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Italia e Francia a confronto Elementi per una comparazione

Uno ‘spazio alto’ della cultura media

1800-1820 1821-1830 1831-1840 1841-1850 1851-1860 Regno di Sardegna 1 1 2

4. Italia e Francia a confronto Elementi per una comparazione

Le donne che proposero la propria collaborazione a queste riviste si trovarono ad agire in due contesti nazionali profondamente distanti fra loro. A dividerli non erano solamente la diversa espansione del pubblico, l’esistenza di una più o meno solida tradizione giornalistica nazionale in questo campo, ma anche una diversa strutturazione della produzione editoriale.

Il giornalismo politico-letterario francese aveva un centro – Parigi – che ormai da tempo era non solamente il ‘pôle écrasant’ – per dirla con Christophe Charle -72 del processo di centralizzazione della nazione, ma anche un vero core della cultura europea:73 sempre più luogo di attrazione dei letterati, degli artisti, dei pittori francesi e stranieri che qui venivano a formarsi, a cogliere le nuove tendenze culturali e a tentare il successo.74 Da qui partiva l’irraggiamento della cultura francese a livello nazionale e internazionale75 e le grandi riviste della Terza repubblica, quasi tutte radicate nella capitale ma lette da un pubblico a forte componente provinciale e internazionale,76 rappresentavano alcuni dei vettori principali di questa diffusione della cultura parigina. Il clima che si respirava nella Parigi degli ultimi decenni del secolo – tanto nei luoghi della bohème, quanto in quelli

72 L’espressione è stata coniata in riferimento alla centralizzazione del modello universitario francese in opposizione ad altri contesti europei, in particolare al modello policentrico tedesco. (Cfr. Christophe Charle,

La République des universitaires. 1870-1940, Seuil, Paris 1994; Ilaria Porciani (a cura di), L’università tra

Otto e Novecento: i modelli europei e il caso italiano, Jovene, Napoli 1994, in particolare il saggio di Pierangelo Schiera, Modelli di università nell’Ottocento europeo: problemi di scienza e potere, pp. 3-34). La definizione è poi stata ripresa in varie occasioni, sia all’interno di riflessioni riguardanti la storia delle università, sia in rapporto al processo di centralizzazione della cultura francese nella sua accezione più ampia, ad esempio anche in rapporto alla diffusione dei modelli di comportamento borghesi dalla capitale alla provincia. Per un’analisi del ruolo di Parigi-capitale rispetto ad altre esperienze europee cfr. Christophe Charle e Daniel Roche (a cura di), Capitales culturelles, capitales symboliques. Paris et les

expériences européennes XVIIIe-XXe siècles, Publications de la Sorbonne, Paris 2002.

73 Ho preso in prestito l’espressione da Franco Moretti, Atlante del romanzo europeo, Einaudi, Torino 1997. Il libro è un suggestivo viaggio nella cultura europea del XIX secolo, dove il ruolo di Parigi capitale della cultura internazionale è messo molto bene in luce non solo nella sua dimensione simbolica, ma anche in rapporto ai flussi concreti della diffusione del libro francese a livello europeo.

74 Com’è noto, il fenomeno non riguardava solo il mondo delle lettere, ma anche quello delle arti, dello spettacolo e sempre più anche quello della tecnologia e delle arti applicate. Per questi aspetti cfr. Christophe Prochasson, Paris 1900. Essai d’histoire culturelle, Calmann-Lévy, Paris 1999.

75 Su Parigi capitale della cultura europea cfr. Christophe Charle (a cura di), Capitales européennes et

rayonnement culturel, XVIIIe-XXe siècle, Editions Rue d'Ulm, Paris 2004.

76 Sulla composizione sociale del pubblico delle riviste francesi cfr. Thomas Loué, Un modèle matriciel, cit. e Revues et élites au XIXe siècle, in Jean-Michel Boehler, Christine Lebeau e Bernard Vogler (a cura di),

Les Elites régionales (XVIIe-XXe siècles). Construction de soi-même et service de l’autre, Presses Universitaires de Strasbourg, 2002.

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della rive gauche borghese, dove avevano sede le riviste politico-letterarie più prestigiose77 – è stato descritto dai contemporanei come un’atmosfera di volta in volta affascinante, opprimente, dispersiva, fertile di idee o foriera di tragedie individuali e collettive. Ma comunque esso venisse percepito, l’ambiente intellettuale che accoglieva le donne che entravano nel giornalismo politico-letterario francese negli ultimi decenni del secolo era sicuramente diverso da quello in cui si trovavano ad agire le loro colleghe italiane.

