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Le collaboratrici delle riviste Una descrizione statistica

1. Contare gli scritti femminil

Una prima ricognizione, fatta a partire dal censimento di tutti gli articoli pubblicati da donne nelle sette testate considerate, consentirà di seguire l’andamento della produzione giornalistica femminile all’interno di ciascuna rivista e quindi procedere a una comparazione generale del fenomeno. Essa terrà conto di tre aspetti principali: la presenza e la visibilità degli articoli nelle singole testate, le divergenze a livello nazionale e infine il peso delle scritture femminili in rapporto alla produzione letteraria complessiva delle riviste.

L’analisi dei generi letterari in cui si cimentarono le collaboratrici delle riviste e le esperienze personali delle singole scrittrici saranno invece affrontate in modo sistematico solo nei prossimi capitoli. Ancora prima di soffermarmi sulla morfologia interna della collaborazione femminile e analizzare da vicino le strategie messe in atto dalle donne per gestire la propria attività, è opportuno registrare i confini complessivi di un fenomeno finora oggetto di una narrazione che, affondando le radici nella percezione che i contemporanei ebbero dell’ingresso delle donne nella sfera pubblica della scrittura, ha contribuito a perpetuare un’immagine distorta della realtà. Come ha osservato Monique de Saint Martin nel suo articolo sulle scrittrici francesi della Terza repubblica:

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Selon la perspective qu’on adopte, on dresse des tableaux ou des inventaires de l’activité littéraire qui paraissent ne pas se référer à la même époque ou à la même situation. Les uns présentent un champ littéraire traversé par des crises, mais en expansion, exclusivement masculin, où les femmes n’apparaissent de fait que si elles tiennent un salon ou lancent une revue ; les autres évoquent avec insistance l’accès en grand nombre des femmes à l’activité littéraire, mais font comme si les femmes écrivains constituaient des êtres à part, qui écrivent certes, mais dont on ne sait pas exactement où elles se situent. 1

Proverò quindi a dimostrare l’infondatezza della visione dello spazio pubblico della scrittura ‘alta’ di fine Ottocento come uno spazio esclusivamente maschile. Le centinaia di articoli pubblicati da donne sono la prova che la loro presenza in questo contesto letterario e giornalistico non era né marginale né evenemenziale, ma di fatto integrata all’interno del sistema. Le sfera di azione delle donne non si limitò all’influenza che queste potevano esercitare dal loro tradizionale ruolo di salonnières – che pure fu importante – ma vi fu anche un intervento diretto da parte loro nella produzione culturale di alto livello.

Tanto più che, come si vedrà più precisamente nel prossimo capitolo, per molte scrittrici la partecipazione alle riviste politico-letterarie non rappresentò un traguardo raggiunto alla fine di una carriera iniziata nell’ambito della letteratura di più bassa levatura, ma al contrario la maggior parte di loro iniziò a scrivere direttamente per questo genere di riviste – saltando cioè il passaggio della letteratura per così dire ‘minore’ - continuando a svolgere la propria attività senza mai uscire, o quasi, dai confini del giornalismo d’élite. Da un punto di vista generale, è possibile affermare che in Italia la storiografia è stata in genere a lungo restia ad affrontare il fenomeno della produzione intellettuale da una prospettiva quantitativa. E’ in effetti rimasta centrale la questione dell’eccezionalità dell’intellettuale come oggetto di studio: in quanto mente originale, ciascun intellettuale non può essere assimilato a nessun altro e va studiato come un fenomeno isolato.

Come ha recentemente osservato Gianluca Albergoni nel suo bel libro sul mondo delle lettere milanese durante la Restaurazione,2 lo scetticismo degli storici italiani nei confronti del metodo quantitativo di indagine è da una parte frutto del progressivo abbandono dell’impostazione durkheimiana della ricerca storica, che si era rivelata

1 Monique de Saint Martin, Les “femmes écrivains” et le champ littéraire, in Masculin/féminin, “Actes de la recherche en sciences sociales” n. 83, giugno 1990, p. 52-56.

