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Le laudi della «savia pazzia»: modelli, rielaborazioni, scelte stilistiche.

II. 2 2 Le traduzioni: echi savonaroliani e un possibile percorso ascetico

II. 3 Il corpus laudistico.

II.3.3 Le laudi della «savia pazzia»: modelli, rielaborazioni, scelte stilistiche.

Un nucleo tematico rilevante all’interno del corpus benivieniano è quello dedicato al tema della savia pazzia. È composto della laude Non fu mai più bel sollazo (rubricata come Laude dell’Amore di Iesù Christo chiamata la savia pazerella, cc. 137r-139r), la ballata Io vo’ dirti anima mia (Come la pazia di Iesù possa essere et sia veramente savia, cc.139r-141r) e Io vo’ darti anima introdotta dalla rubrica De la pazia del christiano et dei suoi effecti, alle cc. 146r-v.

Il tema è solitamente ricondotto a un passo della prima lettera di Paolo ai Corinzi: «quia quod stultum est Dei, sapientius est hominibus: et quod infirmum est Dei, fortius est ho minibus»122. Chi ha fede in Dio ribalta i valori presenti nel mondo: ciò che appare

insensato e stolto agli occhi umani, sedotti dalla suadente bellezza delle cose terrene, è invece fondamentale per il cristiano che, al contrario, disprezza tutto quello che nell’opinione comune è ritenuto importante: la ricchezza, il potere temporale, persino la scienza, che s’illude di poter gareggiare con Dio.

Per il Benivieni, che del biasimo delle vane cose terrene aveva fatto uno dei punti programmatici della sua poetica, era imprescindibile affrontare quest’argomento molto fortunato nella poesia e nella mistica medievali.

Due erano i modelli per il Benivieni: Jacopone e Feo Belcari. Il Tudertino aveva composto, tra le altre, la celebre Senno me par e cortisia, dove sin dalla ripresa era dichiarata polemicamente la sovversione dell’ordine logico del mondo, per cui la pazzia diventava senno.

Sul medesimo argomento aveva composto due laudi anche Feo Belcari, Udite matta pazzia e Mosso da sancta pazzia, sui cui ci si deve soffermare di più.

61 Le due laudi vennero incluse, per errate attribuzioni sia nei manoscritti che nelle prime stampe123, nel già ampio e complesso iacoponico. Alcuni recenti studi124 hanno finalmente attribuite al Belcari con ottime ragioni, tra le quali la loro presenza in tutti i codici che tramandano esclusivamente la materia belcariana, incluso il codice Magliabechiano VII 690,125 appartenuto al figlio di Feo e testimone di tutta la produzione laudistica del padre.

I due testi belcariani seguono il modello di Jacopone e, da quanto suggeriscono le rubriche, andavano cantate seguendo il ritmo di Senno me pare. La «savia stultitia» viene celebrata, in entrambi le laudi, partendo da una profonda e sentita autocritica del poeta, imprigionato e confuso dalle sirene del mondo, seguita poi da una serie di precetti da seguire per guadagnare la salvezza attraverso la penitenza e la meditazione sulla vita di Cristo: «Vado a vaghegiar la croce/Al cui caldo già me coce/E pregarla con humil voce/Che per lei impacito fia», scrive il Belcari nell’ Udite sancta pazzia126, o «Hora el

mio Iesù contemplo/ seguitando el suo esemplo» nel secondo testo127.

La perfetta congruenza tra la savia pazzia e i precetti della cristianità è centrale nelle laudi del Benivieni. Nella prima, Non fu mai più bel sollazo, viene tracciato il profilo del savio pazzo: «Non fu mai più bel solazo/ più giocondo né maggiore/che per zelo et per amore/ di Iesù diventar pazo». Nella prima parte della lunga ballata vengono così elencate le virtù del buon cristiano: la Povertà, l’Umiltà, la Temperanza, la Carità, la Prudenza, la Semplicità.

Ognuna di queste è illustrata partendo dalla contrapposizione con ciò che il cristiano, da giusto «savio pazzo», rifiuta:

La pazia di Iesù spreza 5 quel che ’l savio cerca et brama: stati, honor, pompe et riccheza,

123 Si ricorda in particolare la loro presenza nella stampa Laude de lo contemplatiuo & extatico b. f.

Jacopone de lo ordine de lo seraphico S. Francesco: deuote & vtele a consolatione de le persone deuote e spirituale: & per predicatori proficue ad ogni materia: Elquale ne lo seculo fo doctore e gentile homo chiamato misser Iacopone de Benedictis da Todi: benche ala religione se volse dare ad ogni humilita e simplicita, Venetijs : per Bernardinum Benalium Bergomensem, 1514 die quinto mensis Decembris e nel

terzo volume de le Rime spirituali pubblicate, sempre in Laguna, per la tipografia “Al segno della Speranza” nella famosa antologia che comprende tra gli altri la

124 Stefano Cremonini, Iacopone e Feo Belcari, in La Vita e Opera di Iacopone da Todi. Atti del Convegno ecc, cit., pp. 683-703, in particolare pp. 688 ss. Si rimanda a queste pagine per uno studio dettagliato sui rapporti tra i due testi e il laudario iacoponico.

