Ultimo dei tre testi sulla «savia pazzia», la ballata Io vo’ darti, anima mia sembra essere un vero canto carnascialesco, nel quale il Benivieni, abbandonando per un attimo i costumi del poeta-peccatore per vestire quelli del cantore di piazza. Già nelle precedenti laudi sulla savia pazzerella il poeta aveva fatto incursioni in un registro linguistico più basso e popolareggiante rispetto al resto della sua produzione spirituale. Ma una simile tendenza in questo testo raggiunge l’apice, replicato poi nella laude XX (De la vanità et gl’inganni del mondo) e nella laude XXI la canzone a ballo Donne chi non vuol udire. Benivieni propone la preparazione di un fantomatico unguento che porti alla pazzia: la prima stanza è destinata alla giocosa preparazione dell’intruglio («Toh, tre oncie almeno di Speme…Fa’ da poi bollir tre hore»; le strofe centrali sono dedicate alla riproposizione dei temi collegati alla lode della santa pazzia, coi consueti riferimenti a pagine bibliche («Questo unguento così facto/ impazzar fa tutti e savi/ et fa savio ogn’huom ch’è matto/ buoni e tristi et recti e pravi»). Gli ultimi versi rivolgono la solita preghiera a Iesù, sacrificatosi per la salvezza dell’umanità, che salvi il poeta donandogli la sua «santa pazia». Come nella laude IX, si segnala la riproposizione, nella ripresa e in ogni stanza, della parola-rima pazia in chiusura.
165 SCHEMA METRICO: ballata mezzana in ottonari, con ripresa xyyx e strofe ababbccx
Io vo’ darti, anima mia,230 un rimedio sol che vale
quanto ogni altro a ciascun male che si chiama la pazia.
To’ tre oncie almeno di Speme, 5 tre di Fede et sei di Amore,
due di Pianto et poni insieme tutto al fuoco del Timore.
Fa’ da poi bollir tre hore, premi e ’nfine vi aggiugni tanto 10 di Humiltà et Dolor, quanto
basta a far questa pazia.
Io vo’ darti.
Questo unguento così facto impazzar fa tutti e savi,
et fa savio ogn’huom ch’è matto, 15 buoni e tristi et recti e pravi; e leggeri fa tardi et gravi,
gli iracundi mansueti fa gli afflicti nel mal lieti,
savia et sancta la pazia. 20 Io vo’ darti.
O pazia mal conosciuta da color che t’han per paza,
chi ti spregia, odia, et rifiuta nel suo troppo sonno impaza,
ma chi teco si sollaza, 25
si trastulla et si compiace,
in Te trova quella pace che non è in altra pazia.
Io vo’ darti.
O Iesù, per quello immenso
Tuo Amor che sì ti strinse, 30 che a salire fuori d’ogni senso
230v. 1: vi è assonanza con l’esordio della lauda IX, «Io vo’ dirti, anima mia». vv. 10-12: cfr. laude VIII,
vv. 9-12: «Sempre cerca, honora et ama/ quel che ’l savio ha in odio tanto:/ Povertà, Dolore et pianto/ el christian, perch’egl’è pazo». vv. 14-15: cfr. laude XX vv. 38-39: «Impazar vego, a ragione/ mondo mio, questi tuo’ savi/ onde sotto mille chiavi/ serron poi fumo, ombra et vento». vv. 13-19: Sugli effetti della «savia pazzia», che capovolge l’ordine comune, cfr. anche laude VIII, vv. 5-52.
166 per noi in croce ti sospinse 231
deh, se mai pietà ti vinse
dammi, priego, solo ch’io ami,
ch’io conosca, segua et brami 35
questa tua sancta pazia. Io vo’ darti anima mia.
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XVIII. Pe ’l corpo di Cristo, Non è cibo alcun più grato.
Ballata dedicata al sacramento dell’Eucaristia. Sul tema si erano già espressi, all’interno della cerchia laurenziana, Feo Belcari con la sua laude Cristo, ver uomo e Dio e Angelo Poliziano, che al corpo di Cristo aveva dedicato il primo dei suoi Sermoni, frutto della sua vicinanza al movimento di Girolamo Savonarola. Come il Poliziano, il Benivieni sembra recepire in modo particolare la riflessione teologica agostiniana, affidata alle Enarrationes in Psalmos e al Commento sopra il Vangelo di San Giovanni.
