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Abstract
Nel 1949 il nuovo Ente Irrigazione elabora un primo Programma delle irrigazioni in Puglia e Basilicata, seguito dai Piani del ‘55 e del ’72, che porteranno alla realizzazione di un imponente sistema di schemi idrici, alimentati in larga parte da invasi, creando una nuova idrologia artificiale. Ma la costruzione di queste infrastrutture, pensate per ovviare alla rarefazione dell’ acqua nella regione, ha paradossalmente posto le basi per future condizioni di scarsità. Il V report del IPCC individua la regione mediterranea come la più a rischio per i cambiamenti climatici in Europa, mettendo in primo piano la maggiore carenza di acqua dovuta al concomitante aumento della domanda per irrigazione, e per uso domestico ed industriale, alla riduzione delle precipitazioni, e alla scarsa capacità di reintegro delle falde. Il territorio pugliese, qui proposto come caso di studio, dovrà quindi fare fronte alle conseguenze in termini di disponibilità idrica generate da questo contesto, in cui le infrastrutture di estrazione, accumulo e distribuzione dell’acqua potranno emergere come siti di conflitto. Il paper ipotizza che la descrizione delle dinamiche reciproche esistenti tra siti di estrazione e siti di consumo, in larga parte non visibili, difficili da misurare e differite nel tempo e nello spazio, possa essere utile per poter discutere dei processi di adattamento futuri e costruire nuovi immaginari idrologici.
Parole chiave: infrastructures, large scale plans & projects, water. Reti d’acqua
L’ acqua è uno degli elementi chiave nelle letture del ruolo delle reti infrastrutturali all’interno dei processi
di urbanizzazione, perché mette in luce le dinamiche che sostengono i territori alle varie scale (Kaika,
Swyngedouw, 2000; Gandy 2004). La gestione delle acque immaginata dai progetti di modernizzazione del
territorio dalla metà del XIX secolo, si è gradualmente estesa dalla scala della città fino a comprendere
processi di pianificazione delle risorse, sviluppo dell’agricoltura e produzione di energia alla scala regionale (Gandy, 2004; Swyngedow, 1999). La creazione di queste reti è stata caratterizzata dell’ enfasi posta sull’ aumento della disponibilità di acqua ad opera di enti statali responsabili della sua ingegnerizzazione, della sua quantificazione e del suo controllo, dalla visione dell’acqua come risorsa da gestire, e dalla realizzazione di grandi opere (Linton, 2014). I progetti di ingegnerizzazione dei flussi idrici, per ovviare alla rarefazione delle acque, erano il mezzo per razionalizzare la produzione agricola, permettere la trasformazione fondiaria e la formazione della piccola proprietà contadina (Corvaglia e Scionti, 1985; Swyngedouw, 2007). Infatti, tra il XIX° e il XX° secolo, la distribuzione ‘naturale’ delle precipitazioni e la disponibilità di acqua erano descritte come ‘squilibri’ che dovevano necessariamente essere riequilibrati (Barca, 2010; Swyngedouw, 2007). Questo problema geografico doveva essere risolto attraverso una correzione idrologica, che implicava un salto di scala nella pianificazione delle risorse idriche e la conseguente costruzione di infrastrutture centralizzate (Swyngedouw, 2007).
Il territorio pugliese ha visto, nel corso dell’ultimo secolo, una completa trasformazione dell’idrologia locale nel tentativo di soddisfare la ‘sete’ della regione. La creazione di grandi infrastrutture per l’ approvvigionamento di acqua potabile e per l’irrigazione ha avuto un ruolo fondamentale nel processo di razionalizzazione della natura. Questo territorio è stato storicamente supportato da un sistema diffuso di piccole infrastrutture individuali legate alle pratiche agricole e, in modo particolare nell’area salentina, a una lunga tradizione di diffusione urbana. Per questo è stato descritto come una spugna, come un territorio poroso, interamente percorribile e abitabile (Viganò, 2001). Ma la costruzione di infrastrutture di estrazione, accumulo e distribuzione delle acque, iniziata nel 1906 con l’acquedotto, ha seguito una diversa logica infrastrutturale. Il caso pugliese mostra un processo in cui la riorganizzazione delle acque, attraverso la realizzazione e l’espansione di reti infrastrutturali, ha ridisegnato «l’intero ciclo naturale del giro terrestre dell’acqua» (Caruso,1976: 262). La stagione delle opere completate con l’intervento Cassa del Mezzogiorno è avvenuta seguendo un’idea di trasformazione radicale del territorio, e i piani di irrigazione fino agli anni ‘80 hanno inventato un territorio in cui le superfici irrigabili sono triplicate (EIPLI, 1988). Attraverso questi piani, il processo di modernizzazione ha mobilitato anche le acque di falda, collegandole ai flussi costruiti di acque superficiali e, attraverso lo stesso sistema, ha immaginato di «stabilire un nuovo equilibrio tra risorse locali e le esigenze sociali» (EIPLI, 1988: 49).
