Uno ‘spazio alto’ della cultura media
1800-1820 1821-1830 1831-1840 1841-1850 1851-1860 Regno di Sardegna 1 1 2
5. Il pubblico delle riviste Uno sguardo di genere.
Ho finora parlato del pubblico delle riviste politico-letterarie come di un pubblico d’élite: l’ho fatto tenendo conto del loro costo di abbonamento e del livello di istruzione necessario per leggerle. Il termine “élitario” è però una definizione di per sé vaga, che cercherò ora di sciogliere o quanto meno di spiegare meglio in un’ottica di genere.
Di solito le riviste politico-letterarie evitavano di descrivere in maniera precisa i contorni del loro acquirente-tipo. Sotto questo punto di vista erano ben lontane dal didascalismo di molte pubblicazioni settecentesche e di buona parte delle riviste popolari ottocentesche, che spesso indicavano espressamente - talvolta nel titolo stesso - l’origine sociale dei loro ideali lettori.114 Da una parte esse avevano la necessità di abbracciare un bacino relativamente ampio di pubblico per fare fronte a un mercato editoriale sempre più aggressivo e concorrenziale; dall’altra parte questa vaghezza permetteva loro di conferire unità e coerenza a un’audience che si presentava morfologicamente piuttosto diversificata al suo interno, quantunque limitata - per i motivi che ho detto - agli strati socialmente più elevati della popolazione. In questo senso ‘pubblico d’élite’ non significa necessariamente ‘pubblico di nicchia’, come le tirature delle riviste sembrano del resto confermare: ovviamente scarse se paragonate a quelle dei quotidiani o delle riviste illustrate di carattere più popolare, erano però decisamente elevate se confrontate alla tiratura media delle contemporanee riviste specialistiche e scientifiche o delle riviste d’avanguardia che in entrambe le nazioni fiorirono, in modo spesso effimero, negli ultimi decenni dell’Ottocento e nei primi anni del Novecento.
La struttura generalista di queste riviste ben si prestava a incontrare una molteplicità di gusti e di approcci alla lettura anche molto distanti fra loro. Le riviste non erano dei libri, e come tali non dovevano necessariamente essere letti dalla prima all’ultima pagina. La periodicità di lunga durata, quindic. o mensile, rispecchiava un modello di lettura ancora
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molto simile a quello sperimentato nei secoli precedenti: a differenza dei generi giornalistici di più rapido consumo, le riviste politico-letterarie erano fatte per essere conservate nelle biblioteche ed essere consultate a più riprese, secondo una selezione del contenuto che poteva variare da persona a persona.
A definire la loro audience non era tanto un’assegnazione operata aprioristicamente dai redattori, quanto piuttosto l’etica e il sistema di valori che esse proponevano al loro pubblico. Era precisamente questo il punto su cui insisteva René Doumic nella prefazione alla già citata raccolta di scritti pubblicati in occasione del centenario della “Revue des deux mondes”: “Dans l’expression de notre gratitude nous n’avons garde d’oublier ce que nous devons à un public d’élite. Entre la Revue et les lecteurs de la Revue, les liens d’une intime confiance ont noué d’une amitié durable».115
Sarebbe tuttavia deludente cercare nomi femminili fra gli abbonati delle riviste politico- culturali. Come ha chiaramente dimostrato Thomas Loué studiando la “Revue des deux Mondes”,116 i corrispondenti delle riviste erano pressoché tutti uomini, oltre ovviamente a quelle istituzioni che ricevevano regolarmente queste pubblicazioni: come le biblioteche, le accademie, le università e i gabinetti di lettura.117 Poiché in entrambi i paesi la condizione giuridica delle donne sposate non permetteva loro di concludere contratti senza l’autorizzazione del marito, erano ovviamente i capofamiglia,118 e non certamente le loro mogli, a stipulare l’abbonamento delle riviste.
Cosa accadesse una volta che la rivista faceva il proprio ingresso nel contesto familiare, non è facile stabilirlo con certezza. L’effettiva assenza di fonti dirette al riguardo rende particolarmente complicato avventurarsi in un’analisi esaustiva della questione. Sussistono in questo senso tutte le difficoltà proprie di ogni studio storico e sociologico sulla lettura: dovute tanto all’indeterminatezza e mutevolezza dell’oggetto in questione, quanto alla molteplicità degli approcci soggettivi e degli usi possibili del testo scritto.119
115 René Doumic, Préface a Le livre du centenaire, cit. 116 Thomas Loué, La Revue des deux Mondes, cit.
117 Di questi ultimi però, perlomeno in Italia, le donne sembravano essere le più fedeli abbonate. Cfr. la pioneristica inchiesta promossa dalla contessa Maria Pasolini sulle pratiche di lettura degli italiani. Cfr. I
libri più letti dal popolo italiano, Società bibliografica italiana, Milano 1906.
