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DICCA - Dipartimento di Ingegneria Civile, Chimica e Ambientale Email: Ilaria.Delponte@unige.it

Tel: 010.353.2088

Alberto Carlascio

Università degli Studi di Genova

DICCA - Dipartimento di Ingegneria Civile, Chimica e Ambientale Email: alberto.carlascio@hotmail.it

Paolo Farinelli

Università degli Studi di Genova

DICCA - Dipartimento di Ingegneria Civile, Chimica e Ambientale Email: pfsette@gmail.com

Abstract

L’elaborato contiene un’analisi dell’epoca post industriale, caratterizzata da una sempre maggiore velocità delle trasformazioni, e delle modalità con cui le metropoli si confrontano con esse.

Come noto, la staticità delle città tradizionali genera diffuse perdite di significati, rese manifeste dal sempre crescente numero di “relitti” urbani presenti sul territorio. In aree densamente costruite, si riconosce in questi oggetti urbani abbandonati un’importante riserva di trasformazione. Il meccanismo di difesa contro l’obsolescenza, secondo quanto asserito nel paper, non va ricercato in una nuova attribuzione funzionale, ma nella dotazione di un ampio spettro di significati, organizzati da una gestione di tipo temporale, che affianchi alla creazione di spazi relazionali il mantenimento della vocazione trasportistica, rivista in ottica sostenibile: nello specifico, per il caso studio della Petite Ceinture, abbiamo proposto un utilizzo diurno a parco lineare e un utilizzo notturno come sistema di distribuzione merci mediante un servizio di tram-treni cargo.

Parole chiave: urban regeneration, transport & logistics, infrastructures. 1 | Inquadramento del tema

La staticità delle città tradizionali genera diffuse perdite di significati, rese manifeste dal sempre crescente numero di “relitti” urbani presenti sul territorio. In aree densamente costruite, si riconosce in questi oggetti urbani abbandonati un’importante riserva di trasformazione.

Nello specifico, le infrastrutture, rispetto ai singoli edifici, sono ancora più soggette alla perdita di significati (alti costi e lunghi tempi di progettazione e realizzazione), tuttavia esse possiedono al loro interno un potenziale ancora maggiore: possono quindi diventare il principale vettore di rinnovamento delle città così come nell’epoca precedente erano state il vettore dello sviluppo.

All’architettura, cui un tempo si richiedevano stabilità e persistenza nel tempo, ora si richiede un funzionamento a tempi non definiti, di cambiare continuamente, adattandosi al variare della realtà circostante.

Tuttavia, è sbagliato pensare che la trasformazione in parco sia sempre la soluzione, semplice quanto scontata: nel caso di un’infrastruttura, essa possiede, per via della sua estensione e per la sua capacità di conformare il territorio, una riserva di trasformazione più ampia, che non viene sfruttata se non in minima parte con una riconversione a verde pubblico. Nelle metropoli post industriali, così densamente urbanizzate, esse rappresentano la principale, e spesso unica, possibilità di rinnovamento.

Nell’epoca attuale infrastrutture che hanno perduto il loro ruolo originario possono essere reinventate nella prospettiva di fare da catalizzatore alla trasformazione del tessuto esistente, sfruttando il loro potenziale come strumento per riorganizzare l’esperienza d’uso del territorio.

Clementi (2013) in questo senso evidenzia il ruolo fondamentale che le infrastrutture sono destinate a svolgere nell’epoca dell’ipermodernità ancor più di quello già prefigurato dalla prima modernità, ben sintetizzato dalla metafora lecorbusiana delle reti che irrigano il territorio preordinandolo allo sviluppo. L’infrastruttura non perde dunque il suo ruolo strategico in questo cambio di paradigmi, anzi lo accentua, passando da vettore dello sviluppo a vettore della trasformazione: “Le infrastrutture possono ormai affrancarsi dalla logica funzionalista che tendeva a ridurle a spazi serventi subordinati ad altri spazi da servire, o come mero supporto strumentale alle attività economiche. Possono piuttosto essere riguardate come un driver della trasformazione urbana e territoriale, che stimola le potenzialità trasformative degli spazi attraversati, innescando processi di sviluppo locali regolati da progettualità concomitanti.”

