui. E così, completatesi e rafforzatesi reciprocamente, ben presto si scatenano con impeto irresistibile216.

Per quanto riguarda la loro origine ritiene che esse si formino a partire da sensazioni, esperienze, eventi, in altri termini da varie circostanze esterne che non sarebbero in nessun modo in nostro potere. Ciò non significa, però, che le idee siano meri riflessi del mondo esterno: si formano a partire da dati dell'esperienza, ma, una volta formatesi, nella mente esse subiscono un duplice processo di maturazione, tanto a livello individuale, dove se ne dà una personale elaborazione, quanto a livello sociale,

214

Cfr. B. Constant, La perfettibilità della specie umana, op. cit. 215 B. Constant, La forza del governo attuale, op cit.

dove, appunto, «si incontrano e si accendono grazie agli scambi tra individui». In seguito a questa elaborazione personale e non (fondamentale il ruolo degli intellettuali – come vedremo fra poco – ai quali, infatti, Constant attribuisce responsabilità e doveri) si realizzano dei principi che, una volta affermatisi, si trasformano in sentimenti, passioni e avviano un processo di trasformazione della realtà. Scrive, infatti, Constant che un'idea messa in circolazione «non è mai stata ritirata», a meno che non fosse ancora immatura; ma, una volta raggiunta la fisionomia completa, essa è destinata a realizzarsi «con un impeto irresistibile»217. Le idee di cui parla Constant

hanno una natura ben precisa: sono il risultato di una complessa interazione storico- sociale e costituiscono la progressiva manifestazione di una ragione intrinseca al mondo storico. Sono idee che esistono per necessità, frutto di una volontà della natura che mirerebbe al completo dispiegamento della razionalità umana. Ma, che sia attraverso le idee, le azioni, le opinioni, in ogni caso è l'uomo che, con il proprio contributo, può e deve fare qualcosa per cambiare la realtà, renderla migliore, spingerla nella direzione che la natura ha stabilito, realizzare la libertà e l'uguaglianza. Infatti i principi che secondo Constant si realizzano nella storia sono sostanzialmente i diritti individuali, i quali, affermandosi progressivamente contro tutte le forme di potere oppressivo ed abusivo e contro le disuguaglianze di principio, permettono al genere umano di elevarsi realizzando l'uguaglianza. Questa, intesa – e questo è fondamentale – come uguaglianza nella libertà, è la meta ultima. L'uomo di Constant deve perfezionarsi seguendo le tappe che la storia ha in serbo per lui, non essendo possibile progredire indipendentemente dalla storia delle idee: il popolo deve essere

pronto al cambiamento e per esserlo deve aver sviluppato e elaborato le giuste idee.

I lumi […] - afferma Constant – dipendono da una concatenazione di idee il cui potere si sprigiona soltanto quando a essa non manca alcun anello e che in ogni caso non può essere introdotta da un'autorità assoluta. […] Perché un popolo faccia dei progressi basta solo che il potere non li ostacoli. L'avanzamento fa parte della natura umana: il governo che lo lascia libero lo favorisce a sufficienza218.

Qui entra in gioco il ruolo fondamentale di ognuno: le idee, infatti, non sono qualcosa di semplicemente passivo, ma qualcosa che ha bisogno dell'intervento personale per prendere vita. Ecco perché la libertà politica è il migliore strumento di perfettibilità che sia dato all'uomo: gli permette di inserirsi nel mondo con la propria identità personale e attraverso il proprio agire e la propria libertà trasformarlo e perfezionarlo, grazie al progresso naturale delle proprie idee.

La libertà, allora, è molto più della libertà personale, della possibilità di perseguire i propri desideri e godimenti privati. Essa è il mezzo per il perfezionamento e per quella realizzazione di sé, tanto cara ai liberali, ma che, lungi dall'essere definita solo in termini autoreferenziali di godimento privato, accumulo di proprietà e così via, si definisce anche dall'impegno nel pubblico e dalla realizzazione dei principi di libertà e uguaglianza. Infatti, come ci insegna Constant, è quando la nazione si disinteressa dei propri diritti che il potere si affranca dai suoi limiti. I principi della libertà non sono qualcosa da imporre: la libertà può essere solo goduta. Ed è proprio la libertà e la libertà politica sopra ogni altra cosa a costituire la fonte di vita maggiore di uno Stato. La ragione è semplice:

La libertà politica, che costituisce una barriera per il potere, gli fa al tempo stesso da sostegno […]. Quando la libertà politica è totalmente distrutta, il potere politico, non trovando nulla che lo regoli, che lo diriga, che lo trattenga, inizia a procedere a caso […]. Credendo di sbarazzarsi dei suoi nemici si è disfatto dei suoi alleati219.