118 Sull’istituto dell’autorizzazione maritale rinvio per tutti al ‘classico’ di Nicole Armand-Duc, Le
contraddizioni del diritto, in Geneviève Fraisse e Michelle Perrot, Storia delle donne in Occidente.
L’Ottocento, Laterza, Bari-Roma 1991, pp. 51-88.
119 Su questi temi cfr. i classici di Robert Altick, The English Common Reader. A social History of the mass
reading Public 1800-1900, Ohio State University Press, 1998 (1957), Roger Chartier (a cura di), Histoire
de la lecture : un bilan des recherches. Actes du colloque des 29 et 30 janvier 1993, IMEC Editions, Paris 1995, Guglielmo Cavallo e Roger Chartier (a cura di), Storia della lettura nel mondo occidentale, Laterza,
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Ma nel caso del pubblico femminile sussistono anche alcune difficoltà specifiche che rendono oggettivamente ancora più problematico operare la necessaria distinzione fra la rappresentazione retorica che le riviste proponevano di sé, le reali pratiche di lettura e la loro effettiva fruizione. Bisogna infatti tendere conto in questo caso della particolare efficacia del discorso retorico, estremamente diffuso in entrambi i paesi e operativo in tutto il periodo considerato, che qualificava il pubblico femminile come un pubblico di seconda serie, che per gusto e per modalità di lettura si differenziava in modo drastico dal pubblico maschile.120
Un primo elemento sul quale mi sembra utile riflettere è però la dimensione familiare della lettura a cui queste riviste facevano talvolta aperto riferimento. René Doumic ad esempio parlava del pubblico della “Revue des deux Mondes” come di un insieme sociale composto non tanto da individui, ma piuttosto da famiglie: « Nombreuses sont les familles françaises où, de père en fils, on est abboné à la Revue ».121 Gli uomini si trasmettevano l’abbonamento attraverso le generazioni, ma acquistavano la rivista nella veste di rappresentanti della propria famiglia: una modalità di consumo in cui si rifletteva molto bene la struttura della società di notabili che costituiva il pubblico privilegiato della rivista e che, anche sotto altri aspetti, tendeva ad esprimersi più sotto forma di aggregati familiari che in termini di individui.122
Per molti versi la struttura delle riviste – non solamente della “Revue des deux Mondes” - tendeva a riprodurre quella divisione etica e sessualmente connotata della lettura che a fine Ottocento caratterizzava il consumo letterario delle famiglie della buona borghesia.
Roma-Bari 1995; Gérard Mauger, Claude Poliak e Bernard Pudal, Histoires de lecteurs, Nathan, Paris 1999, Jean-Yves Mollier, La lecture et ses publics à l’époque contemporaine. cit.
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Dall’inchiesta I libri più letti del popolo italiano emerge che, almeno in parte, questo discorso retorico corrispondeva alle reali pratiche di lettura delle donne. Attraverso le testimonianze di alcuni librai qui si sostiene infatti che “le donne leggono di più degli uomini ma raramente con vero scopo di coltura” e che a differenza degli uomini della stessa condizione sociale i quali “leggono di tutto”, le donne della buona borghesia “amano per lo più le letture di famiglia” e “gli autori alla moda”, quelle più colte non si spingono oltre i romanzi di Fogazzaro, la Serao, la Marchesa Colombi, Neera, la Vertua Gentile e più difficilmente d’Annunzio, ma in generale per loro “un libro è bello solo se l’intreccio è emozionante”. I gusti di lettura delle donne non sarebbero quindi andati oltre, fatta qualche eccezione negli strati più elevati e acculturati della popolazione femminile, alla narrativa romanzesca e alla letteratura comunemente considerata di consumo.
121 René Doumic, Préface a Le livre du centenaire, cit., p. 9.
122 Per questi problemi si vedano i lavori di Ilaria Porciani, in particolare Famiglia e nazione nel lungo
Ottocento, in Famiglia, Società civile e Stato tra Otto e Novecento, numero monografico di “Passato e Presente”, a cura di eadem e Paul Ginsborg, n. 57, 2002, pp. 9-39. Ma alcuni accenni agli aspetti della rappresentazione simbolica della nazione attraverso la celebrazione della famiglia erano già presenti in eadem, La festa della nazione. Rappresentazione dello Stato e spazi sociali nell’Italia unita, Il Mulino, Bologna 1997, pp. 97 e ss.
