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La principale via di accesso al giornalismo politico letterario

Gender & Genres

2. La principale via di accesso al giornalismo politico letterario

La fiction fu il genere più frequentato dalle donne nelle riviste politico-letterarie. In tre delle testate considerate - la “Nuova Antologia”, la “Revue de Paris” e la “Revue des Deux Mondes” - i racconti, i romanzi e le novelle occuparono circa la metà dell’intera produzione letteraria femminile; nella “Rassegna Nazionale” e nella “Revue Internationale” quasi un terzo; nella “Rivista Europea” circa un quarto. Solo nella “Nouvelle Revue” il peso della fiction fu meno preponderante in termini assoluti, ma solamente perché qui era attiva Juliette Adam, che con la sua rubrica di politica estera pubblicò da sola tanti articoli quanti quelli scritti da tutte le altre collaboratrici della rivista messe insieme. Tolti questi, anche qui la narrativa si dimostrò essere il genere più congeniale per le donne, che pubblicarono più di 63 romanzi nei vent’anni considerati. La fiction fu però anche il settore nel quale fu più consistente il contributo delle scrittrici occasionali, cioè di quelle autrici che dopo avere pubblicato uno o al massimo due lavori, scomparvero dalla scena letteraria o comunque smisero di lavorare per i sette periodici politico-letterari considerati da questa ricerca. A seconda della testata, fra il 30 e il 60% della fiction femminile fu prodotta da scrittrici che non riuscirono a stringere rapporti di collaborazione continuativa con quei periodici (vedi Tabella 2).

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Tabella 2 – Fiction. Collaboratrici fisse e occasionali

Rivista

Collaboratrici

occasionali Collaboratrici fisse Tot romanzi/ racconti N. scrittrici Tot romanzi/ racconti N. scrittrici Tot romanzi/ racconti “Nuova Antologia” (1866-1914) 31 47 (32%) 7 102 (68%) 149 “Rassegna Nazionale” (1879-1914) 30 43 (57%) 6 33 (43%) 76 “Rivista Europea” (1869-1876) 6 11 (100%) - - 11 “Revue Internationale” (1883-1890) 8 11 (100%) - - 11

“Revue des deux Mondes” (1877- 1907)

12 18 (29%) 6 44 (71%) 62

“Revue de Paris” (1894-1914) 21 28 (51%) 5 27 (49%) 55

“Nouvelle Revue” (1879-1899) 25 37 (67%) 4 18 (33%) 55

La presenza massiccia di queste ‘meteore della scrittura’ può essere interpretata in vari modi. In primo luogo bisogna tenere conto dello stereotipo al quale ho accennato all’inizio del capitolo a proposito del binomio donne-romanzi. In un contesto che descriveva le donne e la letteratura romanzesca come due mondi fortemente connessi fra loro, era comprensibile che le scrittrici che aspiravano ad affermarsi nel campo del giornalismo di alto livello scegliessero di iniziare la loro carriera cimentandosi proprio nel settore ritenuto loro più congeniale.

La scrittura di romanzi inoltre, a differenza di altre discipline, non prevedeva né una formazione specifica, né particolari mezzi finanziari. Come scrisse Caterina Pigorini Beri, per produrre un racconto occorrevano solo “una penna e un calamaio” 12 e zero spese extra.

L’economicità della carta da scrivere è la ragione per cui le donne sono riuscite come scrittrici prima che nelle altre professioni. – le avrebbe fatto eco Virginia Woolf raccontando la propria esperienza professionale di fronte alla platea della London Society of Women’s Service - Per dieci scellini e sei pence si può comperare abbastanza carta da scriverci sopra

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tutte le tragedie di Shakespeare, se uno ci è portato. Per scrivere non c’è bisogno di pianoforti e modelle, di Parigi, Vienna o Berlino, di maestri ed amanti”.13

