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Fra un intervento di Terenzio Mamiani dal titolo - tanto laconico quanto incisivo - di

Roma, e un altro di Gino Capponi su Massimo D’Azeglio, sfogliando le pagine del primo numero della “Nuova Antologia” i lettori trovarono l’articolo Della presente condizione

delle donne e del loro avvenire, firmato Cristina Belgiojoso. Era ben noto il ruolo che l’autrice aveva svolto durante il Risorgimento: un ruolo estremamente attivo,12 proprio per questo molto discusso e controverso, che però l’aveva resa un simbolo della lotta per l’indipendenza nazionale in Italia come all’estero:, in particolare in Francia, dove la scrittrice aveva vissuto durante il suo esilio.13 I suoi articoli sul ’48 italiano, pubblicati a ridosso degli eventi nella prestigiosa “Revue des deux Mondes”, avevano lasciato il segno anche nella penisola. I lettori della “Nuova Antologia” li avevano certamente presente, così come senza dubbio conoscevano, almeno di fama, la sua recente Histoire de la

Maison de Savoie,14 dove la scrittrice aveva avuto occasione di dimostrare la propria piena accettazione dell’Italia monarchica e si era dichiarata sostenitrice della politica cavouriana. La Principessa di Belgiojoso era quindi un personaggio particolarmente indicato per lanciare una rivista che si proponeva di dare voce alla letteratura nazionale con lo scopo di far seguire un ‘risorgimento intellettuale’ al Risorgimento politico appena

12 Negli anni ’30 Cristina Trivulzio di Belgiojoso (1808-1871) aveva frequentato gli ambienti della Giovine Italia finanziando, fra le altre cose, il moto di Filippo Buonarroti. Perseguitata dalla polizia austriaca, si era rifugiata in Francia, dove visse fine al 1840. Tornata in Italia, trasformò la sua tenuta di Locata, vicino a Milano, in un falansterio ispirato al modello di Fourier. Nel 1842 pubblicò il suo Essai sur la formation

du dogme catholique, dove difese la centralità del libero arbitrio. In questi anni tradusse le opere di Vico in francese, fondò a Parigi la “Gazzetta italiana” (1845) e la rivista “l’Ausonio” (1846), entrambe di orientamento liberale e costituzionale. Quando scoppiarono i moti rivoluzionari milanesi del ’48 si trovava a Napoli: noleggiò un piroscafo, reclutò un centinaio di volontari e salpò per Genova e poi Milano. Entrò nella città accolta dagli applausi e dai festeggiamenti. Nel 1849 fu in Toscana e poi a Venezia, dove organizzò un corpo di infermiere per venire in assistenza dei patrioti feriti. Nel 1850 fuggì di nuovo dall’Italia: prima verso Malta e poi in Oriente. La sua fattoria vicino a Ankara divenne un punto di incontro per gli esuli italiani. Nel 1855, di nuovo nella “Revue des deux Mondes”, pubblicò le sue impressioni di viaggio, La vie intime et la vie nomade en Orient: un acuto saggio sulla condizione delle donne nella società islamica, osservando la quale, in una prospettiva veramente comparata, l’autrice poté isolare molti aspetti dell’identità femminile in Europa. Sulla sua figura cfr. le biografie di Luigi Severgnini, La principessa di Belgiojoso, Virgilio, Milano 1972 e Angela Nanetti, Cristina di

Belgioioso, una principessa italiana, EL, Trieste 2002. Della sua letteratura di viaggio si è occupata Mirella Scriboni. Cfr. in particolare Il viaggio al femminile in Oriente nell’800: la principessa di

Belgiojoso, Amalia Solla Nizzoli e Carla Serena, in “Annali d’Italianistica”, L’Odeporica/Hodoeporics:

On Travel Literature, numero monografico a cura di Luigi Monga, vol. 14, 1996.

13 Il suo salotto di Rue d’Anjou fu frequentato da personaggi quali La Fayette, Musset, Cousin, Hugo, Chopin, Michelet, Heine e altri ancora.

