Si tratta dell’unica laude benivieniana dedicata all’angelo custode. Non si tratta certo di un unicum nella laudistica quattrocentesca: anche il Belcari, ad esempio, aveva dedicato un suo componimento rubricato come «Del conforto dell’Angelo buono». A differenza della laude belcariana però, quella del Benivieni svolge una propria preghiera all’Angelo, affinché possa redimere il poeta allontanandolo dagli inganni continui della mondanità. Benivieni riprende un argomento che aveva già trattato all’interno del suo Commento, che raccoglie nella terza parte un sonetto dedicato all’Angelo Custode, con un attacco simile alla ripresa della laude: «Spirto del cielo, che sì pietosamente/ a riveder le mie piaghe ritorni/ a rallegrar le nocte obscure et e giorni/ a reparar la viva fiamma ardente./ Dolce Amore et pietoso che sovente/ meco scendendo/ insin dal cielo soggiorni/ Luce immortal che de’ tuo raggi adorni/ l’afflicta, stancha et tenebrosa mente./ Per Te convien che così morto viva/ chi ch’i non so donde io speri altro soccorso mentre se stesso el cor del suo ben priva./ per te ancor tarda el nostro horribil corso/ che mi porta ad vedere quella altra riva/ ma priego non fra via si rompa el morso»). La laude è collegata strettamente al sonetto e alla teologia che esso sottintende, così riassunta dallo stesso Benivieni nella prosa introduttiva al componimento nel prosimetro, efficace a illustrare anche il fine di questa ballata [c. 96v]:
Testifica et in più luoghi la Sacra Scriptura essere a ciuscun huomo dal principio della sua natività da Dio due Angeli deputati, uno buono et uno malo: del buono dice Mattheo, et sono parole del Salvatore: Videte ne contentatis unum de pusillis istis: dico enim vobis quia angeli eorum in coelis semper vident faciem Patris mei, qui in coelis est [Mt. 18, 10]. […] Del malo in Iob et in el Propheta Et dyabolus stet a dextris eius [Ps. 108, 4]. Considerando adunque la anima di questa verità illustrata che non è potestà alcuna sopra la terra, la quale si possa comparare a quella dello Angelo, così malo come buono, et da l’altra parte per propria experientia la sua fragilità recognoscendo debitamente et secondo la exigentia dello obligo suo ad epso Angelo buono et a llei per divina gran deputato custode per questo presente Sonetto conversa da lui et dal suo ministerio gratamente recognosce tutto quello che lei ha mai potuto et può ancora in virtù di Dio operare non solo contro alla sua fragilità et nequitia, ma ancora contro alle insidie occulte et apertissime impugnatione di Sathana, pregandolo ultimamente che così come lui gli è suto guida, scorta et vehiculo a trarla delle tenebre dello Egypto, cioè del
147 pecato, che ancora gli piaccia condurla insino al destinato termine della terra allei divinamente dal suo sposo promessa, cioè ad epsa Hierusalem superna.
148 SCHEMA METRICO: ballata mezzana in settenari ed endecasillabi, con schema xyyX e stanze abaBbccX
Spirto del cielo electo217 da Dio sol per amore in mia custodia, el core
reggi, ti priego, el corpo et l’intellecto.
O Amore, ch’altro nome 5
non so onde io ti chiami, pensando quanto et come
mi segui, insegni, scorga, abbracci et ami, dammi ch’io per Te brami
quel Ben solo et desiri 10
dove tu hora mi tiri,
tal ch’ogn’altro piacer mi sia in dispecto. Spirto del cielo.
Occhio immortal che vedi con quante insidie et lacci
e mal fugaci piedi 15
del cor la carne e ’l cieco mondo allacci, solva, priego, et disfacci
la tua pietà quel nodo,
onde io texendo annodo sempre, lasso, con l’un l’altro defecto. 20
Spirto del cielo.
Defendimi, o benigno
spirto, da’ tanti mali quanti el demon maligno
para ognhor, lasso, a’ miseri mortali.
