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Capitolo 2 I Principi di Politica

2.2 Il ruolo centrale della partecipazione

L'importanza e il ruolo centrale che Constant attribuisce alla partecipazione personale può essere innanzitutto messo in evidenza a partire da un'analisi di quello che può essere definito “registro della subjectivité”, con il quale non intendiamo altro che l’uso dei “soggetti” (logici e grammaticali) all'interno dell'opera. Da essi, infatti, emerge un'andatura prettamente dialogica, costruita spesso con una struttura fittizia di scambio

risposte-obiezioni, e con un intento esplicitamente persuasivo e didattico. Nello studio che Giovanni Paoletti ha dedicato proprio all'analisi del registro della soggettività nei Principes del 180645 si mette in evidenza la ricorrenza nell'opera di Constant dei

pronomi personali soggetto – “io” je, “noi” nous, “voi” vous ‒ e del pronome impersonale “si” on, mettendola a confronta con quella dei classici d’Ancien régime, quali Lo spirito delle leggi46 di Montesquieu e il Contratto sociale47 di Rousseau.

Dall'opera di Montesquieu emerge un uso predominante del pronome impersonale on, con accezione neutra, in funzione semplicemente assertiva o descrittiva (a differenza di quanto fanno Constant e Rousseau che utilizzano l'impersonale con funzione positiva o negativa e solo raramente neutra), indice di una concezione oggettivante del sapere. Rousseau, dal canto suo, fa un uso massiccio del pronome personale di prima persona per esprime il proprio pensiero, che, in realtà, riconosciamo spesso riportato anche attraverso l'utilizzo di altri pronomi. Quello che caratterizza l'opera di Constant, rispetto alle altre, è, invece, la presenza di voci esterne con cui l'io dell'autore dialoga, si confronta, disputa, cerca di persuadere o di smascherare, mettendo quasi in questione la definizione stessa del proprio io, che non si presenta come assoluto con una verità da divulgare, ma piuttosto come il protagonista di un percorso da seguire la cui riuscita dipenderà proprio dalla rete di scambi con gli altri soggetti. La prima persona plurale (nous) è spesso usata da Constant per designare un soggetto collettivo la cui identità può variare di volta in volta; un noi psicologico, oltre che grammaticale, a cui Constant chiede di rivivere in prima persona il cambiamento d'opinione da lui 45 Ibidem.

46 Montesquieu, L'esprit de lois (1748), trad. it. a cura di S. Cotta, Lo spirito delle leggi, UTET, Torino, 1960.

47 J.-J. Rousseau, Du contrat social: ou principes du droit politique (1762), trad. it. a cura di M. Garin, Il contratto sociale, Laterza, Bari, 1997.

raccontato, di ricostruire e far proprie le dimostrazioni delle teorie, di liberarsi dagli errori e dai pregiudizi e di abbracciare la verità, non come se fosse stata imposta da un io esterno ma perché raggiunta con un percorso personale, un po' come il lettore delle Meditazioni48 di Cartesio. L'uso dell'impersonale on, come abbiamo accennato, è usato

solitamente con accezione negativa, ad indicare le tesi che si appresta a confutare e, più raramente, con accezione positiva o neutra. L’uso del voi, invece, presuppone, ancora una volta, la presenza di qualcuno che ascolta, di un interlocutore reale del discorso, in altre parole di un pubblico. Tale pubblico può variare a seconda dei contesti e può essere formato dai detentori stessi del potere come da filosofi politicamente impegnati, ma, in ogni caso, da soggetti che riflettono sul problema politico, come avveniva nel salotto ginevrino di amici di Madame de Staël dove Constant, soprattutto all’inizio, aveva l’abitudine di leggere via via i capitoli appena scritti. È, forse, proprio nelle abitudini giovanili, che lo avevano visto sottoporre i suoi manoscritti alla lettura pubblica nei salotti di Coppet prima e farsi partecipe di vivaci dispute parlamentari fatte di dialogo e di botta e risposta poi, che si può ricercare l'origine della sua modalità dialogica di scrittura. Quello che è certo è che ad avere avuto un ruolo centrale in questo cambiamento di atteggiamento (non solo stilistico) fu l’innovazione portata dalla Rivoluzione francese, a seguito della quale si riscontrava la possibilità di una maggiore mobilità dei soggetti politici.