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conclusosi: una rivista che, per di più, si ispirava proprio al modello giornalistico della “Revue”. Chiamandola a partecipare alla pubblicazione,15 la “Nuova Antologia” testimoniava la propria disponibilità nei confronti della scrittura femminile, alla quale avrebbe continuato ad aprire le proprie pagine anche in seguito. Al tempo stesso però, attraverso le parole della scrittrice, la rivista chiariva quale sarebbe dovuto essere il posto delle donne nella società dello stato appena creato e quali erano, ora, le vere priorità della nazione.

Non si negava che “la condizione della donna” fosse al momento “al di sotto del suo valore intellettuale e morale” e che poche trovassero in questa situazione, “se non in casi eccezionali, una durevole felicità”.16 Ma “le declamazioni” dovevano essere messe da parte in attesa di momenti più opportuni:

Le donne che negli ultimi tempi hanno chiesto ciò che chiamano la propria emancipazione, hanno, a parer mio, resa più che mai difficile la soddisfazione dei loro desideri. Tanto in Francia quanto in Italia, gli uomini assennati e tante donne hanno ricusato di ascoltare tali domande, e si sono sdegnati non solo contro le autrici di esse, ma contro la cosa domandata eziandio. […] A me tali riforme appaiono di una impossibile esecuzione. […] Tante cose posano sopra codesta condizione femminile che non si può distruggerla ad un tratto, senza recare immensi danni alla società. Conviene invece camminare adagio, togliere ad una ad una le pietre che possono essere tolte all’odierno edifizio sociale, senza cagionarne l’intera rovina; conviene anzi porvi saldi puntelli affine di mantenerlo ritto mano a mano che gli son tolte le pietre onde si compone, e che si adoprano alla erezione di un nuovo edifizio, in cui i bisogni di tutti e di tutte trovino un’equa soddisfazione. Le donne che ambiscono a un nuovo ordine di cose, debbono armarsi di pazienza e di annegazione, contentarsi di preparare il suolo, di seminarlo, ma non pretendere di raccoglierne le messe. […]

La nostra Italia sta ora componendosi con gravi stenti, e vincendo potenti ostacoli. […] in questo momento ogni cura che non si riferisca direttamente al suo ordinamento e assetto politico, ogni riforma che non intenda tutelarla da un imminente pericolo, deve essere rimandata a giorni più sicuri e tranquilli.17

15 All’inizio dell’articolo, la scrittrice precisava che il suo intervento le era stato chiesto esplicitamente dalla rivista attraverso “persone autorevoli”: lei di solito aveva sempre “rifuggito dal ragionare dei diritti e dei doveri delle donne nella modera società”. Cfr. Della presente condizione delle donne e del loro avvenire, in “Nuova Antologia” n. 1, 1 gennaio 1866, p. 96.

16 Ivi, p. 109. 17 Ivi, p. 8-9.

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Per il momento, la scrittrice invitava quindi le donne italiane a “contentarsi” di “dimostrare coll’evidenza del loro ingegno e colla moderazione delle loro pretese, che la mente femminile non è naturalmente e necessariamente inferiore alla virile, e che la donna non si lascia sempre trascinare dalla passione, ma sa regolare e temperare i propri desiderii, ed accomodarsi alle circostanze e ai tempi”.18 Faceva appello alla loro pazienza, le invitava alla lealtà,19 le incitava a rientrare nel loro compito di “madri di famiglia”. “Si educhino – insisteva però la scrittrice - quelle donne che per la natura del loro ingegno, e per il loro stato sentono il bisogno di una intellettuale coltura e possono procacciarsela”.20 I risultati non sarebbero tardati, assicurava lei: il “continuo progresso della mente femminile” avrebbe affrettato il raggiungimento, da parte delle donne, della “dovuta giustizia”. E, prima ancora, avrebbe contribuito a rendere più forte la nazione:

Parmi vedere nel glorioso avvenire della mia patria le famiglie in miglior modo assestate e dirette, la educazione della prole più saggia e più previdente, le amicizie pericolose scemate di numero, dappoichè mariti e mogli saranno gli uni per gli altri i più sicuri, sinceri e fedeli amici che si possano desiderare. Vedo cessati i contrasti, le usurpazioni, le recriminazioni; cessato il bisogno della dissimulazione, e la tendenza alla falsità, coll’ aver posto sopra più salde basi la domestica felicità, e coll’ avere permesso alla donna d’ innalzarsi alla pari dell’ uomo. Vedo la società arricchita dell’ ingegno, dei consigli e dell’opera femminile, in quelle faccende almeno che richiedono prontezza di concepimento e di criterio, umanità, e disposizione al sagrificio. Vedo che alla mia patria spetteranno le lodi e la gratitudine universale per avere felicemente e saggiamente troncata la quistione del valor femminile, e della condizione che alla donna si compete.21

18 Ivi, p. 110.

19 Questo invito mi pare fosse implicitamente rivolto soprattutto alle donne dell’élite nazionale, alle

salonnières, alle mogli di personaggi influenti, che “esercitano ed esercitarono da gran tempo un’ azione potentissima sopra tutti i negozi o pubblici o privati che incombono all’ uomo; ma la loro azione è, per così dire, subdola, nascosta, dissimulata. Per non offendere l’ orgoglio e la vanità dell’ uomo, la donna si cela dietro di lui ch’essa vuol condurre, lo muove a suo capriccio lusingandone la vanità. […] Siffatte relazioni fra gli uomini e le donne che sono frequentissime, sono uno smacco alle più necessarie delle umane virtù, alla veracità, alla probità, alla lealtà”. C’era quindi, nelle parole dell’autrice, anche il senso di una rottura forte rispetto a un recente passato in cui le donne, perlomeno quelle aristocratiche e alto borghesi (lei prima di ogni altra), avevano avuto la possibilità di intervenire nella formazione dell’opinione collettiva attraverso la conversazione e lo spazio semi pubblico del salotto. Cfr. ivi, pp. 110-111.

20 Ivi, p. 111.

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La scrittrice aveva inaugurato nella “Nuova Antologia” un terreno di dibattito – quello sull’educazione femminile – che sarebbe proseguito anche al di fuori della rivista.22 Molti avrebbero concordato con lei sulla necessità di istruire le donne affinché potessero partecipare alla rigenerazione della nazione attraverso “il miglioramento materiale e morale della famiglia” che - si ribadiva – era il “vero, naturale, evidentissimo ufficio della donna”.23 Nei fatti tuttavia, aprendo sempre più spesso le proprie pagine alle penne femminili, la “Nuova Antologia” avrebbe dimostrato che, anche nell’immediato, lo spazio d’azione femminile nella nazione non sarebbe stato solamente quello prospettato da Cristina di Belgiojoso. A lungo, almeno fino ai primi anni del secolo, la moderatissima “Nuova Antologia” sarebbe stata molto attenta ad evitare le “declamazioni” circa l’emancipazione politica delle donne. Anche in seguito, il tema sarebbe stato gestito in maniera particolarmente cauta. Ma la presenza costante e sempre più rilevante dei contributi femminili nella rivista segnalava che le donne non avrebbero contribuito al “perfezionamento sociale”24 al quale ambiva concorrere la “Nuova Antologia” solamente dall’interno delle mura domestiche.

Già poche settimane dopo l’intervento della Belgiojoso, la “Nuova Antologia” si sarebbe di nuovo rivolta a una donna: Giuseppina Alfieri, la nipote di Cavour, alla quale avrebbe chiesto una biografia intellettuale del politico. L’anno seguente la filosofa Marianna Florenzi Waddington25 sarebbe stata chiamata a intervenire in un dibattito - quello fra

22 Il rimando è d’obbligo al volume di Simonetta Soldani (a cura di), L’educazione delle donne, cit., in particolare al saggio di Carmela Covato, Educata a educare: ruolo materno ed itinerari formativi, pp. 131- 145.