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inadatta a descrivere realtà difficilmente incasellabili in questa o quella categoria di casi; dall’altra nasce dalla mancata penetrazione in Italia della sociologia storica proposta da Bourdieu.3 In questo senso è stata probabilmente determinante la difficoltà di applicare alla penisola, dove più che altrove il processo di professionalizzazione del mestiere di scrittore rimase a lungo incompiuto,4 un modello analitico che prendesse in considerazione gli intellettuali come gruppo sociale e professionale dotato di una identità comune.5 E’ chiaro che il contesto e la periodizzazione della mia ricerca sono diversi da quelli che interessavano il sociologo francese: un’applicazione ortodossa del modello bourdiesiano sarebbe perciò del tutto sterile e fuorviante. Ma sotto molti aspetti considerare in termini di ‘campo letterario’ lo spazio in cui le scrittrici si trovarono ad agire permette di riconoscere la loro posizione in rapporto ai luoghi della consacrazione letteraria, in rapporto ai dibattiti, ai meccanismi interni al sistema in cui esse agivano. La storiografia di genere è stata poi forse ancora più scettica a studiare la storia delle scritture femminili da un punto di vista quantitativo. A lungo infatti si è conservata la convinzione che le donne, soggetti marginali o addirittura marginalizzati della produzione culturale, fossero riuscite a entrare nello spazio pubblico della scrittura in numero talmente esiguo da non poter essere considerato da una tale prospettiva.

Questa idea è stata poi sistematicamente smentita da indagini più approfondite. Per quanto riguarda l’Italia dell’ultimo quarto del secolo, Antonia Arslan, e insieme a lei altre storiche della letteratura, hanno più volte insistito sull’esistenza “di una ‘infinita schiera di novellatrici’ e di intellettuali, di giornaliste, poetesse, educatrici, scrittrici per l’infanzia, che costituiscono quella galassia sommersa dai contorni incerti e un po’ ambigui ma dall’indubbio spessore quantitativo che era percepita dai contemporanei

3 La teoria di Pierre Bourdieu sul campo letterario è stata elaborata in una serie di articoli apparsi dagli anni ’60 e ’70 in poi. Queste riflessioni sono poi compiutamente confluite nelle due opere principali dell’autore:

Les règles de l’art. cit.

4 Sul processo di professionalizzazione degli scrittori italiani cfr. Antonia Acciani, Dalla rendita al lavoro, in Alberto Asor Rosa (a cura di), Letteratura italiana. Produzione e consumo, Einaudi, Torino 1983, pp. 413-448.

5 I limiti e la rigidità del modello bourdiesiano - difficilmente applicabile a contesti nazionali diversi da quello francese - sono già stati discussi da tempo. Cfr. in particolare l’articolo di Alain Viala e Denis Saint- Jacques, A propos du champ littéraire. Histoire, géographie, histoire littéraire, in “Annales. Histoire, sciences sociale”, anno XLIV, n. 2, pp. 395-406. Cfr. inoltre l’Introduzione di Giancluca Albergoni, I

mestieri delle lettere, cit., dove si discute il problema dell’applicabilità del modello bourdiesiano al contesto italiano e a un momento storico antecedente quello preso in considerazione dal sociologo francese. Sulla questione della pluralità di momenti e modi in cui si è manifestato nel corso della storia il processo di autonomizzazione del campo letterario cfr. Gisèle Sapiro, La guerre des écrivains, 1940-1953, Fayard, Paris 1999.

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come uno dei fenomeni più importanti dell’Italia umbertina”.6 Più che descrivere questa realtà in termini quantitativi, queste studiose hanno però messo a fuoco soprattutto l’esperienza personale delle singole scrittrici.

Altre volte – penso ad esempio al caso delle donne che scrissero di storia durante il Risorgimento o i primi decenni postunitari – si è insistito sul carattere di eccezionalità, oltre che delle protagoniste, anche di un particolare momento storico che sembrava avere tutte le caratteristiche della traumaticità indicata da Bonnie Smith7 come esperienza centrale della narrazione storica femminile.8 Mi sembra insomma che non sia ancora stata abbandonata del tutto l’idea che queste scrittrici, benché numerose, debbano comunque essere considerate in termini di pionierismo: in termini cioè di eccezioni rispetto a un sistema culturale che nel suo complesso tendeva a escluderle dai propri meccanismi o confinarle nei suoi settori marginali.

