• Non ci sono risultati.

Ho parlato finora della produzione ‘visibile’ delle critiche letterarie attive nelle riviste: cioè di quegli articoli che ho potuto recensire a partire dagli indici dei sette periodici considerati nel corso di questa ricerca. La lettura dei carteggi di alcune scrittrici mi ha però posto di fronte all’esistenza di una vasta realtà di lavoro sommerso femminile – ma probabilmente anche maschile - in questo settore del giornalismo politico-letterario. E’ impossibile fornire una stima precisa al riguardo, poiché si tratta di centinaia e centinaia di scritti anonimi difficilmente attribuibili a questo o quell’autore. Di tale realtà è tuttavia necessario tenere parlando delle donne, poiché il lavoro anonimo e sommerso sembra essere stato il punto di partenza della carriera di molte scrittrici attive in questo settore. All’interno delle riviste politiche-letterarie la critica letteraria era proposta su due livelli ben distinti e distinguibili: su un primo livello si situavano i saggi critici veri e propri, quelli cioè firmati dall’autore, inseriti nel corpo centrale del fascicolo e lunghi normalmente almeno una ventina di pagine. Ad un livello inferiore si collocavano le recensioni, le notizie, i bollettini bibliografici e le altre rubriche di questo genere che, come si è già accennato, si trovavano di solito in coda al fascicolo. Anche questi, o forse soprattutto questi, contribuivano a orientare l’opinione dei lettori su tutto quanto riguardava il panorama dell’offerta giornalistica e editoriale, nazionale e straniera.

Si pensi in questo senso al potere di influenza di una rubrica come quella curata da Sabina Parravicino di Ravel nella “Rassegna Nazionale”, Libri e riviste estere, che ogni mese dava notizia dei problemi dibattuti dalle principali riviste estere: era attraverso lo sguardo personale dell’autrice, attraverso i suoi criteri di selezione e interpretazione, che i lettori della rivista traevano informazione su quanto avveniva al di fuori della penisola.

Queste rubriche fisse erano tuttavia spesso pubblicate anonimamente, oppure con uno pseudonimo redazionale dietro al quale si nascondevano vari redattori, non sempre gli stessi. Ad esempio, quello più utilizzato nella “Nuova Antologia” di Maggiorino Ferraris era Nemi.

194

Il lavoro che devono fare i redattori, e che faccio io stesso, è un lavoro puramente giornalistico, d’un giornalismo superiore si intende. Si tratta di leggere e riassumere libri e articoli che compaiono in tutto il mondo, un lavoro gravoso assai e che non dà nessuna soddisfazione esteriore, perché non appare pubblicamente. […] E’ un lavoro oscuro ed esauriente che m’impedisce di lavorare liberamente per me, sì che i miei lavori sono sempre in ritardo.151

Così Giovanni Cena spiegava in che cosa consistesse il lavoro di un redattore letterario a un giovane aspirante scrittore interessato ad entrare nella redazione della “Nuova Antologia”. Cena forniva una descrizione abbastanza realistica della gavetta fatta da molti critici letterari - uomini e donne, non solo italiani - prima che fosse loro riconosciuta l’autorità necessaria per pubblicare i propri articoli nel corpo centrale delle riviste, firmati e stampati in caratteri grandi.

Arvède Barine aveva iniziato proprio così la sua carriera di scrittrice. Negli anni ’70 era stata una delle più fedeli collaboratrici di Emile Alglave, il direttore della “Revue politique et littéraire” (detta “Revue bleue”) e della “Revue Scientiphique”. Principalmente il suo lavoro consisteva nel fornire traduzioni dal tedesco, l’inglese e l’italiano corredate da brevi riassunti destinati a orientare i lettori. Ad esempio, nel 1876, insieme alla traduzione di Sociology di Herbert Spencer le fu commissionata “une analyse très fidèle et sincère, c.à.d. sans aucun mélange d’approbation ou de critique, une simple réduction de 800 pages à 30 colonnes environ. L’article aurait en quelque sorte le but de dispenser de lire le livre ».152

Nel frattempo Arvède Barine aveva iniziato a collaborare anche con la « Bibliothèque universelle et Revue Suisse » di Losanna, una rivista politico-letteraria che sotto la direzione di Edouard Tallichet aveva raggiunto una diffusione davvero europea e per questo ambiva a concorrere con la francese “Revue des deux Mondes” sul piano internazionale.153 Qui scriveva insieme al marito – ma sempre anonimamente o firmando solo col nome di lui - le Chroniques parisiennes, brevi articoletti dedicati a tutto quello

151 Lettera di Giovanni Cena a Enrico Sacerdote, da Roma il 18 settembre 1904, cit. in Giovanni Cena,

Lettere scelte, L’Impronta, Torino 1929.