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Ad un blocco di articoli più o meno intimamente connessi alla politica e alle questioni di attualità, le riviste affiancavano alcune sezioni esclusivamente dedicate alla letteratura romanzesca e talvolta alle rubriche mondane, riproducendo così – ma in maniera meno rigida123 - quella divisione ‘familiare’ della lettura che è stata rintracciata anche in relazione ad altri generi giornalistici: il quotidiano innanzitutto,124 con i due terzi superiori della pagina dedicati ai fatti di attualità e all’approfondimento politico e il rez- de-chaussé riservato ai romanzi a puntate,125 ma anche le pubblicazioni espressamente dedicate alle famiglie che fiorirono soprattutto nella seconda metà del secolo, in una certa misura anche le riviste illustrate e, soprattutto in Italia, i supplementi domenicali dei quotidiani.126 Tutto questo avveniva però in uno spazio ‘alto’ della cultura, dove i romanzi proposti in feuilleton non erano ovviamente gli stessi che si sarebbero potuti trovare sulle pagine dei periodici popolari, ma facevano parte di un ‘canone’ della
123 Anche se è possibile riconoscere una certa tendenza, nella struttura dei vari fascicoli, a fare precedere gli articoli di carattere politico e critico-lettario a quelli più ‘leggeri’ e ai romanzi, tale organizzazione non era fissata in maniera rigida.
124 La poetessa italiana Ada Negri ha lasciato nella sua autobiografia (scritta in terza persona) una testimonianza particolarmente suggestiva delle pratiche di lettura femminili dei quotidiani negli ambienti operai dell’Italia del Nord, che apparivano molto simili a quelli descritti da Thiesse per la Francia: “Ella [cioè la scrittrice bambina] quatta sotto le coltri e fingendo di dormire, ride e ride nell’anima, perché sa che sta per scoccare l’ora meravigliosa. Di lì a poco, infatti, con la sua voce limpida, la madre, che crede la bimba addormentata, comincia a leggere forte. Per divertir la nonna e per la propria gioia, legge, a puntate, i romanzi d’appendice d’un giornale quotidiano”. Cfr. Ada Negri, Stella Mattutina, Milano 1912, riedito per i tipi di Tracce, Pescara 1995, p. 30. Sull’autobiografia sui generis di Ada Negri cfr. Patrizia Zambon, “Io
vedo nel tempo una bambina”: la parola memoriale di Ada Negri in Stella Mattutina, in Giorgio Baroni (a cura di), Ada Negri.“Parole e ritmo sgorgan per incanto”, Atti del convegno internazionale di studi, Lodi,
14-15 dicembre 2005, Giardini, Pisa 2007.
125 Per una lettura di genere dei quotidiani francesi della Belle époque cfr. il bel volume di Anne-Marie Thiesse, Le roman du quotidien, cit. Questo studio conferma l’idea – peraltro già sostenuta con forza e spesso con preoccupazione dai commentatori dell’epoca – che le donne fossero le lettrici più assidue del
rez-de-chaussé dei quotidiani. Attraverso una serie di testimonianze dirette, l’autrice ricostruisce le modalità di lettura che costituivano le coordinate fondamentali della ‘cultura popolare’ femminile francese: da una parte pochi grandi classici, Hugo in primis, proposti dalla scuola primaria, e dall’altra le letture fatte in feuilleton fra un lavoro domestico e l’altro, spesso rimosse dalla memoria perché ritenute poco importanti o addirittura disdicevoli e poco edificanti. L’autrice suggerisce però anche l’idea che, attraverso questa regolare frequentazione del giornale iniziata in prima istanza attraverso il filtro del feuilleton, le donne non si limitassero a leggere la parte loro dedicata ma allargassero le loro letture alla parte alta del giornale, avendo così accesso a una serie di tematiche per così dire ‘maschili’.
126 La scrittrice italiana Anna Radius Zuccari (1846-1918), alias Neera, raccontò nelle sue memorie che, da ragazzina, era proprio il supplemento domenicale del quotidiano a cui la sua famiglia era abbonata ad attirare maggiormente la sua attenzione, così come quella delle donne che la circondavano: “E mi vedo la sera leggere a voce alta il giornale che in quei primi anni di libertà stava prendendo grande sviluppo. Dapprima fu il Pungolo, naturalmente gli articoli di politica non mi interessavano ma fioriva allora una volta alla settimana l’appendice letteraria e questa me la sorbivo con compunzione”. Cfr. Neera, Una
giovinezza del secolo XIX, Cogliati, Milano 1919, riedito per i tipi La Tartaruga a cura di Ranieri Carano, Milano, 1975, p. 124. L’opera uscì postuma e incompiuta a cura di Benedetto Croce, che ne firmò la prefazione. Sul rapporto fra Croce e la scrittrice cfr. Antonia Arslan, Il concetto che ne informa. Benedetto
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produzione letteraria qualitativamente elevato prodotto dal pantheon dei migliori e più famosi autori dell’epoca.