Il problema sta nel fatto che finora ci si è approcciati al tema del riciclo infrastrutturale con una metodologia tradizionale, riassegnando all’oggetto una nuova funzione, ogni volta nella speranza di conferirgli una forma definitiva.

Questa operazione (la vecchia ferrovia trasformata in parco come ad esempio High Line, Promenade Plantée...)(rispettivamente figura 1-2), che può sicuramente arrivare a soluzioni progettuali ben riuscite e curate nei dettagli, ottiene però, in fin dei conti, sempre un oggetto urbano concluso in sé stesso, un meccanismo statico. Al contrario la perdita di significati va considerata in fase di progettazione, non è una fatalità o un limite del progetto, ma è una costante, occorre prendere atto di ciò e progettare un meccanismo dinamico che sia in grado di adattarsi e di inserirsi in significati diversi.

Figura 1 | High Line, New York. Ex ferrovia trasformata in parco lineare.

Figura 2 | Promenade Plantèe, Parigi. Ex ferrovia trasformata in parco lineare.

Fonte: www.promenade-plantee.org.

La flessibilità di tale sistema consente lo spontaneo adattamento al mutare del contesto attraversato e quindi alle sue rinnovate esigenze.

Occorre però ribaltare la logica tradizionale che ha visto la nascita dell’infrastruttura come elemento che collega due punti sul territorio ma si configura al tempo stesso come una cesura che divide in due parti separate quest’ultimo.

Il cambio di passo necessario verso una nuova era di mobilità del futuro sta proprio nel superamento della logica tradizionale della strada come elemento chiuso dentro il proprio limite fisico di barriere e confini, veloce ma non dialogante, che crea intorno a se realtà frammentate e senza identità (dei veri e propri ‘non- luoghi’) per farne al contrario una superficie “osmotica”, come la definisce Scaglione, che si interseca e si compenetra col contesto che attraversa assorbendone le relazioni, esaltandole e valorizzandole.

Questo organismo non è più solo un elemento di passaggio mono o bidirezionale, un mezzo per raggiungere la destinazione finale, ma esso stesso si conforma in modo da diventare un catalizzatore di relazioni mediante continue connessioni trasversali con i tessuti urbani attraversati.

L’obiettivo è quello di creare un organismo in grado di recepire segnali dall’ambiente e di trasmettere a sua volta impulsi attivi, sul modello delle sinapsi (dal greco synàptein che significa proprio ‘collegare’, ‘connettere’) che connettono e attivano tessuti e apparati.

2 | Un primo caso di possibile applicazione: la Pétite Ceinture di Parigi

Il nuovo approccio proposto è stato definito e verificato attraverso uno studio finalizzato alla riconnessione della Pétite Ceinture (anello ferroviario ottocentesco dismesso, sito a Parigi) con il tessuto urbano circostante, in cui essa aveva creato, già con la sua realizzazione e ancor più col suo successivo abbandono, una profonda cesura.

Figura 3 | Veduta Petite Ceinture.

Fonte: “By the silent line”, Pierre Folk, 2011.

Il progetto si propone in primo luogo il mantenimento e la conservazione dell’immagine attuale della Pétite Ceinture (figura 3) e della sua struttura, in quanto essa rappresenta una testimonianza importante della seconda rivoluzione industriale, con l’inserimento di nuove funzioni: su di essa troveranno spazio le esperienze più diverse, dalle passeggiate nella natura, ai luoghi di incontro, agli atelier d’arte, agli spazi per lo sport.

Ognuna di esse è attribuita in risposta alle caratteristiche ed alle attuali esigenze specifiche dei diversi quartieri, ma tra loro sono componibili, complementari e variabili.

In risposta al problema delle rapide perdite di significati che affligge gli edifici e le infrastrutture si propone quindi un sistema autogenerativo, in grado di riattribuirli e di ricollocarli in una nuova rete.