In primo luogo l’Italia si trovava in una posizione culturalmente periferica rispetto alla Francia. Da questa condizione non si sottrasse nemmeno sul finire del secolo, quando crebbe l’interesse internazionale nei confronti dei prodotti culturali della penisola grazie a quel fenomeno che i contemporanei definirono ‘Renaissance latine’78 e che di recente è tornato ad essere l’oggetto di alcune interessanti ricerche.79 In questo senso la mia è una comparazione del tutto asimmetrica: una storia incrociata80 fra due realtà che dialogavano

77 Christophe Charle ha descritto molto bene la geografia della produzione giornalistica e letteraria all’interno del perimetro della capitale francese. In un bel passo della sua Paris fin de siècle ha spiegato come la polarizzazione della produzione editoriale sui due assi del consumo e della qualità si riproducesse anche in una concreta organizzazione geografica dei luoghi della produzione editoriale. Negli

arrondissements del Nord si collocavano i grandi giornali, le case editrici e la stampa di larga diffusione, non a caso situati vicino ai quartieri dei teatri e ai luoghi della mondanità parigina; nel Quartiere Latino si situava invece l’universo delle avanguardie e delle piccole riviste letterarie. Per quanto riguarda le riviste politico-letterarie invece, « certaines sont attirées par le secteur des journaux. Ce sont les plus récentes, celles qui visent un public large : ainsi la Revue des revues, fondée en 1890, avenue de l’Opéra, ou les

Annales politiques et littéraires, fondées en 1883, rue Saint-Georges. En revanche, les plus littéraires, les plus prestigieuses et les plus anciennes restent fidèles à la proximité du pôle intellectuel, sur la rive gauche, mais dans sa partie bourgeoise : la Revue des deux mondes, fondée en 1829, est établie rue de l’Université ; la Revue Bleue (1863), rue des Saints-Pères ; la Nouvelle Revue (1879), 26, rue Racine ». Cfr. Christophe Charle, Paris fin de siècle. Culture et politique, Seuil, Paris 1998, p. 71.

78 L’espressione fu introdotta da Eugène-Melchior de Vogüé, critico letterario della “Revue des deux Mondes” in un articolo che celebrava l’opera di Gabriele d’Annunzio (La renaissance latine. Gabriel

d’Annunzio : poèmes et romans, in “Revue des deux Mondes”, 1 gennaio 1895). Fu poi ripresa e generalizzata dai critici della « Revue », in particolare dal curatore della rubrica dedicata alla letteratura italiana Téodor de Wyzewa, e presto assunse anche il significato di ‘risveglio cattolico’ in relazione all’equazione ‘renaissance latine’/’renaissance de l’idéalisme’. Per questi aspetti cfr. Mangoni, Una crisi di

fine secolo, cit., pp. 62 e ss. Nel 1902 fu fondata una rivista dal titolo “Renaissance latine” dove, fra gli altri, avrebbe mosso i suoi primi passi come critico letterario Filippo Marinetti. Cfr. Luca Somigli, Mirror

of Modernity, Marinetti’s early Critism between Decadence and “Renaissance Latine”, in “Romanic Review”, maggio 2006, pp. 101-110.

79 Della ‘Renaissance latine’ si è occupato Blaise Wilfert, che all’ENS è titolare di un seminario intitolato proprio “La Renaissance latine. Littérature, culture et politique internazionale au temps des sociétés impériales”. Su questi temi, in particolare sul ruolo delle riviste politico-letterarie come motori di diffusione di questo rinnovato interesse nei confronti delle letterature dell’Europa del Sud cfr. Blaise Wilfert e Thomas Loué, D’Annunzio à l’usage des Français : la traduction comme censure informelle (fin XIXe siècle), in « Ethnologie française », n. 1, 2006.

80 Gli approcci alla comparazione in termini di ‘sguardi incrociati’ o ‘histoires croisées’ sono da alcuni anni al centro della riflessione storiografica. Per un bilancio delle opportunità offerte da questo interessante

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intensamente fra loro, ma che si trovavano in posizioni estremamente diverse in rapporto alla cultura europea.

