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Marginalità e visibilità delle scritture femminili nelle riviste

7 “Nouvelle Revue” (1879-1899)

Fonte: 20 Indici della rivista

8. Marginalità e visibilità delle scritture femminili nelle riviste

“C’è da impensierirsi, come fanno taluni, dell’invadente concorrenza della donna nella letteratura narrativa?”135 si chiedeva Luigi Capuana in un articolo apparso nella “Nuova Antologia” nel 1907. A preoccuparlo non erano tanto gli effetti che quelle opere intrise di “femminilità” avrebbero potuto avere sul pubblico, quanto piuttosto il sospetto che le donne stessero penetrando all’interno della comunità letteraria, che per lui era, e sarebbe per sempre rimasta, maschile.

Io poi sono convinto che nell’avvenire, nel lontano avvenire, le donne saranno quel che sono ora gli uomini ; ma allora gli uomini saranno tutt’altri ; e la distanza rimarrà uguale a quella di oggi. Allora gli uomini lasceranno interamente alle donne l’occupazione di scrivere romanzi, liriche, tragedie, commedie e, se ci avranno preso gusto, poemi; ma esse – aggiungo – non creeranno nulla di nuovo, perché non ci sarà altro da creare nelle forme d’arte. Sarà un’eterna ripetizione, fino a che non si stancheranno, cosa un po’ improbabile: le donne sono ostinate.136

Capuana scriveva sulle pagine della “Nuova Antlogia”, si rivolgeva ai membri della comunità letteraria da uno dei suoi più importanti bastioni e intendeva difenderne, con spiccato spirito di corpo, l’integrità.

L’ingresso delle donne nello spazio pubblico della scrittura fu spesso percepito dai contemporanei come una minaccia. Per la Francia lo ha dimostrato chiaramente Christine Planté nel suo bel libro sullo stereotipo della femme-auteur.137 Già a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, le donne scrittrici iniziarono a essere percepite non più solo come figure ridicole e bizzarre, ma come veri e propri vettori di disordine sociale. Anche qui, con qualche decennio di anticipo rispetto all’Italia, a preoccupare maggiormente i critici non era tanto il fatto che il numero delle donne attive nel contesto letterario stesse crescendo in maniera esponenziale, quanto il sospetto che esse stessero progressivamente assumendo un atteggiamento sempre più ‘maschile’ nei confronti della scrittura. Anche in passato le donne avevano scritto, ma almeno secondo Jules Barbey d’Aurevilly, uno degli

135 Luigi Capuana, Letteratura femminile, in “Nuova Antologia”, 1 gennaio 1907, p. 105. 136 Ibidem.

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osservatori più astiosi nei confronti della scrittura femminile,. lo avevano fatto in maniera diversa, più conforme alla posizione che erano chiamate a svolgere tradizionalmente all’interno della società.

Anche « Mme de Sevigné écrivit, si elle le pouvait ».138 Ma, argomentava il critico letterario della “Revue des deux Mondes”, lei si limitava a produrre « des charmants commérages à sa fille, [...] Mme d’Aulnoy des contes délicieux pour des enfants». Le nuove generazioni di scrittrici erano invece arrivate al punto di non potere addirittura più essere considerate donne: “Les femmes qui écrivent ne sont plus des femmes. Ce sont des hommes – du moins de prétention – et manqués ! Ce sont des bas-bleus ».139 Al pari dei loro colleghi uomini, le donne scrittrici avevano iniziato a fare “métier et marchandise de littérature”, esigevano la propria parte “dans la publicité et la gloire”140 intervenivano in questioni che esulavano dal loro ruolo di genere e soprattutto cercavano di penetrare nei luoghi della cultura alta che erano, e dovevano restare, indiscutibilmente maschili.

E’ vero che la presenza relativamente stabile e massiccia delle donne all’interno delle grandi riviste politico-letterarie metteva seriamente in discussione l’idea che le donne trovassero sempre e indistintamente la propria collocazione congeniale ai margini del sistema letterario. Ma l’immagine di un’invasione di massa, improvvisa e incontrollabile, da parte delle donne nello spazio pubblico della scrittura alta - quale era quella prefigurata da Barbey d’Aurevilly e successivamente ripresa da Capuana - dimostrava di non avere molta aderenza con la realtà.