Anche per questo motivo la connotazione ‘femminile’ di tale produzione letteraria è normalmente meno evidente rispetto a quella della stampa di più bassa levatura culturale, dove si tendeva a richiamare in maniera molto esplicita l’interesse delle lettrici.127 In un contesto in cui si mirava a definire il paradigma della ‘buona letteratura’ e nel quale era decisamente frequente incontrare gli attributi ‘maschile’ o ‘virile’ riferiti a un’opera letteraria di cui si volevano sottolineare le qualità, sarebbe del resto impensabile trovare pubblicati dei testi nei quali si facessero aperte avances ai gusti di un pubblico composto da donne.
Non è però forse un caso che quasi la metà dei romanzi pubblicati dalla “Revue des deux Mondes” nei trent’anni considerati e oltre un terzo di quelli pubblicati dalla “Nuova Antologia” fra il 1866 e il 1914 presentassero nel loro titolo un riferimento diretto ad un personaggio femminile o a una storia d’amore (vedi Figure 4 e 5). Non si trattava forse di ‘romans sur mésure’ come quelli che Anne-Marie Thiesse ha descritto per la stampa popolare e quotidiana della Francia di fine secolo, dove il tasso dei titoli ‘femminili’ dei romanzi in feuilleton sembrava essere inversamente proporzionale alle ambizioni intellettuali delle testate e indicare in maniera diretta la composizione sessuale del loro pubblico.128 Certo è, però, che il riferimento nel titolo a un personaggio femminile - presumibilmente la protagonista o comunque una figura importante del racconto – era destinato a innescare un meccanismo di identificazione con l’eroina più diretto da parte delle lettrici che dei lettori. Questa è del resto la strategia adottata ancora oggi da tutta una parte della letteratura romanzesca che non fa mistero di rivolgersi di preferenza alle donne. Ovviamente non intendo dire che la parte letteraria delle riviste fosse letta esclusivamente dalle donne. Voglio piuttosto suggerire l’idea che titoli come
Georgette,129 Hélène,130 o Le mariage d’Odette,131 per fare solo alcuni esempi, sembravano scelti di proposito al fine di intercettare in prima istanza i gusti e gli interessi del pubblico femminile: senza per questo negare necessariamente l’eventualità che –
127 Anne-Marie Thiesse, Le roman du quotidien, cit., pp. 104-105 128 Ibidem.
129 Th. Bentzon, Georgette, in “Revue des deux Mondes”, tt. 35-36, 1879. La scrittrice, al secolo Thérèse Blanc, fu una delle penne femminili più assidue della rivista. Su di lei si tornerà più approfonditamente nei prossimi capitoli. Il romanzo uscì in volume l’anno seguente per i tipi Calmann-Lévy.
130 André Théuriet, Hélène, in “Revue des deux Mondes”, tt. 74-75, 1886.
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come Anna Karenina o Mme Bovary, capolavori con titolo ‘femminile’ ma non di certo letti solo dalle donne – tali romanzi potessero poi piacere anche agli uomini e ottenere un successo universale non strutturato sulle differenza di genere.