Era il 21 gennaio 1931, ma poco era cambiato rispetto a cinquant’anni prima circa le ragioni che spingevano le donne a dedicarsi alla scrittura di romanzi prima che ad ogni altra disciplina. “I romanzi erano, e rimangono, la cosa più facile da scrivere per una donna. E non è difficile sconvarne il motivo. Il romanzo è la forma d’arte meno concentrata. Lo si può interrompere e riprendere più facilmente di un’opera di teatro o poesia”.14

Anche secondo Neera, che scrisse per la “Nuova Antologia” un articolo dedicato al fenomeno della scrittura femminile, era soprattutto questa la ragione per cui tante ragazze provavano a cimentarsi nella produzione di romanzi e novelle:

Quello che nell’uomo è un caso raro per l’adattamento più diretto dei suoi studi a una data carriera, si impone in un certo qual modo alla mente coltivata delle donne che vede nella letteratura una applicazione immediata e simpatica del proprio ingegno.15

Ma, avvertiva la scrittrice rivolgendosi direttamente alle “fanciulle cui sorride il miraggio della scrittrice”,16 oltre al fatto che “altro è scrivere lettere ad amici ed altro per il pubblico”,17 “sulla scala che guida alla Fama noi vediamo ad ogni scalino corpi giacenti, chi in principio, chi a mezzo, chi sul punto di toccare la cima”.18 La difficoltà di raggiungere e mantenere il successo in un settore di attività dove, non solo in Italia, la concorrenza fra gli autori o gli aspiranti tali era particolarmente acuta, poteva di certo essere indicata come la ragione della rapida scomparsa dalla scena letteraria di un buon numero delle aspiranti scrittrici, che pure ebbero accesso, per un breve momento, al giornalismo politico-letterario.

13 Virginia Woolf, Professioni per le donne, in Le donne e la scrittura, a cura di Michèle Barrett, Tartaruga, Milano 1981, pp. 53-54. Nel passo precedente la scrittrice aveve associato come in una catena ideale la propria esperienza a quella delle donne che l’avevano preceduta nel corso dell’Ottocento: “Fanny Burney, Aphra Behn, Harriet Martineau, Jane Austen, George Eliot, molte donne famose, e molto più ignote e dimenticate, sono esistite prima di me, sgombrare il sentiero, a regolare i miei passi”. (p. 53).

14 Eadem, Le donne e il romanzo, ivi, p. 40.

15 Neera, La donna scrittrice, in “Nuova Antologia”, n. 192, 15 novembre 1905, p. 306. 16 Ivi, p. 307.

17 Ibidem. 18 Ivi, p. 310.

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D’altra parte però, la presenza di così tante ‘meteore della scrittura’ nel settore della fiction indicava anche che le riviste erano forse più disposte a pubblicare opere di scrittrici alle prime armi in questo settore piuttosto che in altri. C’era probabilmente anche una questione economica alla base di questa maggiore apertura nei confronti delle (o dei) principianti, ovvero il fatto che le riviste sia italiane che francesi di solito non retribuivano i primi lavori.

E’ facile immaginare che in certi casi questa prassi potesse inibire l’iniziativa degli scrittori e delle scrittrici. Alcuni di loro, non potendo permettersi di lavorare senza retribuzione, preferivano non proporre affatto le proprie opere alle riviste politico- letterarie ma sceglievano altre destinazioni per i propri scritti. Maria Torelli, la scrittrice nota con lo pseudonimo di La Marchesa Colombi, non ebbe problemi ad ammetterlo quando fu chiamata a collaborare con la “Nuova Antologia”:

Era unicamente per aver sentito che l’Antologia non paga il primo lavoro, che m’ero astenuta finora dall’offrirle qualche cosa; senza questa circostanza, che le circostanze mie non mi permettevano di accettare, mi sarei fatta un pregio prima d’ora di bussare alla sua porta.19