152 BNF, N.a.Fr. 18339, f. 33, Lettera di Emile Alglave a Cécile Vincens (Arvède Barine), Parigi, 23 dicembre 1876.

153 Sulla « Bibliothèque Universelle et Revue Suisse », nata nel 1866 dalla fusione della « Bibliothèque Universelle » di Ginevra (1836) e la « Revue Suisse » di Losanna (1815) si veda il libro di Yves Bridel e Roger Francillon, La “Bibliothéque universelle” (1815-1924), Payot, Losanna 1998. Strutturata sul modello della “Revue des deux Mondes”, fu l’unica rivista svizzera ad attraversare tutto il secolo.

195

che succedeva nella vita culturale e mondana della capitale: la vita di salotto, i teatri, le novità editoriali e talvolta anche alcuni fatti di cronaca. Poco a poco la scrittrice sarebbe riuscita a conquistare uno spazio sempre maggiore nelle riviste con cui collaborava: alla fine degli anni ’70 avrebbe firmato le Chroniques con il suo pseudonimo e non più col nome del marito; sarebbe riuscita a pubblicare qualche articolo di critica letteraria nella “Revue Suisse”, e intanto a firmare le sue traduzioni per la “Revue Bleu” e la “Revue scientiphique”.

Da questo momento in poi la sua sfolgorante, velocissima e lineare ascesa di critica letteraria sarebbe decollata. Avrebbe collaborato, oltre alla “Revue Bleu” e la “Revue Suisse”, anche con il “Journal des Débats”, “Le Figaro”, le “Lectures pour tous” e naturalmente con le riviste considerate da questa ricerca.

Nel 1876 Emile Alglave si era permesso di negarle seccamente un aumento.154 Ma dieci anni più tardi, quando Barine era ormai una delle collaboratrici più stimate della “Revue des deux Mondes”, il successore di Alglave alla direzione della “Revue politique et littéraire” Henry Ferrari le avrebbe dovuto scrivere con tono sommesso:

Ce serait une occasion de vous revoir ici où vous êtes devenue bien rare. M. de Tilles m’en faisait la remarque, il y a quelque jours, et je lui répondais que je ne vous sollicitais pas plus souvent d’écrire ratione pecuniae et non ratione personae:155

La scrittrice era insomma diventata troppo cara per la rivista. Questi del resto erano i termini del contratto che era riuscita a strappare al quotidiano “Le Figaro”:

Vos articles seront placés en tête au journal.

Vous voudrez bien vous entendre avec la direction pour le choix du sujet Chaque article vous sera payé 250 francs

Vous nous en fourniriez au moins un par mois. 156

154 BNF, N.a.Fr. 18339, ff. 35-36, Lettera di Emile Alglave a Cécile Vincens, Parigi, 29 dicembre 1876: “Il est vrai qu’il y a un certain nombre d’articles payés 6 Fr. la colonne (laquelle a souvent 68 lignes) mais ce sont des articles de fond originaux, et une partie seulement de ceux de cette catégorie. La plupart sont encore payés 5 Fr. et même 4 Fr. et jamais dans aucune circonstance ce prix de 5 Fr. n’a été dépassé pour un article d’analyse ou sur documents. Il m’est donc absolument impossible de vous faire attribuer davantage. Voyez et décidez. »

155 BNF, N.a.Fr. 18342, ff. 30, Henry Ferrari a eadem, Parigi, 2 novembre 1892. 156 BNF, N.a.Fr. 18347, f. 52, Antonin Perivier a eadem, Parigi, 24 gennaio 1898.

196

A differenza di Arvède Barine tuttavia, molte scrittrici avrebbero continuato a svolgere il “lavoro oscuro ed esauriente” di cui parlava Cena anche dopo avere raggiunto una certa visibilità come critiche letterarie. Analogamente ad Emilia Ferretti, che come si è detto avrebbe gestito anonimamente Bollettino dei romanzi e delle novelle della “Nuova Antologia” mentre alcuni suoi articoli di critica letteraria apparivano regolarmente nella parte centrale della rivista, allo stesso modo Thérèse Blanc avrebbe fornito spesso alla “Revue des deux Mondes” - oltre ai saggi che apparivano con la propria firma - anche delle brevi « notices » anonime da inserire in coda ai fascicoli come brevi recensioni delle recenti novità editoriali.157

Non tutti gli scrittori e le scrittrici reclutati per lavorare come redattori anonimi riuscirono però a raggiungere la vetta della carriera: non a tutti, cioè, furono riconosciute l’autorità e la competenza necessarie perché fosse loro affidata la redazione di veri e propri saggi critici da inserire nel corpo centrale delle riviste. Il loro lavoro rimase perciò totalmente invisibile ai lettori e, purtroppo, anche agli storici. Non è facile ricostruire l’esperienza di queste scrittrici e questi scrittori che lavorarono nell’ombra.