Non solo, com’è naturale, le scrittrici attive nel giornalismo d’élite della seconda metà dell’Ottocento erano molto diverse fra loro per estrazione sociale, visioni politiche, età, per il modo stesso in cui percepivano la propria attività giornalistica: sarebbe quindi difficile associarle all’immagine di un esercito compatto e omogeneo al suo interno, come invece spesso fu fatto dai contemporanei. Ma soprattutto, per quanto rilevante ai fini della nostra ricerca, in termini meramente quantitativi il peso delle scritture femminili era tutto

138 Jules Barbey d’Aurevilly, Du bas-bleuisme contemporain, in Les bas-bleus, cit., p. XIII. Il termine bas-

bleus era all’epoca largamente diffuso in Francia e veniva usato come sinonimo dispregiativo del più neutro

femme-auteur. Nell’introduzione della sua opera d’Aurevilly richiamò l’origine di questo termine, tradotto e importato dall’Inghilterra: « […] blue-stockings, ansi nommées, à Londres, du temps de Pope, pour dire des femmes qui, de preoccupation intellectuelle, en étaient arrivées à ne plus faire leur toilette et qui portaient des bas comme tous les cuistres d’Angleterre » (Ivi, p. XII). Da notare che il volume dedicato alle scrittrici era l’ultimo di una raccolta che si intitolava Les hommes et les œuvres au XIXe siècle: le bas-bleus vi rientravano in quanto non-donne.

139 Ivi, p. XII. 140 Ibidem.

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sommato marginale rispetto alla produzione giornalistica complessiva delle riviste, tanto in Italia quanto in Francia.

Raramente le donne arrivavano a scrivere più del 20% degli articoli delle riviste. In generale i loro contributi si assestavano anzi attorno al 7-10% in media degli articoli di ciascuna rivista, sebbene vi fossero picchi più alti in taluni casi. E’ certamente possibile rilevare nella lunga durata una tendenza verso l’incremento delle collaborazioni femminili, ma questa non fu così decisa e improvvisa come i due critici volevano sostenere. In termini assoluti il numero degli scritti di donne pubblicati dalle riviste era cresciuto nei decenni, ma solo nella “Rassegna Nazionale” e nella “Nouvelle Revue” era cresciuto anche il loro peso in rapporto a quella degli uomini, e nemmeno di molto. Nelle altre riviste italiane e francesi considerate era rimasto sostanzialmente stabile.

Almeno nel giornalismo di qualità, il pericolo che le donne stessero scalzando i loro colleghi dalla loro posizione di superiorità nel mondo delle lettere non sembrava essere più di tanto concreto, o quantomeno non sembrava imminente. Ci si potrebbe allora chiedere da dove derivasse questa percezione di minacciosità che i contemporanei avevano nei confronti delle donne scrittrici.

E’ ovviamente difficile stabilirlo con precisione, perché nella questione entravano in ballo vari fattori, molti dei quali esterni al mondo delle lettere. Senza esulare dalle problematiche specifiche di questa ricerca e volendo limitare lo sguardo al perimetro del giornalismo politico-letterario, mi pare opportuno tenere conto della condizione di particolare visibilità di cui godevano le scritture femminili all’interno delle riviste.

Sfogliando una qualunque delle sette testate italiane e francesi considerate, il lettore sensibile alle problematiche di genere ricava infatti una sensazione lievemente distorta della concreta presenza degli scritti femminili nelle riviste. Poiché gli interventi delle donne sono distribuiti con estrema regolarità nei fascicoli, quasi diluiti nel tempo, secondo un criterio che non sembra casuale ma pare sottendere un disegno complessivo da parte delle redazioni, ad una prima lettura essi appaiono molto più numerosi di quelli che in realtà sono.

Si prenda il caso della “Nuova Antologia”: i primi 66 articoli femminili furono collocati in modo che comparissero uno per volta, un fascicolo sì e uno no. Anche a partire dagli anni ’80, quando la rivista divenne quindicinale e iniziò ad avvalersi più spesso della collaborazione delle donne, questo criterio di distribuzione non fu messo da parte.

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Semplicemente diminuì la percentuale di fascicoli scritti esclusivamente da uomini. Anche allora però furono difficilmente pubblicati più di due articoli femminili nello stesso numero. Nei primi anni del Novecento gli abbonati della “Nuova Antologia” potevano ormai trovare almeno uno scritto femminile in più dei tre quarti dei numeri della rivista, cioè 5 o 6 articoli femminili al mese.

