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Caratteri e trasformazioni del paesaggio della costa abruzzese Camillo Orfeo

Università degli Studi di Napoli “Federico II

Scuola Politecnica e delle Scienze di Base - DiARC - Dipartimento di Architettura Email: camillo.orfeo@gmail.com

Tel: 347.0065971

Abstract

La crescita incontrollata degli ultimi decenni delle aree urbane, avvenuta spesso su aree potenzialmente a rischio o di particolare pregio, impone una profonda riflessione sulle trasformazioni territoriali per la configurazione di un nuovo paesaggio, che tutti augurano intelligente.Il permanente conflitto tra i processi attuali e le leggi stabili di costruzione della città e del territorio sembra farci perdere la visione positiva del futuro e la possibilità di riconquista di senso e di valore delle cose. Possiamo immaginare di ricostruire la realtà solo superando il senso di estraniazione provocato dalle recenti trasformazioni e provando a ricomporre i tanti frammenti lasciati dalla modernità.

In un tratto della costa adriatica in Abruzzo interessata dalla dismissione della linea ferroviaria costiera sono stati ipotizzati un Parco Nazionale, e una Via Verde per recuperare l’antico tracciato ferroviario. Questi progetti procedono in modo autonomo e hanno evidenziato i conflitti esistenti tra i molti interessi nella condivisione di un programma a lungo termine. Il parco ipotizzato con un decreto nel 2001 non ha mai avuto la perimetrazione e manca un progetto di territorio in grado di coniugare trasformazione e sostenibilità ambientale, per disegnare un frammento di nuovo paesaggio per il fragile territorio italiano.

Parole chiave: infrastrutture, parco, reti. 1 | Frammenti della modernità

Le trasformazioni territoriali degli ultimi decenni hanno profondamente modificato il paesaggio storico che rappresenta il risultato del complesso rapporto tra geografia dei luoghi, forme della campagna e degli insediamenti. L’espansione incontrollata delle aree urbane e la proliferazione di infrastrutture, alcune delle quali sottoutilizzate o dismesse, impone una profonda riflessione sulle politiche territoriali e sulle conseguenti trasformazioni del paesaggio. Non si tratta di contrapporre memoria e modernità, ma di lavorare sulle strutture paesaggistiche permanenti che possono convivere con appropriate funzioni e usi del territorio.

La natura e le attività umane non sono sempre in contrapposizione, anzi proprio dalla stretta relazione tra forme naturali e costruite sono nate strutture agrarie e paesaggistiche complesse. L’uomo ha cercato da sempre di vivere in sintonia con la natura, e storicamente le sue attività erano rivolte proprio alla cura e alla coltivazione della terra. Le forme naturali hanno determinato in moltissimi casi la nascita e lo sviluppo di città, e la geografia costituisce la condizione primordiale necessaria all’insediamento umano. Nella città della storia la forma naturale dei luoghi stabilisce sempre una stretta relazione con le costruzioni, e alcune architetture trovano la propria definizione formale proprio dalla condizione straordinaria della forma del sito.

La rottura delle relazioni storiche consolidate tra natura e attività umane ha generato la perdita di quell’equilibrio che garantiva al pianeta un costante processo di rigenerazione. Sono venute meno le

sicurezze sulla forza della natura, e la terra si è mostrata più fragile di quanto pensassimo, al punto che proprio gli uomini costituiscono la sua principale minaccia.

Queste considerazioni generali impongono di rivedere le politiche di sviluppo, i nostri stili di vita e i processi che hanno provocato attività aggressive e incontrollate. L’inquinamento atmosferico, le deforestazioni e l’urbanizzazione galoppante sono la dimostrazione che alcuni processi possono rivelarsi irreversibili e minacciare la stessa sopravvivenza dell’uomo e del suo ambiente. «Non si tratta tuttavia di dover passare all’estremo opposto, come succede con le posizioni unilateralmente ambientaliste, per le quali, in nome della difesa dell’ambiente come valore assoluto, considerano l’architettura un potenziale nemico e la giudicano esclusivamente a partire da un suo ipotetico ‘impatto ambientale’. Rispetto a questa forma di manicheismo, cercheremo di rivendicare un’idea di architettura vista come attività mirata al raggiungimento di una relazione armonica tra uomo e natura»1.