C’è però una vicenda che mi sembra valga la pena di essere raccontata perché è in qualche modo esemplificativa del lavoro “oscuro ed esauriente” che molte redattrici e molti redattori svolsero anonimamente per le riviste. Si tratta dell’esperienza di Rina Faccio, ovvero Sibilla Aleramo, all’interno della “Nuova Antologia”.

Com’è noto, nei primi anni del Novecento la scrittrice ebbe una lunga e tormentata relazione amorosa con il caporedattore della rivista Giovanni Cena. Né la firma di Rina Faccio né quella di Sibilla Aleramo comparvero mai sulle pagine della “Nuova Antologia” durante il loro fidanzamento. Il solo articolo della scrittrice, firmato con lo pseudonimo, risale al giugno del 1938. Dalle lettere che i due si scambiarono durante la loro relazione si capisce però che l’autrice collaborava regolarmente con il compagno alla redazione degli articoli bibliografici della rivista e talvolta lo aiutava anche con le incombenze che riguardavano i rapporti con gli autori e la scelta dei racconti da pubblicare. Questa collaborazione era iniziata ancora prima che nascesse la loro storia

157 Cfr. ad esempio la lettera di Thérèse Blanc a Ferdinand Brunetière, s.l., s.d. [1900], BNCF, N.a.fr. 25032, ff. 193-196: “Cette Vie de Servant, un homme d’état américain, m’a été remise par l’auteur. […] Si vous ne voulez pas vous en servir, j’écrirai volontiers une notice pour la couverture ». Ma anche : « Je vous remercie d’avoir accordé tant de place dans le bulletin bibliographique à Choses d’Amérique et je vous demande la permission de dévouer q.q. lignes sur le livre de notre ami Higginson de Cambridge » (Eadem a idem, ivi, ff. 159-160).

197

d’amore. Nel 1902 ad esempio, un anno prima che i due si innamorassero, quando ancora si davano del ‘lei’, lui le aveva scritto:

Se le capita di legger qualche libro nuovo che meriti un piccolo cenno, me lo faccia e me lo mandi per il mio Bollettino, anonimo.158

Era Cena la persona alla quale era stato affidato nominalmente l’incarico di caporedattore e di conseguenza sua era la responsabilità di fronte al direttore della rivista Maggiorino Ferraris. Con lui si incontrava in redazione un’ora ogni giorno, dalle 11 alle 12, e insieme a lui avrebbe praparato “in cordiali discussioni quasi 400 fascicoli della rivista”.159 Ma buona parte del lavoro, soprattutto quello redazionale, poteva essere svolto a casa. Così, finché i due vissero insieme, cioè fino alla fine della loro relazione nel 1910, Giovanni Cena e Rina Faccio si divisero equamente la gestione della parte letteraria della “Nuova Antologia”, in particolare modo la scrittura degli articoli che componevano il bollettino bibliografico Fra libri e riviste.

Da quindici a venti pagina della N. Antologia – avrebbe confidato Rina Faccio all’amica Ersilia Majno nel 1903 – (cosa che ti prego di tener segreta) sono scritte da me ogni numero senza che mai il mio nome vi sia comparso. Cose umili, che non mi danno altra soddisfazione che di poter infiltrare qualche mia rara idea in una gran rivista borghese.160

Di questo estensivo lavoro di critica letteraria che i due svolgevano all’interno del proprio

ménage domestico, non sono rimaste molte tracce. Le poche che sono riuscita a trovare sono però molto eloquenti, perché lasciano immaginare fino a che punto i due potessero sostituirsi e si appoggiassero l’un l’altra in questo lavoro. Ad esempio:

Stasera dunque mangerò fuori. Verrò a casa verso le 10. Se puoi, fa’ qualche L. e R.161

Oppure, mentre lei era via da Roma:

158 Istituto Gramsci, Fondo Sibilla Aleramo (d’ora in poi: ALERAMO), Serie 2, Sottoserie 1 (corrispondenza divisa alfabeticamente), UA 66, Lettera di Giovanni Cena a Rina Faccio, 4 gennaio 1902. 159 Maggiorino Ferraris, Nel X anniversario della morte di Giovanni Cena, in “Nuova Antologia”, vol. 334, 1927.

