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Della vanità, inganni et superbia del mondo.

Questa ballata mezzana è costruita in special modo attorno alla metafora dell’ “ombra” e del “vento” con cui, nell’Ecclesiaste, sono più volte definite le ingannevoli vanità mondane.

ll testo biblico, fonte preziosa nel repertorio laudistico benivieniano, affiora in diversi luoghi delle stanze della ballata, composta in uno stile basso affine a quello di certi luoghi delle laudi sulla savia pazzia o della successiva “canzone a ballo”.

L’andamento cantilenante è garantito dall’anafora di Vego, in apertura delle prime sei stanze, dedicate all’illustrazione dei vari e vani piaceri terreni. La parola-rima vento, derivata dall’«afflictio spiritus» dell’Ecclesiaste, chiude sia la ripresa che ognuna delle otto strofe della ballata.

172 SCHEMA METRICO: ballata mezzana in ottonari, con ripresa xyyx e otto strofe di otto versi ababbccx. L’ultima parola di ogni strofa è vento.

Ciò ch’io vego, intendo et sento, 236 ciò ch’io cerco al mondo o bramo, ciò ch’io spero, honoro o amo tutto è ombra, sogni et vento.

Vego in fronte alla richeza 5

un piacer che a sé mi alletta, corro dietro alla dolceza

che lei par che mi prometta. Truovo poi che a me, restretta

nel suo sen, tutto mi effondo, 10 ch’ogni suo dolce et iocondo

è dolor, fummo, ombra et vento. Ciò ch’io vego.

Vego in cima a’ suoi thesori, a’ le sue pompe et delitie,

lampeggiare gloria et honori, 15

pien di gaudio et di letitie. Corro dietro a le primitie de’ lor primo et sommo Bene,

poi non truovo altro che pene, odii, sogni, morte et vento. 20

Ciò ch’io vego.

Vego molti a bocca aperta perché quel savio l’imbocchi, ser Martino et mona Berta, che li pasce di finocchi,

tanto ogn’hor farsi più sciocchi 25

236v.4: La vanità delle cose terrene viene descritta con un preciso richiamo biblico al Qoelet: cfr. Qo 1, 14:

«Vidi cuncta quae fiunt sub sole, et ecce universa vanitas et afflictio spiritus». vv. 5-12: c’è in questa strofa una certa affinità con la seconda delle laude benivieniane alla savia pazzia: cfr. laude IX, vv. 13-20: «Chi non sa che la ricchezza/ piacer, fama, gloria, honori/ tiron con la dolcezza/ tanto a sé i nostri human cori/ che si reston un po’ di fuori/ di quel ben che ciascun brama/ et però chi troppo gl’ama/ corre dietro alla pazzia». vv. 13-16: la rima delitie:primitie anche in laude VII, vv. 65-68: «Disciplina e penitentia/ sono le sue prime delitie/ e suo’ gaudii et le letitie/ e martirii, perch’egl’è pazo». Il rifiuto delle ricchezze e del potere temporale è tema abusato in questi testi benivieniani, di sicura matrice savonaroliana: cfr. laude Ia, vv. 4-6: «Io non ti chieggio regno né thesoro/ come quel cieco avaro/ che satiar mai non può la voglia sua» e laude VIII, vv. 5-8: «La pazia di Iesù spreza/ quel che ’l savio cerca et brama:/ stati, honor, pompe et riccheza/ piacer, feste, gloria et fama». v. 23 ser Martino e mona Berta: nomi comuni, spesso utilizzati per indicare personaggi generici, imprecisati. Citati anche da Dante (Par.XIII, vv. 139-141: «Non creda donna Berta e ser Martino/ per vedere un furare, altro offerere,/ vederli dentro al consiglio divino»). v. 24 li pasce

173 quanto egli ha più sale in zucca237

perché ciò che el cor pilucca si resolve in fumo e ’n vento.

Ciò ch’io vego.