125 Le due laudi si trovano a cc. 66r-73r. 126Udite sancta pazzia, vv. 187-190. 127Mosso da sancta pazzia, vv. 95-96.

62 piacer, feste, gloria et fama.

Sempre cerca, honora, et ama

quel che ’l savio ha in odio tanto: 10 povertà, dolori et pianto

el christian, perch’egl’è pazo.

Tutta la descrizione benivieniana si rifà alla lunga tradizione delle riflessioni sull’ Imitatio Christi, a cui talvolta viene affiancata, immancabile, la trattatistica morale savonaroliana.

Il Trattato dell’Amore di Gesù Cristo, certo128, ma anche il Trattato dell’umiltà, un

trattatello sulla virtù del quale Benivieni fornì una traduzione latina, conservata nell’autografo Codice Gianni 45 dell’Archivio di Stato di Firenze.129

Per esempio, nei versi dedicati in Non fu mai più bel sollazo all’Umiltà:

El christian, perch’ egl’è stolto, quando advien che sia laudato

se ne duol perché gl’è tolto 15 a Dio quel ch’a lui è dato.

è memore delle parole savonaroliane:

Dimonstra l’umiltà che, quando l’uomo si sente laudare maxime di virtù che non ha, e che si sente in opinione degli uomini immeritatamente, se ne dolga e cerchi di minuire questa fama senza peccato, o piuttosto di adeguarla o superarla con virtuose operazioni130.

Lasciando da parte l’impianto dottrinale, qui velocemente accennato, bisognerà soffermarsi sul pluristilismo benivieniano, del quale questi testi sono una chiara testimonianza. Dal punto di vista linguistico, il Benivieni si muove, per la prima volta tra i testi sinora presentati, in un registro che predilige scelte lessicali popolareggianti. Rimanendo tra le stanze di Non fu mai più bel sollazo, questi versi siano un esempio:

128 Cfr. Non fu mai, vv. 93-96: «Come pazo ogn’huom gridando/ Iesù mio, la croce prenda/ la tua croce, e iubilando/sopra lei tutto si extenda», che riprende un brano del Trattato dell’Amore di Gesù Cristo: «Lassami, Signor mio, venire teco in croce; fammi teco morire sopra quel legno» (p. 116).

129 Il trattato ora si legge in Girolamo Savonarola, Operette spirituali, cit, pp. 131-155. 130Ibid. p. 135.

63 O Iesù, per cortesia,

se mi resta sale in zucca 70 to’lo priego, et la pazia

tua mi da’, ch’ogn’huom pilucca, ché m’ha l’alma in modo stucca con la sua tanta prudentia

questa humana sapientia 75 che anchor io voglio esser pazo.131

Fedele al tono scanzonato dei testi sulla savia pazzia, il Benivieni miscela immagini del registro lirico convenzionalmente spirituale al linguaggio popolare («Fuor di te, viva fontana/ onde in Te l’acqua trabocca/ che ciascun che vi pon bocca per tuo amor fu cieco et pazo»)132. La ballata si conclude con un’eco parodiata di Petrarca: al termine

dell’ennesima invocazione a Gesù, forse la più solenne del componimento, nell’ultimo distico Benivieni ricorda, storpiandola, la celebre chiusa di Italia mia:

Come pazo ogn’huom gridando, Iesù mio, la croce prenda,

la sua croce et iubilando 95 sopra lei tutto s’extenda.

Nel tuo pecto ogn’huom ascenda et di lui facci suo nido.

Ognun gridi com’io grido

sempre «pazo, pazo, pazo».133 100

L’argomento, si diceva, si prestava a essere trattato con toni popolari e smaliziati. Il poeta si trova particolarmente a suo agio nei panni del giullare, come dimostra pure la lauda successiva, Io vo’ darti anima mia, che conferma l’impostazione “familiare” della riflessione sin dai versi della ripresa, «Io vo’ dirti, anima mia,/da che tu saper lo vuoi,/

131 I versi presentati presentano una serie di scelte linguistiche, come l’espressione «sale in zucca», la rima

zucca:pilucca, il verbo stucca, poi riutilizzate nella versificazione delle frottole e degli altri canti

carnascialeschi benivieniani. 132Nonf u mai, vv. 81-84.