23 La citazione è tratta da Aristide Gabelli, L’Italia e l’istruzione femminile, in “Nuova Antologia” n. 15, settembre 1870, p. 148. Oltre che da Gabelli, nella rivista il problema fu affrontato da Giuseppe Guerzoni in L’istruzione obbligatoria in Italia (n. 13, marzo 1870); da Pasquale Villari, in La scuola e la quistione

sociale in Italia (n. 21, novembre 1872); da Francesco De Sanctis, in La scuola (n. 20, ottobre 1872) e, in un’ottica anticlericale, da Girolamo Buonazia, autore della prima statistica nazionale sui convitti femminili, in Le scuole ed il chiostro, n. 22, aprile 1873. Per l’analisi di questo dibattito si rimanda ancora una volta al volume di Soldani, Le donne a scuola, cit. Per lo svolgimento del dibattito all’interno della rivista cfr. Ricciarda Ricorda, La “Nuova Antologia”, cit., pp. 12-16.

24 Così Francesco Protonotari definì il nuovo obiettivo della nazione dopo l’Unità: “E se allora [durante la Restaurazione] le scienze e le lettere precorsero ardite i fatti ai quali assistiamo, oggi debbono ripigliare ufficio non molto diverso, apparecchiando con nuove idee incrementi nuovi e difficili il perfezionamento sociale”. Cfr. La Nuova Antologia, cit., p. 7.

25 Insieme a uomini del calibro di Pasquale Villari, Silvio Spaventa e Francesco De Sanctis, Marianna Bacinetti Florenzi Waddington (1802-1870) fu una delle principali esponenti della scuola hegeliana di Napoli. Per l’analisi del suo pensiero cfr. Fabiana Cacciapuoti, Marianna Florenzi Waddington. Tra

panteismo ed hegelismo nelle carte napoletane, in Adriana Valerio (a cura di), Archivio per la

storia delle donne, vol. I, D’Auria, Napoli 2004, pp. 219-225. Moglie del sindaco di Perugia, amica del re di Baviera, col quale intrattenne un’intensa corrispondenza, patriota, traduttrice di Schelling, Marianna Florenzi Waddington aveva pubblicato nel 1866, per i tipi Le Monnier, un Saggio sulla Natura nel quale

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positivisti, spiritualisti e anti-materialisti - che com’è noto era uno dei nodi fondamentali del dibattuto culturale italiano (e non solo) dei primi decenni postunitari: un dibattito che trovava una proiezione particolarmente vivace all’interno della “Nuova Antologia”.26 Negli anni a venire la rivista si sarebbe dimostrata via via sempre più disposta ad accogliere le donne fra le sue pagine, anche se la tendenza verso la crescita delle partecipazioni femminili nella rivista non sarebbe stata lineare né omogenea nel tempo, ma avrebbe alternato battute di arresto e momenti di forte intensificazione (vedi Figura 9). Fra il 1866 e il 1914 la “Nuova Antologia” avrebbe pubblicato 456 articoli scritti da donne, per un totale di 635 uscite in fascicolo:27 ovvero il 6% in media delle pubblicazioni apparse nel corso dei cinquant’anni considerati.

Figura 7 - Articoli pubblicati da donne nella "Nuova Antologia" (1866-1914)

Fonte: 9 - Indici della "Nuova Antologia"

invitava gli italiani allo studio della natura “ispirato dai principi speculativi, come è stato iniziato da Schelling e da Hegel”. Questo avrebbe permesso loro di rientrare nel “libero esercizio delle loro facoltà” che fino ad allora non avevano potuto manifestare a causa del “loro asservimento fatale e i loro governi sospettosi e pusillanimi”. Avrebbero così potuto “pareggiare non solo tutte le altre nazioni, ma vincerle ancora” (Cfr. Avvertenza, p. [5]). In polemica con Darwin e le correnti materialiste, nella “Nuova Antologia”, la filosofa espose le dottrine dell’amico Terenzio Mamiani. (Cfr. Marianna Florenzi Waddington, Del progresso nell'universo secondo la dottrina del conte Terenzio Mamiani, n. 19, luglio 1867). Sull’autrice cfr. Nicola Cacciaglia e Andrea Capaccioni (a cura di), Per Marianna Florenzi

