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Canzona a ballo, Donne, chi non vuol udire

Questa ballata, rubricata nella stampa come “canzona a ballo”, riprende gli stilemi tipici del genere declinandoli in una nuova versione moraleggiata e moraleggiante. Il memento mori, rivolto alle donne, tipiche destinatarie delle canzoni a ballo fiorentine («Donne chi non vuole udire…che anco a voi convien morire») ribadisce la vanità delle gioie terrene, qua esemplificate nei gesti più tradizionalmente femminili («Questi vostri lieti canti/ dolce risa et vaghi sguardi/ presto fien conversi in pianti») insiste sulla corruzione della carne con toni tipici dei testi popolareggianti riconducibili al mondo piagnone, come quelli di Castellano Castellani.

A livello stilistico, Benivieni sperimenta ancora in quest’occasione alcune scelte linguistiche che anticipano in certi aspetti i toni delle frottole. Per esempio, nei vv. 13- 16:

Quando a l’alma tapinella decto fia che di fuor esca, questa carne, ch’è sì bella allhor fia de’ vermini esca.

vi è il topos, di origine biblica, della carne quale cibo dei vermi, cui Benivieni si riferisce utilizzando le medesime parole nei versi anche nella frottola seconda:

Ecco che altro è huomo che un leggier fumo, un’ombra che l’un dì el mondo adombra l’altro è de vermini esca.

176 SCHEMA METRICO: ballata mezzana in ottonari, con ripresa in quattro versi xyyx e stanze di otto versi con schema ababbccx.

Donne, chi non vuole udire239 el suo bene è un mal sordo: io vi annuncio et vi ricordo che anco a voi convien morire.

Questi vostri lieti canti, 5

dolce risa et vaghi sguardi, presto fien conversi in pianti

et vedrassi allhor, ma tardi, quanto sieno falsi et bugiardi

e piacer di questo mondo, 10

che ’l più grato et più giocondo non è altro che un martire.

Donne chi. Quando a l’alma tapinella decto fia che di fuora esca,

questa carne, ch’è sì bella, 15 allhor fia de’ vermini esca.

Come pens’io che rincresca lasciar qui le belle veste,

giuochi, risa, canti et feste che non pon con voi venire. 20

Donne chi.

Morte sol sarà la scorta,

et con lei pianto et dolore, ch’altro seco alcun non porta

se non l’opere del core.

Et secondo che l’amore 25

239v. 1 Donne…: il riferimento iniziale, in apertura di ripresa a un “pubblico” femminile, destinatario della

ballata, è topico delle canzoni a ballo: diverse sono, ad esempio, le ballate di Poliziano ad aprirsi in questa maniera (come Donne, di nuovo el mie cor s’è smarrito, oppure Donne mie, voi non sapete), ma la collezione di esempi potrebbe essere molto più lunga. v.2 mal sordo: locuzione proverbiale, equivalente al “non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire”, diffusa anche in Toscana e a Firenze (il GDLI riporta una citazione dal Firenzuola: «Oh gli è mal sordo quel che non vuol udire!»). vv. 5-12: «Questi vostri canti lieti, i vostri sorrisi dolci e gli sguardi ammalianti saranno presto trasformati in pianti e allora si capirà, pur troppo tardi, quanto siano falsi e ingannevoli i piaceri del mondo, che pure quello che sembra più grazioso e carino altro non è che un martirio.». Il tema tipico dell’inganno nascosto nelle gioie mondane viene qui declinato come una condanna di gesti peculiarmente femminili e spesso cantati e celebrati nelle canzoni a ballo. v. 15-16: l’immagine è di origine biblica (Iob. 7, 5: «Induta est caro mea putredine, et sordibus pulveris cutis mea aruit et contracta est». Cfr.anche Castellano Castellani, O voi che siate in questa valle

177 nostro in Terra o in Ciel lavora,240

così coglie el fructo, allhora, che di qua convien partire. Donne chi.

Da le pene de lo inferno ci difenda el Re del tutto, 30

del giardino del Padre eterno non vuole arbor senza fructo.

Et talhor vi par qui brutto che fia in ciel, felice et bello

come forse sozo quello 35

che par più fra voi fiorire. Donne chi.

Se ’l venen, che tien nascosto l’esca in sè del van piacere, fussi intanto agli occhi exposto

che potesse un po’ vedere, 40 credo ben che in dispiacere

vi sarìa quel ch’or vi piace, et che quel che più vi spiace ben vorresti allhor fiorire. Donne chi.