Figura 5- Parte letteraria della “Revue des deux Mondes” 1873-1900
Fonte: 7 - Indici della rivista
Figura 6 – Parte letteraria della “Nuova Antologia” 1866-1910
Fonte: 8- Indici della rivista
A riprova di questa ipotesi mi sembra molto eloquente uno scambio di battute fra il direttore della “Nuova Antologia” Giuseppe Protonotari e una delle sue collaboratrici più fedeli: l’archeologa, scrittrice e membro dell’Accademia dei Lincei Ersilia Caetani Lovatelli.132 Secondo una prassi che si sarebbe protratta a lungo nel tempo e sulla quale
132 Per un profilo di Ersilia Caetani Lovatelli (1840-1925) si veda Laura Nicotra, Archeologia al femminile, L’Erma di Bretscheider, Roma 2004, pp. 29-45, e A. Petrucci, in Dizionario biografico degli italiani, cit., ad vocem. Sul salotto di casa Caetani, frequentati fra gli altri da intellettuali del calibro di Mommsen e Gregorovius, si veda Paola Ghione, Il salotto di Ersilia Caetani Lovatelli a Roma, in Maria Luisa Betri e
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tornerò più diffusamente nel prossimo capitolo, l’autrice aveva preparato per la rivista un breve articolo dedicato agli usi e ai costumi degli antichi romani. Il titolo che lei aveva scelto era Rosaria, cioè il nome della celebrazione di cui il suo saggio trattava. Il direttore della “Nuova Antologia” le fece però sapere che tale titolo proprio non si addiceva al suo lavoro, perché assomigliava troppo a quello dei romanzi che la rivista pubblicava con particolare riguardo al pubblico femminile. Non contarono molto le proteste della scrittrice, che subito si affrettò a comunicare, con un certo disappunto:
Rosaria non è un titolo da romanzo, ma sì bene il nome di alcune feste pagane antiche, del che ognuno potrebbe accertarsi leggendo il mio articolo, che principalmente si aggira attorno a dette feste, le quali in appresso prendendo forma cristiana, si trasformarono nella Pasqua rosa, ecc. ecc. Rosaria quindi è il nome acconcio al mio lavoro, né altro potrebbe competergli.133
L’articolo fu pubblicato con il titolo, decisamente meno ambiguo, di La festa delle
rose134.
Altri indizi ricorrenti sembrano poi indicare, ancora più esplicitamente da parte delle riviste, la volontà di incontrare i gusti e gli interessi di una potenziale audience femminile. E’ il caso certamente della Rivista dell’istruzione femminile presente in ogni fascicolo della “Rivista europea”: prima pubblicata anonimamente, poi firmata da Maddalena Gonzenbach135 e successivamente dall’allora esordiente scrittrice Grazia Pierantoni Mancini: figlia del patriota e celebre giurista Pasquale Stanislao Mancini e della poetessa Laura Beatrice Oliva, nonché moglie dell’allievo del padre, Augusto Pierantoni, anche lui giurista internazionalista e anche lui coinvolto nella redazione della “Rivista Europea”. Questa rubrica mirava a riportare i “successi femminili”136 nei vari campi della cultura
riferendo di lauree, pubblicazioni, premi e altri riconoscimenti ricevuti dalle donne in
Elena Brambilla (a cura di), Salotti e ruolo femminile in Italia tra fine Seicento e primo Novecento, Marsilio, Venezia 2004, pp. 487-508. Alcuni riferimenti alla contessa e al suo entourage si trovano anche in Domenico Palombi, Rodolfo Lanciani: l’archeologia a Roma tra Ottocento e Novecento, L’erma, Roma 2006.
133 BNCF, CV, 127, f. 17, Lettera di Ersilia Caetani Lovatelli a Giuseppe Protonotari, Roma, 23 ottobre 1888.
134 Ersilia Caetani Lovatelli, La festa delle rose, in “Nuova Antologia”, t. 102, 1 novembre 1888.
135 Di Maddalena Gonzenbach ha parlato Simonetta Soldani in Un cammino in salita. Donne, diritti e
professioni in Italia alle soglie del Novecento, in Giovanna Vicarelli (a cura di), Donne e professioni
nell’Italia del Novecento, Il Mulino, Bologna 2007, pp. 51. Non esistono al momento studi dedicati a questa scrittrice, come conferma la stessa Soldani in apertura del suo saggio.
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ambito nazionale e internazionale. La presenza della Rivista dell’istruzione femminile in una rivista generalista e di ampio respiro come la “Rivista europea” poteva in parte spiegarsi in relazione alle posizioni politiche del suo direttore Angelo De Gubernatis, che come ho già accennato era un sostenitore dell’emancipazione sociale e politica delle donne e aveva probabilmente concepito la rubrica come parte integrante del più ampio progetto ideologico progressista della pubblicazione.
Ma lo stesso non poteva dirsi per le rubriche ‘femminili’ rintracciabili nelle altre riviste considerate. Queste infatti riproducevano in modo del tutto fedele e perfettamente riconoscibile il modello generale delle rubriche di moda e delle cronache mondane che si potevano trovare anche nei giornali di più vasta diffusione e di minore levatura.
A partire dal 1883 la “Nouvelle Revue” iniziò a pubblicare alla fine di ciascun fascicolo una rubrica fissa di moda, teatro e vita mondana. Fino al 1887 fu firmata da una certa Vicomtesse de Renneville – probabilmente uno pseudonimo che alludeva alla Sophie de Renneville direttrice dell’”Athenée des dames” di inizio secolo, dietro il quale non mi è stato possibile determinare chi si celasse – e si intitolava Chronique de l’élegance. Nel