Per altri versi però, tale procedimento poteva favorire le scrittrici alle prime armi, perlomeno quelle che avevano a disposizione altre risorse per vivere. Trattandosi di lavori che le riviste ottenevano a titolo gratuito, queste avevano tutti gli interessi ad accettarli e conservarli in archivio come lavori ‘minori’. Capitava ad esempio che le ‘opere prime’ fossero pubblicate nei momenti di difficoltà economica delle riviste oppure quando, come spesso accadeva, qualche autore affermato dava defezione all’ultimo minuto e non c’era altra soluzione per uscire in stampa che sostituire il suo lavoro con quello di un autore o di un’autrice sconosciuta. Non di rado era proprio attraverso questo percorso che i racconti e i romanzi di autori sconosciuti ottenevano di essere stampati dopo una lunga attesa sugli scaffali degli archivi delle redazioni.

Non sempre, va detto, le opere dei collaboratori e delle collaboratrici occasionali erano pubblicati con questa funzione di ‘tappabuchi’ o riempitivi a basso costo dei fascicoli. Sebbene girasse la voce che il primo direttore della “Revue des deux Mondes” François

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Buloz fosse un po’ taccagno e sottopagasse i suoi collaboratori letterari,20 è un dato di fatto che in Francia le riviste non avessero in genere grossi problemi a retribuire, anche profumatamente, i propri scrittori. A differenza di quelle italiane, esse potevano permettersi di comprare qualunque romanzo desiderassero - sempre che riuscissero a strapparlo alla concorrenza - e comunque non erano di certo costrette a ricorrere a simili

escamotages per riempire le pagine dei loro fascicoli.21 In certe situazioni la disponibilità delle riviste nei confronti dei collaboratori e delle collaboratrici occasionali dipendeva dunque anche dalla messa a punto di strategie editoriali complesse e lungimiranti che nulla avevano a che fare con la necessità di risparmiare il pagamento di un collaboratore già affermato.

E’ il caso ad esempio della “Revue de Paris”, che come si è detto tendeva a non stringere rapporti di lavoro regolari e continuativi coi suoi collaboratori perché la sua priorità era quella di rendere il più visibili possibili le opere che sarebbero state lanciate da lì a poco in volume dal suo editore Calmann-Lévy.

Furono comunque molte, anche fra le scrittrici che riuscirono a stringere un rapporto di collaborazione duratura con le riviste, quelle che si avvicinarono al giornalismo politico- letterario proponendo come primo lavoro proprio una novella o un romanzo, tanto che è possibile affermare che la fiction era, o perlomeno veniva percepita, come il principale canale di accesso per le donne al giornalismo politico-letterario. Non tutte rimasero però fedeli a questo genere letterario. E’ anzi possibile distinguere in tre gruppi le carriere delle collaboratrici non occasionali delle riviste. Il primo comprende coloro che, dopo essersi fatte conoscere dal pubblico inizialmente come autrici di romanzi e racconti, in seguito orientarono le loro scelte professionali verso altre discipline. Al secondo gruppo, ben più nutrito, appartengono invece le scrittrici che rimasero fedeli alla fiction; al terzo – più esiguo - quelle che approdarono alla scrittura di romanzi dopo avere iniziato la loro carriera in altri settori letterari.

20 E’ nota ad esempio la disputa fra François Buloz e Victor Hugo, uno dei “grands exclus” della “Revue des deux Mondes”, che non fece segreto di non volere collaborare con la rivista perché riteneva che le sue tariffe fossero troppo basse.

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Le traiettorie professionali delle donne che “sfondarono la porta”22 delle riviste politico- letterarie grazie a un romanzo o una novella ma poi orientarono la propria carriera verso generi letterari alternativi alla fiction, indicano che in certi casi le riviste potevano diventare luoghi di crescita e formazione professionale. Alcune corrispondenze lasciano pensare che chi riuscì a costruire un itinerario vario all’interno del giornalismo politico- letterario considerò il salto da un genere letterario all’altro non come un semplice cambiamento, ma come un vero e proprio avanzamento di carriera, legato al riconoscimento delle proprie capacità professionali. I rapporti di stretta collaborazione che spesso le scrittrici alle prime armi arrivavano ad intessere con i direttori delle riviste ebbero un’importanza centrale nel determinare la direzione dei loro rispettivi percorsi lavorativi e intellettuali: sia perché le loro scelte professionali dipendevano talvolta dalle necessità contingenti delle riviste di colmare ‘buchi’ o carenze di altro tipo, sia perché i direttori svolgevano spesso un ruolo di guida intellettuale nei loro confronti: consigliando loro libri da leggere, temi o questioni da approfondire e così via.

