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Caratteristiche della politica industriale in economia aperta e basata sulla 5.

conoscenza

Nel momento in cui si realizzava questo straordinario cambiamento di estensione del mercato, con l’apertura globale dell’economia, e nel contempo con l’introduzione dell’Euro si dava una decisa indicazione verso l’integrazione dei sistemi produttivi, la Commissione europea assumeva come pro- pria linea di azione la Strategia di Lisbona, in cui l’Europa avrebbe dovuto investire massicciamente in ricerca e risorse umane per divenire la principale economia basata sulla conoscenza al mondo.

Quella strategia, così lungimirante, rimase tuttavia disarmata a lungo tanto che solo alle soglie della crisi si ricominciò a delineare uno schema di azione in cui i diversi strumenti di azione politica dell’Unione, cioè le politiche strutturali e i programmi quadro della ricerca, vennero riorientati verso un comune obiettivo definito Europa 2020.

In realtà, a partire dal 2000, man mano che si consolida lo scenario di “economie aperte e basate sulla conoscenza”, ogni singolo paese sembra riorientare la sua attenzione interna verso politiche di rafforzamento delle capacità innovative, tali da favorire concentra specializzazioni dell’industria

144 Patrizio Bianchi, Sandrine Labory

verso gli obiettivi indicati a Lisbona. Con enfasi molto diverse rispetto ai paesi asiatici, anche in Francia, Germania, Gran Bretagna vi è una esplicita linea verso il progressivo aumento del carattere scientifico e tecnologico delle produzioni nazionali, che si enfatizza negli anni della crisi e porta negli ultimi tre anni ciascun paese a sviluppare espliciti quadri di intervento di politica industriale per un rilancio della manifattura (ad esempio, la “politique industrielle de filière”, politica industriale di filiera, in Francia e la UK Industrial Strategy, la strategia industriale del governo di Cameron).

Un’analisi dell’evoluzione della specializzazione dei paesi in alcuni settori manifatturieri (l’in- sieme dei prodotti manifatturieri, i prodotti elettronici, le attrezzature delle telecomunicazioni e i software e altri prodotti per l’ufficio) mostra quanto anche nei settori più sofisticati, nel senso di intensità in tecnologia, i paesi emergenti asiatici abbiano conquistando quote notevoli del mercato mondiale proprio nei primi anni duemila, posizionandosi così favorevolmente negli anni che hanno preceduto la crisi mondiale. Il Ministero del Commercio cinese calcola inoltre che le esportazioni high tech del paese sono cresciute del 43.5% proprio nel periodo 2001-2005, per raggiungere il 28% del totale delle esportazioni del paese nel 2005. la crisi globale ha quindi colto questi paesi in una fase in cui aveva già avviato il loro riposizionamento internazionale, potendo inoltre avviare la cre- scita del mercato interno da posizioni di forza rispetto a possibili competitori internazionali, anche nei settori tecnologicamente più avanzati.

In confronto, nel 2004, le esportazioni high tech rappresentano il 18% del totale delle esportazioni dell’UE, il 7% delle esportazioni italiane, il 15% delle esportazioni tedesche, il 20% delle esporta- zioni francesi e il 23% delle esportazioni britanniche. Del resto le industrie dei paesi europei invece sono troppo concentrate sulle industrie a basso contenuto tecnologico rispetto a quelle ad alto con- tenuto tecnologico e si sono trovate a dover affrontare la grande crisi globale avendo ancora aperte le precedenti politiche di sostegno alle industrie in crisi, iniziate addirittura alla fine degli anni 1970, per settori come le costruzioni navali, l’acciaio e la siderurgia, il tessile (Bianchi, Labory, 2006b, 2011).

Da allora la Commissione Europea ha sottolineato a più riprese la necessità di nuove politiche industriali, maggiormente integrate e più mirate (Commissione Europea, 2005), che comprendano prevalentemente misure orizzontali, applicate a tutte le imprese e tutti i settori, ma anche misure verticali, specifiche alle imprese e ai settori, che sono sempre più considerati strategici e divenuti punti di riferimento sia dei programmi quadro (sia il Settimo ed ora Horizon 2020), sia delle politiche strutturali (già nella programmazione 2007-13 ed ancor più nella programmazione 2014-20).

I riferimenti strategici divengono sempre meno individuati in via merceologica e sempre più come incroci di problematiche, o meglio sfide sociali.

Già nella comunicazione del 2005, la Commissione spingeva verso “grandi programmi”, dedicati allo sviluppo di specifiche piattaforme tecnologiche ma con un accento sulla valorizzazione della ricerca accademica, vale a dire sulla trasformazione della ricerca e della connessa innovazione in successi industriali e commerciali. I pilastri dei grandi programmi e dei poli di competitività erano già individuate nelle reti d’impresa (grandi e piccole, reti europee), nella relazione tra la ricerca pubblica e la R&S delle imprese, e infine l’identificazione e lo stimolo di nuovi bisogni e segmenti di domanda. I grandi programmi hanno un orizzonte di lungo periodo per sviluppare tecnologie ed applicazioni industriali molto costose e rischiose. Il ruolo dello Stato è di ridurre i rischi ed incentivare all’investimento in queste tecnologie e settori, ma il perno cruciale della nuova politica industriale è la valorizzazione applicativa della ricerca di base ed applicata e l’accelerazione del capitale umano.

Lo sforzo di ricerca e sviluppo è aumentato notevolmente negli ultimi 15 anni in tutti i paesi con- siderati. In termini di livelli di investimento in R&S in percentuale del PIL, i paesi asiatici (Giappone e Corea) e gli Stati Uniti realizzano uno sforzo maggiore dei paesi europei.

Il secondo perno della nuova politica industriale diviene sempre più il capitale umano. Così biso- gna ricordare che il personale addetto alla ricerca e sviluppo è un indicatore rilevante per cogliere le potenzialità di sviluppo futuro. Il numero di ricercatori (sia nel settore pubblico che in quello privato) aumenta in tutti i paesi considerati, tranne in Italia. L’aumento più forte è nei paesi asiatici conside- rati e negli Stati Uniti. La Corea raggiunge il livello della Germania, mentre il numero di ricercatori rimane significativamente minore in Italia rispetto agli altri paesi.

Le nuove politiche industriali in un contesto globale 145

Tutti i paesi che hanno conosciuto, negli ultimi 20 anni, lo sviluppo industriale più importante, focalizzano ora la politica industriale su capitale umano da un lato, e ricerca scientifica e tecnologica dall’altro. Le statistiche ci ricordano che non solo in Giappone, ma anche in Cina e in Russia, vi è un numero di ricercatori molto superiore ad ognuno dei paesi europei, cosicché o si riesce veramente a ragionare in termini europei oppure nessun paese europeo può avere nessuna possibilità di confronto con i nuovi giganti della economia mondiale.

Tuttavia lo sviluppo del capitale umano non si misura solo con il numero dei ricercatori, ma con la più generale capacità di innalzare i livelli di istruzione e valorizzare durante l’intera vita le cono- scenze delle persone, ed anche in questo molti paesi hanno massicciamente investito riconoscendo nella scuola il vero motore della trasformazione sociale e l’unica base per consentire uno sviluppo economico di lungo periodo.

Alcune considerazioni per l’Italia

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