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Uno ‘spazio alto’ della cultura media

1800-1820 1821-1830 1831-1840 1841-1850 1851-1860 Regno di Sardegna 1 1 2

3. Il campione analizzato

Com’è ovvio, non tutte le riviste politico-letterarie rivestivano la stessa importanza in relazione ai meccanismi dei rispettivo sistemi culturali nazionali. In questa ricerca studierò la partecipazione femminile ad un numero necessariamente limitato di riviste, di cui vale forse la pena richiamare le caratteristiche principali. I criteri in base ai quali ho selezionato il mio campione sono essenzialmente tre: la percezione di prestigio intellettuale presso i contemporanei, il diverso orientamento ideologico delle testate e la loro durata nel tempo. Solo in questo modo era possibile tratteggiare una visione realistica e non evenemenziale della partecipazione femminile a questi periodici, riconoscerne l’andamento generale, i momenti di presenza o assenza delle donne e i fattori che avevano favorito la loro presenza o l’avevano inibita nella media-lunga durata.

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Fra tutte, nell’immaginario collettivo dell’epoca, la “Revue des deux Mondes” occupava una posizione indiscutibilmente predominante rispetto alle altre concorrenti: non solo a livello nazionale, ma anche internazionale.39 Le testimonianze abbondano in questo senso e non vi è probabilmente bisogno di ulteriori dimostrazioni: la rivista era infatti letta, discussa, presa come punto di riferimento culturale e argomento di dibattito sociale e politico da parte delle élites di mezza Europa. Basti pensare fino a che punto i giornali, le memorie,40 i carteggi, le pièces teatrali dell’epoca fossero disseminate di riferimenti alla rivista, ai personaggi del suo éntourage, ai problemi e alle tematiche sollevati da questo o quell’articolo.41 A lungo la “Revue des deux Mondes” rappresentò un importante canale di comunicazione dell’intellettualità europea: certamente favorita sotto questo punto di vista anche dall’universalità della lingua francese presso gli strati agiati e colti della popolazione del continente.

Nei salotti aristocratici e alto borghesi italiani ad esempio, nei gabinetti di lettura, nelle librerie e negli altri luoghi della sociabilità culturale della penisola – così come ovviamente in quelli francesi - la rivista svolgeva una funzione di mediazione e riconoscimento molto simile a quella che Habermas ha descritto per la Pamela di Richardson nell’Inghilterra di inizio secolo: tutti cioè la conoscevano, la leggevano e ne discutevano.42 Oltre a fornire all’occorrenza un valido e sicuro argomento di conversazione, la rivista rappresentava uno dei minimi comuni denominatori di una cultura condivisa e in un certo senso sovranazionale.

39 La “Revue des deux Mondes” fu fondata a Parigi nel 1829 e diretta da François Buloz fino al 1877. Dopo la sua morte, passò sotto la direzione del figlio Charles fino al 1893 e successivamente sotto quella di Ferdinand Brunetière, già collaboratore affermato e curatore della critica letteraria della rivista a partire dagli anni ’80. Per una storia completa e puntuale della rivista si rimanda al bel lavoro di Thomas Loué, La

Revue des deux Mondes de Buloz à Brunetière, cit. (per il periodo ottocentesco) e alla tesi di Anne Karakatsoulis, La Revue des deux Mondes de 1920 à 1940: une revue française devant l’étranger, Tesi di dottorato in storia, EHESS, 1995 (per il periodo successivo). Cfr. inoltre: Catherine Barry, La Revue des

deux Mondes in transition. From the Death of Naturalism to the Early Debate on Literary Cosmopolitism, in “Modern Language Review”, vol. 63 n. 3, luglio 1973, pp. 545-550. Molte informazioni relative ai collaboratori della testata e ai meccanismi interni alla redazione si possono trovare nella pubblicazione uscita in occasione del centesimo anniversario della rivista, Le livre du centenarie, cit.