Waddington. Atti dell’incontro di studi (Perugia, 25 luglio 2000), Era Nuova, Perugia 2001 e la biografia, un po’ romanzata, di Franco Bozzi, Marianna allo specchio, Era Nuova, Perugia 1995.

26 Per questi aspetti si rimanda a Ricciarda Ricorda, La “Nuova Antologia”, cit., pp. 16 e ss.

27 Il grafico è stato realizzato prendendo come unità base le singole uscite in fascicolo e non gli articoli in quanto tali. Questo procedimento ha in effetti permesso di evidenziare la reale presenza degli scritti femminili nella rivista e dare così conto in maniera più precisa del concreto contributo delle donne alla compilazione di ogni singolo numero della rivista. Non si sarebbe potuto fare lo stesso se si fossero conteggiati in eguale misura gli articoli pubblicati in una sola uscita e quelli, notevolmente più articolati e complessi, la cui pubblicazione si protrasse più a lungo nel tempo, magari per mesi o semestri. Lo stesso procedimento è stato poi utilizzato anche nel caso delle altre riviste considerate.

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Più precisamente, nel primissimo periodo di pubblicazione, si assistette a una crescita esponenziale delle partecipazioni femminili: si sarebbe passati dai due articoli scritti da donne nel 1866 ai 17 del 1878. Non solo la rivista si avvaleva con sempre maggiore frequenza della scrittura femminile, ma proprio in questi anni si stavano anche ponendo i presupposti per la progressiva affermazione di un ristretto gruppo di collaboratrici fedeli che, da sole, avrebbero prodotto più della metà dei 94 articoli femminili pubblicati nei primi tredici anni di pubblicazione: più precisamente 24 Emma, 13 Dora d’Istria, 7 Grazia Pierantoni Mancini, 8 Luisa Saredo, 4 Erminia Fuà Fusinato, e 6 Ouida. Queste ‘fedelissime’ formavano un gruppo tuttavia estremamente eterogeneo.

Due di loro erano straniere: entrambe facevano parte della comunità degli “illustri stranieri in Italia”.28 Dora d’Istria,29 nom de plume della principessa Elena Ghika, aveva iniziato a collaborare per la “Nuova Antologia” nel 1867, dicendosi “certainement honorée d’y voir mon nom à côté des noms les plus illustres d’un pays que j’ai toujours aimé et dont j’ai constamment défendu la cause”.30 Proprio in quell’anno aveva scelto di trasferirsi nella penisola dopo avere vissuto quasi ovunque in Europa: in Albania, dove era nata, poi in esilio con la famiglia a Dresda, Vienna, Berlino e Venezia; con il marito, un aristocratico russo, si era trasferita a San Pietroburgo; era poi fuggita a Parigi, e da lì in Svizzera, poi di nuovo in Italia: Livorno, Venezia e finalmente Firenze. La sua fama di pensatrice democratica, pacifista ed emancipazionista, di viaggiatrice erudita, di filologa, di studiosa di etnografia e tradizioni popolari, l’aveva preceduta: era stata una firma di punta della “Revue des deux Mondes”; i suoi numerosi e sofisticatissimi articoli, pubblicati in molte lingue e nelle principali testate del continente, l’avevano resa una delle figure più note e discusse dall’intellettualità europea. Nel 1865 il giurista liberale Francesco Cesare Gabba le aveva dedicato un’intera opera.31 Come si vedrà più precisamente fra poco, il suo imminente arrivo a Firenze era stato annunciato con

28 Angelo De Gubernatis, Illustri stranieri in Italia. Dora d’Istria, in “Rivista Contemporanea Nazionale Italiana”, n. 17, aprile 1869, pp. 107-115.