Se oggi leggiamo il territorio pugliese attraverso il sistema idrico, questo emerge come attraversato da due acque: è dipendente da flussi che hanno origine altrove, in luoghi esterni ai confini regionali, ed è sostenuto da prelievi eccessivi dalle falde acquifere locali. Semplificando molto, questi flussi sono attivati da due dispositivi: condotte e pozzi. Mentre le prime connettono attraverso flussi lineari d’acqua luoghi distanti tra loro, i secondi causano ripercussioni lungo gli acquiferi, mettendo in relazione paesaggi diversi attraverso la circolazione subsuperficiale delle falde1. Infatti, passando da un sistema diffuso di sistemi
tradizionali di raccolta dell’acqua ad un modello centralizzato di distribuzione, questo territorio ha visto emergere un nuovo sistema di prelievo dell’acqua, nuovamente diffuso e decentralizzato, ma con logiche ed effetti differenti.
Trasformazioni
Nel Mezzogiorno occorreva letteralmente creare la pianura (Bevilacqua, Doria, 1984). L’acqua era il punto di partenza di un processo di modernizzazione che si snodava attraverso la terra, l’ energia e il sistema igienico-sanitario (Corvaglia e Scionti, 1985). In risposta ai disboscamenti che tra sette e ottocento hanno indebolito l’assetto ambientale di aree montane e collinari per fare spazio ai seminativi (Bevilacqua, Doria, 1984), e nel tentativo di risanare la pianura malarica (D’Antone, 1990), le opere di bonifica idraulica, rimboschimento e di mitigazione del dissesto ottocentesche, hanno avviato una gigantesca riforma complessiva del territorio, con l’obiettivo di ovviare al ‘disordine dell’acqua’ (Barca, 2010).
Durante il dibattito che ha accompagnato lo sviluppo dei progetti per l’acquedotto e le opere legate alle leggi sulla bonifica integrale e allo sviluppo elettroagricolo2 nel Novecento, due ipotesi infrastrutturali, una
centralizzata e una diffusa, hanno cominciato ad essere portate avanti insieme. Mentre veniva proposto un progetto di modernizzazione che immaginava grandi infrastrutture di irrigazione (Corvaglia e Scionti, 1985), il legame tra lo sviluppo dell’energia idroelettrica, le bonifiche e le trasformazioni agrarie negli anni ’20, spinse verso il modello della piccola irrigazione, che indicava piccole derivazioni dai corsi d’acqua e sollevamento dal sottosuolo, a servizio di piccoli appezzamenti sparsi in un gran numero di masserie (Corvaglia e Scionti, 1985). Gli schemi della grande irrigazione non si concretizzeranno però fino agli interventi della Cassa. E così anche la diffusione dei pozzi, alla base del programma della piccola irrigazione, non avverà immediatamente dopo la fase sperimentale elettroagricola.