Contro agli ardenti strali 25
217vv. 1-4: la ripresa della ballata ricorda l’esordio di Commento III, 23, vv. 1-2: «Spirto del cielo, che sì
pietosamente/ a riveder le mie piaghe ritorni». v. 5 O Amore…: cfr. Commento III, 23, v. 5: «Dolce amore et pietoso» e la glossa: «Dolce Amore: Perché non solo conveniente, ma oportuno et ancho qualche volta necessario è che una medesima cosa quantunque semplice et una secondo varii rispecti et particulari suoi acti proprietà et officii varii nomi sortisca, però è che secondo la varietà degli effecti e quali sente epsa anima dentro da sé per el ministerio di epso suo Angelo operare variamente ancora et secondo la proprietà di ciascuno di epsi effecti in el presente sonetto lo nomina: hora Spirito, hora Amore, hora Luce». Anche nella laude lo Spirito viene introdotto in ognuna delle stanze con un epiteto diverso: oltre a spirito e Amore, c’è Occhio immortal (v. 14), benigno spirto (vv. 21-22), sacro duce (v. 29), Luce (v. 37), beato spirto (v. 52). vv. 9-10 dammi … quel ben sol: cfr. Commento III, 5, vv. 1-4: «Era già, benché invan, contenta fora/di questo ingrato carcere mortale/ l’alma, e dietro al disio battendo l’ale/ si tornava a quel ben che la innamora». vv. 17-19: cfr. Commento III 10, vv. 1-4: «Chi mi libererà dal duro laccio/ di questa ferma e lacrimabil vita?/ Chi farà l’alma fuggir sì ardita/ che ’l nodo sciolga, ove legato hor giaccio? ». vv. 21-23: la rima maligno:benigno anche in Lorenzo de’ Medici, O maligno et duro core, vv. 13-16 : «Liquefatti come cera/ o cor mio tristo e maligno/ poi che muor la vita vera/ Gesù tuo, Signor benigno ».
149 della infernal nequitia218
armi la tua iustitia
d’un saldo scudo el mal nutrito petto. Spirto del cielo.
Prestane, o sacro duce,
alla tua pecorella 30
tanto della tua luce
che ’n questa nocte el Ciel discerna anch’ella,
sì che dalla tua stella scorta al suo cor ritorni
dove le nocte et e giorni 35
teco in grembo si stia del suo dilecto.
Spirto del cielo. O Luce, che vestita de’ raggi di quel Sole
onde ogni luce ha vita
splende spesso ove sempre ombra esser suole,
priego, alle mie parole 40 gli orecchi inclina e ’l cieco
mio cor mentre che teco
vien purga in forma illustra et fa perfecto. Spirto del cielo.
Per te da la mia mente
ogni terrore, ogni ombra 45
nocturna et quel serpente
fuga, che spesso el cor ne occupa e ’ngombra. Per te repressa et sgombra
ogni nequitia in questa
via che passar mi resta 50
sia, priego, in tanti mal difeso et recto. Spirto del cielo.
Deh, monstrami, o beato spirto, in questa obscura
218v.28 saldo scudo: l’immagine è probabilmente petrarchesca, Rvf 366, v. 17: «o saldo scudo delle afflitte
genti». vv. 29-32: il riferimento all’immagine topica del pastore [duce] che insegue la pecorella smarrita, di palese ascendenza biblica, anche in laude III, vv. 51-58, connessa al tema della sordità dell’anima: «Al suo pastor divino/ la stolta pecorella/ al suo pastor che insino/ dal ciel chiama ogn’hor quella./ Ma lei come rebella/ della sua sancta croce/ né sa né vuol la voce/ udir del suo redentore». v. 47-48 sgombra:ingombra: la rima anche in Commento III 33, vv. 28-32: «Un divin lume splende/ che la notte da noi discaccia e sgombra, dal ciel cantando Osanna/ d’angeli un coro descende/ che el cor di foco, el ciel di luce ingombra». Il contesto del passo è il medesimo della stanza di questa laude, il riferimento alla luce che squarcia le tenebre del peccato e della paura: nella canzone del Commento la luce emana dal Bambin Gesù, appena venuto al mondo.
150 valle donde al suo amato219
possa l’alma ire per via certa et secura, 55 l’alma, perché paura
gli fanno, angel mio, tanti
lacci et insidie quanti sguardando vede innanzi al suo cospecto.
Spirto del cielo.
