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Non è una crisi, ma una transizione

Territori in transizione Il nuovo rapporto tra imprese e Politiche territoriali per la rinascita industriale e l’innovazione.

3. Non è una crisi, ma una transizione

Il primo cambiamento di fondo di cui occorre tenere conto è quello di mettere a fuoco ciò che abbiamo di fronte: non è una crisi, ma una transizione (da un paradigma all’altro) (Rullani, 2013).

Dunque non basta attendere che la crisi passi, o, peggio, impegnare le poche risorse disponibili per rimediare alle falle che si aprono nel vecchio edificio. La crisi è un cantiere in cui si accumu- lano risorse e macerie liberate dal vecchio edificio, in via di de-costruzione, ma è necessario che i materiali risultanti vengano impiegati per costruire un nuovo edificio, coerente con le esigenze di competitività del nuovo paradigma emergente: il capitalismo globale della conoscenza, che somma l’allargamento dello spazio di azione al mondo (filiere globali) con la smaterializzazione delle cono- scenze (per renderle riproducibili e trasferibili a costo zero, nel mondo, tramite le ICT).

È un periodo di cambiamento in cui i segnali deboli sono importanti, anche se meno visibili delle

defaillances legate alla crisi. Essi devono essere decifrati per indirizzare l’azione verso un futuro che

resta tutto da costruire.

Il territorio diventa, in questo processo: un

a. eco-sistema distintivo che – sulla base di alcune differenze (di costo, di capacità, di significato) attrae alcune funzioni/fasi di filiere globali multilocalizzate, essendo in questo complementare e concorrente con altri territori. L’eco-sistema, nei paesi ricchi e innovativi, basa in genere la propria differenza distintiva sulla sedimentazione locale di un patrimonio di intelligenza generativa che lo rende attrattivo per la localizzazione di fasi/funzioni ad alto valore aggiunto (capaci di cattu- rare una quota elevata del surplus di valore prodotto dalla supply chain globale). Queste funzioni comprendono sia la fase di ideazione, innovazione, personalizzazione dei nuovi prodotti/servizi da proporre al mercato, sia la fase di codificazione in modelli replicabili che li rende riproducibili e trasferibili a basso costo.

Nei paesi

b. low cost, invece, l’eco-sistema distintivo si basa in genere sulla presenza di una più

o meno efficace absorptive capacity, intesa come capacità di impiegare le conoscenze codifi- cate provenienti dall’esterno usandole in un contesto favorevole, grazie al basso costo del lavoro, dell’energia, dei servizi o del suo ambiente poco regolato. In questo caso, la differenza distintiva messa in campo dal territorio, nella divisione del lavoro globale, è quella di saper riprodurre in

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modo efficiente modelli di macchine e prodotti standard messi a punto in altri luoghi della filiera (ad esempio, fabbricando prodotti di massa, o replicando software in situazioni codificate ecc.); una

c. piattaforma connettiva che consente ai produttori locali di trasformare la propria conoscenza

generativa in modelli replicabili e di commercializzarli con efficacia nel mondo, ricavandone un surplus che torna sul territorio. Perché la piattaforma moltiplicativa funzioni, bisogna che nel territorio ci siano strutture efficaci di propagazione delle conoscenze codificate (ad esempio una diffusa conoscenza dei linguaggi formali e delle ICT, una esperienza affidabile di impiego pratico degli stessi, un sistema di certificazione efficiente e credibile a scala internazionale), insieme a infrastrutture e servizi efficienti di connessione, che mettano in collegamento gli interlocutori a monte (ricerca, fornitori) con quelli a valle (system integrators, distributori, consumatori finali) delle filiere globali. Da questo punto di vista, si tratta di organizzare in modo efficiente i circuiti della comunicazione (marchi, linguaggi, significati, mass media, interazione con i clienti), della

logistica (trasporti, intermodalità, sistemi di stoccaggio e distribuzione intelligente delle merci e

delle informazioni) e della garanzia (regole giuridiche chiare e rispettate, contratti eseguibili, cer- tificazioni standard, servizi personalizzati al cliente) che mettono il collegamento il sistema locale con il sistema di produzione e consumo a scala metropolitana e globale.