Ma al di là di ciò che concerne strettamente lo stile, compaiono nel testo insistenti riferimenti alla necessità della partecipazione, a cui adesso faremo cenno. Nel libro II Constant individua nel ruolo dell'opinione pubblica – conseguenza

48 R. Cartesio, Méditations métaphysiques (1641), trad. it. a cura di S. Landucci, Meditazioni

dell'interesse degli individui per la cosa pubblica e, quindi, della loro partecipazione – l'unico limite effettivo al potere. Su questo punto Constant ritorna anche nel libro XVII in cui sottolinea come, nonostante l'utilità di una costituzione ben congegnata «non bisogna tuttavia farsi illusione sull'efficacia di questi mezzi»49. Del resto, come

abbiamo più volte ripetuto, è proprio da questa disillusione rispetto all'efficacia dei mezzi costituzionali che nascono i Principi di politica. Da una parte Constant è convinto, come Madame de Staël, che una buona costituzione sia un vero e proprio bisogno pubblico, dall'altra, però, comprende che i mezzi della libertà funzionano solo se i principi della libertà sono divenuti senso comune. Infatti prima delle norme legali c'è uno spirito pubblico che si nutre di principi politici.

Nel libro IV, nella parte dedicata alle pericolose conseguenze della proliferazione delle leggi, Constant afferma che la peggiore si dà per il fatto che «la regola del giusto e dell'ingiusto non è più nella coscienza dell'uomo, ma nella volontà del legislatore; e la moralità, il sentimento interiore, subiscono un degrado incalcolabile a causa di questa dipendenza da qualcosa di estraneo, superfluo, falso, variabile, suscettibile di errore e di perversione»50». L'errore più grande è dimenticare che coloro che fanno le

leggi sono uomini come gli altri. Si sente dire, afferma Constant nel libro III, che «bisogna dirigere l'opinione dell'uomo», che «non bisogna lasciare gli uomini alle loro divagazioni di spirito» e che «bisogna influire sul pensiero»: ma chi è il soggetto di queste proposizioni? L'uso di verbi impersonali inganna e fa dimenticare che i soggetti non sono che altri uomini che, dunque, avrebbero altrettanto bisogno di quelle dritte. Per lo stesso motivo Constant si schiera nel libro II contro ogni sistema di giustizia che

49 B. Constant, Principi di politica, op. cit, p.514 (XVII.3). 50 Ivi, p.84 (IV.2).

funzioni ad opera del timore: tale sistema finisce per annientare qualsiasi motivazione morale, che deve partire invece dalla presenza di un personale sentimento di un dovere. L’autonomia non solo è la migliore condizione per la moralità, ma anche per la verità e più in generale: «la condizione più favorevole per la virtù è l'indipendenza»51.

Per quanto riguarda la verità, essendo la sua caratteristica naturale l'evidenza, può essere raggiunta solo con il ragionamento e l'esame personale.

Si può sostenere – dice Constant – che l'adozione volontaria di un errore – in quanto tale errore ci sembrava la verità – è un'operazione più favorevole al perfezionamento del nostro spirito rispetto all'adozione di una verità sulla base della parola di un'autorità qualsiasi. Nel primo caso, infatti, noi abbiamo ragionato. E se il nostro esame, in quella particolare circostanza, non ci ha condotti a un buon risultato, siamo comunque sulla strada giusta […] arriveremo prima o poi alla verità. Nel secondo caso, invece, noi siamo soltanto il giocattolo dell'autorità, di fronte alla quale abbiamo fatto inchinare il nostro giudizio. […] La rinuncia alla nostra intelligenza ci avrà reso dei miseri esseri passivi52.

È di nuovo in nome del coinvolgimento personale che Constant apprezza la religione, che è, prima di tutto, un'emozione, qualcosa di personale e interiore, qualcosa su cui si riflette e di cui ci si occupa ‒ al contrario di Rousseau e la sua idea di una religione civile che sia nelle mani del sovrano. «In tutte le cose morali – afferma Constant – l'esame è la fonte della vita; la libertà è la condizione prima e indispensabile di ogni esame»53, così come, aggiungerei, la possibilità di esame è condizione necessaria della

libertà. Constant insiste, poi, più volte sul ruolo fondamentale dell'opinione pubblica e sulla necessità che siano installate all'interno di essa dei doveri che siano percepiti da 51

Ivi, p.405 (XIV.5). 52 Ivi, p.397 (XIV.3). 53 Ivi, p.175 (VIII.3).

ogni singolo cittadino come tali. «L'opinione pubblica è la vita degli Stati»54; essa si

esprime per mezzo dei diritti politici e della libertà di stampa e là dove non si rinnova lo Stato deperisce e va in rovina. È l'opinione pubblica che può salvare la nazione dall'errore, e che può conservare l'energia adatta per risollevarla appena possibile durante una crisi. Infatti:

Tutte le facoltà dell'uomo sono intimamente legate […]. Se il governo ostacola la libera manifestazione del pensiero, la morale sarà meno sana, le conoscenze positive meno esatte, le scienze meno attive nei loro sviluppi, l'arte militare meno avanzata, l'industria meno arricchita nelle scoperte55.

