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4 “Rivista Europea” (1869-1883) e “Revue Internationale” (1883-1890)

Le riviste dirette da Angelo De Gubernatis sono probabilmente quelle la cui analisi ha destato maggiore sorpresa. Essendo il loro fondatore un noto sostenitore dell’emancipazione femminile, nonché amico personale di molte scrittrici italiane ed europee della sua epoca, ci si sarebbe potuti aspettare che l’andamento statistico della partecipazione femminile all’interno delle sue riviste si distinguesse nettamente da quello delle sue concorrenti per una più marcata partecipazione delle donne.

Effettivamente i primi numeri della “Rivista Europea” si contraddistinsero per una consistente partecipazione femminile. Fra il dicembre del 1869, data di lancio della rivista, e il 1872, le donne pubblicarono 22 interventi, per un totale di 48 uscite in fascicolo in due anni. Circa un sesto di tutti gli articoli pubblicati in quel periodo dalla “Rivista Europea” erano stati scritti da donne. Si trattava di una cifra assai elevata, se si considera che nei primi anni ’70 la principale concorrente della rivista, la “Nuova Antologia”, pubblicava in media tre/quattro articoli femminili all’anno.

Anche il tenore degli articoli era sensibilmente diverso da quello delle altre riviste. Erano scritti molto complessi ed elaborati, che contribuivano a conferire alla “Rivista Europea” un forte carattere di originalità e un’apertura nei confronti di una dimensione internazionale della cultura del tutto sconosciuta agli altri periodici italiani dell’epoca e confermavano l’orientamento politico progressista della rivista e del suo direttore.

Fra il 1870 e il 1873, la “Rivista Europea” si assicurò la collaborazione di alcune delle scrittrici straniere al contempo più famose e più discusse dell’epoca. Fra il 1870 e il 1871 furono pubblicate le sei Lettere alle donne della scrittrice e giornalista Fanny Lewald83 – liberale, ebrea, femminista, autrice dei migliori best-sellers del secolo - uscite l’anno precedente in Germania nella “Gazzetta di Colonia” e tradotte per la prima volta in italiano. Nei due anni seguenti uscì lo studio di Dora d’Istria Gli albanesi in Rumenia, che rappresentava la prosecuzione ideale – come affermava la scrittrice stessa

83 Per un profilo di Fanny Lewald (1811-1889) si vedano Margaret E. Ward, Fanny Lewald. Between

rebellion and renunciation, Peter Lang, NY 2006 e l’autobiografia curata da Hannah Bellin Lewis, The

Education of Fanny Lewald. An Autobiography, Suny Press, Albany 1992. Per un’analisi della produzione letteraria di Fanny Lewis si veda Todd Kontje, Women, the Novel and the German Nation 1771-1871.

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nell’introduzione della sua opera – delle precedenti analisi della cultura albanese musulmana e cristiana apparse sulle pagine della prestigiosa “Revue des deux Mondes” prima ancora che sulla “Nuova Antologia”, e lodate dai principali critici tedeschi e francesi.84

Come già aveva fatto pochi anni prima la sua più diretta concorrente, anche la “Rivista Europea” - al momento del suo ‘lancio’ editoriale puntava su alcune firme femminili particolarmente rinomate e stimate nel contesto europeo: lo scopo era chiaramente quello di assicurarsi un’immagine di grande prestigio culturale e forse anche quello di sfidare la “Nuova Antologia” dimostrando di essere in grado di competere con lei sul suo stesso piano e con le stesse strategie. Ma nel caso specifico della “Rivista Europea”, le collaborazioni di Fanny Lewald e Dora d’Istria offrivano anche l’occasione per aprire il dibattito su una questione - la condizione delle donne dal punto di vista politico, sociale e culturale - che anche in seguito si sarebbe confermata fra gli assi di interesse principale del periodico.

Le Lettere alle donne di Fanny Lewald proponevano un’analisi precisa e ben documentata della condizione femminile in Europa e tentavano di confutarne la legittimità con argomentazioni logiche. Nel presentarle, un’altra collaboratrice straniera della rivista, Maddalena Gonzenbach, aveva scritto:

Mi è sembrato appunto questa maniera semplice e famigliare di trattare la questione, che non fa appello a capricciose teorie ma al buon senso, potrebbe concorrere a sradicare od almeno a far vacillare i pregiudizii della maggioranza degli Italiani. La posizione legale della donna in Italia è assai più vantaggiosa che non lo sia in Germania o in Inghilterra; al contrario, il costume, il pregiudizio formano qui tuttora una barriera insormontabile al benessere della donna; al quale, secondo le mie forze, per l’amore che porto a questa mia seconda patria, io vorrei contribuire.85

Il saggio di Dora d’Istria non si occupava direttamente della questione dell’istruzione femminile, argomento sul quale la scrittrice si era già pronunciata altrove. Si presentava piuttosto come un’analisi di carattere filologico ed erudito della tradizione culturale

84 “Dopo aver tentato di studiare gli Albanesi musulmani colla guida dei documenti dell’occidente, io mi determinai a seguire la via stessa nel dettare la storia dell’Albania cristiana, ed ebbi l’approvazione di uomini assai competenti (Il più reputato dei giornali tedeschi, l’Allgemeine Zeitung di Augusta, mi ha specialmente impegnato a continuare questi studii)”. Cfr. Dora d’Istria, Gli albanesi in Rumenia, in “Rivista Europea”, maggio 1871, p. 133.