La costruzione dell’Acquedotto Pugliese, cominciata nel 1906, e le opere di bonifica del territorio hanno prodotto una totale trasformazione dell’idrologia locale. Ma il completamento del canale principale nel 1939 coincise con la valutazione del consiglio di Amministrazione che l’acquedotto non era più in grado di soddisfare il fabbisogno idrico di una popolazione in crescita (Masella, 1995), alimentando un discorso ciclico basato su autosufficienza, scarsità e abbondanza di acqua che ha accompagnato l’espansione dell’infrastruttura e l’ampliamento di disponibilità della risorsa fino ad oggi. Negli anni si sono susseguite proposte di ampliamento della risorsa disponibile, come mostrano ad esempio i progetti di condotte transadriatiche degli anni ’90, o la previsione di dissalatori nei piani degli anni 2000 3. Anche a valle della
1 in riferimento per esempio ai livelli di salinita’ delle acque di falda.
2 1929 legge sulla bonifica integrale; 1933, n. 1775 - Testo unico delle disposizioni di legge sulle acque e impianti elettrici. 3 Si vedano i Piano d’Ambito del 2002, 2008, 2010 dell’ ATO Puglia.
siccità del 2002, venne promessa agli agricoltori la diga di Piano dei Limiti, in un territorio in parte già interessato dalla diga di Occhito, incontrando poi grandi resistenze da parte delle popolazioni locali. La ripresa delle attivita di bonifica e le infrastrutture eseguite con l’intervento straordinario della Cassa per il Mezzogiorno, hanno trasformato gli assetti territoriali e l’agricoltura, attraverso progetti che tendevano alla costruzione e all’unificazione fisica del territorio per mezzo di flussi materiali convogliati in reti infrastrutturali. La bonifica è diventata poi supporto per processi di urbanizzazione che hanno seguito la logica infrastrutturale centralizzata dell’acquedotto, mentre la maggiore disponibilità di acqua ha sostenuto l’espansione di colture idroesigenti, rendendole irrigue per aumentarne la produttività.
Ancora negli anni ‘80 l’irrigazione viene definita come «il fulcro di tutto lo sviluppo futuro dell’economia del Mezzogiorno», mentre la soluzione del «problema della massima utilizzazione delle risorse idriche» ha posto «le basi per la crescita economico-produttiva e sociale, eliminando il principale elemento limitante ogni possibilità di progreso del territorio: la deficienza d’acqua e la scarsezza di precipitazioni» (EIPLI, 1988:49). Il Piano generale delle irrigazioni, redatto nel ‘67, stabilì l’obiettivo di passare dai 298.000 ettari irrigabili del primo piano dell’ Ente, a 850.000 ettari, aumentando la superficie irrigata fino a coprire un’area pari a circa il 25% della superficie agraria e forestale di Puglia, Basilicata, alta Irpinia e parte della Calabria (EIPLI, 1988).
La costruzione di grandi opere infrastrutturali ha quindi posto le basi per future condizioni di scarsità, creando altre forme di ‘crisi’, come la dipendenza da acque proveniente da altre regioni, i conflitti tra diversi usi del suolo nei siti di estrazione 4, frequenti interruzioni del servizio legate alla manutenzione,
conflitti legati ai sistemi di depurazione ed in particolare agli scarichi delle acque depurate, e preoccupazioni relative alla sicurezza e alla qualità delle acque dei bacini artificiali, come hanno dimostrato le discussioni sulla tossicità della spettacolare fioritura di Planktothrix che ha tinto il lago Occhito di rosso nel 2008/2009.
Figura 1 | Piano Generale dell Irrigazioni.
Fonte: EIPLI, 1988.
Flussi
Il sistema delle infrastrutture dell’acqua in questo territorio è molto complesso. Anche guardando al solo uso potabile risulta evidente la sovrapposizione di sistemi di approvvigionamento con razionalità differenti, centralizzati e dispersi. Ne è un esempio il territorio della Provincia di Lecce, approvvigionata contemporaneamente dallo schema Sele-Calore con il Sifone Leccese, dallo schema Agri-Sinni con l'Acquedotto del Pertusillo e da numerosi schemi minori alimentati da pozzi. Così l’acquedotto Rurale delle Murge, costruito a metà anni ’80 e lungo circa 1600 km, fornisce l’acqua potabile al di fuori dei centri
4 Ne sono un esempio i conflitti tra l’estrazione di idrocarburi nella Val d’Agri e la presenza del bacino del Pertusillo, e tra usi del
urbani nelle province di Potenza, Bari e Taranto per una superficie complessiva di circa 408.000 ettari, servendo allevamenti e attività agricole insieme agli insediamenti turistici stagionali. In Puglia questo acquedotto rurale è alimentato con acque derivate dal Sele-Calore, dal Pertusillo e da pozzi dislocati lungo il tracciato.