Tale sbilanciamento appare evidente a chi le osserva oggi a posteriori, ma era percepito molto lucidamente anche dai contemporanei. Non è infatti un caso che i modelli del giornalismo italiano postunitario, soprattutto quelli rivolti agli strati più colti del pubblico, provenissero proprio d’oltralpe:81 era un segno tangibile di quel filofrancesismo politico e culturale di tutta una parte dell’ élite italiana che Luisa Mangoni ha descritto molto bene nei suoi studi e di cui è possibile riconoscere una dimostrazione particolarmente eloquente in una proposta fatta nel 1884 da Angelo De Gubernatis all’amica Juliette Adam. Una volta fondata la “Revue internationale”, egli propose alla direttrice della “Nouvelle Revue” di fondere insieme le due testate per crearne una terza ancora più diffusa e stimata a livello europeo.82 Di fronte al rifiuto della sua omologa, che con lui condivideva un orientamento politico progressista ma di certo non il suo pacifismo cosmopolita, De Gubernatis, sommerso dai debiti, fu costretto a fondere la sua testata con un’altra rivista italiana di minor fama e diffusione. Il fatto però che in prima istanza egli si fosse rivolto proprio a lei, era significativo del modo in cui tutta una parte dell’intellettualità italiana, fiorentina in particolare modo, guardava alla cultura francese.83

metodo d’indagine cfr. per tutti Michael Werner e Bénédicte Zimmermann, De la comparaison à l’histoire

croisée, numero monografico di “Le genre humain”, aprile 2004.

81 In realtà il meccanismo di transfert di modelli giornalistici dalla Francia all’Italia era già attivo da tempo (Cfr. ad esempio Silvia Franchini, Editori, lettrici e stampa di moda, cit., per il caso della stampa femminile di moda). Nel periodo postunitario si assistette piuttosto a una nuova ondata, che coinvolse non solamente il segmento delle riviste politico-letterarie, ma il giornalismo rivolto ai ceti medi nel suo complesso. Uno dei casi più eclatanti in questo senso è probabilmente quello dell’”Illustrazione italiana” di Treves, che sia nel titolo che nella struttura imitava in maniera piuttosto fedele l’”Illustration” francese. Sui legami fra l’élite intellettuale lombarda e la Francia cfr., oltre ai lavori di Luisa Mangoni, anche Laura Barile, Elite e

divulgazione nell’editoria italiana dall’Unità al Fascismo, Clueb, Bologna 1991, che prende in considerazione il caso dell’”Illustrazione italiana”.

82 La risposta di Juliette Adam fu risolutamente negativa: “Nulle mieux que moi n’est à même de savoir quelle somme de travail il faut pour créer un organe important comme une revue. J’ai suivi la votre, et lu chacun des numéros. Elle est intéressante, bien faite, et ses abonnées doivent lui rester fidèles, mais le projet que vous avez d’une association, d’une fusion de deux revues, de la votre et de la mienne – est impossible. » (BNCF, DE GUB, 1, 22c, Lettera di Juliette Adam a Angelo De Gubernatis, Abbaye du Val de Gyf, 26 settembre 1884).

83 Mi trovo quindi in disaccordo con la lettura, troppo generalizzata, fatta da Paolo Viola e Michele Battini,

La Francia vista dall’Italia: appunti per una discussione, in Agostino Giovagnoli e Giorgio Del Zanna, Il

mondo visto dall’Italia, Guerini, Milano 2004, che dalla III guerra di indipendenza in poi, dopo lo schiaffo di Tunisi in particolare modo, descrivono l’atteggiamento degli intellettuali italiani nei confronti della Francia solo in termini di odio (un paragrafo del capitolo si intitola appunto Seconda fase. Dal

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Né è era privo di significato il fatto che una quindicina di anni dopo Maggiorino Ferraris, direttore della “Nuova Antologia”, decidesse di inviare prima a Parigi e poi a Londra il giovane che lui aveva designato come futuro vice-direttore della testata: era qui che Giovanni Cena avrebbe dovuto completare la sua formazione prima di entrare a fare parte stabilmente della redazione, contribuendo così a innestare anche in Italia le tendenze culturali e politiche più innovative della cultura europea.84

In secondo luogo, in Italia non esisteva un centro della produzione giornalistica paragonabile a Parigi per la cultura francese.85 E’ vero che per un certo periodo – almeno per i primi due decenni postunitari - Firenze fu in qualche modo la capitale della stampa politico-culturale italiana di alto livello. Mentre Milano andava sempre più specializzandosi nella produzione dei generi giornalistici legati alla modernità e ai gusti del nuovo pubblico borghese,86 Firenze - centro di un’industria editoriale tecnicamente meno avanzata rispetto a quella lombarda, ma anche città cosmopolita e per un breve periodo capitale del Regno - sembrò emergere come il fulcro della produzione dei generi giornalistici legati al ‘riconoscimento’87 e ora finalizzati alla creazione di uno spazio veramente nazionale della cultura. “Alla non piena autorità per adunare intorno a noi gli scrittori italiani, supplirà in parte l’essere in questi giorni Firenze città capitale della