Lo studio del territorio ha l’obiettivo di scoprire le regole della costruzione, individuarne le dinamiche legate al tempo e allo spazio in cui viviamo. Anche se sono sempre più raffinati e diffusi i mezzi d’indagine e di conoscenza della realtà, abbiamo perso la capacità di leggere e interpretare le forme e le dinamiche territoriali. Basti pensare alla disponibilità ‘portatile’ di immagini aeree e satellitari sui siti e sulle piattaforme web dell’intero globo che ci permettono di guardare ogni angolo del mondo, ma non più a vederle. Abbiamo perso cioè la capacità di selezionare, sintetizzare e descrivere il territorio, che percepiamo come nebulosa, sprowl, non luogo. I resti degli antichi paesaggi e delle strutture agrarie preesistenti rischiano di diventare delle presenze patologiche, un insieme di frammenti che rimandano alla memoria antropologica di quello che è stato, tra pezzi di città, aree industriali e infrastrutture costruite negli ultimi decenni. La città contemporanea si manifesta con la sua indifferenza ai luoghi, senza un disegno generale, e produce residui indifferenziati sempre più difficili da trasformare o cancellare.

Il permanente conflitto tra i processi attuali e le leggi stabili della costruzione della città e del territorio sembra farci perdere la visione positiva del futuro, in cui viene meno la possibilità di riconquista di senso e di valore delle cose. Possiamo immaginare di ricostruire la realtà solo superando quel senso di estraniazione provocato dalle recenti trasformazioni, provando cioè a ricomporre i tanti frammenti lasciati dalla modernità.

2 | Strutturare il paesaggio

Dal recente rapporto ISPRA2 sul consumo di suolo in Italia arrivano dati preoccupanti da cui però

potrebbero nascere utili indicazioni per azioni di governo e politiche territoriali. L’aumento del consumo di suolo sembra inarrestabile e appare del tutto ingiustificato in un periodo di stagnazione economica, anche per l’assenza di incrementi demografici e di flussi migratori interni. I suoli sottratti ai cicli naturali sono in costante aumento dal dopoguerra, con un livello di saturazione che ha raggiunto il 7% su scala nazionale e toccato il 10% in alcune aree, contro il 2,7 degli anni cinquanta. Il tasso di consumo è triplicato negli ultimi 60 anni, con una sostanziale uniformità in tutte le regioni italiane. Nel 2014 sono stati occupati oltre 200 chilometri quadrati di territorio, che corrispondono a circa 55 ettari al giorno sottratti ad aree naturali ed agricole. Le cause non sono imputabili a un singolo provvedimento, ma all’assenza di una politica territoriale consapevole. Si sono generate leggi regionali permissive, frammentati i processi autorizzativi, favorito i clientelismi locali, tutte azioni che hanno fatto perdere il controllo della gestione del territorio. La strada per invertire il fenomeno è di far condividere un processo di decrescita a tutti i livelli, recuperando attraverso un progetto complesso quelli che sono i resti della modernità da risignificare con gli elementi naturali ancora presenti.

Il limite tra città e campagna, che è stato evidente nella città della storia, si è progressivamente perso con l’arrivo della modernità. La città contemporanea ha un limite indefinito, è costruita su ambiti territoriali estesi che includono edifici, aree produttive, infrastrutture. La campagna entra all’interno della città, ma il suo disegno è costantemente ignorato, sovrapposto con edifici, aree industriali, infrastrutture.

Molti architetti e urbanisti dalla prima metà del secolo scorso avevano intuito le dinamiche urbane sulla città, ed elaborato dei modelli teorici maturi che conferivano alla geografia il ruolo di strutturazione urbana. In questi progetti i sistemi geografici, trasportati all’interno della città, ricoprivano un ruolo simile a quello che gli assi e gli spazi monumentali avevano dell’antichità. Tra i molti esempi possiamo ricordare

1 Martì Aris, 2005. 2 AA.VV, ISPRA, 2015.

le proposte di Eberstadt, con la sua città radiale intervallata da cunei di verde, che si poneva come alternativa alla città radiocentrica, le proposte di Le Corbusier, o i modelli di città regione ipotizzate da Hilberseimer. In questi ultimi esempi, elaborati per la città di Chicago, si sono superate la contrapposizioni città-campagna attraverso una disegno regolare che ripropone la maglia simile a quella della centuriazione adattata alle condizioni geografiche. «La città non è che una parte del territorio, vicino ai campi, ai prati e ai boschi. La campagna penetra, quindi, nella città e si trasforma in parte di essa»3.