Un altro dato che evidenzia la complessità del sistema idrico risiede nel fatto che l’irrigazione sia gestita da grandi consorzi, con un alto livello di interconnessione tra le reti e i diversi usi, in conseguenza del fatto che la maggior parte delle infrastrutture dighe, acquedotti, stazioni di pompaggio sono state progettate per usi plurimi. L’irriguo pugliese è pero alimentato per oltre il 75% da pozzi privati (AdB Nazionale dei fiumi LiriGarigliano Volturno, 2010).
La regione importa più di 590 Mm3 di acqua da Campania, Basilicata e Molise (AdB Nazionale dei fiumi LiriGarigliano Volturno, 2010). Questa parte di acqua superficiale soddisfa però meno della metà del fabbisogno regionale annuo 5. Il restante fabbisogno è soddisfatto da prelievi effettuati attraverso un sistema di centinaia di migliaia di pozzi, che hanno portato all’abbassamento delle falde e all’ aumento dei livelli di salinità delle acque.
La realizzazione di questo sistema di pozzi fu avviata in risposta all’insediamento reso possibile dalla bonifica e dalla riforma fondiaria. Dagli anni '50 infatti sono stati perforati numerosi pozzi per soddisfare la domanda di acqua potabile e per uso irriguo. Nel territorio della piana Ionico Lucana, in seguito al completamento delle dighe dagli anni '60 agli anni '80, i pozzi furono quasi del tutto sostituiti dagli acquedotti. Dagli anni '80 però i periodi di siccità hanno ridotto la ricarica degli acquiferi e periodicamente svuotato gli invasi, portando alla perforazione di nuovi pozzi e alla riattivazione di quelli vecchi (Polemio, Dragone, Mitolo, 2003). Paradossalmente quindi, l’ avanzamento tecnologico ha portato ad una crescita dei prelievi e ad un espansione delle aree irrigate. Oggi assistiamo infatti ad nuova stagione di abusivismo. La maggiore efficienza e le minori dimensioni dei sistemi di pompaggio hanno reso più sostenibili da parte dei privati i costi di realizzazione di pozzi che raggiungono anche grandi profondità.
Gli acquiferi carsici, che costituiscono una grande cisterna naturale, sono di conseguenza soggetti ad una forte pressione di origine antropica. In particolare, l’ acquifero carsico del Salento, a causa dei continui prelievi, sembra aver subito una transizione critica, in seguito alla quale non sarà più in grado di tornare allo stato precedente al forte stress idrico degli anni ‘90 (Fidelibus, 2014). In questo contesto, la diminuzione delle precipitazioni e dei processi di ricarica degli acquiferi, il degrado delle falde e l’inasprimento dei conflitti per l’acqua, suggeriscono di mettere in discussione il modo in cui si considera la scarsità.
Figura 2 | Puglia, flussi costruiti.
Schema elaborato dall’autore. Fonte dei dati: AdBP, 2011; sezione idrogeologica da Maggiore e Pagliaruolo, 2004.
Territori dell’acqua
La costruzione delle grandi infrastrutture idrauliche ha prodotto non solo trasformazioni nei territori serviti, ma anche forti trasformazioni nei territori di estrazione, trasferendo gli impatti ambientali anche a grande distanza (Spilotro et. al., 2013). I piani redatti dall’EIPLI prevedevano quattro schemi idrici, tra cui lo schema Agri-Sinni, realizzato dagli anni ‘50 agli anni ‘80 e al servizio della Puglia Meridionale. Questo comprende l’ acquedotto del Pertusillo, realizzato negli anni ‘70. L’acquedotto del Pertusillo è stato previsto per integrare l’alimentazione di gran parte della Regione Puglia e di alcuni comuni della provincia
di Matera, attraverso due rami, Nord e Sud, che alimentano rispettivamente le aree del Barese, grazie all’impianto di sollevamento di Parco del Marchese, e quelle della province di Taranto, Brindisi e Lecce per gravità. La diga di Montecotugno sul Sinni, terminata negli anni ’80, e l’invaso del Pertusillo sull’Agri, costruito tra il ‘57 e il ‘62, fanno parte di questa infrastruttura.
