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Una valutazione comparativa internazionale sul livello degli oneri di urbanizzazione

Capitalizzazione della città e tassazione delle rendite di trasformazione

4. Una valutazione comparativa internazionale sul livello degli oneri di urbanizzazione

In questo paragrafo intendo affrontare il tema della dimensione delle rendite nei processi di tra- sformazione urbanistica in Italia, e della dimensione degli oneri mediamente pagati dai costruttori / developer. Necessariamente l’ottica deve essere un’ottica internazionale, con l’intento di avvicinare possibilmente il nostro paese alle migliori (o anche alle medie) pratiche vigenti nei paesi avanzati.

L’impegno è complesso in quanto nei diversi regimi legislativi e regolamentari mutano le defini- zioni, il linguaggio ed anche la logica seguita nelle imposizioni locali. Inoltre il settore, e in particolare quest’ambito problematico, presenta un livello di non-trasparenza e di mancanza di informazione ufficiale rilevantissimi. Laddove gli oneri non sono monetizzati o non sono riferiti a costi standard essi sono di difficile quantificazione; la cessione di aree è poi per sua natura difficilmente valutabile

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in termini monetari, e comunque appare come una precondizione per la fruibilità fisica dell’investi- mento immobiliare che non impatta sulle volumetrie costruibili. Spesso maggiori oneri definiti in via negoziale sono la contropartita di maggiori vantaggi consentiti al privato in termini di volumetrie rispetto ai limiti di legge e di piano. Infine lo stesso valore di mercato del costruito o del trasformato appare di difficile valutazione, sia perché si richiede una valutazione ex-ante da comparare con gli oneri urbanistici, sia perché in genere le dichiarazioni del privato tendono ad essere riduttive.

Le modalità con cui, a livello internazionale, i privati vengono chiamati a contribuire ai costi della rigenerazione e dello sviluppo della città, nonché a condividere in parte col settore pubblico i plu- svalori generati dalle trasformazioni urbane, sono assai varie e molte sono generalmente utilizzate insieme nella maggior parte dei paesi avanzati, anche se con intensità differenziate.

Troviamo infatti 6:

la normale attribuzione al privato dei costi di infrastrutturazione: i nostri oneri di urbanizzazione, •

la nuova taxe d’aménagement francese, le cargas de urbanizaciòn spagnole, ecc.

il conferimento di una parte delle aree trasformate per ospitare infrastrutture, verde e servizi: le •

nostre aree a standard, presenti in misura differente in tutti i casi internazionali,

il pagamento di un contributo per la concessione del diritto a costruire: tipicamente il

develop-

ment permit inglese, ove il diritto a costruire è praticamente nazionalizzato e legato a un piano di

trasformazione dettagliato (planning permission). Nel nostro sistema il permesso di costruire è oneroso e i contributi concessori comprendono oneri di urbanizzazione primaria e secondaria e il contributo sui costi di costruzione,

il pagamento di una tassa per impatti ambientali e pubblici dell’edificazione, valutati sul processo •

di costruzione: i nostri contributi sui costi di costruzione – o sull’incremento di carico urbanistico, come tipicamente gli impact fees americani, più raramente utilizzati in Europa,

l’obbligo attribuito all’operatore privato di realizzare edilizia sociale, assumendosi totalmente o •

parzialmente l’onere relativo: una prassi quasi normale ed anzi crescente nel Regno Unito e nei paesi scandinavi, oltre che in Germania,

il contributo alla realizzazione di infrastrutture non pertinenti all’ambito di trasformazione: una •

prassi molto seguita nei planning agreements inglesi e nella cosiddetta urbanistica perequativa italiana, che implica accordi negoziali fra pubblico e privato,

il recupero da parte pubblica di una parte delle plusvalenze della trasformazione urbanistica •

privata: è tipicamente il caso spagnolo.