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albanese. Ma la cornice particolare all’interno della quale veniva introdotta contribuiva a conferirle un’immediata valenza politica a sostegno delle posizioni emancipazioniste della rivista. Nel numero che precedeva il primo estratto da Gli albanesi in Rumenia, Dora d’Istria era stata infatti segnalata come “l’illustre autrice del libro Les femmes par

une femme, viaggiatrice intrepida, collaboratrice della Revue des deux Mondes e chiarissima per eminenti studi letterari filologici”. Nell’articolo, contenuto nella Rivista

dell’istruzione femminile allora curata da Grazia Pierantoni Mancini, si precisava inoltre che la scrittrice “viene a far dimora in Firenze. Sia la benvenuta, perché ella è lume ed ornamento pel nostro sesso, e nell’ospite suolo di Firenze continuerà senza dubbio ad onorarlo con alte opere d’ingegno”.86

Negli stessi anni anche altre scrittrici avrebbero pubblicato sulla rivista novelle, impressioni di viaggio ma soprattutto articoli dal contenuto marcatamente emancipazionista. Tatiana Svetoff avrebbe pubblicato nel marzo del 1870 un articolo dal titolo inequivocabile La pozione legale della donna.87 Nelle sue Corrispondenze da

Boston, fra il settembre del 1870 e l’aprile del ’71, Elena Albana avrebbe trattato regolarmente il tema della condizione femminile negli Stati Uniti. L’intero articolo del novembre 1870 sarebbe stato dedicato a Il giornale The Revolution e la cultura della

donna in America. La già citata Rivista dell’Istruzione femminile si proponeva nel frattempo di “notare di mano in mano, quale memoria dello studio delle donne, i documenti di vita civile, i lavori di scienza e di arte, che il sesso femminile produce, e di esporre, con libera critica, i [miei] pensamenti sulla virtù ed il demerito de’ medesimi”.88 La rubrica, nata da un’intuizione del direttore Angelo De Guberantis e pubblicata in tutti i numeri della rivista fra il giugno del 1870 e il marzo dell’anno successivo, avrebbe rappresentato per le autrici che la curarono l’occasione di fare il punto su quella che Grazia Pierantoni Mancini definì senza mezzi termini “la inferiorità d’istruzione della patrizia e della borghese italiana a fronte delle donne straniere che trova il suo riscontro nell’assoluta ignoranza delle classi popolari”89 e portare avanti un’intensa battaglia a favore dell’emancipazione femminile. Tutto questo avveniva sulle pagine di una rivista

86 Grazia Pierantoni Mancini, Rivista dell’istruzione femminile, in “Rivista europea”, 1 marzo 1871, p. 393. 87 Di questi articoli parla anche Franca Pieroni Bortolotti, Alle origini del movimento femminile in Italia.

1848-1892, Einaudi 1963, p. 158 e ss.

88 Grazia Pierantoni Mancini, Rivista dell’istruzione femminile, in “Rivista Europea” 1 settembre 1870, p. 394.

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prestigiosa che non intendeva rivolgersi solo alle donne ma che anzi aspirava a mettersi in concorrenza con le grandi riviste politico-culturali italiane e straniere.

Dopo il 1873 invece, le collaborazioni femminili si sarebbero fatte improvvisamente meno frequenti. Si sarebbe passati da una media di oltre venti articoli l’anno nel primo biennio della “Rivista Europea” ai 6 del periodo 1873-76.

Figura 11 - Articoli femminili nella "Rivista Europea" (1869-1883) e nella "Revue Internationale" (1883-1890)

Fonte: 13 - "Rivista Europea" e "Revue Internationale"

Anche la natura delle collaborazioni non sarebbe stata più la stessa. Se gli articoli femminili del primo periodo avevano quasi tutti un’immediata valenza politica e presentavano spesso un aperto contenuto emancipazionista, dopo il 1873 le donne pubblicarono soprattutto romanzi, novelle, poesie, critiche d’arte: nulla che ricordasse lo slancio dei primi anni della rivista.