Vedene tanti, ah lasso, 60
intorno a suo pie’ tesi che non può muover passo
che non sien fermi in mille modi et presi. Per Te, angelo, defesi,
per Te guidati et scorti 65 sien, priego, infin ch’io porti
l’alma a quel vero ben dove è ’l suo affecto.
Spirto del cielo.
219vv. 53-54 obscura valle: il sintagma è di origine biblica: cfr. Ps. 22, 4: «Nam etsi ambulavero in medio
umbre mortis, non timebo mala, quoniam tu mecum es». Anche in Inf. XXIX, vv. 64-65. «ch’era a veder per questa oscura valle/ languir li spirti per diverse biche»; Rvf 28, vv. 11-12: «…questa oscura valle/ ove piangiamo il nostro et l’altrui torto».
151
XI Laude dello Amore di Iesù, Che cerchi, o cor mio cieco?
Canzone di sette stanze che s’inserisce nel percorso delle laudi sull’Amore di Gesù Cristo benivieniane.
Tra le strofe viene messo in scena un altro dialogo tra la voce del poeta-peccatore e quella dell’amore divino, sui consueti temi: la condanna del peccato, che trascina nella perdizione l’anima del poeta e il rifiuto dei piaceri mondani come chiave di redenzione. La laude si arricchisce di una preghiera alla Vergine, affinché interceda presso Cristo per la salvezza del poeta.
Una canzone in cui Benivieni dimostra ancora una volta la familiarità con i topoi della laudistica quattrocentesca e con le Sacre Scritture (in particolare con le lettere paoline) e in cui si nota nuovamente la centralità del Trattato dell’Amore di Gesù Cristo nella sua produzione spirituale e religiosa.
152 SCHEMA METRICO: canzone di nove stanze in settenari e endecasillabi, di schema metrico ababbccdD. La terza e la quarta strofa sono collegate tramite capfinit
«Che cerchi, o cor mio cieco?»220 «Cerco Iesù mio Dio,
Iesù, che pure hor meco
era: o dilecto mio,
chi mi t’ha tolto, et io 5
come senza te mai viver potrò, che hai
teco, o Iesù mio buono, quella ond’io vivo, onde intendo, opro et sono?
Haresti tu veduto, 10
dilecta mente mia,
Iesù, o cognosciuto chi me lo ha tolto in via?»
«Nel grembo di Maria
pure hor l’habian lasciato. 15
Entesi che ’l peccato tuo solo, o cor mio stolto,
e ’l tuo poco fervor te l’havien tolto. Questo dilecto sposo,
cor mio, questo bene 20
tanto è puro et vezoso che, dove albergar viene se limpide et serene
non sono, o cor mio, quelle
stanze odorate et belle 25
dove albergar lo vuoi,
si parte alhor, per non tornar mai poi.
Per non tornar, o core, a te, infino a tanto
che per virtù d’Amore 30
et del tuo humil pianto
220vv. 1-2: l’incipit della canzone dialogate ricorda laude V, vv. 1-4: « “Dimmi cor mio che fai/ che cerchi
qui, cor mio?”/ Cerco Iesù mio Dio/ Cercholo sempre et non lo truovo mai». vv. 7-8: «Perché tu porti, o Gesù mio, la salvezza per la quale io vivo, io agisco, io penso e io sono». v. 11 dilecta mente mia: la ragione superiore. v. 18 poco fervor: la fede fioca, debole, che condanna l’anima alla dannazione eterna al pari che il peccato (citato infatti al v. 16). Il tema è savonaroliano (cfr. Trattato dell’Amore di Gesù Cristo, p. 95: «Io desidero che tu sia caldo o freddo, cioè fervente o gran peccatore: ma perché tu non sei né l’uno né l’altro, anzi sei tiepido e negligente, io comincerò ad averti in abominazione») e segue la parola di Apoc. 3, 15-16: «Scio opera tua: quia neque frigidus es, neque calidus: utinam frigidus esses, aut calidus: sed qui tepidus es, et nec frigidus, nec calidus, incipiam te evomere ex ore meo». v. 19 dilecto sposo: Gesù Cristo.
vv. 21-27: «Gesù tanto è puro che, se venendoti a cercare non trova stanze ottimamente preparate si
allontana per sempre, per non tornare mai più» Cfr. laude V, vv. 37-40: «Prepara, o cor maligno,/ così el tuo habitaculo,/che se Iesù benigno viene/ non truovi obstaculo».