Quando fia la nave in porto 45 et che in terra harà la barca,

ben vedrassi, allhora, scorto di qual merce fussi carca.

Questo mondo ogn’huomo imbarca,

ogni huom lega, ogn’huom racoglie, 50

ma beato è chi si scioglie et chi sa da lui fuggire.

Donne chi.

Se tu sè libera et sciolta non voler che quel ti leghi,

240vv. 25-28: «E a seconda che il nostro Amore sia stato rivolto verso la mondanità [terra] o verso Dio si

coglierà il frutto nel momento in cui [allhora che] si dovrà partire da qui [nel momento della morte]». vv.

30-32 tutto:frutto: rima presente anche in laude VI, vv. 19-21: «Così d’una radice/ amara uscì quel frutto/

dolce, che addolcì lui e ’l mondo tutto» v. 38 esca del van piacere: cfr. Commento II 14, v. 13: «l’esca nuova». vv. 44-48: la metafora di questi versi indica chiaramente il giudizio finale che aspetta l’anima: una volta terminato il suo percorso di vita, quando sarà giudicata per le sue azioni. Per l’immagine del

porto cfr. Commento III, vv. 7-9: «O già non mai virtute/ che al destinato porto/ felice hor mi conduce».

vv. 51-52: beato è…: potrebbe esserci un’eco salmodica: cfr. Ps. 1,1: «Beatus vir qui non abiit in consilio

178 se da’ lacci suoi sè involta241 55

priega Dio che te ne sleghi. Non mai van furon que’ prieghi

che formati ha l’humiltate, così sempre in libertate

sta chi vuole a Dio servire. 60 Donne chi.

Chi al mondo et al van disio serve è schiavo incarcerato,

chi a Iesù, dolce et pio, libero è sopra ogni stato,

che ’l servilli è assai più grato 65 che non è regnare in Terra.

Vive in pene, in pianto e ’n guerra chi non vuol sempre ubidire. Donne chi.

Quel che fugge e suoi precepti,

et dal suo voler si parte, 70 et dato è a mondan dilecti,

in ciel seco non ha parte, ché ’l piacer che lo disparte

dal suo primo et vero Bene

solo per prezo si conviene 75 del suo cieco et van desire.

Donne chi.

Così el tempo et la fatica, così el cor misero e ’nsano

perde quel che s’affatica di piacere al mondo invano, 80

onde poi nulla altro ha in mano che dolor, pianto et vergogna,

e ’l peggio è che li bisogna come quello al fin perire.

241vv. 54-56: cfr. laude III, vv. 60-66: «Apri hormai gli occhi et vedi,/ o cor mio cieco et stolto/ la tua

miseria, et credi/ che el laccio ond’hor se’ involto/ per altri man disciolto/ che quelle di Iesù/ esser non può…». vv. 61-64: cfr. Gv. 8, 34-36: «34Respondit eis Jesus: Amen, amen dico vobis: quia omnis qui facit peccatum, servus est peccati. 35Servus autem non manet in domo in aeternum: filius autem manet in aeternum: 36Si ergo vos filius liberaverit, vere liberi eritis.» vv. 67-68: probabile eco paolina: cfr. 2 Thes 1, 7-8: «7et vobis, qui tribulamini, requiem nobiscum in revelatione Domini Jesu de caelo cum angelis virtutis ejus, 8in flamma ignis dantis vindictam iis qui non noverunt Deum, et qui non obediunt Evangelio Domini nostri Jesu Christi». vv. 69-76: Ancora un accenno al solito tema delle tentazioni mondane che impediscono il raggiungimento della salvezza eterna. In questa circostanza sembrano essere più prossimi i versi della laude IX «ma chi segue el mondo et seco/ si transtulla e ti sollazza/ così sempre al mondo impazza/ che diventa la pazia» (vv. 57-60). vv. 74-75: «[chi si distacca dagli insegnamenti cristiani] ottiene in cambio la giusta ricompensa [van prezo] del suo cieco volere».

179 Donne chi.

Dunque voi che anchor potete, 85

giovanette, a Dio tornare, et che in altri exemplo havete

quel che ’l mondo in voi può fare, deh, venite, ché ’l tardare

sempre fu ingrato et noioso. 90 Deh, non fate el vostro sposo

Iesù più d’Amor languire. Donne chi.

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