40 Oltre alle memorie di Mathilde Shaw, di cui ho parlato nell’introduzione di questa tesi, si può ricordare con un intero capitolo (il CCXXXI) delle Mémoires di Alexandre Dumas père è dedicato alla “Revue des deux Mondes” e al suo direttore François Buloz, che l’autore descrisse come “une puissance dans l’État sous le régime de Louis-Philippe” e “aujourd’hui encore une puissance dans la littérature”. Cfr. Alexandre Dumas, Mes mémoires, Paris 1852-1854, 20 volls.

41 Suggerimento di Charles, che sta lavorando a un progetto sul teatro francese ottocentesco di prossima pubblicazione.

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Questa straordinaria e capillare diffusione a livello internazionale permise alla rivista di raggiungere tirature eccezionali non solo rispetto a quelle delle principali riviste politico- letterarie italiane, ma anche a confronto delle sue dirette concorrenti francesi. Negli anni ’70 la “Revue des deux Mondes” poteva contare all’incirca su 18.000 abbonati, raggiunse picchi di 23-25.000 abbonamenti negli anni ’80, per poi perderne in seguito e riassestarsi sui 14-15.000 dei primi anni del Novecento: cifre comunque ragguardevoli se si considera che negli stessi anni un giornale di decisamente più facile lettura ma pari prezzo come l’”Illustration” si aggirava attorno alle 20.000 copie.43

Se sotto il Secondo Impero e la direzione di François Buloz era stata una rivista liberale e moderatamente di sinistra, nel periodo da me considerato la “Revue” si era assestata su posizioni decisamente più conservatrici e filo-cattoliche, sostenute dal direttore Ferdinand Brunetière attraverso una serie di articoli ormai celebri.44 In occasione dello scandalo Dreyfus, la rivista si schierò apertamente a favore del partito anti-dreyfusardo, 45 pur senza scadere nell’antisemitismo più smaccato. La “Revue des deux Mondes” è anche l’unica delle riviste francesi considerate a ricoprire l’intero periodo interessato da questa ricerca: fondata nel 1829, è tutt’ora attiva. Al fine di dare senso e coerenza alla periodizzazione dell’analisi, ho però preferito considerare in maniera sistematica solo l’arco di tempo fra il 1877 e il 1907, cioè il periodo che coincise con la morte del fondatore della rivista François Buloz, la successiva direzione del figlio Charles (1877- 1893) e poi quella di Ferdinand Brunetière (1893-1907).

La diffusione delle altre due riviste considerate per il contesto francese - la “Revue de Paris” e la “Nouvelle Revue” - fu senza dubbio più limitata. La prima infatti raggiunse il tetto delle 7.000 copie solo negli anni ’10 del Novecento, mentre la seconda non superò mai la soglia dei 5.000 abbonati. Anche queste tuttavia assunsero nel periodo considerato

43 Sul settimanale illustrato “Illustration” cfr. Jean-Noel Marchandiau, L’Illustration 1843-1944. Vie et mort

d’un journal, Privat, Toulouse 1987.

44 Il primo di questi, nel quale Brunetière denunciava la crisi del positivismo e proponeva il ritorno ai valori del cattolicesimo sociale e dello spiritualismo ebbe una fortissima eco anche al di fuori dei confini nazionali. Ferdinand Brunetière, Après une visite au Vatican, in “Revue des deux Mondes”, 1 gennaio 1895, p. 95 e ss. Per un’analisi delle conseguenze che l’articolo comportò sulle posizioni degli intellettuali italiani, cfr. Luisa Mangoni, Una crisi di fine secolo, cit., pp. 5 e ss.

45 Per un’analisi degli orientamenti ideologici della “Revue des deux Mondes” cfr. Jean-Marie Gobert,

L’itinéraire intellectuel et politique de la Revue des deux Mondes 1848-1893, Tesi di dottorato in storia, IEP di Parigi, 1985 e Gabriel de Broglie, Histoire politique de la Revue des deux Mondes de 1829 à 1979, Seuil, Paris 1979. Sulle posizioni del direttore della rivista durante il periodo considerato da questa ricerca cfr. Antoine Compagnon, Connaissez-vous Brunetière? Enquête sur un antidreyfusars et ses amis, Seuil, Paris 1997.

