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Il rating del merito del credito

Un mercato, una regola per il credito alle imprese europee

2. Il rating del merito del credito

Secondo la teoria macroeconomica da libro di testo, la moneta in un sistema economico è unica e gestita in autonomia sovrana da una unica Banca Centrale (Samuelson et al., 2014). Ciò permette di definire una scheda LM come condizione di equilibrio del mercato monetario per diverse com- binazioni di tasso di interesse e prodotto. Dunque in questo schema il tasso di interesse, che viene fissato a livello macroeconomico, è unico per tutto il sistema economico. Il tasso di interesse dipende dalla unica politica monetaria della Banca Centrale ed è ovviamente influenzato, fra le altre variabili macroeconomiche, dai flussi di capitale della bilancia dei pagamenti. In un contesto di perfetta mobi- lità di capitali e di assenza di vincoli istituzionali sui mercati dei tassi cambio, la politica monetaria ha effetti sulla competitività del sistema produttivo poiché modifica il tasso di cambio (ad es., una politica monetaria espansiva provoca deflusso di capitali, pressione al deprezzamento del cambio e quindi aumento di competitività).

Ovviamente in pratica il funzionamento del sistema economico è più complesso. A livello micro- economico, le imprese non sono tutte uguali. Alcune hanno maggiori capacità di stare sul mercato e sono in grado di comunicarlo al sistema economico. A queste imprese le banche, che valutano il merito del credito, concedono condizioni migliori che ad altre. In altri termini, le banche concedono prestiti a tassi di interesse migliori, ovvero con premio al rischio inferiore, alle imprese migliori che hanno prospettive di redditività.

Tralasciamo per semplicità il problema di selezione avversa che questo meccanismo potrebbe generare dal punto di vista dell’efficienza allocativa. Infatti, tra un’impresa monopolista e una in concorrenza, questo meccanismo potrebbe privilegiare l’impresa monopolista che ha migliori pro- spettive di redditività visto che non è sottoposta alla pressione della concorrenza. A livello sistemico ciò porta a un più facile accesso al credito delle imprese monopoliste che però come sappiamo creano inefficienza allocativa delle risorse.

In ogni caso, la distribuzione eterogenea delle imprese dovrebbe corrispondere alla eterogeneità dei tassi di interesse praticati dalla banche. Si avrebbe così un matching efficiente dal punto di vista del mercato del credito fra redditività delle imprese e prezzo del credito (tasso di interesse). Il premio al rischio per una data impresa dovrebbe compensare il suo rischio di default, ovvero il rischio di mancato rimborso del prestito, analogamente a una assicurazione equa. Pertanto, ogni impresa si svi- luppa e cresce mettendo in atto i nuovi progetti di investimento – secondo la nota teoria keynesiana dell’efficienza marginale del capitale -- con redditività almeno pari al costo opportunità del credito. Quindi con il merito di credito si selezionano le imprese migliori che contribuiscono alla crescita del sistema economico.

Ovviamente la qualità dell’informazione sulla redditività dell’impresa nell’era della globaliz- zazione della informatizzazione e della ICT non è un problema. Un opportuno quadro normativo provvede a dare i segnali e gli incentivi per rendere trasparenti le informazioni societarie e consentire alle banche di valutare correttamente il merito del credito alle imprese.

2.1. Il rating delle imprese

Per meglio aiutare le banche a formulare correttamente il merito di credito si sono sviluppati ser- vizi specializzati, con competenze specifiche sia all’interno delle banche si all’esterno, queste ultime sono le ben note Agenzie di rating.

A livello europeo se ne occupa anche la legislazione comunitaria. Il regolamento (CE) n. 1060/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 settembre 2009, relativo alle agenzie di rating del credito (Unione Europea, 2009), disciplina un quadro per le attività delle agenzie di rating del credito al fine di tutelare gli investitori e i mercati finanziari europei dal rischio di pratiche sbagliate. Esso fissa le condizioni di emissione dei rating di credito nonché le norme relative alla registrazione e alla vigilanza delle agenzie di rating del credito. Il regolamento si applica ai rating emessi dalle agenzie di

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rating del credito registrate nell’Unione europea (UE) e che sono comunicati al pubblico o distribuiti previo abbonamento.