29 A parte il saggio di Luisa Rossi all’interno di L’altra mappa. Esploratrici viaggiatrici geografe, Diabasis, Reggio Emilia 2005, non esistono altri studi dedicati a Dora d’Istria (1828-1888). La maggior parte delle informazioni su di lei provengono da testimonianze di intellettuali suoi contemporanei che la ricordarono dopo la sua scomparsa, testimoniando l’assoluta fama di questa scrittrice negli ambienti intellettuali europei dell’ultimo quarto dell’Ottocento. Oltre all’articolo di De Gubernatis appena citato, molte notizie su di lei si trovano in Fibra, cit., pp. 401 e ss., dello stesso autore. Cfr. inoltre Dictionnaire des écrivains du jour, cit.,

ad vocem, e Dora d’Istria, in « Revue Internationale », n. 21, 1889, p. 63.

30 BNCF, CV 130, f. 175, lettera di Dora d’Istria a Francesco Protonotari, Venezia, 30 novembre 1867. 31 Francesco Cesare Gabba, La questione femminile e la principessa Dora d’Istria, Le Monnier, Firenze 1865.

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entusiasmo dalla principale rivale della “Nuova Antologia”, la “Rivista Europea” dell’amico Angelo De Gubernatis.

Sulla rivista di Francesco Protonotari, Dora d’Istria avrebbe pubblicato una serie di studi estremamente complessi: alcuni di carattere filologico ed etnografico dedicati ai poemi mitologici indiani, altri di più stretta attualità dedicati all’Albania.32 Il primo di questi in particolare, intitolato Gli albanesi musulmani, avrebbe avuto tutte le caratteristiche per suscitare l’attenzione dei lettori della “Nuova Antologia”: all’indomani della Battaglia di Mentana, una descrizione dell’identità nazionale albanese fatta a partire dall’intreccio tematico religione/nazione non li avrebbe senza dubbio lasciati indifferenti.33

L’altra straniera, Marie Louise de La Ramée, in arte Ouida, proveniva da tutt’altro ambiente intellettuale: era una scrittrice inglese di romanzi ‘a sensazione’, che dopo avere raggiunto il successo in patria, aveva scelto di venire a vivere nella corposa comunità inglese di Firenze.34 Qui sarebbe rimasta fino al 1894, conducendo una vita opulenta, al centro dell’attenzione, divisa fra impegni letterari, scandali amorosi e mondanità.35 Fra le italiane, la prima a stabilire un rapporto di collaborazione duraturo con la “Nuova Antologia” fu Erminia Fuà Fusinato,36 che iniziò a scrivere per la rivista nel 1867. Anche lei era un personaggio emblematico del Risorgimento: aveva pubblicato la sua prima poesia a soli quattordici anni ispirandosi ai moti del ’48; insieme al marito, pure lui scrittore, aveva poi svolto un’intensa attività pubblicistica e patriottica; era stata

32 Sul ruolo svolto da Dora d’Istria nella costruzione dell’identità nazionale albanese cfr. Nathalie Clayer,

Aux origines du nationalisme albanais: la naissance d’une nation majoritairement musulmane en Europe, Karthala, Paris 2007, pp. 139 e ss.

33 La scrittrice descriveva gli albanesi come un popolo che aveva tenacemente e coraggiosamente cercato di resistere a tutte le occupazioni straniere. La questione religiosa si era rivelata centrale in questa lotta contro gli stranieri: quelli che si erano convertiti al cattolicesimo, l’avevano fatto per distinguersi dai serbi; quelli che si erano convertiti all’Islam non si erano mai comunque sottomessi al Sultano e la loro fede era quindi profondamente diversa da quella degli Ottomani. In quanto europei e ariani, la loro razza non avrebbe permesso loro di intendere la religione allo stesso modo degli asiatici.

34 Sulla comunità anglo-americana a Firenze si rimanda al volume di Marcello Fantoni (a cura di), Gli