La possibilità che la città contemporanea possa trovare una sua identità dal rinnovato rapporto con la natura apre nuove possibilità sulla trasformazione urbana generale e sui suoi spazi pubblici. Gli spazi della periferia e della città diffusa potrebbero costruirsi con la natura e in questa riconoscersi e identificarsi. Il progetto di paesaggio si è molto trasformato negli ultimi anni, con una consapevolezza rispetto alle dinamiche ambientali sempre maggiore. Dalle prime ipotesi che prevedevano la razionalizzazione di funzioni specializzate interconnesse, si è passati alla comprensione di un sistema osmotico capace di interagire con le aree da conservare e quelle da trasformare.

Figura 1 | La Costa Teatina da Ortona a Vasto in un’immagine satellitare. Fonte: Google heart.

Molti piani paesistici e dei parchi cercano di comprendere quell’insieme di relazioni dinamiche dei processi naturali e le interazioni tra le azioni dell’uomo e la natura. La progettazione assume quindi un ruolo dinamico che può essere riassunto con il termine «Mouvance»4. Un concetto che prevede il perpetuo

3 Hilberseimer, 1949.

4 «La Mouvance è un concetto introdotto da Bernard Lassus, secondo cui il paesaggio è una relazione in continuo movimento,

non soltanto ai suoi continui movimenti fisici, ma al suo non essere oggetto statico, che nasce da una dinamica che coinvolge in un continuo spostamento, il percipiente e il percepito». Berque, 2002.

movimento tra gli elementi che compongono il paesaggio, e quindi la possibilità di condizionarne la trasformazione. Nella progettazione paesaggistica non può essere tutto definito, perché nasce da un programma complesso in cui sono presenti molti attori e variabili che ne condizionano il risultato. Si tratta quindi di azioni politiche di pianificazione territoriale, che attraverso la realizzazione di dispositivi spaziali permettono di spiegare e governare la trasformazione.

 

Figura 1 | Trabocchi della Costa Teatina. Fonte: rielaborazione digitale dal geoportale della Regione Abruzzo.

3 | Il caso della Costa Abruzzese

Un tratto della costa adriatica in provincia di Chieti è stata interessata dalla dismissione della linea ferroviaria costiera che correva a pochi metri dal mare. Questo territorio anche se antropizzato presenta aree naturali di pregio, conservate proprio grazie alla presenza della linea ferroviaria che ha impedito l’accesso in molti punti e preservato alcuni tratti con elevati caratteri naturali.

Nel 2001 è stata avanzata l’ipotesi di costituzione di un Parco Nazionale, quando era imminente la conclusione dei lavori del nuovo tracciato della linea FS a doppio binario che corre quasi prevalentemente in galleria. L’ipotesi di trasformazione in Parco Nazionale ha evidenziato i conflitti tra i possibili modelli di sviluppo: quello speculativo, che mira alla trasformazione selvaggia e caotica, e quello della tutela ambientale che mira alla conservazione totale. Nella prima ipotesi si accetta, in nome di una presunta libertà, che le trasformazioni possano avvenire in forma casuale, assecondando le richieste dei singoli portatori d’interessi. Nella seconda si tenta di cristallizzare lo stato di fatto, utilizzando il parco come strumento per impedire processi di trasformazioni aggressive, come per esempio i numerosi pozzi petroliferi previsti in mare non lontano dalla costa, i progetti di raffinerie e discariche, e di altri detrattori ambientali. Queste due posizioni apparentemente antitetiche, appartengono sostanzialmente alla stessa logica perché accettano una condizione paradossale della modernità, cioè quella della perdita del controllo sulla natura e sul territorio in cui viviamo. Sono delle posizioni che escludono aprioristicamente la

possibilità progettare, programmare e guidare i processi di trasformazione del territorio. E quindi la possibilità che l’uomo, attraverso artifici, possa intraprendere delle azioni per curare e trasformare un territorio ai fini del raggiungimento di una relazione armonica con la natura.

Figura 3 | Foto aerea di un tratto della Costa Teatina tra Fossacesia e Rocca San Giovanni.