È chiaro che le diverse fattispecie vengono utilizzate con intensità differenti a seconda dei casi nazionali e regionali. Ad esempio, nel caso inglese, la assenza di una imposizione sul plusvalore fondiario è bilanciata da una rilevante e crescente imposizione di costi per infrastrutture di interesse generale (Department for Communities and Local Governments, 2006), che in alcuni casi ha rag- giunto l’8% del valore del costruito. Nel caso olandese invece, forse oggi il più favorevole al privato fra i paesi dell’Europa occidentale, una parte dei costi di urbanizzazione sono assunti dal settore pubblico e non si addossa al privato alcun onere in termini di edilizia sociale; in questo senso, il caso italianoove il dimensionamento degli oneri per infrastrutture primarie e secondarie è largamente in mano ai comuni e spesso appare insufficiente o comunque limitato, non si discosta in molti casi da quella olandese.

Il caso spagnolo appare assai rilevante e interessante a proposito della forma e della dimen- sione degli oneri urbanistici sulle trasformazioni urbane, in quanto in quel paese esiste un dettato costituzionale che obbliga l’amministrazione locale a recuperare parte del plusvalore creato nelle tra- sformazioni stesse attraverso cesiones de aprovechamiento urbanistico (cessioni di parte del suolo a fronte di sfruttamento di diritti edificatori). “La comunidad parteciparà en las plusvalias que genere

la acciòn urbanistica de los entes publicos” (art. 47 della Constituciòn del 1978). La recente legge

nazionale sul regime dei suoli (Ley del Suelo, del 2007) ha introdotto una forbice da un minimo del 5% a un massimo del 15% per le cesiones de aprovechamiento. Esse sono calcolate sul valore dei puri diritti edificatori, a loro volta definiti come valori di mercato delle diverse produzioni edilizie realizzate al netto dei costi di costruzione e di gestione e dei margini di profitto dei promotori. In 6. Si veda la precisa disamina realizzata da Curti (2006).

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sintesi si attribuisce un valore a ciò che è consentito costruire e agli usi che se ne può fare. La Cata- logna ha deciso per una percentuale pari al 10% (aumentata al 15% nel caso si tratti di “un aréa

residencial estratégica”) che naturalmente si aggiunge agli oneri di urbanizzazione e alle cessioni di

suolo per verde, infrastrutture e servizi.

In una recente ricerca su casi rilevanti ed emblematici (“virtuosi”, realizzati attraverso accordi di programma) di trasformazione urbanistica residenziale a Roma e nella provincia di Roma realizzati negli anni 2000 7 (Provincia di Roma, 2013) si è potuto stimare la dimensione della rendita emergente da tali processi (Tabelle 1 e 2). Emerge, da valutazioni altamente cautelative basate sulle dichiara- zioni dei costruttori, una quota di plusvalore sul valore finale del costruito superiore al 50% nel caso di tre progetti romani, e addirittura superiore al 70% in uno dei tre progetti localizzati nella provin- cia. Questo risultato – è importante sottolinearlo – è ottenuto senza includere nel plusvalore creato il profitto del costruttore, interessi pari all’8% sul totale dei costi e un profitto lordo del developer, inclusivo di imposte, pari al 20% dei costi complessivi, inclusi gli interessi.

Una simile indagine effettuata su un grande Programma Integrato di Intervento a Milano giungeva a conclusione molto simili (Camagni, 2008). Correggendo solo marginalmente alcune voci di ricavo palesemente sottovalutate si calcolava l’insieme dei plusvalori generati pari al 48% del valore finale realizzato.

Nel caso di Roma, la percentuale complessiva rappresentata dagli oneri di urbanizzazione era pari a una percentuale fra il 3 e il 7% nei progetti romani e a una percentuale pari a un 4-5,6% nei progetti fuori Roma. Nel caso milanese, gli oneri raggiungevano una percentuale dell’8% sul valore del costruito, ma includevano anche le monetizzazioni di mancate cessioni di suolo per standard urbanistici.