L’ invaso del Pertusillo ha profondamente modificato le caratteristiche ambientali del fiume, riducendo il trasporto solido alla foce del 38% e portando ad un fenomeno macroscopico di arretramento della costa, e di avanzamento dell’ingressione di acqua salata, che ha superato i 500 m alla foce del Sinni, con valori medi annui di 2 metri (Spilotro, Pizzo, Leandro, 2008). L 'instabilità della costa ionica è un esempio delle dinamiche attivate dall’infrastruttura, che sono alla base dei conflitti che sorgono tra gli utenti dell’ acquedotto e quelli direttamente colpiti dalle modificazioni ambientali, anche in riferimento al valore turistico della costa (Spilotro et. al., 2008).
La diga di Occhito, una delle dighe in terra più grandi d'Europa, è stata realizzata sul fiume Fortore dal ‘58 al ’66, a cavallo del confine tra il Molise la Puglia. Le acque dell’invaso, che hanno uso plurimo, sono utilizzate per più di un terzo per irrigare i territori della Capitanata6. Anche questo invaso ha modificato
radicalmente l’idrologia locale, innescando movimenti franosi, dinamiche di alterazione temporale della portata del fiume e di mutamento del clima, creando nebbie frequenti, allagamenti a valle dell'invaso derivati dall’ apertura delle paratie della diga, processi di innalzamento e abbassamento delle falde, ha portato all’espropio di terreni agricoli e all' allontanamento delle comunità di contadini e pastori dal fondovalle, sommerso dalle acque(Rienzo, 2013).
Verso un diverso immaginario idrologico
I progetti alla base di queste grandi trasformazioni territoriali hanno esternalizzato gli spazi di accumulo delle acque in luoghi posti a grande distanza. L’invisibilità dei territori a servizio delle infrastrutture idrauliche ha così messo in secondo piano le dinamiche che queste hanno innescato. Nello stesso modo, l’invisibilità delle falda rende difficile poter discutere di processi che sono in larga parte non visibili, difficili da misurare e differiti nel tempo e nello spazio. Le storie dell’acquedotto hanno descritto in dettaglio la costruzione dell’infrastruttura, ma le trasformazioni attivate da questo processo nei siti di estrazione è forse stato oggetto di minore attenzione. Questo ha messo in secondo piano le relazioni dirette che esistono tra siti che, pur non contigui, sono legati da processi idrologici e da flussi d’acqua innescati dall’infrastruttura.
Considerare le infrastrutture idrauliche in questo contesto sposta lo sguardo all'indietro, ai primi progetti ottocenteschi per l’acquedotto pugliese e ai monumentali interventi iniziati negli anni ‘50, e proietta il territorio in un futuro in cui la variabile climatica potrà portare a cambiamenti radicali, amplificando le condizioni già estreme di fragilità che caratterizzano questi territori oggi. Allargare lo sguardo ai paesaggi di estrazione e di accumulo dell’ acqua, invece di concentrare esclusivamente l’attenzione su ottimizzazione e aumento di disponibilità della risorsa, può essere il punto di partenza per poter immaginare e discutere scenari possibili di adattamento, costruendo un diverso immaginario idrologico che riveli la reciprocità di questi luoghi, e metta in primo piano le dinamiche territoriali che sostengono i processi urbani alle varie scale.
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6 L’ Autorita’ di Bacino della Puglia attribuisce all'invaso di Occhito una capacita’ utile di 247,54 Mm3 e un’utenza irrigua avente
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http://www.ildistrettoidrograficodellappenninomeridionale.it/allegato%209%20- %20i%20grandi%20trasferimenti%20a%20carattere%20interregionale.pdf
Studio di fattibilità ‘Bilancio Idrico Potabile’, Autorità di Bacino della Puglia e Regione Puglia, anno 2011. Disponibile su Autorità di Bacino della Puglia: