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La serie di ottave di Agabito e Acrisio sostituisce due frottole a loro dedicate presenti nel codice Gianni 47 (cc. 87r-92r) e però cassate nell’edizione delle

Opere. Come nelle frottole del manoscritto, al padre risponde per le rime il figlio:

il primo, preoccupato per le eccessive attenzioni del giovane tutto dedito alla musica, cerca di richiamarlo a una vita morigerata e dettata i principali morali e cristiani (ovviamente savonaroliani); Acrisio, convinto dalle parole di Agabito, decide di usare la sua passione musicale come strumento di redenzione.

La riflessione sulla vanità delle arti, propria di una certa interpretazione della dottrina savonaroliana, rimane però sullo sfondo, relegando le due serie di ottave composte, come recita la rubrica, «per modo d’improviso» sul livello di un esercizio poetico. Sul piano stilistico, è poi interessante notare la convivenza di elementi della più alta tradizione lirica (stilnovista, dantesca, petrarchista) con sentenze popolari e modi di dire: per fare qualche esempio, «fesso è il vaso»; «mosca che l’altrui mel sempre lecca/ non si de’ lamentar s’altri la schiva/ o della propria sua vita la priva»; «Quella colomba misera che scende/ nelli altrui campi da’ suoi tecti et becca/ et che mai al nidio del vicin suo ascende,/di ch’ell’è ingrata et d’ogni pietà secca». Sono ancora numerosi i rapporti intertestuali che legano le ottave a diversi luoghi delle frottole presenti nella stampa.

Le stanze di Agabito e Acrisio vanno perciò ricondotte tra le opere morali “popolareggianti”, un punto intermedio del passaggio verso la composizione delle lunghe frottole dell’ultima parte.

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IIa. STANZE PER MODO DI IMPROVISO IN PERSONA DI AGABITO AD ACRISIO SUO FIGLIUOLO

I256

Mentre che tieni el secco legno in braccio et che meni le dita per le chorde,

sappi che Morte va texendo el laccio onde et la voce al dolce suon concorde rompa et le bianche dita in freddo ghiaccio induri et faccia le tue orecchie sorde, et se ’l fin del tuo suon non è l’eterno Ben, l’alma e ’l cor strascini all’Inferno. II

Mentre che al suon de’ più suavi accenti pasci l’orecchio tuo di questo legno, fa’ che per lui e vaghi spirti intenti sièn tutti a quello, onde el celeste regno rinsuona e ’l Cielo insieme et gli elementi, perché se in questo el male nutrito ingegno fermassi, credi, che in perpetuo pianto tornere’ presto el suon, la voce e ’l canto. III

Colui che come grato a Dio non rende quel che de’ troppo iniquamente pecca, et chi sempre l’altrui consuma et spende senza alcun fren né mai l’Author rimbecca di che a se stesso insidie et lacci tende mentre che ’l fonte della pietà secca. Perché chi quello, onde e’ si pasca et viva, defrauda, sé, non lui, di vita priva.

256 I. v. 1 secco legno: metonimia per indicare lo strumento musicale, probabilmente un’arpa, come

suggerisce il verso successivo. v. 3 Morte va texendo el laccio: la Morte terrena incombe. Con la stessa metafora, cfr. Commento III 10, vv. 9-12: «Non havea Morte anchor texendo avvolta/ l’improba tela a el lacrimabil subbio/né sciolte le dolente fila extreme/ch’hor ropte ha in tutto…». vv. 7-8: per un’interpretazione della dottrina savonaroliana, soltanto le arti dedicate alla contemplazione sono libere dalle tentazioni del peccato.

II. vv. 3-8: «Fa’ che attraverso il suono i tuoi desideri [e vaghi spirti] siano tutti indirizzati a quello cui risuona il Regno celeste, il cielo e tutti gli elementi, perché se in questo fermi in questo il tuo pensiero mal consigliato, credimi, la musica, il canto e la voce presto si trasformeranno in pianto». v. 6 in questo: ovvero, nel peccato del mondo; contrapposto a quello (v.4).