160 Cit. in Emma Scaramuzza, La santa e la spudorata, cit., p. 112.

198

Ti ricordi tu d’un bozza d’una Magini che la Melegari m’avrebbe dato per la N.A., su la cultura d’erudizione delle donne? Dov’è?162

Gli articoli che i due scrivevano per Libri e riviste non uscivano con la firma di lui, ma anonimi o con la sigla redazionale di Nemi, alla quale facevano probabilmente riferimento anche altri collaboratori anonimi, poiché con questo nome furono firmati più di quattrocento articoli fra il 1900 - anno in cui Cena iniziò a collaborare con la “Nuova Antologia” prima di essere definitivamente assunto dalla rivista - e i primi anni ’20. E’impossibile stabilire con certezza chi fosse l’autore di ciascun articolo, ma non mi sembrano esserci dubbi sul fatto che Rina Faccio ne scrivesse parecchi. Le persone che le stavano vicino erano al corrente di questa sua attività e spesso le chiedevano recensioni o addirittura le inviavano notizie che pensavano potessero tornarle utili per scrivere la rubrica.

La sua amica Astrid Ahnfelt, una scrittrice svedese che visse a Roma per qualche anno e con la quale Rina Faccio mantenne un fitto rapporto epistolare anche in seguito, fu forse quella che sfruttò con maggiore continuità la posizione di Rina Faccio all’interno della “Nuova Antologia”. Le scriveva regolarmente per riferirle notizie da inserire nella sua rubrica: ad esempio nel 1903 le inviò una breve cronaca della cerimonia dei Nobel: “Cara Rina, vorrai avere un po’ di notizie per fare libri e riviste, riguardando la serata di ieri”.163 Qualche mese prima, a proposito di un articolo che avevano scritto insieme per una rivista svedese sulle principali autrici italiane contemporanee: “Ho sottoscritto con Nemi con ricordo dell’Antologia”.164 Ma in cambio pretendeva visibilità all’interno di quella rubrica e arrivà a lamentarsi con l’amica quando questo non accadde:

E mi pare che voi [Rina Faccio e Giovanni Cena] potevate bene fare una notizia del mio libro sulla N. Antologia. Non c’è mai stato prima pubblicato un libro in svedese e scritto da una svedesa che ha descritto così intimamente la vita d’Italia.165

Ma poi tornò a chiederle favori e riferirgli anticipazioni sull’assegnazione del Nobel:

162 ALERAMO, UA 67, Idem a Eadem, Roma, 22 luglio 1908.

163 ALERAMO, UA 4 Astrid Ahnfelt a eadem, Stoccolma, 11 dicembre 1903. 164 ALERAMO, UA 4, Eadem a eadem, Stoccolma, 16 settembre 1903. 165 ALERAMO UA 4, Eadem a eadem, Malmö, 3 agosto 1905.

199

Due righe per dirti che Carducci avrà il premio Nobel. Ora è cosa certa. Puoi credere che ne sono felice! […]

Dovresti fare un articoletto sulla N.A. riguardo la mia traduzione delle novelle di Antonio Bertramelli.166

4. Traduzioni

Se c’è un settore delle riviste rispetto al quale il problema dell’invisibilità del lavoro femminile (ma anche maschile) si propone in maniera particolarmente grave, quello è il settore delle traduzioni. Fra tutte le riviste da me considerate nel corso di questa ricerca, la “Rassegna Nazionale” era l’unica ad apporre il nome del traduttore accanto a quello dell’autore dei testi che pubblicava.

Almeno qui, l’apporto delle donne nel campo della traduzione fu particolarmente massiccio. Nel primo decennio di vita della rivista la collaboratrice più assidua della “Rassegna Nazionale” fu proprio una traduttrice, Sofia Fortini Santarelli.167 Questa scrittrice, di cui purtroppo si hanno scarsissime notizie biografiche, tradusse dall’inglese una decina di romanzi fra il 1882 e il 1889 (cioè circa uno all’anno), per un totale di 110 uscite in fascicolo. Nei decenni successivi furono invece attive Irma Rios168 e Emilia Franceschini,169 che iniziarono proprio nel campo della traduzione la loro collaborazione con la rivista, per poi affermarsi la prima come autrice di romanzi e la seconda come critica letteraria e opinionista politica. Nel complesso, le traduzioni delle tre collaboratrici rappresentarono l’11% di tutti gli interventi femminili nella rivista.