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una rilevanza notevole nel giornalismo e nella cultura francese, se non altro in quanto concorrenti dirette della rivista di Ferdinand Brunetière. In un contesto élitario come quello a cui queste testate facevano riferimento, la tiratura non era infatti di per sé un fattore pienamente indicativo del loro successo e del loro prestigio. Una vasta diffusione, benché fondamentale dal punto di vista finanziario e pubblicitario, poteva altresì essere sintomo di eccessiva popolarità e quindi di dequalificazione rispetto agli standard imposti dalla cultura ‘alta’.

La “Revue de Paris”46 godeva di una lunga tradizione alle spalle : fondata nel 1829, aveva interrotto le pubblicazioni nel 1858 per poi rinascere, dopo una serie di tentativi falliti, nel 1894 sotto la direzione di James Darmesteter e Louis Ganderaux e grazie all’appoggio finanziario della casa editrice Calmann-Lévy. Fin dal primo momento, la rivista si impose come una minacciosa rivale per la “Revue des deux Mondes”. Il suo lancio era stato studiato nei minimi dettagli: Paul Calmann-Lévy aveva infatti mobilitato tutto il suo circuito di librerie e prima ancora dell’uscita del primo numero la rivista poteva già contare su 500 abbonati.47 La pericolosità di questa nuova concorrente per la rivista di Ferdinand Brunetière non si concretizzò poi solo sul piano del pubblico, ma anche su quello degli autori: tant’è vero che fin dai primi numeri riuscì ad assicurarsi la collaborazione di autori di altissimo livello, alcuni di questi provenienti proprio dalla rivista di Brunetière. Dal punto di vista politico, la “Revue de Paris” si collocava più a sinistra della “Revue des deux Mondes”, sebbene anche in questo caso si trasse di posizioni sostanzialmente moderate. La rivista sostenne il partito dreyfusardo e pubblicò regolarmente scritti di autori russi e naturalisti.

La “Nouvelle Revue” fu invece fondata in tutt’altro clima intellettuale. La direttrice Juliette Adam – una donna dunque - era un personaggio molto in vista nei circuiti del “tout Paris” repubblicano: non solo per essere stata sentimentalmente molto vicino a Gambetta proprio nel momento in cui questo si trovava in una posizione chiave per l’affermazione della III Repubblica, ma anche grazie ai numerosi scritti politici e letterari da lei pubblicati fin da giovanissima. Juliette Adam era in effetti una delle autrici

46 La “Revue de Paris” è stata considerata dal 1894, anno della sua rinascita sotto l’egida di Calmann-Lévy, fino al 1913. Lungo questo periodo non si assistette a sostanziali mutamenti di indirizzo redazionale e non a caso questa periodizzazione coincide con quella adottata dai redattori degli indici della rivista. La Revue de

Paris. Tables 1894-1903, Paris 1904 e Tables 1904-1913, Paris 1913.

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emancipazioniste e democratiche più in vista sulla scena letteraria francese,48 nonché una stimata salonnière. Non esitò a sfruttare la propria notorietà e la propria rete di conoscenze per raccogliere attorno a sé una serie di scrittori di fama e di successo. Nell’impresa fu anche sostenuta e aiutata dall’amico Émile de Girardin, che insieme a lei lavorò attivamente alla rivista almeno nei primi anni di pubblicazione. Fin dai suoi esordi, la “Nouvelle Revue” si confermò come una temibile concorrente per le riviste politico- letterarie francesi più prestigiose. Il 4 ottobre 1879, a soli tre giorni dal lancio della rivista, Juliette Adam poteva scrivere al suo amico Angelo De Gubernatis annunciandogli di avere già venduto 3000 copie del primo fascicolo: “ce qui est inimaginable quand on connait la France des revues. Je suis morte de fatigue, mais bien joyeuse”.49