III. vv. 2-6: le rime pecca:rimbecca:secca sono dantesche: cfr. Purg. XXII, vv. 46-51: «Quanti risurgeran coi crimi scemi/ per ignoranza, che di questa pecca/ toglie ’l penter vivendo e ne li stremi! E sappie che la colpa che rimbecca/ per dritta opposizione alcun peccato,/ con esso insieme qui suo verde secca».vv. 3-8: «E colui che spende e sperpera le ricchezze degli altri non rimprovera chi compie queste azioni [l’author…di che], che tende a se stesso lacci e insidie mentre prosciuga il Fonte della pietà. Perché chi inganna quello da cui si nutre e vive priva sé stesso, non Lui, della vita». v. 6 fonte della pietà: classica immagine cristologica, presente anche nell’opera benivieniana: cfr. Sequenza dei morti, vv. 31-33: «Rompila, o fonte di somma pietate/ salvimi, priego, o dolce Signor mio,/ non guardare a le mie iniquitate».

199 IV257

Felice te, se ’l Ben che a Dio ti pone innanzi agli occhi, et che tu fuggi et sacci, la mente tua col fren de la ragione,

ritiene et chiude ne’ suo primi lacci. Penso che pochi in Terra al paragone potrien teco venir, ma ’l cor, che allacci ogn’hor di qualche vano et stran pensiero, non ti lascia veder tra ’l falso e ’l vero. V

La Speranza t’inganna, el Tempo vola et Morte dietro con la falce viene. Pasce l’orecchio el canto et la viola, ma fesso è il vaso, et però poco tiene: lei si lamenta perché nuda et sola la lasci del suo primo et proprio Bene, et della anima sua che tanto appreza

ogni human cor quanto el tuo l’odia et spreza. VI

Quando io penso, talhora, l’ingegno e ’l modo onde Dio quanto ogn’altro t’ha donato, come e suo beni in te confesso e lodo, così ti accuso come troppo ingrato.

Rompi hormai, dico, rompi hormai quel nodo, quel nodo che ti tien così legato,

che con un breve et sol sospir lo puoi a tua posta discior, se far lo vuoi. VII

S’i’ mi specchio talhor dentro al tuo volto, onde par che Honestà, Gratia et Dolceza habbino in sé ogni valor raccolto, et poi contemplo in te la tua dureza et el cor di tanta maraviglia involto, che per sola pietà si rompe et speza,

257IV. vv. 6-8 ma ’l cor…: «ma il cuore, che tu imprigioni in continuazione con qualche pensiero vano,

non ti fa più distinguere il vero dal falso». cfr. anche Frottola II, vv. 281-284: «E c’è alcun che conosche/ el vero dal falso in Terra? Chi è quel che non erra/ Quel che a Dio si congiunge»

V. v.1: cfr. frottola III, vv. 205-210: «La Speme e ’l Tempo a gara/ corron per questa strada, / dove mentre lei bada/ in queste fransche e ’n quelle/ di sogni et di novelle/ si pasce, e ’l Tempo vola». v2: cfr. frottola II, vv. 153-154: «…et per noi si arruota/ già la tua falce, o Morte». v. 4: «ma il vaso è rotto e perciò poco resiste». Espressione proverbiale: cfr. Bernardo Pulci, Piango il presente e mio passato tempo, v. 14: «ma l’acqua in vaso fesso metter veggio».

VI. v. 3: cfr. frottola III, vv. 416-418: «…Amor mi scusi/ che vuol che io ne accusi/ e vostri et e miei defecti». vv. 5-6: i versi ricordano la parte iniziale del capitolo posto in introduzione alla terza parte del

Commento (f. 73v): «Rompi hor tu dunque, Iesù, el freno/ che l’ingrato mio cor restringe et lega/ in questo

obscuro carcere terreno».