133Non fu mai, vv. 93-100. Cfr. RvfCXXVIII, vv. 121-22: «Di’ lor: - chi m’assicura?/ I’ vo gridando: Pace, pace, pace».

64 ma rimangasi tra di noi,/come savia è la pazia», anche se la stessa segue tradizionali modelli biblici, da Paolo o dal Qoelet:

Se la vera sapientia,

che stultitia el mondo appella, è la croce, qual prudentia, qual, Iesù, sarà mai quella ch’e piaceri che fan sì bella questa vita cerchi et chieggia dove sempre inanzi ir veggia la sua morte et la pazia.

[…]

O voi, savi, che potete 85 disputare della natura,

dite un po’, se voi el sapete: questa croce che ’l cor sura, onde ha forza et chi misura

tanto amor che in Lei si extende? 90 Quel che ’l savio non intende

lo conosce la pazia.

Toni ancora più popolari e riconducibili al mondo dei canti carnascialeschi sono quelli della ballata Io vo’ darti, anima mia, dove il poeta-giullare Benivieni si propone di dettare la ricetta di un fantomatico unguento per la «savia pazzia»:

Io vo’ darti, anima mia, un rimedio sol, che vale

quanto ogni altro, a ciascun male che si chiama la pazia.

To’ tre oncie almeno di Speme, 5 tre di Fede et sei di Amore,

due di Pianto et poni insieme tutto al fuoco del Timore.

65 Fa’ da poi bollir tre hore,

premi e ’nfine vi aggiugni tanto 10 di Humiltà et Dolor, quanto

basta a far questa pazia.

Girolamo Benivieni si era già dedicato, negli anni della più attiva militanza savonaroliana, come abbiamo già avuto modo di ricordare, alla composizione di alcuni canti carnascialeschi, recitati tra l’altro durante le processioni comandate dal Frate. Altri due testi delle Opere possono essere assimilati, per tono e registro, alle canzoni della «savia pazzia». Si tratta delle due canzoni a ballo stampate tra cc. 148r – 151r: Ciò ch’io vego, intendo et sento, rubricata come «De la vanità, inganni et superbia del mondo» (cc. 148r – 149r) e la «Canzone a ballo» Donne chi non vuol udire (cc. 149r – 151r).

Il registro linguistico è basso, memore ancora dei canti carnascialeschi e della tradizione della poesia popolareggiante. Ritroviamo alcune scelte che avevamo già osservato nelle canzoni per la pazzia, come la rima zucca : pilucca («Quanto egli han più sale in zucca/ perché ciò che ’l cor pilucca/ si resolve in fumo e ’n vento»)134. Si trovano altri rimandi alle suddette canzoni, come la critica al sapere dei dotti:

Impazar vego a ragione, mondo mio, questi tuo savi, onde sotto mille chiavi

serron poi fummo, ombra et vento.135

In Donne, chi non vuol udire Benivieni affronta il Memento mori attraverso gli stilemi della canzone a ballo. Già dall’attacco, rivolto a un gruppo di ascoltatrici, il poeta aggancia una feconda tradizione delle ballate toscane quattrocentesche136. Al canto gioioso che spesso contraddistingueva i commenti di questo genere veniva sostituito un argomento più minaccioso, come aveva fatto con la Sequenza dei morti. In questo caso il Benivieni non descrive il giorno del Giudizio Universale ma ne annuncia l’arrivo, invitando a sconfiggere al più presto il peccato e a vivere secondo i dettami della fede:

134Quel ch’io vego, vv.24-26. Cfr. Non fu mai, vv. 69-76. 135Ibid, vv. 38-41.

136 Per esempio, le ballate di Poliziano: cfr, per esempio, la canzone a ballo CX Donne, di nuovo el mie

66 Dunque voi, che anchor potete,

giovanette, a Dio tornare et che in altri exemplo havete quel che ’l mondo in voi può fare, deh, venite, ché ’l tardare

sempre fu ingrato et noioso. Deh, non fate el vostro sposo Iesù più d’Amor languire.137

Se le canzoni a ballo non aggiungono molto alla poetica benivieniana, trattando argomenti già abbondantemente esaminati dal poeta nelle liriche precedenti, esse anticipano insieme alle canzoni della «savia pazzia» l’espressività linguistica e stilistica di molte delle frottole.