Anche gli studi che negli ultimi anni si sono occupati dell’esperienza femminile nel contesto della stampa periodica, pur sottolineando la vastità di opportunità offerte dalla nascita e dallo sviluppo di un’industria editoriale sempre più di massa, aprendo così piste

6 La citazione è tratta da Antonia Arslan, Ideologia e auto rappresentazione. Donne intellettuali fra

Ottocento e Novecento, in Annarita Buttafuco e Marina Zancan (a cura di), Svelamento, cit., p. 164. Della stessa autrice, oltre ai numerosi lavori dedicati a Neera e altre singole scrittrici che richiamerò nel corso del capitolo, cfr. Scrittrici e giornaliste lombarde tra Otto e Novecento, in Ada Gigli Marchetti e Nanda Torcellan (a cura di), Donna lombarda 1860-1945, Angeli, Milano 1992, pp. 249-264, e Dame, galline e

regine, cit. I lavori di Arslan hanno inaugurato un fecondo filone di indagine sulla scrittura femminile italiana dell’età liberale, attivo soprattutto in ambito letterario e con particolare riferimento all’area lombarda. Cfr. i lavori di Anna Folli, per tutti Penne leggere, cit., e di Anna Maria Crispino (a cura di),

Oltrecanone, per una cartografia della scrittura femminile, Manifestolibri, Roma 1999. Le recenti storie della scrittura femminile italiana promosse in ambito anglosassone sono fortemente debitrici di questo filone di indagine. Cfr. in particolare Sharon Wood, Italian Women’s Writing 1860-1994, Athlone, Londra 1995 e Letizia Panizza e Sharon Wood (a cura di), A History of Women’s Writing in Italy, Cambridge University Press, 2000. Sempre in questo ambito si inseriscono anche alcune antologie dedicate alle scrittrici ‘riscoperte’ dal filone di studi sulla scrittura femminile tra Otto e Novecento: tutte volte a promuovere la piena integrazione di queste ‘voci’ femminili nella storia letteraria nazionale, come: Antonio Illiano, Invito al romanzo d’autrice ‘800 e ‘900, da Luisa Saredo a Laudomia Bonanni, Cadmo, Fiesole 2001; Francesca Sanvitale, Le scrittrici dell’Ottocento. Da Eleonora Fonseca Pimentel a Matilde Serao, Istituto poligrafico della Zecca dello Stato, Roma 1995 e Giuliana Morandini, La Voce che è in lei.

Antologia della narrativa femminile italiana tra ‘800 e ‘900, Bompiani, Milano 1997. Per una riflessione ricca e convincente circa le ragioni dell’esclusione delle donne dalla tradizione letteraria italiana cfr. Marina Zancan, Il doppio itinerario della scrittura, cit.

7 Bonnie Smith, The Gender of History. Men, Women, and Historical Practice, Harvard University Press, Cambridge 1998.

8 Sul contributo delle donne alla scrittura di storia in Italia cfr. Ilaria Porciani, Les historiennes et le

Risorgimento, in “Mélanges de l’Ecole française de Rome. Italie et Méditerranée”, a. 112 (2000), pp. 317- 257; Maria Pia Casalena, Scritti storici di donne italiane. Bibliografia 1800-1945, Olschki, Firenze 2003; Maura Palazzi e Ilaria Porciani (a cura di), Storiche di ieri e di oggi. Dalle autrici dell’Ottocento alle riviste

di storia delle donne, Viella, Roma 2004; Mary O’ Dowd e Ilaria Porciani, History Women, numero monografico di “Storia della storiografia”, n. 46, 2004.

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di indagine tutt’altro che esaurite, hanno però di rado preso in considerazione il fenomeno della scrittura giornalistica femminile da un punto di vista statistico. L’attenzione è stata più spesso rivolta all’analisi di alcune figure particolarmente rilevanti o di alcune testate specifiche.9 Quando lo si è fatto – penso ad esempio ai tre principali cataloghi della stampa femminile italiana10 – si sono privilegiati quegli ambiti, sia geografici che giornalistici, dove la presenza delle donne sembrava imporsi in maniera più consistente. Mi sembra che così facendo, senza tuttavia sostenerlo apertamente, si rischi di suggerire l’idea che la sfera di azione delle donne attive nel giornalismo di fine Ottocento sia andata raramente oltre questi confini.

Oltre allo scetticismo di fondo della storia culturale nei confronti delle descrizioni statistiche e quantitative della produzione intellettuale, è bene tenere presente che nel caso del giornalismo femminile si sono sommate anche alcune difficoltà di natura pratica, che hanno reso spesso impraticabili le indagini di tipo quantitativo: primo fra tutti, il largo uso di pseudonimi fatto dalle donne nella stampa periodica.11

Questi problemi si sono tutti sistematicamente riproposti nel corso della mia ricerca. Per quanto riguarda i limiti connessi al procedimento quantitativo di analisi, in particolare la questione della legittimità dei criteri usati per delimitare il campione di casi esaminati, va detto che la selezione dei singoli casi che compongono il mio oggetto di studio è stata resa meno problematica dalla limitatezza della porzione di realtà studiata (quattro riviste italiane e tre francesi) e dall’oggettività dei dati presi in considerazione: ovvero gli articoli scritti da donne ed effettivamente pubblicati nelle riviste. I due criteri utilizzati – la pubblicazione e il genere dell’autore – hanno permesso di elaborare un data-base che nel complesso mi sembra riprodurre un’istantanea abbastanza precisa della partecipazione femminile alle sette riviste esaminate.