I dati relativi alla “Rassegna Nazionale” non possono però essere ritenuti rappresentativi per spiegare quanto avveniva nelle altre riviste, poiché il larghissimo uso di opere non originali tradotte fatto dalla rivista del Marchese da Passano nei primi anni di pubblicazione non era paragonabile a quello delle sue omologhe. Forse anche per questa

166 ALERAMO, UA 5, Eadem a eadem, Stoccolma, 29 novembre 1906.

167 Le traduzioni che Sofia Fortini Santarelli pubblicò nella « Rassegna Nazionale » furono : Gli Stati Uniti

e il Messico (dall'inglese), vol. 9, 1882; La riforma delle Università americane (dall'inglese), vol. 13, 1883;

Il mio matrimonio, voll. 16-20, 1885-1886; La casa sul padule (da Florence Warden), voll. 37-39, 1887-88;

La suonatrice di violino (da Berta Thomas), voll. 50-54, 1889-90; Per l'onore, voll. 59-60, 1891; L'ombra

di una colpa, voll. 68-69, 1892 ; Elena, voll. 84-85, 1895-96 ; Il destino d'Edda, voll. 88-92, 1896 ; Un

matrimonio segreto, voll. 96-99, 1897-98 ; Il mistero del torrente, voll. 103-104, 1898. 168 Irma Rios, Il gran cuore di Gilliana, vol. 183, 1912.

200

ragione la “Rassegna Nazionale” rendeva noto il nome del traduttore accanto a quello dell’autore. Le sue concorrenti invece, talvolta anche per motivi ideologici, si servivano soprattutto di opere ancora inedite e preferibilmente rappresentative della ‘letteratura nazionale’. Ferdinand Brunetière pensava addirittura che “trop de traductions gâtent une revue”.170

E’ tuttavia ragionevole pensare che anche gli altri periodici da me considerati si avvalessero della collaborazione di molte penne femminili nel settore della traduzione. Questo era un campo di attività tradizionalmente molto aperto nei confronti delle donne: anche grazie al suo status di inferiorità rispetto alla scrittura creativa, la traduzione – specialmente dalle lingue vive – rappresentava da temppo un importante canale di accesso per le donne al mondo delle lettere.171 Non solo, sulla scia delle riflessioni di Mme de Stael, che nel suo De l’esprit des traductions 172 aveva dimostrato fino a che punto la traduzione potesse rivelarsi funzionale per la circolazione delle idee e l’affermazione politica del liberalismo, ma anche per lo sviluppo delle singole letterature nazionali, nel corso del secolo molte scrittrici si erano servite della traduzione come di una potente arma politica. Si pensi solo all’importanza strategica che avrebbero avuto le traduzioni di autori come Stuart Mill, Ibsen o altri nella diffusione delle idee emancipazioniste e nell’organizzazione a livello internazionale del movimento politico delle donne.

Dal carteggio tra Giuseppe Protonotari ed Emilia Peruzzi, una delle donne più potenti della Firenze umbertina, si evince che anche la “Nuova Antologia” si serviva della collaborazione di Sofia Fortini Santarelli per le traduzioni dall’inglese. Questa, come altri collaboratori della rivista – De Amicis, Boglietti – fu fortemente sponsorizzata dall’intraprendente moglie del sindaco di Firenze che, come si vedrà più precisamente fra poco, era solita intervenire pesantemente nelle scelte redazionali del periodico:

170 BNF, 25046, ff. 321-322, lettera di Ouida a Ferdinand Brunetière, S. Alessio [Lucca], s.a.: « Je suis aussi de l’avis que trop de traductions gâtent une Revue. Aussi je vous assure que tant de d’Annunzio dans la Revue m’ennuyait beaucoup, vu que d’Annunzio m’était bien connu en italien pour des années ».

171 Su questo punto si veda Sherry Simon, Gender in Translation. Cultural Identity and the Poltics on

Transmission, Routledge, London & New York 1996. La tesi dell’autrice è appunto che : « On the one hand, translation has provided a point of entry for women to the literary world. And on the other, it has allowed them to promote social and esthetic causes through the literary commerce between nations”, p. 82. Cfr. anche José Santaemilia (a cura di), Gender, Sex and Translations. The Manipulation of Identities, St. Jerome, Manchester and Northampton, 2005 e Jean Delisle (a cura di), Portraits de traductrices, University of Ottawa Press, 2002, in particolare la presentazione, pp. 1-12.

172 Madame de Staël, De l’esprit des traductions, in Œuvres complètes de Mme la baronne de Stael, Treuttel & Wurtz, Paris 1820-1821.