E’ il caso ad esempio di Emilia Ferretti, in arte Emma, che esordì nella “Nuova Antologia” grazie a una novella, ma poi divenne familiare al pubblico della rivista nella veste di critica letteraria. Come si vedrà fra poco, negli anni ’80 l’autrice sarebbe tornata a cimentarsi con la scrittura di romanzi e racconti, e grazie a questi avrebbe raggiunto il successo anche col grande pubblico. Tuttavia fu lavorando come critica letteraria della “Nuova Antologia” nel decennio precedente, seguendo i consigli e le indicazioni del direttore Francesco Protonotari, leggendo i libri che lui le suggeriva, che la scrittrice avrebbe iniziato a credere nel proprio talento e dedicarsi con sempre maggiore serietà e costanza ad un mestiere, quello della scrittrice, che aveva iniziato quasi per caso e spinta dal bisogno urgente di racimolare qualche soldo. E sembra fosse stato proprio lui a dirigerla verso la critica letteraria, inducendola ad abbandonare la scrittura creativa.23

22 E’ questa l’espressione usata da Giovanni Cena in una lettera del 1895, quando era ancora un aspirante collaboratore della “Nuova Antologia”. Cfr. Giovanni Cena a Anton Maria Mucchi, Torino, 20 novembre 1895, in Lettere scelte, cit., p. 19.

23 BNCF, CV 132, f. 105, Lettera di Emilia Ferretti a Francesco Protonotari, Firenze, 7 maggio 1878: “Quando mi rimetterò a lavorare [dopo una cura termale] sarà per la N. Antologia, e spero sull’anno prossimo, forse già alla fine di questo, di poter incominciare a scriverle degli articoli come quest’ultimo che Lei preferisce alle novelle”.

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Un percorso simile fu quello della meno nota Teresita Friedmann Coduri,24 una scrittrice di origine ticinese, esponente di punta del movimento emancipazionista cattolico, molto attiva nell’Unione per il bene di Milano e nelle sue riviste “L’Ora presente” e “In cammino”. Alla fine degli anni ’90 avrebbe iniziato a collaborare con la “Rassegna Nazionale” pubblicando qualche racconto, ma presto anche lei sarebbe approdata alla critica letteraria come divulgatrice e traduttrice della letteratura tedesca e scandinava. Allo stesso modo, dieci anni prima, aveva esordito Luisa Anzoletti, una delle principali collaboratrici della “Rassegna Nazionale” dagli anni ’90 in poi. Anche lei attivista di primo piano del femminismo cristiano, impegnata - attraverso il giornalismo e la poesia - in una incessante opera educativa nei confronti delle donne (avrebbe collaborato con le principali riviste femminili ed emancipazioniste dell’epoca) nella rivista del Marchese Da Passano, coi suoi numerosi articoli critici e d’opinione, avrebbe elaborato un discorso questa volta rivolto (in certi casi anche molto apertamente, come nell’articolo A chi

scrive)25 non tanto alla parte della nazione che doveva essere educata, ma piuttosto a quella che l’avrebbe dovuta educare offrendo alle donne modelli ed esempi edificanti, soprattutto attraverso la letteratura.

