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La rete infrastrutturale nel progetto di manutenzione Marco Baccarell

Politecnico di Milano

DAStU - Dipartimento di Architettura e Studi Urbani Email: marcobaccarelli@gmail.com

Abstract

All’interno dei territori contemporanei dominati nella diffusione urbana e dalla frammentazione, gli spazi del capitale fisso sociale1, complice la mentalità degli standard urbanistici, sono visiti anch’essi come frammenti. Le stesse

infrastrutture dei servizi e della distribuzione sono percepite come reti senza una forma o come risultato di addizioni per parti successive. Forme che, invece, esistono e sono rilevanti nel determinare le caratteristiche e la qualità dei luoghi e dei servizi erogati. A differenza dei singoli frammenti che compongono i “pieni” del pattern urbano, rispetto ai quali è sempre più difficile controllare le trasformazioni, per un sistema d’infrastrutture e di determinati spazi vuoti è invece possibile pensare ad una regia, ad una visione d’insieme.

E’ possibile riassumere la tesi proposta nell’immagine della manutenzione per i territori urbani della diffusione insediativa. Laddove con manutenzione s’intende un processo incrementale e a lungo termine che, considera di partire dall’esistente ma in una prospettiva strutturale di trasformazione. Quello che si propone è un progetto che passa attraverso l’individuazione di una configurazione fisica, strutturale, d’infrastrutture e spazi aperti, riconducibile alla porzione più collettiva del capitale territoriale. Attraverso questo sistema, definito come un’invariante per lo sviluppo del territorio, il progetto si fa poi carico di mettere a sistema all’interno di una trama anche quei luoghi residuali che sono assimilabili a dei vuoti all’interno del tessuto edificato.

Parole chiave: infrastructures, urban project, social capital.

La Cura e la coesione sullo sfondo dei territori dell’urbanizzazione diffusa dopo la crescita

A circa vent'anni di distanza dalle prime esperienze di esplorazione dell'urbanizzazione diffusa che hanno indagato il fenomeno nel nostro paese, gli interessi della ricerca muovono dalla considerazione che oggi, le figure fin qui prodotte, così capaci di interpretare i processi generativi e i materiali costitutivi della ‘città diffusa’, non sono forse più sufficienti a coglierne tutte le recenti dinamiche di trasformazione. Si pensi alla crisi che ha investito le figure dell’autopromozione nelle iniziative di trasformazione territoriale, le razionalità minimali (Secchi, 1989), ma anche allo sfruttamento incontrollato di quella fitta trama

infrastrutturale debolmente gerarchizzata a supporto dell’urbanizzazione dispersa2, ora stravolta e rispetto

alla quale stanno emergendo nuove gerarchie.

In ogni caso, le nuove condizioni evidenziano una sorta di inerzia delle narrazioni più consolidate, una loro progressiva difficoltà a dar conto del presente e orientare riflessioni sul futuro, e richiedono di aggiornarne le chiavi di lettura.

1 Sulla definizione di capitale fisso sociale e l’individuazione delle sue relazioni con la costruzione dei territori, si vedano i

contributi di: Bellicini L., Bianchetti C., Clementi A., Secchi B. In Clementi A. (a cura di 1996). Inoltre, più recenti formulazioni in: Camagni R. (2009).

L’irreversibilità dei fenomeni in atto che accompagnano il consumo di suolo, la sottocapitalizzazione e le loro conseguenze sulla qualità urbana, costringono, ad un’urgente e reale inversione di tendenza. Per questo si ritiene che la ricerca di forme qualitative di convivenza puntuale e diffusa con i luoghi della dismissione e dell’abbandono (Lanzani, 2010), insieme con la messa a punto d’inediti modelli per l’adeguamento ai nuovi processi di trasformazione, costituiscano un tema prioritario per la riqualificazione territoriale. Occorre pertanto spostare l’attenzione dalle letture sulla crescita tradizionalmente intesa a letture più attente ai segnali contraddittori della contemporaneità e centrare il piano d'azione sul progetto. Questo implica anche tenere conto, sul piano sociale, dello spostamento dei valori, da tradizionali forme di benessere, verso rinnovate sensibilità come quella ecologica.

Nella tesi proposta, quella della ‘manutenzione’ sembra allora potersi configurare come un’immagine di contrasto a quella della crescita (Jackson, 2011), in una prospettiva di cura e di coesione per i territori, che sia utile a distinguere e interpretare le condizioni che stanno emergendo oltre la dispersione.

Il Progetto di Manutenzione

Nello sforzo di perseguire processi di territorializzazione maggiormente sostenibili, la questione del disincentivo al consumo di suolo, così come il tema della costruzione di spazi del welfare materiale, dovrebbero quindi accompagnarsi a una politica di riqualificazione dell’esistente, anche nello spazio tra gli edifici. In questo senso l’intervento di sviluppo urbano dovrebbe legarsi a politiche che favoriscano un ridisegno dello spazio aperto più prossimo dove la ‘manutenzione’ possa essere intesa come un progetto di modificazione che, basandosi sull’idea di fare il miglior uso delle trasformazioni individuali, implichi l’adozione di uno scenario comune condiviso. Ciò può essere definito come una forma d’intervento che, a partire dallo spazio agricolo periurbano, dai parchi, dai giardini, passando per le strade, i canali, fino ai piccoli spazi aperti interclusi nei tessuti che s’intrecciano con essi, investa non solo lo spazio pubblico ma eserciti anche un’influenza sull’autonomia del singolo lotto.

Più concretamente, il progetto di manutenzione individua tre possibili obiettivi generali da perseguire in forma incrementale ma al tempo stesso integrata sui quali la “manutenzione” dovrebbe esprimersi.

Il riassetto del sistema infrastrutturale dei territori urbani: non necessariamente attraverso la realizzazione di ‘grandi opere piuttosto per mezzo di una differente strutturazione gerarchica sia dei sistemi della mobilità sia delle reti di distribuzione e raccolta; l’implementazione dei sistemi esistenti dove questi risultino deficitari; l’integrazione dei vari dispositivi individuali alle reti pubbliche; l’uso di dispositivi di compensazione ambientale3.

La più generale riorganizzazione dello spazio aperto sia negli spazi di prossimità che nella rete ambientale locale e territoriale. In particolare il mantenimento degli spazi aperti interstiziali all’interno di una rete ecologica e di fruizione in grado di restituire una complessità paesistica, e di dare risposta alle esigenze di benessere collettivo con investimenti più contenuti che nelle tradizionali strutture di welfare urbano.

La riconversione del patrimonio edilizio obsoleto che non corrisponde più alle attuali esigenze degli stili di vita contemporanei o che non risulta sostenibile in termini di esternalità negative prodotte (sia dal punto di vista sociale che ecologico)

Per la realizzazione di tali strategie il progetto configura l’impiego di una serie di dispositivi infrastrutturali minuti, distribuiti capillarmente e integrati alle reti comuni. Riguardano anzitutto la gestione del ciclo idrico: dalla raccolta e stoccaggio dell'acqua di prima pioggia; alla realizzazione di leggere depressioni per assorbire gli impatti delle precipitazioni violente; a vasche di laminazione per la ‘pulizia dell’acqua’; a impianti domestici per la fitodepurazione e il riutilizzo delle acque grigie non potabili.

Vi sono poi dispositivi e soluzioni che riguardano le reti di distribuzione energetica. Quelle attuali sono spesso poco efficienti per l’obsolescenza tecnica e perché basate su un’organizzazione ad albero fortemente gerarchizzata. La produzione dell'energia elettrica, per esempio è concentrata in pochi impianti e la trasmissione avviene attraverso immense reti di distribuzione che si protendono fino sino a diramazioni capillari e rami morti. Questo schema è poco efficiente in termini di dispersione e costi di manutenzione e relativamente poco sicuro in termini di dipendenza da pochi nodi e mancanza di ridondanza interna. Attualmente vi sono nuove tecnologie efficienti su scala domestica che potrebbero integrarsi alle le reti esistenti, alleggerendone i carichi e chiudendone localmente i circuiti, eliminando “colli di bottiglia” e passando ad un schema complessivo meglio distribuito e più facilmente manutenibile per parti. Paradossalmente proprio la dispersione edilizia e la conseguente estensione delle coperture che è

all’origine delle criticità dell’attuale rete, può trasformarsi in una risorsa per la produzione di energia rinnovabile e gestita in autonomia o in sinergia con gli abitanti del territorio.

Lo stesso principio di diffusione della produzione energetica potrebbe infine essere applicato anche alla rete infrastrutturale della mobilità. Sistemi lineari di boschi lungo le strade e le ferrovie potrebbero configurare una nuova e importante rete ecologica che, oltre ad assorbire la Co2 e riparare dalla vista e dal rumore le parti abitate, potrebbero produrre energia attraverso lo sfruttamento della biomassa raccolta con la loro pulizia e manutenzione meccanizzata.

Su larga scala e nel lungo periodo, queste possibili azioni, configurano l'enorme potenziale di un ampio e diffuso processo incrementale di manutenzione e di aggiornamento dell’edificato e delle infrastrutture che costituiscono la città esistente. Il progetto di manutenzione, infatti, può rappresentare l'occasione per ripensare il deposito dei materiali costituitivi e la dispersione territoriale a partire dalla messa a sistema degli spazi aperti. Esso può conferire un orizzonte di senso condiviso, tanto al complesso di progetti d’infrastrutturazione e costruzione del welfare materiale di iniziativa pubblica, quanto alle iniziative di autocostruzione e trasformazione puntuale frutto della mobilitazione individuale.

Anche nel caso in cui le azioni sopra menzionate avvenissero solo parzialmente, all’interno di trasformazioni autopromosse, la loro implementazione, potrebbe comunque progressivamente costruire un più generale sistema spaziale e contribuire alla sua operatività e all’accumulazione di nuovo capitale fisso sociale4.

Figura 1 | Abaco delle compensazioni.

Configurazioni previste per le aree di compensazione e mitigazione delle centralità. Fonte: elaborazione dell’autore.

Il ruolo strategico della rete di infrastrutture e degli spazi aperti

A partire dall’intervento diretto su un sistema articolato ed eterogeneo di spazi e infrastrutture, riconosciuti sostanzialmente come ‘vuoti’5 e definibili come centralità piuttosto che come residualità o

mere connessioni, il progetto della manutenzione è dunque pensato, per esercitare un’influenza indiretta sul resto dei tessuti che compongono il territorio6. Ciò sta a intendere che il progetto di alcune parti di

4 Così come sostenuto in A. Calafati (2009), l’aumento di capitale urbano a favore dell’incremento della qualità urbana e , di

conseguenza, del benessere per i cittadini, implica necessariamente di ridurre le esternalità negative del capitale private.

5 Rispetto al riconoscimento del ruolo dei vuoti un problema ricorrente è quello di leggere il vuoto in negativo cioè come

risultante, come “spazio fra”, nei processi di costruzione additiva dei pieni. Si veda: De Geyteer X. (2002).

6 Tra i molti saggi in cui Cesare Macchi Cassia ha sostenuto tesi analoghe si fa riferimento in particolare a: Macchi Cassia C.

territorio, nel caso specifico dell’armatura strutturale degli spazi che concorrono alla formazione del capitale territoriale, può essere concepito per avere effetti sulla qualità e sul carattere delle trasformazione di altre parti del territorio non direttamente coinvolte dall’intervento della manutenzione, ma in connessione o in prossimità a tale sistema strutturale.

Nel caso della Brianza, specificatamente della cosiddetta ‘Foglia’7, l’ambito indagato dal progetto

restituisce l’immagine concettuale di un mosaico composto da porzioni più ampie di spazi aperti e da una fitta e più minuta rete di vuoti e infrastrutture all’interno dei tessuti edificati.

Figura 2 | Progetto di manutenzione della Brianza.

Il pattern degli spazi vuoti di “prossimità” in relazione con i grandi spazi aperti (le ‘stanze’) e i nuclei delle centralità Fonte: rappresentazione dell’autore.

7La ricerca Itaten-Lombardia propone sei ambienti tra cui la conurbazione multicentrica dell’Olona e della Brianza Milanese. La

ricerca AIM che propone una suddivisione in parti che ha avuto il merito di rendere efficacemente e durevolmente l’immagine di un territorio tutto urbano costituito di ambienti insediativi diversi.

Spetta al progetto, a partire anche da quello meno implicito (Dematteis, 2002) che ha finora lavorato alla definizione di questi vuoti attraverso la salvaguardia, il vincolo e le pratiche d’uso informali degli abitanti, dare senso al paesaggio e al patrimonio diffuso, segnalare la diversità delle identità locali e riconoscere il ruolo delle centralità e delle infrastrutture all’interno di questo territorio urbano.

In relazione a questa possibilità, sembra opportuno ripensare sia le forme sia gli usi degli spazi ‘al margine’, sia il registro che questi possono assumere tanto in relazione tra il vuoto e lo spazio urbanizzato circontesto quanto, all’interno di un disegno strutturale di sintesi degli spazi aperti e delle infrastrutture, che riconnettano parti di città e contesti territoriali estesi.

Le frange che delimitano le stanze da retro dell’espansione urbana possono diventare affacci privilegiati lungo i grandi vuoti consolidati. Lungo i bordi possono svilupparsi processi di densificazione del tessuto costruito che giustificherebbero, di conseguenza, l’ implementazione della mobilità pubblica in quei determinati punti.

Le reti infrastrutturali, che spesso segnano i limiti esterni delle stanze e talvolta si definiscono invece come cesure interne allo spazio aperto possono diventare occasione preziosa per la realizzazione di connessioni intermodali tra le diverse reti infrastrutturali. Il ruolo di centralità per le stanze sarebbe dunque confermato anche dalla possibilità di integrare, grazie al loro rapporto con le infrastrutture, la mobilità veloce (stradale e ferroviaria) e la scala sovralocale, da una parte, con la mobilità lenta (pedonale, ciclabile e persino fluviale) e la circolazione locale, dall’altra.

Il lavoro sui bordi, infine, può riguardare i limiti-interfacce, canopee, limitari, margini, bordure- che costituiscono le linee di separazione fra le stanze e le aree di residenze a bassa densità isolate su lotto i recinti industriali. In questi casi si offrono alcune soluzioni particolari: inspessire il bordo creerebbe dei legami aperti, introducendo una porosità piuttosto che una cintura che corrisponderebbe alla dilatazione di una rete ambientale e di fruizione. Sul lato urbanizzato, questo paesaggio segnerebbe anzitutto un'apertura e l'eliminazione di un limite ecologico. Se questa fascia corrispondesse poi ad un sistema di spazi condivisi, in tutto o in parte, molte delle strade delle lottizzazioni più esterne ai nuclei abitati, che spesso sono senza uscita condurrebbero a quella che si configurerebbe come una soglia pubblica di ante-parco. Esse si modificherebbero, perdendo il loro statuto di strade pubbliche di fatto ad uso privato la cui condizione attuale determina anche situazioni di percepita insicurezza. Sul lato della campagna, la stessa dilatazione applicata al confine fra due proprietà fondiarie potrebbe realizzare una rete di percorsi, ai quali si potrebbero aggiungere puntualmente alcuni semplici usi del suolo come prati, piccoli frutteti, orti oppure aree di sosta e gioco che, costruendosi nel tempo, potrebbero divenire dei veri e propri spazi collettivi. L'interferenza reciproca che si realizzerebbe tra le due parti riconcilierebbe l’ambiente urbanizzato con quello più naturale permettendo anche delle forme di sviluppo e di scambio economico di vicinato. Le risorse naturali all’interno delle stanze sarebbero così non solo preservate, ma animate ed estese all’esterno. L'ipotesi di lavorare al progetto degli spazi aperti residuali come centralità potenziali per i territori di confine muove dunque dalla messa a sistema di queste stanze entro un ordine di senso più generale: spazi di una agricoltura e una naturalità urbane come risorsa ambientale, come componenti della filiera alimentare, come luoghi del loisir, ma soprattutto, come materiali attraverso i quali governare la forma della città nel suo insieme e nelle sue singole parti.

Le configurazioni possibili per questi spazi sono molteplici e il loro assortimento può dipendere, nel tempo, dalla volontà di perseguire un disegno strategico complessivo che tenga conto delle condizioni specifiche al contesto di ogni stanza, del quadro ambientale complessivo.

In primo luogo si possono considerare spazi di elevata naturalità all’interno di un ambiente fortemente artificializzato. Come boschi, laddove siano già esistenti, ma anche come riforestazioni di terreni che provengono da usi agricoli. Come sistemi agro-forestali con elevate qualità ecologiche, siano essi già esistenti, ma soprattutto e più diffusamente di possibile nuova formazione. Oppure come zone umide, ovvero aree legate a circuiti di gestione idrica. In questi casi sono sicuramente da mettere in conto operazioni di riqualificazione ambientale, di rinaturazione e, in alcuni casi, di vera e propria bonifica. Una possibilità invece da tutta da valutare, sia nelle forme che nelle modalità, è quella di cedere porzioni significative di queste aree alla trasformazione spontanea in ‘terzo paesaggio’, vuoi per ragioni di convenienza economica, vuoi per l’attuazione incrementale di un programma natural-paesaggistico in accodo con un disegno strategico. In ogni caso la dimensione minima delle stanze è tale, anche per quelle più piccole, da poter sostenere la creazione e il sostentamento di habitat adeguati per flora e fauna nel caso

di foreste e boschi cosi come per il soddisfacimento della biodiversità dei sistemi spontanei di terzo paesaggio8.

In secondo luogo vi possono essere degli ‘spazi verdi della produzione’. Nella forma di campagna urbana (Donadieu,1999) dove l’agricoltura più che alla produzione di alimenti tradizionalmente intesa, sia orientata verso attività di cura della terra. Cioè forme che, pur richiamandosi alle tradizioni agricole così come interpretando le più recenti vocazioni ecologiste, raramente trovano oggi spazio sia tra l’edificato sia all’interno dei territori di agricoltura intensiva. Si tratta di orti urbani, di agricoltura biologica per il consumo a “chilometro zero”, di aree per la silvicoltura, vivai e piantagioni da taglio, ma anche di forme miste di agricoltura e allevamento integrate a circuiti didattici e ricreativi. Inoltre gli orizzonti della produzione potrebbero estendersi anche alle fonti energetiche, in primo luogo rinnovabili, e poi, più in generale, all’erogazione di servizi integrati al ciclo di distribuzione e raccolta delle reti infrastrutturali. Si tratterebbe di parchi tecnologici per la produzione elettrica attraverso il solare o il geotermico, ma anche d’impianti per la captazione e la ritenzione delle acque meteoriche, di impianti di depurazione e aree di compostaggio. A ciò si potrebbe aggiungere ‘l’infiltrazione’ di particolari elementi del tradizionale mercato della produzione, per esempio appartenenti al settore creativo o alle nuove economie, che fossero interessate a integrarsi e beneficiare di un habitat “verde” e innovativo come quello delineato sopra9.

In terzo luogo si possono considerare spazi come luoghi pubblici in un territorio fortemente privatizzato e individualizzato, ma che oggi ha quanto mai bisogno di alcune attrezzature e di alcuni spazi comuni. Si tratta di immaginare luoghi del loisir come strutture sportive o aree per attività libere all’aria aperta, come parchi urbani, giardini botanici, e poi spazi destinati ad ospitare eventi ed attività culturali. La definizione degli spazi per i diversi utilizzi può comportare la realizzazione di specifiche opere a loro supporto ma può anche limitarsi a definire degli spazi atti ad ospitare in modo temporaneo determinati eventi come concerti, istallazioni, feste e sagre. In molti casi la localizzazione delle stanze in prossimità ai nuclei centrali degli abitati o la loro connessione alle infrastrutture di comunicazione rende agevole la loro fruizioni di massa ma ciò non esclude la possibilità di configurare per esse anche una modalità di fruizione e di utilizzo a scala locale, di quartiere. Specie per i loro bordi sarebbe possibile immaginare una fascia che si costituisse come un buffer in grado di accogliere funzioni, anche minute, di servizio locale. Le stesse potrebbero poi snodarsi lungo una rete di mobilità lenta all’interno delle stanze e punteggiarne gli spazi. Quella stessa trama di percorsi pedonali e ciclabili, insieme al sistema di trasporti pubblici, potrebbe essere l’armatura che realizzi la connessione ad un più ampio e integrato circuito dei luoghi della comunicazione, del sapere e della cultura di cui le stanze possono entrare prepotentemente a far parte.

Questo può dunque legittimamente indurci a pensare che guardare al futuro voglia dire che solo a partire da questi spazi aperti, difesi, recuperati e reinventati, solo dal riuso dei molti spazi porosi che questo territorio pur così densamente urbanizzato ancora presenta, si può re-immaginare questa conurbazione, come ambiente di vita e di lavoro qualificato.

8 Si veda Clement G. (2005); in particolare il capitolo “Evoluzione “pp. 37-40

9 Per delle immagini suggestive in proposito si veda Branzi A. (2006); in special modo: Modelli di urbanizzazione debole e

Figura 3 | Progetto di manutenzione della Brianza.

Rappresentazione topologica del progetto di manutenzione nella “foglia” della Brianza. Progetto: il pattern isotropo del sistema degli spazi vuoti in relazione con le centralità: stanze e nuclei consolidati centralità. Fonte: rappresentazione dell’autore.

Riferimenti bibliografici

Branzi A. (2006), Modernità debole e diffusa. Il mondo del progetto all’inizio del XXI secolo. Skirà, Milano. Calafati A. (2009), Economie in cerca di città. La questione urbana in Italia, Donzelli, Roma.