La definizione di rating del credito è la seguente (art. 3 del Regolamento): “un parere relativo del merito creditizio di un’entità, di un’obbligazione di debito o finanziaria, di titoli di debito, di azioni privilegiate o di altri strumenti finanziari, o di un emittente di un debito, di un’obbligazione di debito o finanziaria, di titoli di debito, di azioni privilegiate o altri strumenti finanziari, emessi utilizzando un sistema di classificazione in categorie di rating stabilito e definito”.

Il problema è che il rating del credito contribuisce alle decisioni in materia di investimenti e di finanziamenti da parte di svariati soggetti: investitori, mutuatari, emittenti e governi. Tali rating pos- sono essere utilizzati come riferimento per il calcolo dei requisiti patrimoniali a fini di solvibilità da parte delle banche o per aiutare gli investitori a valutare i rischi nella loro attività di investimento.

Il tipico utilizzo ai fini prudenziali da parte delle banche avviene nel momento del calcolo del requisito patrimoniale a fronte del rischio di credito delle valutazioni del merito di credito forniti da una agenzia di rating (le cosiddette ECAI-External Credit Assessment Institution). Ad esempio, in Italia le banche comunicano a Banca d’Italia (e aggiornano) l’elenco delle ECAI che vogliono utiliz- zare. Le valutazioni fornite dalle ECAI devono essere utilizzate in modo continuativo e per tutte le esposizioni appartenenti alla classe (regolamentare) di riferimento.

La Banca d’Italia dispone che le banche debbano effettuare costantemente autonome analisi sulla qualità dei singoli prenditori nonché, con periodicità almeno annuale, una specifica valutazione della complessiva coerenza dei rating delle ECAI con le valutazioni elaborate in autonomia. I risultati dell’esame andranno formalizzati in un documento approvato dall’organo con funzione di gestione e portato a conoscenza dell’organo di controllo. In aggiunta, la Banca d’Italia vuole essere informata se accadono frequenti e significativi disallineamenti fra le valutazioni interne e quelle esterne (Banca d’Italia, 2008).

Tutto ciò significa che nel lungo periodo le valutazioni autonome delle singole banche tenderanno ad allinearsi IN MEDIA a quelle delle agenzie di rating, per due motivi. Primo, per evitare i costi di discussione con la Banca d’Italia. Secondo per evitare i costi di mantenimento di una struttura interna che differisce sistematicamente dalle valutazioni rappresentative del mercato (le agenzie di rating, appunto).

Dunque, ogni impresa viene analizzata e giudicata dal rating, in merito a due fondamentali anda- menti: 1) situazione economica e finanziaria e evoluzione nel tempo; 2) grado di fiducia che il sistema nutre verso l’impresa.

Osserviamo che il primo è oggettivo, poiché si basa su dati di bilancio, ma il secondo è sogget- tivo poiché – come nel “beauty contest” di Keynes – dipende dall’opinione e dai sentimenti del mercato.

2.2. Il rating del debito sovrano

Ancor più soggettivo è il giudizio delle agenzie di rating sul debito sovrano. Dal punto di vista della teoria economica, le uniche due giustificazioni plausibili per giudicare il debito uno Stato sovrano sono quella del rischio di default, ovvero di ripudio della obbligazione a pagare da parte dello Stato e il rischio del tasso di cambio, ovvero della perdita di valore della obbligazione per effetto di un deprezzamento della valuta dello Stato.

In pratica, il rating del debito sovrano è stato sviluppato dalle agenzie di rating sulla base di com- plessi giudizi di natura economica e socio-politica per descrivere e definire la capacita di un governo sovrano di servire il proprio debito puntualmente e interamente.

Tipicamente, l’analisi delle agenzie di rating si basa su cinque pilastri codificati con punteggi, per definire il merito di credito:

il pilastro politico, che definisce l’efficacia istituzionale e i rischi politici; •

il pilastro economico, che analizza struttura economica e prospettive di crescita •

macroeconomica;

il pilastro esterno, che analizza la posizione patrimoniale sull’estero; •

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il pilastro fiscale, che giudica la capacità di azione fiscale, mirata soprattutto alla capacità di fare •

fronte all’onere del debito;

il pilastro monetario, che analizza la flessibilità della politica monetaria. •

Appare evidente quanto siano discrezionali questi criteri di analisi dal punto di vista dei fonda- mentali della teoria economica. Come si fa a definire una metrica fra Obama che non ottiene il voto del Congresso sul budget con la conseguente chiusura delle attività delle agenzie governative USA e la Merkel che ci mette mesi dopo le elezioni per formare un nuovo Governo in Germania?