Figura 19 - Distribuzione degli articoli femminili nei fascicoli della "Nuova Antologia" (1866-1914)

Fonte: 21 - Indici della rivista

Anche le altre riviste considerate, sia italiane che francesi, seguivano la stessa logica redazionale nei confronti degli scritti femminili. Poco importava che il periodico in questione fosse più o meno aperto nei confronti delle donne: in tutti i casi considerati gli scritti femminili erano distribuiti in maniera regolare nel tempo, senza sovrapposizioni o lunghi periodi di assenza.

Si prenda la “Revue des deux Mondes”, la rivista con la minor percentuale di interventi femminili fra quelle considerate: per tutto l’arco di tempo considerato, senza variazioni di rilievo, qui la cadenza con la quale era possibile trovare un articolo scritto da una donna non era un fascicolo sì e uno no – come nel caso della “Nuova Antologia” o della “Revue de Paris” – e tanto meno tre fascicoli su quattro – come nella “Rassegna Nazionale” o nella “Nouvelle Revue” – : in genere compariva un articolo femminile ogni tre fascicoli della rivista, ma sempre in maniera particolarmente regolare.

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Figura 20 - Distribuzione degli scritti femminili nei fascicoli della “Revue des deux Mondes” (1877- 1909)

Fonte: 22 – Indici della rivista

Figura 21 - Distribuzione degli scritti femminili nei fascicoli della “Revue de Paris” (1894–1914)

Fonte: 23 – Indici della rivista

A grandi linee si potrebbe afferamare che se in un dato momento una rivista stava pubblicando a puntate un romanzo o un saggio scritto da una donna, si aspettava che questo fosse terminato prima di iniziare la pubblicazione di un altro scritto femminile, magari intervallando le due opere da un fascicolo o due della rivista privi di alcuna presenza femminile. Quando invece si trattava di racconti, novelle, recensioni o altri scritti brevi che occupavano al massimo un foglio di stampa e quindi potevano uscire in un solo numero della rivista, a maggior ragione non se ne pubblicavano due insieme, ma venivano organizzati in modo di farne uscire uno e poi l’altro a distanza di almeno 15

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giorni. Raramente si sovrapponeva la pubblicazione di due scritti femminili e quando questo avveniva era di solito perché le due opere erano profondamente distanti fra loro per tematica o genere letterario.

Un discorso a parte va invece fatto per le rubriche fisse gestite da donne, quali Libri e

riviste estere di Sabina Parravicino Ravel nella “Rassegna Nazionale”, la Rassegna

dell’istruzione femminile di Grazia Pierantoni Mancini nella “Rivista europea”, le Lettres

sur la politique extérieure di Juliette Adam nella “Nouvelle Revue” e le altre rubriche fisse di moda e vita mondana qui presenti. Trattandosi di appuntamenti fissi che si ripetevano da un numero all’altro della rivista, le rubriche erano estranee alla logica di distribuzione alla quale erano sottoposti tutti gli altri articoli femminili e comparivano, com’è ovvio, alla fine di ogni fascicolo. Il resto della produzione giornalistica femminile veniva quindi gestita autonomamente rispetto a questi, in modo molto simile a quanto avveniva nelle altre riviste considerate, cioè con il consueto ritmo di un articolo femminile ogni due o tre fascicoli della rivista. D’altra parte però la presenza di questa rubriche fisse aumentava di molto la probabilità di trovare in ogni fascicolo almeno un articolo firmato da una donna, se non di più.

Figura 22 - Distribuzione degli scritti femminili nei fascicoli della "Rassegna Nazionale" (1879-1913)

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Figura 23 - Distribuzione degli scritti femminili nei fascicoli della “Rivista europea” (1869-1876) e della “Revue internationale” (1883-1890)

Fonte: 25 – Indici delle riviste

Figura 24 - Distribuzione degli scritti femminili nei fascicoli della “Nouvelle Revue” (1879-1899)

Fonte: 26 – Indici della rivista

Per quanto riconoscibile a posteriori, non mi è tuttavia stato possibile rinvenire nessuna testimonianza diretta che confermi l’esistenza di una strategia veramente consapevole da parte delle direzioni circa la distribuzione degli scritti femminili nei fascicoli delle riviste. La regolarità con la quale questi furono pubblicati dalle testate nel corso del tempo sembrava però essere espressione di una strategia molto simile a quella che soggiaceva ad altre scelte redazionali di cui si trova invece conferma esplicita nelle corrispondenze dell’epoca.

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Era ad esempio una preoccupazione frequente, tanto da parte delle riviste quanto da parte degli scrittori stessi, quella di non concentrare troppo gli scritti di un medesimo autore sulle pagine della stessa rivista.