L’idea di Constant, infatti, è che il corso della storia segua una direzione essenzialmente progressiva che condurrà alla riconquista di tutti i diritti naturali dell'uomo. Sotto questa luce la Rivoluzione francese diventa non solo legittima, ma anche storicamente necessaria. Constant dimostra, dunque, una salda fiducia nella libertà dell'uomo, al quale attribuisce una «altissima capacità creativa» e «una spiccata tendenza [...] a trascendersi e a realizzarsi in quanto progetto»56. Egli ritiene che le

libere volontà dei singoli individui giochino un ruolo centrale per la costituzione dei fondamenti del potere politico e che le istituzioni stesse non siano altro che l'effetto delle idee. Non si tratta più di un potere legittimato dalla divinità, come per Maistre e Bonald, che non ha niente a che vedere con la ragione e con i singoli individui, perché anzi, per Constant, proprio da essi trae forza. Società e Stato devono essere nettamente distinti: da una parte la società, composta da liberi individui, precede lo Stato che, 54

Ivi, p.147 (VII.4). 55 Ivi, p.158 (VII.5).

dall'altra, deve la sua esistenza e le sue finalità alla volontà di questi, che intendono proteggere i loro diritti naturali dall'arbitrio altrui. Se, dunque, si dà un nesso così inscindibile fra il potere e le idee, certo risulta fondamentale il ruolo degli scrittori a cui Constant rivolge la sua critica e di cui ci occuperemo ancora in seguito. Essi sarebbero responsabili di aver avvalorato un'interpretazione errata dei principi rivoluzionari, non distinguendo adeguatamente fra essi e i delitti, continuando ad agitare le passioni invece di illuminare l'opinione pubblica. L'accusa che Constant rivolge esplicitamente agli intellettuali del tempo è di aver favorito il diffondersi della reazione e la rinascita dei pregiudizi e degli abusi57. Constant, infatti, ritiene che le

rivoluzioni siano il sintomo e la cura di uno squilibrio fra idee e istituzioni. Ma se la rivoluzione oltrepassa il punto di equilibrio, se non termina quando è necessario, si produce una reazione che riporta la situazione al punto di partenza, ricreando le condizioni che avevano fatto nascere la rivoluzione. Le reazioni «restituiscono all'uomo le sue catene insanguinate»58. Gli intellettuali dovrebbero favorire la rinascita

dell'ordine, perché il pericolo che prospettava il sostegno dato alla reazione era quello dell'anarchia che, per Constant, non è altro che l'altra faccia della medaglia del dispotismo: due modalità di espressione dell'arbitrio altrettanto liberticide.

Sempre nell'ordine dell'esaltazione della partecipazione, dell'importanza del ruolo politico dei singoli individui Constant sostiene, nel capitolo dedicato alla critica dell'idea di uniformità, su cui torneremo, che il governo di un paese dovrebbe improntare gran parte della sua natura al federalismo, lasciando ad ognuno le giuste competenze:

57 Cfr. B. Constant, Principi di politica, op. cit., XVIII.6 'Doveri degli uomini illuminati'. 58 B. Constant, Des réactions politiques, op. cit., p.22.

La direzione degli affari di tutti – afferma Constant – appartiene a tutti, cioè al governo che tutti hanno istituito; ciò che interessa soltanto una parte della popolazione dev'essere deciso da quella parte; e ciò che riguarda soltanto l'individuo deve essere sottoposto esclusivamente all'individuo. Non si ripeterà mai abbastanza che la volontà generale, quando esce dalla sfera di sua competenza, non presenta alcuna superiorità rispetto alla volontà particolare59.

Per lo stesso motivo ritiene che le assemblee rappresentative debbano essere composte dal basso, con elezione diretta da parte del popolo; in questo modo si avrà il vantaggio di dare vita a un governo realmente rappresentativo degli interessi individuali e sezionali, gli unici che è importante proteggere – contro un'idea esagerata di legislazione generale – perché sono gli individui e le sezioni a comporre il corpo politico. D'altra parte sono proprio le elezioni a far percepire al cittadino il peso del proprio contributo e a incentivarne in questo modo la partecipazione.

Senza l'elezione popolare, i cittadini di un paese non hanno mai il sentimento della loro importanza, grazie al quale la gloria e la libertà della nazione appare loro come la parte più preziosa del patrimonio personale60.

La condizione “sine qua non” per il buon funzionamento dello Stato e per la vita di una società, è che i cittadini siano partecipi e interessati alla cosa pubblica, per la gestione della quale facciano valere le loro idee e i punti di vista personali. Infatti l'interesse pubblico, che viene da molti invocato contro le particolarità, «non è altro che l'insieme degli interessi individuali posti nella condizione di non nuocersi reciprocamente»61.

59

B. Constant, Principi di politica, op. cit., p.428 (XV.3). 60 Ivi, p.440 (XV.5).