La molteplicità e la varietà delle funzioni proposte (figura 4) non va intesa come una caoticità nel disegno del masterplan complessivo, bensì come uno strumento di difesa del progetto rispetto allo scorrere del tempo: la creazione di un ampio spettro di significati permette ad architettura e paesaggio maggiori possibilità di riconfigurazione in risposta alle mutevoli istanze di cambiamento.

Figura 4 | Concept progettuale.

E’ infatti precisa volontà progettuale quella di non voler cristallizzare l’oggetto in una forma che dovrebbe proporsi come definitiva, ma viceversa organizzare la gestione in modo tale che essa sia in grado di mutare ed adattarsi nel tempo.

La soluzione proposta prevede l’alternarsi di significati diversi anche nell’arco di una stessa giornata, dunque una gestione temporale articolata su 24h: durante il giorno la Petite Ceinture si trasforma in un lungo parco lineare e percorso ciclo-pedonale, che si snoda attraverso i quartieri di Parigi (alcuni dei quali molto densamente popolati e privi di servizi e verde pubblico adeguati) fornendo un nuovo importante spazio di aggregazione e socializzazione, con la possibilità a tratti di un’immersione quasi totale nell’ambiente naturale, a tratti di godere di scorci suggestivi tra le costruzioni che costeggia; durante la notte il dispositivo muta, si adatta e si riconfigura come un nuovo corridoio sostenibile per i trasporti, percorso avanti e indietro da speciali tram-treni cargo attrezzati per la consegna delle merci e la raccolta dei rifiuti urbani.

La creazione di nuovi presidi relazionali in risposta alle forti spinte all’individualismo dell’ipermodernità si accompagna dunque in orari diversi al mantenimento della vocazione trasportistica dell’infrastruttura, rivisitato in un’ottica più sostenibile. Questa caratteristica è determinante nel caratterizzare il nostro intervento rispetto ad altre operazioni omologhe (High Line, Promenade Plantee...) in cui si è scelto di cancellare la memoria storica in favore di un incremento dei valori immobiliari, ottenuto attraverso la quasi completa eliminazione delle vestigia ottocentesche e la loro sostituzione con un parco tradizionale, nel quale risulta difficile riconoscere l’originaria identità della stessa.

Al contrario il recupero della Pétite Ceinture a Parigi offre in questo caso una grossa opportunità essendo nata per il trasporto delle merci: l’anello ferroviario che fa il giro di Parigi intersecando le principali linee ferroviarie dirette alle grandi stazioni nel centro potrebbe avere in questo senso un ruolo fondamentale per la gestione dei flussi di merci diretti al centro cittadino. Lungo di essa, in corrispondenza delle intersezioni coi binari provenienti dalla periferia e più all’esterno presso gli snodi autostradali più importanti, potrebbero essere pensate alcune piattaforme logistiche che ricevano le merci da diversi operatori di trasporto; da qui partono i tram (veicolo ideale dato il suo bassissimo impatto in termini di emissioni di gas serra, di emissioni sonore e data la sua grande capacità di carico) che percorrono l’anello e scaricano in stazioni intermedie lungo il percorso dove sono previsti appositi binari di sosta dedicati. Dove invece la distribuzione deve essere necessariamente capillare, le merci vengono prelevate da veicoli più piccoli e a basso impatto ambientale (ad esempio ibridi e/o elettrici) e compiono il loro ultimo, breve tragitto verso la destinazione finale. La sostituzione del consueto trasporto su gomma con una soluzione su rotaia migliora la qualità dell’ambiente urbano poiché riduce inquinamento atmosferico, inquinamento acustico e congestione. Inoltre l’adozione di soluzioni tecnologiche di tipo tram-treno consentirebbe il passaggio dei rotabili dalla Pétite Ceinture alle linee ferroviarie e quindi la possibilità di unire questo anello ad importanti corridoi di penetrazione interni.

In Francia ed in Germania questo sistema, che consente di far transitare i tram indifferentemente sulle linee tranviarie urbane e sulle linee ferroviarie, ha trovato applicazione con il recupero e l’inserimento nella rete di trasporto urbano di linee ferroviarie dismesse o poco utilizzate.

