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Laude dello Amore di Iesù, Dimi ti prego Amore

La prima delle laudi intitolate all’Amore di Gesù è una ballata minima, costruita nella forma di un dialogo tra lo spirito del poeta-peccatore e quello dell’Amore divino. Il dibattito tra le due voci liriche affronta uno degli argomenti decisivi della poetica benivieniana: come è stato possibile che l’anima si allontanasse, volontariamente, dal sentiero della salvezza tracciato dalla fede? Le risposte vanno trovate ovviamente nella dottrina piagnona: le tentazioni mondane traviano l’anima e la rendono «cieca», deviandola dalla strada per la propria salvezza. Questo è, in estrema sintesi, il messaggio delle laudi rubricate all’ «Amore di Gesù», tutte redatte seguendo il modello dell’omonimo trattato del Savonarola, ancora una volta al centro della poesia del Benivieni.

La ballata si divide in due momenti: dalle parole di Amore emerge l’assidua volontà divina di ricercare l’anima errante, condensata nella consueta metafora del pastore e della pecorella stolta (vv. 51-58). Il «core ingrato» o «cieco» (sintagmi ricorrenti in quasi tutte le strofe della ballata, nonché nella ripresa) è esortato, nel finale, a un’umile penitenza, sempre attraverso la misericordiosa intercessione divina (vv. 80-82).

La laude inoltre tesse rapporti intertestuali con testi biblici e con con altre liriche religiose del Quattrocento, come quelle di Lorenzo de’ Medici, Feo Belcari o Lionardo Giustinian.

120 SCHEMA METRICO: ballata minima in settenari e endecasillabi, con ripresa xX e strofe ababbccX

«Dimi ti priego Amore

dove hor vive et di che el mio ingrato core».197 «El tuo cor, ch’io solea

tener dentro al mio seno

et che meco vivea 5

di gaudio et d’amor pieno, da poi che ruppe el freno

del mio suave giogo ivi ha hora el suo luogo,

dove el volge et conduce el suo errore». 10 «Spesse fiate in quello sacro pecto ritorno,

dove io solea con ello starmi la nocte e ’l giorno.

Gli occhi miei volgo intorno 15

se forse in le sue vaghe luce o in quelle alme piaghe el ritrovassi pur del mio Signore. Lasso, ma vana è in tutto

ogni mia opra e ’ngegno, 20

ch’altri ne ha colto el fructo che ’l fea di Iesù degno,

onde non ch’altro a sdegno

197vv. 1-2: La ripresa della ballata benivieniana ricorda quella di una laude del Savonarola (cfr. Che fai qui

core, vv. 1-3: «Che fai qui core?/ Che fai qui core?/ vane al tuo dolce amore»). v. 2 ingrato core: cfr. Commento II, 14, vv.33-36: «degna è che Amor consenti/ ch’all’ ingrato suo core l’impia et proterva/

mente, come a Signore/ a suo malgrado poi s’inchini et serva». Cfr(C). inoltre Trattato dell’Amore di

Gesù cristo, p. 100: «O ingrato core, o anima inobbediente, perché non rispondi tu al mio desio?». vv. 7-

10 Da poi che…: «Da quando si è liberato dal mio sacro giogo, [il tuo cuore] ora sta dove lo porta e

conduce la fallace mondanità»; il sacro giogo è immagine evangelica: cfr. Mt. 11, 29-30: «Tollite jugum meum super vos: jugum meum suave est, et onus meum leve». L’immagine è diffusa nella laudistica quattrocentesca: cfr per esempio Lorenzo de’ Medici Ben arà duro core, vv. 39-40: «Deh! prendi la sua via/ piglia il suo santo giogo sì süave» e O peccator, io sono Dio eterno, v. 21: «Deh! Prendi el giogo mio, che non è grave». Ci sono anche ricorrenze in Feo Belcari per esempio O mente cieca, o insensato core, vv 13-14: «Suave ’l giogo suo, leggeri ‘l peso/ Chi volentier lo porta»). In Benivieni, cfr. anche laude VII, vv. 25-28: «Sempre el peso è dolce et leve/ di IESU, quantunque grave/ Come è ’l giogo anchor suave/ al christian…) v. 11-14: l’atmosfera è petrarchesca: cfr. RVF 85, vv. 1-4: «Io amai sempre, et amo forte anchora/ et son per amar più di giorno in giorno/ quel dolce loco, ove piangendo torno/ spesse fïate, quando Amor m’accora». v. 11 Spesse fïate: tante volte, di continuo. vv. 16-18: cfr laude IV, vv. 61-64: «Per quelle sante piaghe, / pel sangue et per la croce/ che queste luce vaghe/ di pianto han fatto foce». Le alme piaghe riconducono alla Passione di Cristo, la cui contemplazione è momento decisivo del percorso di conversione dell’anima. Cfr. Commento III, 39, vv. 1-4: «Si vivo è el foco, Amore, che all’alme et nuove/ tue voce ad hora ad hor per te s’accende/ che l’alma infiamma, onde poi teco ascendo/ per le tue piaghe a veder quel ch’el move». vv. 21-22 el fructo…: cfr Commento III, 35, vv. 18-20: «…onde uscir debbe el fructo/ che per te el mondo tutto/ pasca, o dolce Iesù, de’ tuoi ben veri» [qui in un contesto però politico: si tratta del conosciuto canto carnascialesco composto dal B. per la quaresima del 1497]