Anche in Francia alcune scrittrici sperimentarono questo stesso itinerario professionale. Ad esempio Anne-Marie Bovet, una fedele frequentatrice del salotto di Juliette Adam, iniziò nei primi anni ‘80 la sua carriera collaborando con la “Nouvelle Revue” come scrittrice di romanzi e racconti. Si sarebbe poi specializzata nella critica letteraria, continuando il suo percorso professionale anche al di fuori di quella rivista. Sarebbe stata inviata in Irlanda per il quotidiano “La République Française” di Gambetta e negli anni ’90 sarebbe diventata una delle principali e più agguerrite opinioniste del giornale emancipazionista “La Fronde” di Marguerite Durand. Qui avrebbe pubblicato i suoi più celebri articoli a difesa dell’intelligenza femminile, come Ménagère ou courtisane? e

L’éternel féminin, che riprendevano alcune posizioni già espresse dalla scrittrice, ma in maniera meno radicale, all’interno della “Nouvella Revue”. Avrebbe criticato i modelli

24 Per un proflilo di Teresita Friedman Coduri cfr. Roberta Fossati, Elites femminili e nuovi modelli

religiosi, cit., pp. 50 e ss.

25 Luisa Anzoletti, A chi scrive, in “Rassegna Nazionale”, n. 110, 1 novembre 1899. Della stessa autrice, sempre sullo stesso problema cfr. anche Un romanzo borghese e sano, ivi, n. 129, 1903 e Per la ricerca di

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femminili “faibles et limitées à l’amour” proposti, fra gli altri, da Guy De Maupassant, Proudhon e Alexandre Dumas.26

Ouida compì in Francia un percorso analogo. Negli anni ’70 la scrittrice, inglese di nascita, ma di madre francese (quindi perfettamente bilingue), era già famosa in patria come autrice di romanzi di successo. Fu grazie a questi che la “Revue des deux Mondes” si interessò a lei. Presto però le fu chiesto di lasciare da parte la fiction: trasferitasi a Firenze, Ouida avrebbe tenuto al corrente i lettori della “Revue” su tutto quanto avveniva nel contesto letterario italiano: recensendo i nuovi libri che uscivano nella penisola ad esempio, oppure fornendo bilanci su “l’état actuel de l’Italie”27 e traducendo qualche libro in francese.

Il passaggio dalla fiction alla critica letteraria fu quello sperimentato più di frequente dalle autrici, ma non fu l’unico possibile. Come si vedrà fra breve, in Italia non furono rari ad esempio i passaggi dalla fiction alla scrittura di storia; in Francia quelli dalla fiction alla letteratura di viaggio. Questi reindirizzamenti di carriera avvennero tuttavia più spesso nella penisola che oltralpe e si verificarono più facilmente nei primi decenni di pubblicazione delle riviste che in seguito. La ragione di questo fatto mi pare vada cercata ancora una volta nella più infelice condizione economica delle riviste italiane rispetto a quelle francesi negli anni ’70 e ’80 dell’Ottocento. I direttori sembravano essere meglio disposti a investire sugli scrittori giovani e ancora privi di un profilo professionale e autoriale ben definito. Era chiaro che li si sarebbe dovuti formare, in qualche modo sostenere nella loro crescita professionale, ma proprio per questo i loro onorari erano necessariamente più abbordabili di quelli dei loro colleghi già famosi.

Anche in Italia, comunque, la maggior parte delle scrittrici che avevano esordito nelle riviste pubblicando una novella o un romanzo rimase fedele negli anni a questo genere letterario. Nella tabella qui accanto ho provato a schematizzare, per ciascuna rivista, il contributo fornito dalle principali collaboratrici. Come si vede, ogni periodico aveva a sua disposizione un gruppetto di scrittrici di riferimento.

26 Su questi due articoli, e più in generale sulla critica letteraria della “Fronde” cfr. Mary Louise Roberts,

Copie subversive: Le journalisme féministe en France à la fin du siècle dernier, in “Clio”, n.6, 1997, pp. 230-247.

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Tabella 3 – Collaboratrici assidue nel settore della fiction.