La costa abruzzese e molisana si presenta generalmente molto piatta, intervallata da colline dolci, arretrate dal mare. Un’eccezione è rappresentata dal proprio dal tratto di costa della provincia di Chieti (Figura 1) che è caratterizzata da una vallata principale, del fiume Sangro posta in posizione baricentrica, e da un susseguirsi di piccole vallate molto profonde alternate con colline e terrazzi pianeggianti che in alcuni casi scendono rapidamente sul mare. I terreni sono di origine alluvionale, molto fragili, sottoposti a processi erosivi per le azioni del mare. I due terrazzi principali sono occupati dalle città più grandi, Ortona a nord e Vasto a sud, poste come vedette in due punti strategici a strapiombo sul mare, e interessate da processi franosi5. I nuclei storici delle città più piccole sono costruiti sulle colline che affacciano a distanza variabile

dalla costa. Le espansioni urbane più recenti sono avvenute in forma irregolare, sviluppate lungo le strade di collegamento, con piccoli insediamenti sparsi e case diffuse sulla campagna. Le aree industriali principali sorgono nelle due vallate più grandi, arretrate dalla costa, del Sangro e del Trigno. Altre aree sono state collocate sul terrazzo collinere dell’entroterra di Ortona, e a Punta Aderci, una delle aree paesaggisticamente più interessanti in prossimità del porto di Vasto.

Questo territorio storicamente è stato poco abitato lungo la costa, e solo negli ultimi decenni si sono diffuse le “marine”, cioè piccoli centri sviluppati a ridosso delle stazioni della linea ferroviaria adriatica. Questi insediamenti sono caratterizzati da case di vacanza, edifici uni o plirifamiliari, e in alcuni casi da complessi maggiori per turismo di massa tra Vasto Marina e San Salvo verso sud, e tra Ortona e Francavilla al Mare verso nord.

La costa è caratterizzata da singolari costruzioni che si protendono sul mare, i trabocchi (Figura 2), che sono diventati il simbolo di questo territorio. Sono come li definisce D’Annunzio «strane macchine da pesca, composta di tavole e travi, simile ad un ragno colossale. (…) Proteso dagli scogli, simile a un mostro in agguato, con i suoi cento arti il Trabocco aveva un aspetto formidabile. Per mezzo all’intrico delle travi e dei cordami apparivano i pescatori chini verso le acque, fissi, immobili come bronzi»6. Queste

strutture si sono diffuse grazie alle caratteristiche della costa particolarmente accidentata, e per la scarsa attitudine che le popolazioni contadine avevano per andare in mare aperto. La costa presenta un fondale frastagliato, con scogliere semisommerse utilizzate come punti di appoggio da queste strutture che somigliano a palafitte sospese. I trabocchi sono collegate alla terraferma con una lunga passerella, e delle

5 Si ricorda la frana della città di Vasto del 22 agosto 1956 in cui un intero quartiere sprofondò a valle, e quella della città di

Ortona del 1946 che interessò una parte del Castello Aragonese.

lunghe antenne reggono la rete a bilanciere per la pesca. Oggi riconvertiti in ristoranti rappresentano una delle maggiori attrazioni turistiche (Figura 3).

Gli ambiti naturalistici più importanti, comprendono 8 riserve regionali, e 5 SIC (Siti di Interesse Comunitario), che in parte si sovrappongono. Queste aree hanno una perimetrazione definita, chiusa nei loro ambiti naturali, e non prevedono corridoi naturalistici tra loro. In realtà sarebbe sufficiente un collegamento tra le diverse aree per ridisegnare complessivamente l’intero territorio costiero. Non un collegamento nastriforme, come previsto per il recupero dell’ex tracciato ferroviario, che prevede il solo utilizzo turistico ricreativo, ma una rete naturale a pettine, in grado di radicarsi nel territorio. Questo processo potrebbe facilmente aspirare a costituire un vero e proprio modello alternativo alla città diffusa indifferenziata che ha consumato suolo e risorse non rinnovabili in modo indiscriminato. La sfida, che richiede un’attenta pianificazione architettonica e urbana, è rivolta a ribaltare la logica della costruzione della città diffusa speculativa, provando a ordinare la città attraverso dei corridoi ecologici che si appoggiano sulle strutture geografiche presenti sul territorio.

4 | Orientare i processi di trasformazione: la Greenway Adriatica

Figura 2 | Tavola del P.T.C.P. Progetto special territorial della fascia costiera. Fonte: Provincia di Chieti.