Dove trovare il segno economico di tutto ciò? In un modello macroeconomico di determinazione del PIL? In un modello CGE, anche il più sofisticato dinamico e con stime bayesiane? È evidente che lo shut-down temporaneo delle attività di governo USA fa parte delle caratteristiche peculiari del processo di formazione del bilancio degli Stati Uniti e se ne potranno anche misurare gli effetti in termini di PIL potenziale perduto, ma non può contribuire a formare una misura empiricamente fondata del rischio che il Governo USA non voglia onorare il debito federale.

In realtà la applicazione più sensata e costruttiva del rating degli Stati Sovrani va ricercata nel ruolo importante svolto all’interno del processo di determinazione della capacita di accesso dei paesi emergenti ai mercati internazionali dei capitali e di definizione delle condizioni di tale accesso.

La analisi empirica conferma questa impostazione (Reinhart, 2002): “Mentre sempre più paesi

si aggiungono alla lista dei paesi con rating sul debito sovrano, il contenuto informativo dei rating diventa ancora più importante per la determinazione delle condizioni di credito, dato che si dimostra che il rating ha un impatto significativo sugli spread di rendimento delle obbligazioni”. Nella pratica

dei mercati internazionali, infatti, i rating sul debito sovrano vengono utilizzati come misure di sin- tesi della probabilità che un paese possa andare in default.

Da un lato, i paesi sviluppati hanno un accesso scontato ai mercati internazionali dei capitali. Dall’altro lato, molti paesi a basso reddito, magari già piagati dal debito, non hanno accesso ai mer- cati internazionali anche con condizioni macroeconomiche relativamente favorevoli.

Da una analisi econometrica dei legami tra default e crisi valutarie su un campione di 113 default e 151 crisi valutarie (di cui 135 nelle economie dei paesi emergenti) la probabilità incondizionata di insolvenza è pari al 13,3 per cento, escludendo le economie sviluppate per le quali la probabilità di default è zero. La interazione tra crisi valutarie default è preponderante. “La stragrande maggioranza di casi di default, 84 per cento, dei paesi emergenti nel campione sono associati a crisi valutarie”. Ulteriore evidenza empirica (Reinhart, Rogoff, 2010) indica che il debito sovrano quando superiore al 90% del PIL influenza (negativamente) il tasso di crescita dell’economia. Ma rallentamento della crescita non vuole dire default. È pur vero che Reihart e Rogoff (2009) hanno argomentato che “que- sta volta è diverso”, ma altri (Nersisyan, Randall-Wray, 2010) hanno argomentato che questa analisi andrebbe distinta per i Paesi che hanno diversi regimi di tasso di cambio, concludendo che il modello Reinhart-Rogoff non si applica agli USA e che i Paesi dell Unione monetaria europea sono “come i singoli Stati degli USA” in quanto non hanno una politica monetaria autonoma.

Ne traggo due conclusioni fondamentali: nel 2002 si pensava che: 1) default e crisi valutaria nei paesi emergenti fossero correlate; 2) la probabilità di default delle economie sviluppate fosse zero.

Come è cambiata oggi, dieci anni dopo, la percezione della correlazione fra crisi valutaria e default? In pratica, la crisi valutaria di un paese emergente rimane il fondamentale motivo di preoccupazione per il rischio di default.

Come è cambiata oggi, dieci anni dopo, la probabilità di default dei paesi sviluppati? Sulla base di un ragionamento statistico frequentista direi che non è cambiata, poiché non si sono verificati casi nuovi di default di importanti Paesi come gli Usa il Giappone o la Germania. Se da una urna dalla quale si sono sempre estratte solo palline bianche dal dopoguerra al 2002 si continua a estrarre pal- line bianche nei 10 anni successivi, si dovrebbe concludere che la probabilità di estrarre palline nere rimane zero.

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