In effetti, i settori su cui orientare la politica industriale non sono solo quelli manifatturieri classici, ma anche quelli dei servizi che nelle filiere stanno diventando sempre più rilevanti. Siccome siamo indietro in quasi tutti i servizi sopra ricordati, investimenti importanti in questi campi potrebbero rilanciare in modo utile anche la domanda effettiva, rilanciando la crescita nei prossimi anni.

Si tratta di cose che, se pensiamo alla situazione del nostro paese, abbiamo curato e sostenuto solo in parte.

I nostri eco-sistemi distintivi sono ricchi di intelligenza generativa che è, nella maggior parte dei casi, nata spontaneamente – e un po’ anarchicamente - dal basso, con un apporto limitato di politiche territoriali a ciò finalizzate. Abbiamo distretti industriali forti in diversi settori, dove tuttavia sono poche le imprese leader che esplorano la frontiera dell’innovazione e delle costruzione di filiere glo- bali. Molte altre imprese sono invece followers, perché preferiscono imitare i modelli di successo e garantire la subfornitura dipendente a committenti forti, locali o internazionali (Corò, Grandinetti, 2001).

La differenziazione che la transizione ha creato tra le imprese che guardano al futuro – innovando e investendo – e le altre che non lo fanno ha tolto molto significato alle medie statistiche, che rilevano comportamenti divergenti, non componibili in un valore medio che li rappresenti. Al contrario, biso- gna differenziare, identificando le imprese che sono avviate su strade nuove e promettenti, e cercare di rendere imitabile il loro comportamento da parte di tutte le altre, comprese quelle che, finora, sono rimaste alla finestra in attesa di tempi migliori (Rullani et al., 2012).

Quanto alla realizzazione di efficienti piattaforme connettive, meglio non aprire nemmeno il cahier

de doléances a questo riguardo. La diffusione dei linguaggi formali (scienza, codici tecnologici,

ingegneria, informatica, management, contabilità, diritto, procedure, contratti, norme giuridiche) e delle ICT sconta lo scarso livello di investimento in ricerca e istruzione superiore, nonché la scarsa pratica della digitalizzazione a tutti i livelli. Per le infrastrutture e i servizi di comunicazione, logi- stica e garanzia è a tutti noto i salti mortali che le imprese più innovative fanno per trovare i canali di connessione col mondo, partendo da un sistema che ha finora privilegiato le relazioni locali e informali, da persona a persona, e che oggi scopre la necessità di codificare, connettere, ampliare il proprio spazio di azione senza perdere, ovviamente, l’intelligenza generativa legata alle persone e alle loro relazioni informali.

Il vuoto che si è creato nelle istituzioni intorno ai problemi delle innovazioni di sistema, assolu- tamente necessarie per portare avanti la transizione, è un grave problema, che non abbiamo ancora trovato il modo di risolvere. Speriamo per il prossimo futuro.

Ma non bisogna dare la partita per persa. Succede sempre così, all’inizio delle grandi transizioni, quando abbiamo sistemi che sentono in ritardo la pressione competitiva del paradigma emergente. Quando questa arriva, sia pure con qualche sofferenza in più, si adeguano e imparano presto le nuove regole del gioco competitivo. Succederà anche a noi, e le politiche del territorio possono essere la

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leva che fa ripartire la transizione nei punti in cui il processo si è bloccato per le tante resistenze

inerziali. Se non altro, proprio per la condizione di arretratezza da cui partiamo, possiamo dire senza tema di smentita che rimane tanto da fare. Dunque politiche rilevanti su questo versante possono essere immaginate e realizzate con qualche chance di successo anche senza muoversi sulla frontiera del nuovo: i problemi ci inseguono, e ci spingono – volenti o nolenti – in avanti.

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