VII. v. 4: cfr. frottola V, vv. 121-124: «Ma questa tua dureza/ questo tuo nuovo sdegno/ ond’esce? Dal cor pregno/ d’un non so che mal seme».

200 qualhor discorre, giudica et misura258

el torto che tu fai alla natura. VIII

S’egli è vero che gentil cor senza Amore, senza virtù che la sua propria forma viver non possa, et se benigno core, come tu di’, el tuo pecto ne informa, qual maraviglia, qual più cieco errore, qual nuova legge el suo regno transforma sì che mentre d’un tal Amor s’allaccia

sé el suo ben fugge et la sua morte abbraccia? IX

Gli occhi tuoi certo né prometton quella Virtù ch’i’ cerco et che ’l tuo cor ci niega; la bocca, benché tacita, favella

contro el core et a noi s’inclina et piega; l’apparente modestia e ’l modo ond’ella l’ingordo et cieco cor tranfigge et lega ci giura che ’n pochi anni e ’n pochi mesi ritornerà anchor l’acqua in suo paesi. X

O tre volte felice, et più se mai

non uscia l’acqua tua del suo primo alvo, o tre volte beato et più, se fai

tanto che ’n porto anchor ritorni salvo! Dimmi, priego, figliuolo, dimmi: non sai non sai, figliuolo, perché sì pinge calvo in parte el capo alla Ventura e ’n parte con chiome in cima a la sua fronte sparte?

258VIII. vv. 1-2: che gentil cor…: il linguaggio di quest’ottava, evidentemente stilnovista, viene utilizzato

per descrivere lo stato di «nobiltà» cui deve aspirare l’anima nel suo cammino di fede. Lo stesso registro è presente nell’ottava a questa di risposta di Acrisio (vd. IIb, ott. VIII).

IX. vv.7-8 che ’n pochi anni…: l’espressione proverbiale, attestata in una forma simile in Franco Sacchetti, Trecentonovelle CLXIII, 22: «E così si rimase la cosa, rimanendo in questo quel proverbio che dice: “In cento anni e ’n cento mesi torna l’acqua in suo’ paesi», indica la reiterazione nel tempo di alcuni fatti o azioni. Nel caso di quest’ottava, incentrata sulla falsità sita nell’apparenza della vita di Acrisio, suggerisce il perdurare della sua vita nel peccato.

X. vv. 1-2: cfr. frottola VI, vv. 43-46: «O tre volte felici/ quei che sol voglion quello/ che ’l ciel col suo pennello/ dipigne et che a Dio piace». v. 2 primo alvo: il letto del fiume; figurativamente, il corso iniziale della vita, corretto, non turbato dalle tentazioni mondane vv. 2-6: la triade rimica alvo:salvo:calvo anche in Purg. XXVII, vv.23-27: «Ricorditi, ricorditi! E se io/ sovresso Gerion ti guidai salvo, / che farò ora presso più a Dio? / Credi per certo che se dentro a l’alvo/ di questa fiamma stessi ben mille anni/ non ti potrebbe far d’un capello calvo». vv. 3-4: cfr. frottola III, vv. 153-156: «O tre volte beati/ quei ch’en sì grave et obscure/ tenebre chiare et pure/ haràn le luce interne». vv. 5-8 non sai…: «non sai, figliuolo, perché la testa di Fortuna è in parte calva e in parte coperta da una treccia avvolta sulla sua fronte?». Il riferimento è all’iconografia di Fortuna come καιρός, l’occasione, il momento propizio. Nella letteratura fiorentina quattrocentesca, si trova precedentemente in Luca Pulci, Driadeo IV 40, vv. 1-3: «Sappi, driada bella, che Ventura/ si pinge in guisa d’uom che porti chiome/ in fronte, e retro nulla cosa el cura».