La libertà, infatti, è la condizione prima di ogni esame e l'esame è la fonte di vita delle cose morali e della verità. La libertà, in altre parole, costituisce le fondamenta dello Stato ideale. È inutile qui ricordare che non si tratta della libertà di fare tutto ciò che si vuole, ma della possibilità di godere dei propri diritti, di quei diritti guadagnati agendo pubblicamente, occupandosi della cosa pubblica. Forse potremmo dire che non c'è alcun bisogno di distinguere una libertà civile da una politica perché, in fondo, si implicano a tal punto da essere una cosa sola.

Per quanto riguarda il ruolo degli intellettuali, accenneremo a quello che Constant sostiene nel Discorso e nei Principi di politica: nel primo tratta delle responsabilità degli “scrittori” nel fallimento della Rivoluzione, nel secondo discute su quali, invece, dovrebbero essere i doveri degli “uomini illuminati”. Constant, come sappiamo, ritiene che, più di ogni altra cosa, a comportare il fallimento della rivoluzione sia stata quell'anacronistica imitazione degli antichi e la conseguente confusione fra due specie di libertà, portata avanti dai giacobini a causa di una certa illusione che alcuni scrittori, con le loro opere, avevano contribuito a creare in loro. Si tratta di Rousseau, Mably e Montesquieu, sulle cui responsabilità Constant tornerà anche nei Principi. Tutti e tre gli scrittori in questione avrebbero alimentato, con le loro teorie, l'illusione che il problematico rapporto popolo-potere potesse essere risolto

con la soggezione di uno dei due elementi all'altro, mentre Constant ritiene che il conflitto fra i suddetti soggetti politici sia inerente allo Stato sociale e, per ciò stesso, ineliminabile. Il problema, dunque, non può essere come rimuoverlo, ma solo come contenerlo. In ciò si trova anche il motivo per cui Constant segnala nella rappresentanza l'unica soluzione: grazie a questo sistema il popolo frappone fra sé e i depositari dell'autorità una vera barriera, limitando con la propria sfera individuale il potere dello Stato. Rousseau, su cui ci siamo già soffermati a lungo, fa l'errore di far pendere la bilancia totalmente in favore del popolo: quest'ultimo ha tutto il potere che risulta illimitato e per ciò stesso pericoloso, tanto quanto se fosse nelle mani di un unico despota. Per quanto riguarda Mably, invece, nella sua teoria politica è l'elemento del potere che soggioga interamente il popolo. Di lui Constant dice:

può essere considerato l'esponente del sistema che, in conformità con le massime della libertà antica, vuole che i cittadini siano completamente assoggettati affinché la nazione sia sovrana, e l'individuo sia schiavo affinché sia libero il popolo. L'abate di Mably, come Rousseau e molti altri, aveva preso, sulla scorta degli antichi, l'autorità del corpo sociale per la libertà e tutti i mezzi gli parevano buoni per estendere l'azione di tale autorità. […] Il rimpianto che esprime dappertutto nelle sue opere, è che la legge possa raggiungere solo le azioni. Avrebbe voluto […] che perseguisse l'uomo senza tregua e senza lasciargli un asilo dove potesse sfuggire al suo potere220.