Vego spesso infino in cima Fortuna, un quando ella scherza, 30 porre in pregio honore et stima,

poi mutare paleo et sferza,

et dal sommo inanzi terza della sua più excelsa ruota

ributarlo nella mota 35

come un’otre pien di vento. Ciò ch’io vego

Vego ogn’hor chi sega et miete

quel che semina altri et pone, vego tender mille rete

per pigliar le tre corone. 40

Impazar vego, a ragione, mondo mio, questi tuo savi, onde sotto mille chiavi

serron poi fummo, ombra et vento. Ciò ch’io vego.

Vego spesso alcun che pregia 45

quel che debe et vuol fugire, et chi fuge, odia et dispregia quel che pur dovrìa seguire. Et altri è che in ciel salire

crede mentre in basso scende, 50

ma, se l’asin mio la intende,

Tutto è sogni, fummo et vento. Ciò ch’io vego.

237vv. 26-27: cfr. laude VIII, vv. 69-72: «O Iesù, per cortezia/ se mi resta sale in zucca/ tolo, priego, e la

pazia/ tua mi da’, ch’ogni huom pilucca». vv 29-36: sulla caducità di Fortuna, tema ampiamente frequentato dal Benivieni, cfr. Commento II 2 e Commento II, 18, oltre che la Frottola II. v. 32 muta paleo

et sferza: cambia rapidamente atteggiamento. Il GDLI riporta questo passo della laude come unico esempio

per questo significato della voce «paleo». vv. 37-40: non è molto chiaro il riferimento di questi versi, che però probabilmente nascondono una topica denuncia dell’avidità della Chiesa romana: le tre corone del v. 40 dovrebbero intendere il Triregno papale. vv. 41-44: cfr. laude VIII, vv. 77-80: «E m’è detto, Iesù mio/ che la sapientia humana/ è stultitia appresso a Dio/ e ch’ogn’altra cosa è vana» e nota. vv. 45-50: cfr. laude III, vv. 68-75: «Deh, cor mio ingrato, aspecta/ non fuggir più el tuo bene/ Iesù che ogn’hor ti allecta,/ che incontro ogn’hor ti viene./ Ma tu, più le pene/ che ’l tuo ben cerchi et brami:/ ben vuoi la luce et l’ami/ poi segui l’ombra et fuggi el suo splendore» e nota.

174 S’io mi volgo intorno et guardo238

Onde ’l mondo e suoi error vegia,

lo occhio mio debil et tardo 55

manca e ’l cor con lui vanegia, perché ciò che alhor vaghegia dentro a questo tempestoso

mar del mondo o gli è a ritroso

o imbotto, fumo et vento. 60

Ciò ch’io vego.

Deh, Signor mio, se ti piace,

apri gli occhi de’ mortali, sì che el lor viver mendace

riconochino e ’ lor mali.

Rendi, priego, al cor quelle ali 65 onde in Te tutto si accolga, si sviluppi, snodi et sciolga

da questa ombra, fummo et vento. Ciò ch’io vego.

238vv. 58-59 tempestoso mar del mondo: l’immagine probabilmente è di derivazione evangelica, fondata

sull’interpretazione di diversi momenti narrati nei vangeli sinottici, come quello della tempesta sedata (Mt 8, 23-27, Mc 4, 35-41 e Lc 8, 22-25) o l’episodio della camminata di Gesù sulle acque raccontata in Mt 14, 33-41). Quest’ultimo veniva allegoricamente interpretato da Agostino nel settantacinquesimo dei suoi

Sermones (De verbis evangelii Mt 14, 24-33: “navicula autem in medio mari iactabatur fluctibus” et cetera 3) come un’immagine della comunità di cristiani che soltanto con l’intervento di Cristo può ritrovare

la salvezza dalle diaboliche tentazioni nascoste nella mondanità: «Interea navis portans discipulos, id est Ecclesia, fluctuat et quatitur tempestatibustentationum: et non quiescit ventus contrarius, id est, adversans ei diablus, et impedire ninitur ne perveniat ad quietem. Sed maior est qui interpellat pro nobis. Nam in ista nostra fluctuatione in qua laboramus, dat nobis fiduciam, veniens ad nos, et confortans nos».

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