153 semplice, puro et sancto221
renda te stesso a quello immaculato agnello,
acciò che in te ritorni 35
et teco habiti, o cor, tutti e tuoi giorni». «Forse, o dilecta mente
che se piangendo a quella Madre el chieggio humilmente
ce ’l vorrà render ella. 40 “O sopra ogn’altra bella,
Vergine gloriosa, Madre, figliuola et sposa,
rendimi el tuo dilecto Figlio, che perso ho solo per mio defecto. 45
Rendimel, perché fora di Lui ch’è la mia vita
forza è, Madre, ch’io mora d’una morte infinita.
Deh, se mai in Terra udita 50 fu dal Ciel voce alcuna
così, Vergin, questa una a’ tuoi orecchi ascenda,
ché ’l tuo dolce figliuol mi doni et renda. Io so bene che ’l mio priego 55
udir esser non merita, perché a me stesso el niego
con la vita preterita, ma quel che lei demerita
vince non pur compensa 60 quella pietate immensa,
qual perché la mia voce
oda et io viva, è per noi morta in croce.
Se pur dentro al mio seno
son d’albergar lo indegno 65
221vv. 41 ss: inizia la preghiera alla Vergine. vv. 41-42: cfr. laude II, vv. 1-2: «Vergine gloriosa/ Humile,
sancta et pia» e v. 33 «Vergine madre, figlia del tuo figlio» e note. vv. 44-45: cfr. laude XII, vv. 21-28: «Noi preghiam te, dolce Madre/ che per noi tuoi figli prieghi/ el tuo sposo, figlio et padre/ che s’inclini a’ nostri prieghi/ che ne infiamma, astringa et leghi/ col suo amore e nostri pecti,/ che gli pasca et gli dilecti/ di lui sol, Vergine pia» e laude XIII, vv. 17-18: «priega el tuo dolce nato/ che non sia ingrato de’ tuoi doni, Maria». vv. 46-48: solo la vita in Cristo e nella fede in lui garantisce la vita eterna; il tema è ricorrente nella poesia benivieniana, anche nelle laudi, ed è di origine paolina (cfr. 1Gv 5, 11-12: «11Et hoc est testimonium, quoniam vitam aeternam dedit nobis Deus: et haec vita in Filio ejus est. 12Qui habet Filium, habet vitam: qui non habet Filium, vitam non habet»). vv. 55-63: la vita passata, condotta beandosi nei peccati mondani, rende indegna la preghiera del poeta, che però è già salvato dal sacrificio di Cristo: infatti, come dice Paolo: «Et vos cum mortuis essetis in delictis, et praeputio carnis vestrae, convivificavit cum illo, donans vobis omnia delicta, delens quod adversus nos erat chirographum decreti, quod erat contrarium nobis, et ipsum tulit de medio, affigens illud cruci» (Col 2, 13-14).
154 come confuso et pieno 222
de’ mali che lui ha a sdegno, col foco di quel legno ove patir gli piacque,
col suo sangue et con l’acque 70 del sancto pecto in pura
luce resolvi quel che hor l’alma obscura. L’anima peregrina,
che drieto al tuo figliuolo
com’ella invan cammina 75
et me lasciato ha solo.
Et perché a questo volo non baston le sue piume,
prestagli hor tanto lume
che dal mondo fallace 80
in braccio al tuo figliuol si accolga in pace”».
222vv. 70-71 et con l’acque del sancto pecto: cfr. laude VIII, vv. 85-88: «Ognun dunque a questa vena/ che
nel pecto tuo si absconde/ corra ognuno, a bocca piena/ bea di queste nitide onde, / et nell’acqua che si effonde/ poi di fuor ciascun s’immolli/ vi si tuffi e si satolli» e note. vv. 78-79 piume:lume: cfr. laude Ib, vv. 13-16: «Vestiti quelle piume/ quelle piume, onde a te Signor s’arriva,/ sì che dentro al tuo lume/ per non mai più morir contento viva».
155