Il concetto chiave del tram-treno è l’interoperabilità, ossia la capacità dei sistemi di scambiarsi e usare mutuamente ciascuno i propri prodotti e infrastrutture: questo concetto si pone l’obiettivo di eliminare l’innaturale cesura tra due realtà, quella ferroviaria e quella tranviaria, parallele e in origine tutt’altro che separate, a vantaggio di politiche combinate per il necessario rilancio del trasporto su rotaia.

3 | Prospettive

Quanto asserito precedentemente propone un affresco dell’epoca post industriale, caratterizzata da una sempre maggiore velocità delle trasformazioni, e delle modalità con cui le metropoli si confrontano con esse. Primo esempio che qui si riporta è proprio quello di Parigi.

Tuttavia, anche in Italia, numerose sono le occasioni in cui confrontarsi con il tema.

Le ferrovie dismesse in Italia costituiscono un patrimonio di infrastrutture, opere d'arte, stazioni e caselli, unico e irripetibile. La loro costruzione, avvenuta a cavallo tra '800 e '900, ha rappresentato un momento significativo di collegamento e sviluppo per la popolazione italiana. Secondo molti, si tratta di un patrimonio da tutelare e salvare nella sua integrità, trasformandolo in percorsi verdi per la riscoperta e la valorizzazione del territorio o ripristinando il servizio ferroviario con connotati diversi e più legati ad una fruizione ambientale e dei luoghi.

Ad oggi, nella maggior parte dei casi, alla sospensione del servizio segue la rimozione della palificazione elettrica (ove presente) e dell'armamento (binari, traversine, ecc.). Spesso gli edifici (stazioni, caselli, ecc.), se non sono lasciati abbandonati, vengono alienati oppure trasformati in abitazioni private o in attività (bar, ristoranti, negozi, ecc.), talvolta abusivamente. Molto spesso il tracciato resta abbandonato a se stesso, invaso dalla vegetazione o occupato impropriamente.

1700 stazioni della rete ferroviaria italiana sono impresenziate. Le Ferrovie dello Stato hanno pubblicato un documento e una lista delle stazioni in cerca di un progetto: 480 stazioni sono state già assegnate, mentre le restanti sono ancora disponibili. In altre parole, Ferrovie dello Stato dà in concessione d'uso gratuito le vecchie stazioni a chi si occuperà della manutenzione e di organizzare progetti e attività socio- culturali, turistiche ma anche imprenditoriali e commerciali.

Ma a chi interessa riconvertire il patrimonio ferroviario in altrettante proposte infrastrutturali?

Tale patrimonio è oggi in gran parte riutilizzabile: trasformarlo in percorsi verdi con funzione sia ludica sia di mobilità locale in bici, a piedi e a cavallo, rappresenta una sfida che molti enti locali hanno già raccolto e stanno facendo propria. Ma può non essere l’unica possibilità.

A partire dagli anni '40-50, lo sviluppo dell'industria automobilistica ha portato alla dismissione anche nel nostro paese di migliaia di chilometri di linee ferroviarie, cui si aggiungono i tratti di linee attive abbandonati in seguito alla realizzazione di varianti di tracciato.

Si tratta di un patrimonio importante, fatto di sedimi continui che si snodano nel territorio e collegano città, borghi e villaggi rurali, di opere d'arte (ponti, viadotti, gallerie), di stazioni e di caselli (spesso di pregevole fattura e collocati in posizioni strategiche), che giacciono per gran parte abbandonati in balia dei vandali o della natura che piano piano se ne riappropria.

Da queste prime considerazioni, possono dipartire ulteriori riflessioni che potrebbero dare vita ad un nuovo capitolo del dibattito sul recupero e sulla riqualificazione del nostro Paese; tema ampiamente sviscerato, ma sempre attuale alla luce di nuove acquisizioni che, muovendo i passi dalla tradizione urbanistica consolidata, possano addivenire a nuovi campi di applicazione e di approfondimento disciplinare.

Riferimenti bibliografici

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