121 gli son le sue delitie,198

el gaudio et le letitie, 25

et pascesi del pan del suo dolore. Io lo anchor cerco in cielo

se forse in questi o ’n quelli chori ove dal mio zelo

portato spesso anch’elli 30

salia, ma né infra quelli spirti beati el veggio ch’altro loco, altro seggio

a questo si convien che a quel fervore».

«Se dunque el cor mio ingrato, 35 Amore, non è più teco

né col suo dolce amato Iesù nel cielo l’ha seco, forza è che ’l mondo cieco

co’ suoi falsi dilecti 40 l’inclini, occupi, allecti

nel fango ove forse hora damnato more. Non tardar dunque, o pio

Amore, mettiti in via,

trova el cieco cor mio 45

che ’l mondo ogn’hor più svia. Dilli che in breve fia

se di lui non si spoglia,

che male quantunche e’ voglia

tornar potrà al suo divin pastore. 50 198v. 26: il pan del suo dolore: il peccato, l’inganno in cui precipita l’anima traviata dai (piaceri terreni che

simulano la perfezione divina. Il concetto, tipico della poesia moralizzante e spirituale, è già espresso dal Benivieni in vari luoghi della sua poesia: tra questi, particolarmente attinente col passo di questo componimento ci sembra Commento II 14, vv. 176-180: «Fra noi quaggiù quel con esso nasce/ un non so che, che pasce/ l’alma d’un fragil ben, che lui simiglia:/ nostra mente smarrita/ Ben disia el vero sole, ma l’ombra piglia». vv. 29-31 se forse… salìa: tra le beatitudini angeliche, il luogo destinato a chi conduce una vita con salda fede. Si sente in questi versi l’influsso della dottrina bonaventuriana dell’Itinerarium

mentis in Deum (e in particolare del primo grado di conoscenza di Dio attraverso il mondo esteriore) che,

ricordiamo, è fondamentale nella costruzione del Commento, specie nella prima parte. Cfr. per esempio,

Commento I, 3, vv. 1-4: «Quando, perché veder l’alma smarrita/ in tanto exilio el suo sposo dilecto/ non

può, contempla in questo et in quello obiecto/ l’ombra talhor di sua beltà infinita» e la glossa ai versi: «et in questa consideratione vede allhora l’anima et contempla Dio […] per epse creature sensibile, quasi come per segni et vestigi» [c.10v]. v. 35 cor mio ingrato: vedi supra la nota al v. 2. v. 40 falsi dilecti: cfr.

Commento II, 18, vv. 5-6: «O sopra ogni altre perigliose et vane/ fatiche, o piacer falsi, o doglie certe» e

la glossa: «O piaceri et delectationi del mondo. falsi, perché non riescono infine e quello che di sé in principio promettono: conciò sia che el fiore loro dia speranza di dilecto, et el fructo pasca la anima di amaritudine/ di penitentia et di dolore». v. 42 nel fango: immagine biblica: cfr. Ps. 39, 3: «Et esaudivit preces meas, et eduxit me de lacu miseriae et de luto faecis». Cfr. anche Lionardo Giustinian, O Gesù

dolce, o infinito amore, vv. 62-63: «ch’io son sommerso e non posso levare/ d’esto fango mondano». v.

43 non tardar dunque… : cfr. laude I, vv. 23-24: «Non tardar dunque, hor più/ dum fervet mens dum

quaerit ipsa Deum». vv. 45-46: cfr. Commento II, 23, vv. 12-14: «Tu dunque che sol puoi, dolce Signore/

vulnera l’alma hor sì che ’l mondo svia/ del tuo amor, che in lui mora, et in te sol viva». vv. 47-50: «Digli che cosa sarà di lui se non si libera delle tentazioni mondane, e che qualunque male lui possa scegliere potrà rientrare nel gregge del suo pastore».

122 Al suo pastor divino199

la stolta pecorella, al suo pastor che insino

dal ciel chiama ogn’hor quella.