Rivista Scrittrice Periodo di attività Tot romanzi/ Racconti Fascicoli occupati “Nuova Antologia” (1866-1914)

Grazia Pierantoni Mancini 1875-1914 27 52

Matilde Serao 1882-1910 22 54

Grazia Deledda 1874-1914 16 54

Neera (Anna Radius) 1882-1913 11 42

Luisa Saredo 1874-1887 10 19

TOT 86 221

“Rassegna Nazionale” (1879-1914)

Giovanna Denti 1896-1902 11 12

Angelina Altoviti Toscanelli 1909-1912 5 5

Maria Savi Lopez 1895-1908 5 9

Livia Bellini Dalle Stelle 1880-1883 4 4

Eleonora Merlo 1894-1897 4 13

TOT 29 76

“Revue des deux Mondes” (1877-1907) Th. Bentzon (Thérèse Blanc) 1877-1906 21 43 Marguerite Poradowska 1887-1902 8 16 Pauline Caro 1888-1898 5 8

Jacques Vincent (Angèle

Dussaud) 1877-1882 4 7 TOT 38 74 “Revue de Paris” (1894-1914) Marcelle Tinayre 1901-1911 8 31 Matilde Serao 1897-1909 9 21 Grazia Deledda 1905-1910 5 12

Gyp (Sybille de Mirabeau) 1894-1896 3 11

Miriam Harry 1902-1910 3 9

Colette Yver (Antoinette de

Bergevin) 1907-1910 3 9 TOT 62 186 “Nouvelle Revue” (1879-1899) Jeanne Mairet 1880-1891 6 6 Henry Gréville 1879-1881 5 11 Jane Dieulafoy 1891-1894 4 10

Mme Stanislas Meunier 1891-1894 3 12

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Nonostante la predilezione reciproca che legava ciascuna scrittrice alla propria rivista, sulla carta niente imponeva loro una fedeltà assoluta. Non esisteva uno schema rigido per quanto riguardava i rapporti di lavoro nel campo della fiction, ma in genere si trattava di situazioni estremamente precarie. I contratti che le collaboratrici stipulavano con i direttori riguardavano di solito una sola opera per volta e ogni caso era diverso anche in relazione al pagamento che si patteggiava. Ecco perché nei loro carteggi si trovano spesso lamentale e rivendicazioni relativi ai loro trattamenti economici.

Era interesse dei direttori evitare in tutti i modi che le collaboratrici che avevano riscosso successo all’interno della propria rivista passassero alla concorrenza. Ma era una prassi abbastanza comune che queste accettassero di lavorare anche per altri giornali o che pubblicassero i loro lavori direttamente in volume. Si trattava però quasi sempre di periodici rivolti a target di pubblico differenti rispetto al giornalismo di alta qualità, mentre era raro che la stessa scrittrice collaborasse contemporaneamente con due riviste dello stesso genere all’interno dello stesso paese.

Furono certamente frequenti - perlomeno più che in altri settori disciplinari trattati dalle riviste - i ‘tradimenti’ delle scrittrici nei confronti dei loro periodici di riferimento. I passaggi da una rivista all’altra avvenivano spesso per ragioni di ordine economico, ma anche per strategie legate al prestigio delle riviste. Probabilmente proprio per questo motivo Luisa Saredo si convinse a lasciare la “Rivista europea”, la prima ad averla lanciata nel giornalismo di qualità, per passare alla “Nuova Antologia”, di cui divenne un’assidua collaboratrice.28 Altre volte i passaggi da una rivista all’altra furono causati da un rifiuto, o da un’incomprensione. Gyp per esempio, che quando iniziò a collaborare con la “Revue des deux mondes” era una scrittrice già conosciuta nel settore della cosiddetta “littérature de gare”, fu costretta a interrompere la sua collaborazione con la rivista perché ad un certo punto la qualità dei suoi lavori non fu più ritenuta all’altezza e lei non si dimostrò disposta ad attenuare i chiari messaggi antisemiti delle proprie opere. Passò così