9 Questo è ad esempio l’impianto del volume curato da Simonetta Soldani e Silvia Franchini, Donne e

giornalismo, cit., e del dizionario storico bio-bibliografico di Laura Pisano, Donne del giornalismo italiano, cit.

10 In Italia si è da tempo iniziato a mappare, nel tempo e nello spazio, il contributo delle donne all’editoria periodica. Cfr. Rosanna De Longis (a cura di), La stampa periodica delle donne in Italia. Catalogo 1861-

1985, Presidenza del Consiglio dei ministri, Roma 1986; Rita Carrarini e Michele Giordano (a cura di),

Bibliografia dei periodici femminili lombardi. 1786-1945, Editrice bibliografica, Milano 1993 e il recente Silvia Franchini, Monica Pacini e Simonetta Soldani, Giornali di donne in Toscana. Un catalogo, molte

storie (1770-1945), cit., che oltre ai giornali femminili comprende anche tutte le testate a direzione ‘femminile’.

11 M. Muscariello, Donne e pseudonimi tra Otto e Novecento, in Laura Guidi e Annamaria Lamarra,

Travestimenti e metamorfosi. Percorsi dell’identità di genere tra epoche e culture, Filema, Napoli 2003. Per il caso francese cfr. Roger Billet, Masculin et féminin dans le pseudonymes des femmes de lettres au

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La validità del campione di articoli femminili analizzati da questa ricerca dipende semmai dalla rappresentatività, rispetto all’offerta giornalistica complessiva dell’epoca, delle riviste che ho scelto di studiare. Da questo punto di vista, è di conseguenza ovvio che essendo ricavati dallo studio di solo sette riviste, le quali - per quanto significative - non esauriscono l’offerta della produzione giornalistica di alto livello di fine Ottocento, i risultati che emergono dalla mia analisi non possono essere considerati in nessun modo rappresentativi in senso stretto della produzione giornalistica femminile nel suo complesso né dei meccanismi che regolavano la partecipazione delle donne al giornalismo politico-letterario italiano e francese. Non è detto infatti che se avessi scelto di condurre la stessa indagine su altre riviste i risultati sarebbero stati gli stessi.

Per quanto parziale, il quadro che è emerso mi sembra però indicare alcune tendenze generali relative all’ingresso delle donne nel campo della produzione intellettuale di alto livello e nei luoghi della consacrazione letteraria, che possono essere considerate come spunti interpretativi per iniziare a indagare un problema che meriterebbe di essere studiato a più ampio raggio.

In merito agli pseudonimi, va detto che l’uso che se ne faceva nelle riviste politico- letterarie era di gran lunga meno frequente che in altri settori. Le collaboratrici e i collaboratori di questi periodici, soprattutto quelli più assidui, raggiungevano spesso una tale notorietà che anche quando firmavano con nomi diversi dal proprio, difficilmente riuscivano a tenere a lungo nascosta la propria vera identità. E’ invece più rilevante la porzione di articoli non firmati: molti dei quali sembrano essere stati scritti proprio da donne. Di questa produzione sommersa ho avuto una percezione più nitida solo quando ho cambiato la scala dell’indagine, quando cioè ho studiato più da vicino l’esperienza delle singole scrittrici attraverso i carteggi che queste intrattenevano con le riviste. Ma poiché nemmeno allora mi è stato possibile arrivare a una stima non approssimativa di questa produzione, ho preferito descrivere solo i dati del tutto certi e quantificabili: quelli ricavabili dagli indici delle riviste. Nelle situazioni di dubbio, ho preferito non includere l’articolo in questione nel conteggio. I dati che descriverò nel corso di questo capitolo sono quindi da ritenere validi per difetto: essi non coprono la produzione giornalistica femminile nelle riviste nella sua integrità, ma solo la parte dichiarata e resa pubblica. Le stime possono però essere considerate indicative della percezione che gli abbonati delle riviste avevano della partecipazione femminile al loro interno.

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