Constant critica tanto l'onnipotenza della legge di Mably, quanto il ritorno a quell'estensione della dimensione politica che caratterizzava le comunità antiche, teorizzato da Rousseau. La giusta via consiste nel ripensare la nozione di sovranità in

linea con lo spirito del tempo, limitando tanto il popolo quanto il potere tramite la prescrizione di una sfera inviolabile di diritti individuali. Montesquieu, invece, da parte sua percepisce la differenza fra società antiche e moderne, senza saperne indagare adeguatamente le cause. Sostiene, infatti, che mentre il principio delle repubbliche antiche era la virtù, quello delle monarchie è l'onore e delle moderna borghesia lo spirito commerciale. Non si tratta di una tesi errata, né troppo lontana dalla realtà, ma il punto da correggere, per Constant, è l'idealizzazione degli antichi. Nessuno sacrifica niente disinteressatamente: se gli antichi cedevano la libertà privata in cambio della libertà politica era perché le circostanze facevano sì che proprio nel piacere connesso alla partecipazione politica consistesse il loro bene preferibile. Ecco la responsabilità degli “scrittori”:

Gli uomini che si trovavano trasportati dalla corrente degli avvenimenti alla testa della nostra rivoluzione, erano, per una necessaria conseguenza dell'educazione che avevano ricevuto, imbevuti delle opinioni antiche e ormai false, consacrate dai filosofi di cui ho parlato. […] Vollero dunque esercitare la forza pubblica come, stando all'insegnamento delle loro guide, l'avevano esercitata un tempo gli Stati liberi. Si convinsero che tutto doveva cedere ancora alla volontà collettiva e tutte le restrizioni dei diritti individuali sarebbero state compensate ampiamente dalla partecipazione al potere sociale221.

Ma uno Stato moderno costruito con lo spirito degli antichi, su presupposti che non potevano più essere validi, era certo destinato a crollare. Veniva lesa l'indipendenza individuale senza eliminarne il bisogno e il sacrificio non veniva in nessun modo ricompensato. Rousseau, Mably e Montesqueiu avrebbero in questo modo contribuito

al fallimento della Rivoluzione infondendo un'ammirazione per gli antichi a cui non poteva non corrispondere un tentativo di imitazione. Ma «nessuna delle numerose e troppo lodate istituzioni che, nelle repubbliche antiche, ostacolavano la libertà individuale, è ammissibile nei tempi moderni»222. Alla critica di questi scrittori

Constant aggiunge, nei Principi di politica, una valutazione dei doveri, di ciò che spetterebbe di fare per il proprio Stato a costoro e a tutti gli intellettuali di una data epoca :

Ogni nazione che rovescia le sue istituzioni, perché le trova oppressive o viziate, è caratterizzata da due impulsi. Il primo è quello di distruggere tutto, per ricostruire ogni cosa da zero; il secondo è quello di ostentare un rigore implacabile contro quelli che avevano approfittato dei vizi delle antiche istituzioni. Questi due impulsi sono precisamente ciò che rende le rivoluzioni funeste, portandole al di là dei bisogni del popolo, prolungando la loro durata, compromettendo la loro riuscita: il compito degli uomini illuminati consiste nel fermarli o sospenderli223.

Quello che devono fare gli “uomini illuminati” è arrestare le rivoluzioni al momento giusto: dopo aver rovesciato ciò che unanimemente il popolo non tollerava più deve essere fermato quell'impulso, non più unanime, a distruggere tutto, da cui «derivano i mali maggiori di una rivoluzione»224. Questo atteggiamento porta a considerare ogni

cosa come potenziale abuso e, in conseguenza di ciò, la rivoluzione non ha fine. I cambiamenti devono seguire la volontà della nazione senza mai precederla e le istituzioni devono essere in accordo con le idee. Torna in questo capitolo l'importanza attribuita da Constant alle idee e all'opinione pubblica:

222

Ivi, p.22.

223 B. Constant, Principi di politica, op. cit., p.540 (XVIII.4). 224 Ibidem.

Lo spirito pubblico è frutto del tempo. Esso si forma attraverso una lunga serie di idee acquisite, di sensazioni, di modifiche successive, che sono indipendenti dagli uomini e si trasmettono e si modificano ulteriormente da una generazione all'altra. […] Lo spirito pubblico è il lascito delle esperienze della nazione, che vi aggiunge ogni giorno nuove esperienze. Dire che bisogna ricreare lo spirito pubblico equivale a dire che dobbiamo metterci al posto del tempo: ma almeno questa usurpazione è impossibile. Sono stati soprattutto le assemblee e i club ad avere questa pretesa. Si misero al posto del popolo per fargli dire ciò che non diceva. Si incaricarono della domanda, della risposta e persino dell'elogio che le loro opinioni, a loro avviso, meritavano225.