Ma lei, come rebella, 55 della sua sancta croce

né sa né vuole la voce

udir, la voce del suo redemptore. Apri hormai gli occhi et vedi,

o cor mio cieco et stolto, 60 la tua miseria, et credi

che el laccio ond’hor sè involto per altre mani disciolto

che quelle di Iesù

esser non può: ma tu 65 el fuggi et Lui ti segue a tutte l’hore.

Deh, cor mio ingrato, aspecta, non fuggir più el tuo bene,

Iesù, che ogn’hor ti allecta,

che incontro ogn’hor ti viene. 70

Ma tu, che più le pene

che ’l tuo ben cerchi et brami, ben vuoi la luce et l’ami,

poi segui l’ombra et fuggi el suo splendore.

O Amor che vincesti 75 lo Amor onde uscì el foco

che già in Terra accendesti sì ch’arse in ogni loco,

prestane, priego, un poco

199vv. 51-54: riferimento alla parabola della pecorella smarrita (Lc. 15, 4-7) ma anche, dato il contesto, a

Isaia 53, 6: «Omnes nos quasi oves erravimus/ unus quisque in viam suam declinavit». Il tema è anche il

Lorenzo de’ Medici, Fuggendo Loth con la sua famiglia, vv. 9-11: «Per ritrovarti, il buon pastore eterno/ lascia il gregge, o smarrita pecorella; / truovati, e lieto in braccio ti riporta» e la laude Io son quel misero

ingrato. vv. 9-14: «Io son quella pecorella/ che ’l pastor suo ha smarrito:/ tu, Pastor, lasci per quella/ tutto

el gregge, e m’ai seguito:/ o Amor dolce e infinito perduto ero, or m’ai trovato» vv. 55-58: il motivo dell’anima sorda, insensibile al richiamo alla fede, è tipico della produzione laudistica benivieniana: vedi, per esempio, la laude XV, Veggo Iesu, el mio Dio, che ‘n croce pende e Stanze in passione Domini II, vv. 6-8: «O misero christian, superbo e ‘ngrato/ come esser può che mentre un tal dolore/ contempli, in pianto non resolva el core». Il topos è savonaroliano. vv. 60-62 Apri gli occhi… la tua miseria: cfr. Amore di

Gesù Cristo, p. 100: «Apri gli occhi e guarda che spietata stampa oggi ti è proposta». v. 63 el laccio: metafora del peccato, abitualmente utilizzata dal Benivieni (cfr. per es. c(C)ommento II 14, vv. 15-18:

«l’anima peregrina/ che, se quel segue et suoi consigli ascolta/ cade in tai lacci allhora/ che ogni sua libertà dal cor gli è tolta» e la glossa: «l’anima peregrina, cioè devia et aliena dalla sua patria Hierusalem celeste, che se quel, cioè epso senso segue et ascolta e suoi consigli, cioè le sue pernitiose lusinghe/ lasciandosi da quelle inescare, cade, per diuturna consuetudine et si inviluppa in tali et tanto inextricabili lacci, che ogni sua libertà et arbitrio gli e tolta». vv. 72-75: cfr. Commento II 14, vv. 176-180: «fra noi quaggiù quel con esso nasce/ un non so che, che pasce/l’alma d’un fragil ben, che lui simiglia:/ nostra mente smarrita/ ben disia el vero sole, ma l’ombra piglia».

123 al mio core, almen tanto200 80 che in dolce et humil pianto

destructo ascenda in grembo al suo fattore». Dimmi ti priego amore.

200 vv. 80-82: la metafora ritorna qui in laude XI, vv. 30-34: «che per virtù d’amore/ et del suo humil

pianto/ semplice, puro et sancto/ renda te stesso a quello/ immaculato agnello». L’anima, pentitasi per il suo stato vizioso, riesce a salire alla grazia divina. Sull’importanza del pianto nei momenti di redenzione e conversione il Benivieni s’era concentrato in particolar modo in alcune glosse alle sue traduzioni dei Salmi penitenziali e nelle prose del Commento. Si individua, in questo passo come in tutta quest’ultima stanza, uno specifico rimando a Commento III, 41, vv. 1-4: «io non so come el cor piangendo, o donde/ versi per li occhi miei sì largo fiume/ di pianti, et come l’uno et l’altro lume/ non han già spento le sue flebil onde. / Io ne dimando quel; lui mi risponde/ che Amor con l’aura solo delle sue piume/ forma et muove gli spirti, e qual presume/ dentro al pio foco entrar si strugge et fonde». Nelle glosse di commento a questi versi, il Benivieni dichiarava la fonte di Agostino, Confessiones IX 6, 14.

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