84 Giovanni Cena sarebbe divenuto capo-redattore della “Nuova Antologia” nel 1902. Fu lo stesso Cena a spiegare ai suoi corrispondenti che questi viaggi erano in tutto e per tutto finalizzati alla propria formazione intellettuale come collaboratore della rivista. Ad esempio da Parigi scrisse alla sorella: “E’ stato qui il direttore della Nuova Antologia il quale avrebbe desiderio ch’io andassi l’anno prossimo a Londra, studiassi l’inglese, poi andassi nel 1901 a Roma come vide-direttore della rivista.[…] La mia venuta a Parigi mi è stata utilissima, primo perché mi ha allargato le idee, ed è stato per me uno studio che non avrei potuto fare altrimenti se non in diversi anni, secondo perché mi ha fatto conoscere in Francia, mi ha procurato amicizie preziose e conoscenze autorevoli; infine perché mi ha dato modo di farmi valere presso l’On. Ferraris, che è diventato un mio grande amico, sicché ora per mezzo suo comincio a veder chiaro nell’avvenire e a sapere quel che farò”. (Giovanni Cena, Lettere scelte, L’impronta, Torino 1929) Su queste vicende cfr. anche Maggiorino Ferraris, Nel X anniversario della morte di Giovanni Cena, in “Nuova Antologia” n. 334, 1927. 85 Valerio Castronovo parla giustamente di un “carattere regionale” della stampa italiana, nonostante le velleità nazionali di alcune testate. Cfr. La stampa italiana dall’Unità al Fascismo, cit., pp. 12 e ss. Si veda inoltre il saggio di Alberto Asor Rosa, Centralismo e policentrismo nella letteratura italiana unitaria, in idem (a cura di), Letteratura italiana. Storia e geografia. III. L’età contemporanea, Einaudi, Torino 1989, pp. 5-74.

86 La specializzazione di Milano nei generi più legati alla modernità e ai gusti di un nuovo pubblico borghese aveva radici nel tempo. Cfr. il classico Marino Berengo, Intellettuali e librai nella Milano della

Restaurazione, Einaudi, Torino 1980 e il recente Gianluca Albergoni, I mestieri delle lettere tra istituzioni e

mercato, cit.

87 La definizione è di Giovanni Ragone. Nella sua bella analisi sull’editoria italiana dell’800 l’autore indica con l’espressione ‘generi del riconoscimento’ tutti quei generi letterari e giornalistici il cui pubblico poteva identificarsi col ceto intellettuale e sociale produttore di quei testi. Individua anche un asse tosco- piemontese a cui questi generi farebbero più immediato riferimento, in opposizione a un polo milanese del consumo e della modernità. Cfr. Giovanni Ragone, Un secolo di libri, cit., pp. 12-24.

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penisola”,88 aveva scritto Francesco Protonotari nella dichiarazione di intenti contenuta nel primo numero della “Nuova Antologia”. Anche dopo il trasferimento della capitale a Roma, qui furono fondate alcune delle più prestigiose riviste politico-culturali della penisola, come la “Rassegna Nazionale” del Marchese da Passano nel 1879 e la già citata “Revue internationale” nel 1883. Così Angelo De Gubernatis avrebbe spiegato i motivi che rendevano Firenze più adatta di Roma come luogo da cui lanciare il suo progetto pacifista e cosmopolita:

L’Italie et la ville de Florence en particulier ont, depuis bien longtemps, une mission de paix et de civilisation dans le monde. C’est à ce foyer de lumière, d’où sont déjà parties des étincelles ; c’est à cette ville de délices que j’habite moi-même depuis vingt ans ; c’est à ce port de paix, où non pas seulement les étrangers, mais tous les Italiens intelligents, passionnés par les arts, viennent demander une espèce de baptême idéal, que la Revue Internationale prendra son essor pour aller verser le baume de la lumière bienfaisante où elle arrivera et où l’on voudra l’accueillir. 89

E’ questa è la ragione per cui, pur non avendo inizialmente considerato la localizzazione geografica fra i miei criteri di selezione, ho infine basato la mia ricerca sull’ analisi di un campione di riviste tutte fiorentine, almeno di nascita.

Allo stesso tempo, però, altre città concorrevano a sottrarre a Firenze il ruolo di capitale del giornalismo politico-letterario italiano: Milano90 e Torino in un primo momento e poi, soprattutto a partire dagli anni ’90, anche Roma91 (vedi Figura 4). La distribuzione geografica delle riviste italiane era indicativa delle forti spinte centripete che pervadevano la cultura italiana.