Dal punto di vista politico, la rivista seguì l’evoluzione ideologica della sua fondatrice. Concepita per diventare la “Revue des deux Mondes de la République”, la rivista dedicò un’attenzione particolare alla politica estera, cercando di preparare le basi di un’imminente revanche francese contro la Germania. Si schierò apertamente a favore del partito di Gladstone in Inghilterra e cercò di isolare Bismark sul piano politico anche attraverso un’intensa opera di riavvicinamento fra la Francia e la Russia, portata avanti dalla rivista tanto sul piano ideologico quanto su quello più prettamente culturale e letterario. Queste istanze sfociarono ben presto su posizioni francamente nazionaliste, che fecero perdere abbonati alla rivista e costrinsero Juliette Adam a dimettersi dall’incarico

48 Juliette Adam pubblicò il suo primo scritto nel 1858, col titolo di La guerre ou la paix (Les idées

antiproudhoniennes sur l’amour, la femme et le mariage. L’opera, giudicata da alcuni coraggiosa e da altri scandalosamente provocatoria, raccolse il plauso di Marie d’Agoult, che volle conoscere Juliette Adam, la sostenne e la inserì nel circuito delle sue conoscenze. La scrittrice, di una generazione più giovane rispetto a lei, iniziò a frequentare assiduamente il salotto di Mme d’Agoult, dove divenne amica di Emile de Girardin e George Sand, che si sarebbero impegnati a fondo per lanciare la sua carriera di scrittrice. La incoraggiò a pubblicare il romanzo che l’avrebbe resa famosa, Mon village nel 1860, e le fece conoscere una serie di personalità che avrebbero poi contato molto nella sua affermazione intellettuale: Flaubert, Maupassant, Hugo, Dumas figlio, Thiers, Pauline Viardot e suo marito Ivan Tourguénieff, dal quale fu in seguito introdotta nella rete degli esiliati russi a Parigi. Su Juliette Adam cfr. la biografia di Anne Hogenhuis-Seliverstoff, Juliette Adam 1836-1936. L’instigatrice, L’Harmattan, Paris 2001, Saad Morcos,

Madame Juliette Adam, Tesi di dottorato dell’Università di Parigi, 1962; Brigitte Adde, François Beautier e altri (a cura di), Et, c’est moi, Juliette! Madame Adam, 1836-1936, Gyf-sur-Yvette, 1988. Si veda inoltre Marie-Thérèse Guichard, Les égéries de la République, Payot, Paris 1991, pp. 23-49. Molte informazioni sulla vita di Juliette Adam e sulle vicende legate alla « Nouvelle Revue” possono inoltre essere ricavate dall’autobiografia dell’autrice, Mes souvenirs, Lemerre, Paris 1905-1919, in particolare il volume Nos

amitiés politiques avant l’abandon de la revanche, 1908. Una raccolta di articoli e ritagli di giornale riguardanti Juliette Adam è inoltre disponibile presso la Bibliothèque Nationale de France, sotto la dicitura

Dossiers biographiques. Documentation sur Juliette Adam 1879-1939. Non esiste invece nessuno studio dedicato in maniera specifica della “Novelle Revue”.

49 BNCF, Fondo De Gubernatis (DE GUB) cass. 1, n. 22, Lettera di Juliette Adam a Angelo De Gubernatis, Parigi, 4 ottobre 1879.

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di direttrice, poi trasmesso all’amico e collaboratore Elie de Cyon.50 La rivista riuscì a risollevarsi da questa crisi ma fu costretta ad abbandonare poco a poco la propria struttura propria di rivista politico-culturale, iniziando a pubblicare articoli sempre più brevi, spesso accompagnati da illustrazioni e fotografie.51 Per questa ragione ho preferito considerare in maniera sistematica solo i primi vent’anni di pubblicazione della rivista, cioè l’arco di tempo che intercorse fra il 1879 e il 1900.