La trasformazione ipotizzata dalla Provincia di Chieti in un progetto denominato ‘Via Verde’ (Figura 4) non è adeguata a ricoprire il ruolo di corridoio ecologico, perché ha la necessità di includere una fascia necessariamente più ampia, che possa prevedere delle trasversali in grado di collegare le vallate che si spingono nell’entroterra con la costa. Solo in questo modo questo progetto potrebbe aspirare a diventare una greenway sul modello americano, cioè uno spazio lineare aperto che si sviluppa su un corridoio naturale, un corso d’acqua, un crinale, una vallata, o lungo un’infrastruttura dismessa riconvertita per il tempo libero o per una mobilità leggera, e integrata con la natura.

Le greenways7 diffuse prevalentemente in USA e in Nord Europa, non derivano dalle greenbelts o dai

parkways8, cioè da progetti della cultura urbanistica o paesaggistica, ma dalla coltura ecologica che ha favorito a partire dagli anni ottanta la diffusione dei corridoi naturalistici di connessione tra aree protette. La diffusione delle greenways si è diffusa per contrastare le espansioni incontrollate della città e la frammentazione di territorio, connettendo le aree naturali con corridoi ecologici capaci di garantire la permeabilità tra diverse aree naturali sensibili.

Le greenways prevedono delle piste ciclabili e pedonali capaci di attraversare ambienti naturali di pregio, parchi, riserve, ma anche aree abitate, siti d’interesse storico o archeologico. Lo scopo è di ampliare l’utilizzo degli spazi aperti senza alterare l’equilibrio degli habitat naturali presenti.

Proprio per tali ragioni sembra che il progetto ipotizzato dalla Provincia di Chieti possa aspirare ad essere una greenways solo attravero una visione più ampia sul territorio, e con un sostanziale ribaltamento degli obiettivi, che non possono essere solo di natura turistica e ricreativa. Cioè senza la realizzazione del Parco della Costa che possa compiere una vera azione di protezione e gestione delle aree naturali sensibili. In questo programma dobbiamo distinguere due diverse scale d’intervento, la prima a livello territoriale rivolta a garantire le funzioni ecologiche (rinaturalizzazione delle vallate e dei corsi d’acqua, controllo dei boschi e delle specie arboree, spostamento della fauna selvatica, ecc.), e la seconda rivolta al controllo dei singoli manufatti, e al percorso, agli ambiti urbani attraversati.

Sul territorio italiano la grande diffusione di aree ferroviarie dismesse rappresenta una buona occasione per contrastare la città diffusa, facendola appartenere a un disegno generale che potrebbe essere strutturato insieme a grandi corridoi ecologici. Cioè fare in modo che gli spazi indifferenziati delle periferie urbane possano comporsi con corridoi ecologici in grado di garantire forme di uso e svago compatibilmente con la sopravvivenza di ambienti naturali sempre più minacciati. Infatti, le greenways non interessano solo l’ambito ecologista, perché presuppongono una trasformazione profonda capace difendere valori ambientali e offrire fruibilità nel tempo.

L’affermazione delle greenways9 nell’esperienza americana è dovuta alla capacità interpretativa di questi progetti con l’uso dei materiali del paesaggio contemporaneo. I territori che sono considerati scarti, residui di un processo attraversato dalla modernità, sono reimpiegati in una nuova struttura d’ordine, utili a costruire un modello alternativo alla dispersione indifferenziata della città. Le greenways, costruite prevalentemente sui grandi elementi della morfologia del territorio trovano la loro ragione d’essere nel dare una struttura d’ordine a quei territori appiattiti dalla proliferazione di infrastrutture, svincoli, centri commerciali e aree industriali.

Riferimenti bibliografici

AA.VV., ISPRA, Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, Il consumo di suolo in Italia – 218/2015, http://www.casaportale.com/public/uploads/15841-pdf1.pdf.

Berque A. (2002), “Mouvance: un lessico per il paesaggio”, Lotus Navigator, N.5 - Fare Ambiente, Electa, Milano.

D’Annunzio G. (1894), Il trionfo della morte, Mondadori, Milano, 2002.

Flink C. e Sears R.M. (1993), Greenway to Planning, Design and Development, Island Press, Washington D.C. Hilberseimer L. (1949), The new regional pattern: Industries and Gardens, Workshops and Farms. Chicago. Little C. (1990), Greenways for America, John Hopkins University Press, Baltimora.

Martì Aris C. (2005), Pierini S., a cura di, La cèntina e l’arco, Christian Marinotti Edizioni, Milano, 2007. Smith D. e Hellmund P. (1993), Ecology of Greenways, University of Minnesota Press, Minneapolis London.

7 Little, 1990.

8 Smith & Hellmund, 1993. 9 Flink & Sears, 1993.

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