Non vi è forse una sola città d’Italia – valutava Angelo De Gubernatis nel 1888 - dove le lettere, propriamente dette, prosperino assai più che in un’altra; in ciascuna delle nostre regioni fioriscono atenei scientifici od accademie, focolari di studii, laboratorii continui del pensiero italiano; manca tuttavia a questo lavoro isolato un nesso che lo ricongiunga col rimanente moto intellettuale italiano,

88 Francesco Protonotari, La Nuova Antologia, in “Nuova Antologia”, n. 1, 1866, p. 6. 89 Angelo De Gubernatis, Un mot avant de se mettre en route, cit. p. 9.

90 Si veda Giovanna Rosa, Il mito della capitale morale. Letteratura e pubblicistica a Milano tra Otto e

Novecento, Edizioni di Comunità, Milano 1982.Per uno sguardo sulla lunga durata si veda anche Francesco Bartolini, Rivali d’Italia. Roma e Milano dal Settecento a oggi, Laterza, Roma-Bari 2006.

91 Su Roma capitale culturale della nuova Italia cfr. in particolare Alberto Asor Rosa, La cultura, in Storia

d’Italia. IV. Dall’Unità a oggi, Einaudi, Torino 1975, pp. 822-1664 e Olga Majolo Molinari, La stampa

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e, finché tutta la vita delle intelligenze d’Italia non cospiri insieme ad un altro segno ideale, noi non avremo una vera grande coltura nazionale.92

Figura 4– Geografia della produzione delle riviste politico-letterarie italiane 1800-1910

Fonte: 6 - Adriana Martinoli, Periodici dei secoli XVIII e XIX, CUBI, Catalogo nazionale dei periodici,

Annuario della stampa italiana

Ma il progressivo spostamento dei luoghi di produzione della cultura ‘alta’ verso i centri del potere politico era nondimeno significativo della funzione anche simbolica che le élites politiche e culturali italiane assegnavano a queste grandi riviste come vettori di nazionalizzazione della cultura. “A questo difetto d’ispirazione sovrana della vita intellettuale degli Italiani, quale potrebbe dunque essere il rimedio?” chiedeva Angelo De Gubernatis sempre nella sua presentazione della “Rivista contemporanea”.

Forse può giovare la stampa previdente, la quale raccolga da ogni angolo d’Italia le voci che manda il popolo incerto e vago degli scrittori; che si faccia una ragione de’ nostri bisogni intellettuali, e, a volte, ecciti i neghittosi, accresca coraggio ai timidi, infiammi, scuota, diriga a buon segno i volenterosi, ma dispersi e smarriti naviganti nel mare magno delle lettere; che

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impedisca i troppo facili traviamenti, corregga i falsi entusiasmi, combatta i corruttori perversi, educhi e disciplini gli ingegni alla vita forte, buona e civile della nuova Italia.93

Anche sotto questo punto di vista era inoltre possibile attestare la sostanziale coincidenza di valori e prospettive fra i produttori delle riviste, il loro pubblico e i gruppi dirigenziali dello stato liberale.

Sotto altri aspetti, tuttavia, nel giornalismo politico-letterario delle due nazioni sembravano riproporsi gli stessi problemi e le stesse tendenze. In entrambi i paesi, dagli anni ’70 in poi, furono fondate nuove riviste94 con un chiaro e inedito intento pedagogico e politico; quelle già esistenti accentuarono le istanze educative che anche prima potevano comunque essere rintracciate in questo tipo di pubblicazioni, sebbene fossero meno evidenti ed esplicite. Si faceva avanti l’idea – espressa in maniera particolarmente esplicita da De Gubernatis nel passo appena citato - che il giornalismo élitario politico- culturale dovesse farsi carico di educare la nazione e in questo senso fosse chiamato a una missione di alto valore patriottico.

Quest’opera non doveva attuarsi attraverso un’azione diretta e pedissequa nei confronti dei propri lettori, meccanismo che era invece palese nel caso dei periodici di carattere più divulgativo come i giornali femminili o per famiglie: le riviste politico-letterarie aspiravano ad agire in una maniera più sottile, cercando cioè di spostare verso l’alto il livello complessivo della produzione letteraria nazionale e offrendo modelli, spazi di discussione e confronto per le élites incaricate di guidare il rinnovamento culturale - e di riflesso sociale – del nuovo corso politico. E’ chiaro che il meccanismo di reciproco riconoscimento e appartenenza fra i produttori e i fruitori delle riviste, così come la logica di distinzione operata dalle riviste nei confronti degli altri settori giornalistici e delle vaste porzioni di pubblico che a loro non avevano accesso, assumevano un’importanza notevole