A proposito della prima rivista considerata per il contesto italiano - la “Nuova Antologia”52 - si è spesso detto che non rispecchiava un progetto politico ben preciso: questo a causa dell’enorme numero di collaboratori che vi scrissero e della molteplicità di orientamenti rappresentati. La pluralità di voci che nel corso degli anni intervennero sulle pagine di questa testata è in effetti un dato innegabile, peraltro perfettamente in linea con quanto avveniva nelle riviste straniere adottate a modello dai suoi redattori e organizzatori.53 Al di là di questo apparente pluralismo ideologico però, la rivista proponeva una visione politica molto coerente, che come ha dimostrato Ricciarda Ricorda nella sua bella analisi sul primo periodo di pubblicazione della “Nuova Antologia”, consisteva in un sostanziale appoggio alle politiche moderate delle nuove classi dirigenti del paese.54 Questa impostazione fu in parte ripensata dopo la crisi di fine secolo sotto la direzione di Maggiorino Ferraris, già ministro durante il terzo governo Crispi e suo fedele sostenitore. Con l’ingresso nella redazione del giovane progressista e socialista riformista

50 Su queste vicende cfr. Anne Hogenhuis-Seliverstoff, Juliette Adam, cit., pp. 113-128 e 191-198.

51 Nel 1900 la rivista avviò una seconda serie e cambiò la copertina: da quella austera e monocromatica degli esordi, all’allettante rappresentazione di una figura femminile in stile art nouveau: fatto non irrilevante per una ricerca che si occupa di donne e giornalismo.

52 La rivista fu fondata a Firenze nel 1866 ed è tuttora esistente. Dal 1878 la sede fu spostata a Roma capitale e la pubblicazione, prima mensile, divenne quindic.. Fino al 1888 fu diretta dal suo fondatore Francesco Protonotari; dopo un breve periodo durante il quale fu affidata a Domenico Gnoli, la rivista passò sotto la direzione di Giuseppe Protonotari e poi sotto quella di Maggiorino Ferraris dal 1897 al 1926. Per una storia della “Nuova Antologia” si vedano Ricciarda Ricorda, La « Nuova Antologia ». Letteratura e

ideologia tra Ottocento e Novecento, Liviana, Padova 1980 e Giovanni Spadolini, Fra Viesseux e Ricasoli,

dalla vecchia alla Nuova Antologia, Le Monnier, Firenze 1982.

53 Per il periodo preso in esame sono disponibili gli indici della rivista, a cura di L. Barbieri, Indici per

autori e per materie della Nuova Antologia dal 1866 al 1930, Roma 1934. E’ possibile consultarli anche in linea sul sito www.nuovaantologia.it.

54 Ricciarda Ricorda distingue due fasi nella storia della rivista: la prima delle quali coinciderebbe con le direzioni dei fratelli Protonotari e la seconda con quella del Ferraris. Quest’ultimo si fece promotore, coadiuvato da Cena per la parte letteraria, di un’intensa opera di svecchiamento della rivista: nuovi giovani autori iniziarono a collaborarvi, si cercò di ridurre la lunghezza media degli articoli e si introdusse qualche illustrazione. L’impostazione generale non si discostò però di molto dal tradizionale moderatismo di fondo. Sulla “Nuova Antologia”. Sulla direzione di Maggiorino Ferraris si veda anche il saggio di Sabino Cassese,

Giolittismo e burocrazia nella “cultura delle riviste”, in Corrado Vivanti (a cura di), Storia d’Italia.

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Giovanni Cena iniziò un’intensa opera di “svecchiamento” della rivista: portata avanti sia attraverso una più mirata attenzione alle problematiche sociali del paese, sia attraverso il reclutamento di nuovi giovani autori, sia con una sorta di restyling della rivista (ad esempio gli articoli si fecero più brevi, fu pubblicata qualche illustrazione). Ma nell’insieme l’impostazione tutto sommato moderata, in qualche modo “tradizionalista”, della rivista non mutò di molto durante l’intero arco di tempo considerato da questa ricerca.