Thérèse Blanc, la collaboratrice della “Revue des deux Mondes” che firmava con lo pseudonimo di Th. Bentzon, scrisse più volte al direttore Ferdinand Brunetière chiedendo il suo parere sulla gestione delle proprie opere nella rivista, come in questa occasione:

Ne pensez-vous pas qu’ayant laissé la Revue oublier mes romans plusieures années de suite, je pourrais sans risque d’ennuyer, paraître plusieures fois cette année ? […] Au cas où vous trouveriez que c’est trop de moi, vous voudriez bien, comme vous me l’avez promis, offrir ce qui ne vous plaît pas, soit à la Revue Bleue soit au Débats on disant que je suis absente et que prenez la peine de vous occuper ainsi de mes affaires.141

Dal momento che negli ultimi tempi aveva pubblicato soprattutto scritti di viaggi e critiche letterarie, le sembrava di potere aumentare ulteriormente il ritmo della propria collaborazione con la “Revue des deux Mondes” dedicandosi alla scrittura creativa: diversificando i generi letterari, avrebbe evitato di “annoiare i lettori” con una presenza eccessiva nella rivista.

Allo stesso modo Emilia Ferretti, vicedirettrice e principale collaboratrice della “Nuova Antologia” negli anni ’70, chiedeva a Francesco Protonotari se non aveva ancora pubblicato il suo articolo su Merimée perché lo trovava brutto o piuttosto perché erano già apparsi troppi scritti firmati da lei negli ultimi tempi. Fosse stato questo il problema, sarebbe stata anche disposta a pubblicarlo anonimamente o col proprio nome, dato che i lettori la conoscevano con lo pseudonimo di Emma:

Mi è sorto il dubbio che il mio povero articolo sul Mérimée abbia surrogato la fiaba dell’Imbriani142 sugli scaffali della N. Antologia. Sarebbe vero? La prego anche se vero fosse, avendo ora cose più nuove, di relegarlo fra le Notizie letterarie e se lo deve pubblicare contemporaneamente ad altri miei lavori farà benissimo come Ella creda a

141 BNF, N.a.Fr. 25032, ff. 112-114, lettera di Thérèse Blanc a Ferdinand Brunetière, s.l., s.d.

142 Il riferimento è al racconto Mastr’Impicca. scritto da Vittorio Imbriani per la “Nuova Antologia” nel 1874. Il direttore della rivista e Emilia Ferretti lo ritenevano particolarmente brutto, ma non si sentivano di rifiutarlo tout-court sia per l’autorevolezza dell’anziano autore, sia perché la rivista l’aveva già pagato in anticipo. Fu oggetto di una divertente corrispondenza fra i due, sulla quale tornerò anche in seguito.

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pubblicarlo senza nome o con un’iniziale. Non vorrà abusare dei pseudonimi e forse sarebbe il caso, per non far capire che lo scritto è mio, di pubblicarlo col mio vero nome.143

Preoccupazioni simili riguardavano anche i generi letterari e le tematiche trattate dalle riviste. Una diversificazione continua doveva essere assicurata sia all’interno di ogni singolo fascicolo – con la trattazione di più soggetti e la commistione di più generi letterari in uno stesso numero – sia tra un fascicolo e l’altro: tutto questo ovviamente per venire incontro ai gusti e agli interessi di un pubblico estremamente ramificato al suo interno.

Così, in un’altra lettera indirizzata a Ferdinand Brunetière, Thérèse Blanc cercava di capire le intenzioni del direttore:

Je me demande maintenant si vous ne trouverez pas que deux articles successifs sur l’Amérique feront trop d’Amérique, si je ne serai pas répétée plus tard encore. 144

La diluizione degli scritti femminili nel tempo sembrava corrispondere a questo stesso ordine di preoccupazioni, come se gli articoli scritti dalle donne fossero percepiti come un insieme unitario al suo interno, e per questo motivo si sentisse la necessità di distanziarli fra loro nei fascicoli, esattamente come non si sarebbero potuti trovare in un singolo numero delle riviste due articoli dello stesso autore o trattanti lo stesso argomento.

143 BNCF, CV 132, f. 100, lettera di Emilia Ferretti a Francesco Protonotari, Firenze, 15 maggio 1874. 144 BNF, N.a.Fr. 25032, ff. 182-183, lettera di Thérèse Blanc a Ferdinand Brunetière, s.l., s.d.

CAPITOLO III