Voler portare la rivoluzione oltre il suo naturale obiettivo significa forzare la volontà della nazione, dunque compiere un abuso e i cittadini non devono perdonare ai rivoluzionari ciò che hanno detestato dei governi. La nazione deve difendersi contro ogni illecito e gli “uomini illuminati” devono aiutarli a farlo. Accade, infatti, che “uomini astuti” si servano di aforismi per convincere “uomini stolti” delle più stupefacenti assurdità.

Per una nazione superficiale e imitatrice niente è più potente degli aforismi. Sono corti, sembrano chiari, si ricordano facilmente. […] Tra gli aforismi funesti ce n’è uno che abbiamo sentito ripetere mille volte durante la nostra Rivoluzione e che tutte le rivoluzioni violente invitano a riprodurre: ‘il dispotismo è necessario per fondare la libertà’. Questo aforisma giustifica tutte le oppressioni, nonché il loro prolungamento indefinito, giacché la durata del dispotismo dal quale dovrebbe nascere la libertà, rimane indeterminata. […] Ci si muove in un circolo vizioso: si indica un’epoca che sicuramente non si potrà raggiungere, perché i mezzi adottati con il pretesto di raggiungerla le impediscono di realizzarsi226.

225 Si tratta di una nota di un passo dei PDP (p.545 XVIII.4) contenuta nelle Addictions. 226 Ivi, pp.545-548 (XVIII.4).

Un altro pericolo che minaccia la buona riuscita di una rivoluzione, e che gli “uomini illuminati” sono tenuti a scongiurare, è la tendenza del popolo a esercitare una vendetta sui membri del governo rovesciato. Se è sacrosanto che i cittadini si riprendano i propri diritti imprescrittibili, proprio la loro imprescrittibilità e il fatto che il popolo avrebbe potuto riacquistarli in ogni momento lo rende responsabile per aver tollerato che qualcuno, per un certo periodo, li usurpasse e gli toglie ogni diritto di rivalsa.

Senza questo principio – dice Constant – le rivoluzioni non riescono a terminare. Si entra in un'abominevole carriera retroattiva, in cui ogni passo – con il pretesto di un'ingiustizia passata – conduce a una nuova ingiustizia. Si finisce per commettere le stesse assurdità che venivano rimproverate ai sostenitori delle istituzioni più difettose227.

Quando poi le rivoluzioni si calmano gli “uomini illuminati” hanno ancora un dovere da compiere: salvare il popolo, stremato dai tumulti, dalla tendenza a rassegnarsi a una nuova oppressione. Non devono darsi per vinti se non saranno ascoltati, se saranno derisi o addirittura perseguitati, perché «nessuno sforzo va perso su questa strada dove la natura delle cose riporta necessariamente gli uomini»228. Constant, infatti, ritiene che

l'uomo non possa fare a meno della libertà a cui, prima o poi, tornerà. L'unico modo che il dispotismo ha per conservarsi è soffocare la ragione sin dall'infanzia, arrestandone in questo modo, i progressi. È così che Constant conclude i Principi di politica:

227 Ivi, p.550 (XVIII.5). 228 Ivi, p.560 (XVIII.6).

Mi rivolgo ai missionari della verità: se la strada è ostacolata raddoppiate lo zelo, raddoppiate gli sforzi. Che la luce risplenda da ogni parte; se è oscurata, che riappaia; se è respinta, che ritorni. E si riproduca, si moltiplichi, si trasformi! Sia infaticabile quanto lo è la persecuzione. […] Il dispotismo, l'immoralità, l'ingiustizia sono cose talmente contro natura che è sufficiente una sola circostanza, un solo sforzo, una sola voce coraggiosa per trarre l'uomo fuori da questo abisso. Egli ritorna alla moralità per le sventure che l'oblio della morale gli provocano; e ritorna alla libertà per l'oppressione che fa gravare su di lui ogni potere che egli ha trascurato di limitare. Non esiste una causa nazionale disperata229.