SCHEMA METRICO: ballata mezzana in ottonari, con schema metrico xyyx e strofe ababbccx.
Non è cibo alcun più grato, 232 più suave né migliore
che questo uno, ch’el cor di Amore pasce e ’l fa ricco et beato.
Questo è sol quel pan del quale 5 vivon gli angeli del cielo,
questo cibo ha virtù tale
che chi el piglia con buon zelo così, benché in questo velo
mortal viva, in Te si posa, 10 Iesù mio, ch’ogni altra cosa
dà per Te, suo dolce amato. Non è cibo.
Questo pane, o maraviglia non mai più in Terra udita,
così in sé l’alma ch’el piglia 15 volge, allecta, tira et invita,
che, con Lui poi tutta unita,
tanto in Lui si accende e ’nfiamma che in virtù di questa fiamma
232vv. 5-6: cfr. Agostino, Enarrationes in Ps. 33, 6: «Ecce cibus sempiternus: sed manducant Angeli,
manducant supernae Virtutes, manducant caelestes Spiritus, et manducantes saginantur, et integrum manet quod eos satiat et laetificat». v. 8 con buon zelo: con fede retta, con accesa passione per la ricerca del Bene.
Buon zelo è sintagma dantesco: cfr. Par. XXII, vv.7-9: «mi disse: “Non sai tu che tu se’ in cielo?/ E non
sai tu che ’l cielo è tutto santo/ e ciò che ci si fa vien da buon zelo?». vv. 9-10 velo mortal: La corporalità nella quale è imprigionata l’anima: il sintagma è d’origine petrarchesca (cfr. per esempio RVF 313, vv. 12- 14: «Così disciolto dal mortal mio velo/ ch’a forza mi tien qui, foss’io con loro/ fuor de’ sospir’ fra le anime beate»). vv. 15-20: «L’ostia dell’Eucarestia attira, conduce, attrae e invita l’anima che la accoglie in sé così che poi unita insieme a lei [nel sacramento dell’Eucarestia] si accende e s’infiamma in virtù di questo ardore della Fede al punto che Dio poi si manifesta in questa condizione[ovvero: all’interno del pane, nel miracolo della transustanziazione]».
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Dio diventa in tale stato. 20
Non è cibo.
Questa è quella manna sancta che dal Ciel per noi descende, et che seco ha virtù tanta
che quel cor che in sé la prende 233
così, Iesù mio, ascende 25
per lei ad Te da questo cieco carcer sopra a’ cieli, che teco gode ogn’altro ben creato.
Non è cibo
S’egli è vero, o Iesù mio, com’ egli è, che in questo pane 30 tu dia Te, ver padre et Dio,
al mio cor con le tue mane,
pon fren priego a le sue vane cure, et tutto ad Te el converti,
dove e suoi ben veri et certi 35 truovi in Te verbo incarnato.
Non è cibo.
233vv. 21-22 quella manna sancta: cfr. Gv. 6, 51: «Ego sum panis vivus, qui de caelo descendi». Cfr. anche
Agostino, Commento al Vangelo di Giovanni 26, 13: «Ego sum panis vivus, qui de caelo, descendi. Ideo vivus quia de caelo descendi. De caelo descendi et manna: sed manna umbra erat, iste veritas». Cfr. inoltre Feo Belcari, Cristo, ver uomo e Dio, v. 25: «manna d’ogni sapere» e Poliziano, Sermoni I: «questa è quella manna suavissima che gli affanni peregrinanti conforta, i quali in questo asprissimo diserto della vita caminano».
vv. 26-27 cieco carcer: il mondo materiale. Il sintagma è dantesco, diffuso nella poesia e nella laudistica
benivieniane. vv. 29-30 S’egli è vero… com’egli è: formula più volte utilizzate dal Benivieni: cfr. a esempio, Stanze in Passione Domini 7, v. 1: «S’egli è el vero, Signor mio, com’egli è el vero». vv. 33-34
vane cure: cfr. Lorenzo de’ Medici, LIX, vv. 9-11: «Vane cure e pensier’, diverse sorte, / per la diversità
che dà Natura,/ si vede ciascun tempo al mondo errante». v. 36 Verbo incarnato: cfr. Gv 1, 14: «Et Verbum caro factum est, et habitavit in nobis».
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