Conoscendo le difficoltà finanziarie della rivista (nel novembre del 1876 De Gubernatis fu costretto a vendere la rivista proprio a causa di una grave crisi di bilancio90) e tenendo conto del minore coinvolgimento ideologico degli scritti femminili dopo il 1873 rispetto

90 La rivista fu acquistata da Carlo Pancrazi e fusa con la “Rivista Internazionale Britannica-Germanico- Slava”, fondata a Firenze nel marzo 1876. Il titolo cambiò in “Rivista europea – Rivista internazionale” e la periodicità divenne da mensile a quindic.. Il formato e la numerazione delle annate rimasero quelli della “Rivista europea”, mentre i collaboratori provenivano quasi tutti dalle fila della “Rivista Internazionale”. “Sul cadere del novembre scorso – spiegava il nuovo direttore ai suoi lettori nell’aprile del 1877 – concludemmo l’acquisto della Rivista Europea, la quale fosse povertà di scrittori, incuria o indifferenza del pubblico o altro, a tale era pervenuta, che nel lasso di pochi anni non che acquistarsi griso, aveva scemato di autorità e abbonati”.

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al periodo precedente, ho inizialmente ipotizzato che la redazione avesse preferito moderare le proprie posizioni e spostare i propri ambiti di interesse verso questioni meno specifiche e controverse dell’emancipazione femminile, con lo scopo di aumentare gli abbonamenti e intercettare i gusti di un numero più ampio di lettori. Un ripensamento della politica redazionale avrebbe potuto spiegare un calo così repentino delle collaborazioni femminili .

In realtà non ci fu nessun mutamento di indirizzo redazionale. I problemi legati all’emancipazione delle donne e all’istruzione femminile continuarono ad essere al centro del dibattito politico avviato dalla “Rivista Europea”, al pari di altre questioni culturali e sociali.

La ragione principale del crollo delle partecipazioni femminili alla “Rivista Europea” mi pare fosse piuttosto legata all’incapacità, da parte del periodico, di assicurarsi la fedeltà dei propri collaboratori più prestigiosi: tanto delle donne quanto degli uomini. Gustavo Strafforello, ad esempio, curatore delle prime rassegne letterarie della “Rivista Europea”, smise di collaborarvi dopo il 1872; Alberto Mario, primo curatore della “Rassegna politica”, abbandonò la rivista alla fine del secondo anno di pubblicazioni; lo stesso fece Augusto Pierantoni, che rinunciò dopo breve alla sua rubrica di diritto internazionale. Le ragioni di queste defezioni erano essenzialmente di natura economica e legate allo scarso successo di pubblico del periodico. Disattese le aspettative iniziali, quando la “Rivista Europea” sembrava rappresentare una valida alternativa di sinistra al conservatorismo liberale proposto della “Nuova Antologia”, gli autori più prestigiosi abbandonarono l’impresa per dedicarsi ad altre esperienze giornalistiche o editoriali. Molte ‘fughe’ femminili si inscrissero proprio all’interno di questo fenomeno. Non fu certo una ‘fuga’ quella di Fanny Lewald, che sulla rivista di De Gubernatis aveva pubblicato solamente traduzioni di scritti già usciti altrove. Si può semmai insistere in questo caso sullo stato di crisi finanziaria del periodico, che già dopo pochi anni di pubblicazione non poteva più permettersi di acquistare i diritti di opere altrettanto importanti quanto quelle che avevano aperto i primi numeri della rivista. Ma furono certamente fughe, o meglio tradimenti, quelli di Grazia Pierantoni Mancini, Luisa Saredo e Dora d’Istria, che lasciarono la “Rivista Europea” per passare alla “Nuova Antologia”, più famosa e più stabile dal punto di vista finanziario. Allo stesso modo, nessuna delle scrittrici reclutate dalla “Rivista Europea” dopo il 1873 accettò di collaborare in maniera

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continuativa con il periodico, limitandosi a pubblicare un articolo o al massimo due sulle pagine della rivista.

Gli stessi problemi si ripresentarono qualche anno dopo, quando Angelo De Gubernatis fondò la “Revue Internationale”. Anche qui, alle posizioni emancipazioniste e progressiste sostenute dalla rivista e dal suo direttore, non faceva riscontro una partecipazione femminile particolarmente consistente. Anzi, fra il 1883 - anno di fondazione della rivista - e il 1890, anno di cessazione, nella “Revue Internationale” erano apparsi solo 42 articoli femminili pubblicati in 51 uscite in fascicolo, cioè una media di sei scritti all’anno. Si trattava di cifre più o meno in linea con quelle degli altri periodici italiani considerati: nello stesso periodo, la “Nuova Antologia” e la “Rassegna Nazionale” - all’epoca quindicinali e non mensili come la “Revue internationale” - pubblicavano rispettivamente sedici e dieci articoli femminili in media all’anno, cioè circa l’8% della produzione letteraria complessiva della “Nuova Antologia” e il 7% della “Rassegna Nazionale”: una media lievemente superiore a quella della “Revue Internationale”, ferma a circa il 6%.

Figura 12 - Percentuale di articoli scritti da uomini e da donne nella "Rivista europea" (1869-1876) e nella "Revue Internationale" (1883-1890)

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