Il progetto politico della seconda rivista italiana considerata da questa ricerca – la “Rassegna nazionale”55 – fu invece espresso in termini del tutto chiari fin dal primo fascicolo, dove si annunciava che:

Ci diciamo nazionali in specie, perché vogliamo essere italiani di cuore e quindi trattare ciò che altamente riguarda gli interessi della Nazione. Intendiamo pure di essere conservatori […] ma conservatori amici del progresso e dei perfezionamenti. Cattolici e italiani, pur rispettando sempre le convinzioni e le credenze altrui, noi coopereremo, per la nostra parte, a conservare le istituzioni religiose, morali, sociali, civile e politiche d’Italia. […] La Rassegna Nazionale si occuperà pure di scienze, lettere, di arti, in quantoché amiamo che i nostri lettori si tengano al corrente del movimento degli studi contemporanei: […] ma combatteremo le teorie materialistiche e razionaliste. Due cose ancora vogliamo notare, 1° che non vogliamo discutere dogmi o discipline ecclesiastiche; 2° che mentre siamo conservatori e quindi desiderosissimi di serbare l’autorità dello stato, abbiamo in animo di non concedergli più di quello che le sue competenze naturali richiedono.56

Fondata a Firenze nel 1879, non a caso pochi mesi dopo il trasferimento a Roma della sua più diretta concorrente, la “Rassegna Nazionale”, la rivista riuscì a diventare ben presto il principale punto di riferimento politico e culturale dei cattolici liberali italiani,57 proprio

55 La “Rassegna nazionale” fu fondata e diretta fino al 1915 dal marchese Manfredo da Passano, che ne fu anche proprietario. Mensile, divenne quindicinale dal 1884. Per la storia della rivista rinvio a Glauco Licata,

La “Rassegna Nazionale”. Conservatori e cattolici liberali italiani attraverso la loro rivista 1879-1915, Edizioni di storia e letteratura, Roma 1968 e Centoventi anni di giornali dei cattolici italiani, Pan, Milano 1981.

56 Ai lettori, in « Rassegna nazionale » n. 1, 1879. La nota, non firmata, fu probabilmente compilata da Augusto Conti. Cfr. Glauco Licata, La Rassegna nazionale, cit. p. 18.

57 I rapporti fra la “Rassegna Nazionale” e il movimento cattolico liberale italiano sono stati studiati da Ornella Confessore. Si veda per tutti Conservatorismo politico e riformismo religioso. La Rassegna

Nazionale dal 1898 al 1908, Il Mulino, Bologna 1971 e I cattolici e la fede nella libertà. Annali cattolici,

Rivista Universale; Rassegna Nazionale, Studium, Roma 1989. Segnalo inoltre il recente Umberto Gentiloni Silveri (a cura di), Cattolici e liberali. Manfredo da Passano e la Rassegna Nazionale, Rubbettino, Catanzaro 2004.

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in un momento storico in cui, com’è noto, la Chiesa precludeva loro la possibilità di partecipare alla vita politica della nazione. Sul piano religioso la “Rassegna Nazionale” si poneva quindi su posizioni antitetiche rispetto alla rivista dei gesuiti “Civiltà cattolica”,58 che non riconosceva né lo Statuto albertino né lo stato liberale ma ostentava obbedienza alle linee guida dettate da Leone XIII e successivamente Pio X.

Ho infine scelto di prendere in esame due riviste che, pur rappresentando esperienze giornalistiche ed editoriali fra loro indipendenti, mi è però sembrato possibile raggruppare attorno alla figura forte del loro direttore. Si tratta della “Rivista Europea” e della “Revue Internationale”, che ho studiato come espressioni e momenti differenti di un unico