Come si vede, i margini di plusvalore rappresentano quote elevatissime, probabilmente sottosti- mate, quali nessun settore produttivo industriale potrebbe realizzare, e gli oneri pagati per prestazioni pubbliche rappresentano, al contrario, una quota quasi irrisoria8. Un confronto internazionale diretto dell’incidenza di questi ultimi sul valore del costruito appare impietoso: a Monaco di Baviera, gra- zie a un accordo faticosamente raggiunto fra amministrazione comunale e costruttori alla fine degli anni ’90 (il cosiddetto “modello SoBon”: sviluppo immobiliare sociale ed equo), l’incidenza degli 7. Provincia di Roma (2013). L’analisi della rendita urbana e gli oneri di urbanizzazione è stata curata da Daniel Modi- gliani, Roberto Camagni, Andrea Dongarrà, Marco Tamburini.

8. Queste conclusioni sono confermate da recenti indagini del CRESME; si veda Bellicini (2011). Tabella 1 - Rendita ottenuta in 3 progetti (accordi di programma) a Roma

Valori e indici Bufalotta Lunghezza Polo tecnologico

V1 = Costo totale di realizzazione (inclusi profitti del costrutto- re e del developer)

V2 = Utile su area

V3 = Valore iniziale dell’area (rendita pura) Vf = Valore finale del costruito

666,4 272,1 483,7 1.422,2 209,6 92,6 164,6 466,7 326,6 161,2 286,6 774,4 PL = V2+V3 Plusvalenza complessiva 755,8 257,2 447,8 PL/Vf = margine di plusvalore V3/Vf = margine di rendita V2/Vf = margine di utile su area V1/Vf = quota dei costi sul valore fin. Oneri / Vf = quota oneri su valore fin.

53,1% 34,0% 19,1% 46,9% 6,2% 55,1% 35,3% 19,9% 44,9% 7,0% 57,8% 37,0% 20,8% 42,1% 3,0% Valore agricolo dell’area (15 e/mq)

Quota della rendita agricola su valore finale

Margine di rendita (corretto per valore agricolo) su valore finale

(V2+V3) / V1 = Tasso di plusvalore complessivo sui costi di realizzazione

Tasso di plusvalore, includendo la rendita agricola fra i costi

49,7 3,5% 30,5% 106% 98% 9,8 2,1% 33,2% 118% 113% 10,8 1,4% 35,6% 134% 130%

190 Roberto Camagni

oneri e delle altre prestazioni pubbliche ammontava a una percentuale fra il 27% e il 31% sul valore costruito, la differenza col caso italiano essendo rappresentata da oneri per edilizia sociale (Camagni, 2008).

È pure interessante un confronto fra Italia e Francia sugli oneri di urbanizzazione espressi in euro per mq costruito. In Italia, secondo una indagine realizzata dall’Assessorato al Territorio della Regione Emilia-Romagna negli anni 2010-12, gli oneri per edilizia residenziale si aggirano, nei grandi comuni, fra i 100 e i 150 euro/mq, con punte negative a Bologna (98 euro), positive a Milano (244 euro) e massime a Firenze (480 euro). Nella grandissima maggioranza, questi oneri “di urbaniz- zazione” non sono neanche sufficienti per coprire i costi delle urbanizzazioni primarie.

In Francia una recente legge del 2012 ha unificato i precedenti e frammentati oneri in una sola taxe

d’aménagement, che prevede, per l’intero territorio francese un onere di 660 euro/mq, aumentato a

748 euro per l’Ile-de-France.

Anche in questo caso il confronto appare impietoso: si comprende assai bene la crescente distanza che separa le nostre città dalle grandi città europee, in termini di efficienza territoriale, qualità urbana, solidarietà, competitività.

5. Conclusioni.

Da troppi anni ormai il nostro paese ha trascurato di investire nelle sue città, in termini di infra- strutture, servizi avanzati, servizi sociali ed edilizia pubblica, qualità urbana complessiva. L’alibi della mancanza di risorse pubbliche cade apertamente allorché si rifletta su una fonte di entrate potenziali per le amministrazioni locali di grande dimensione, totalmente trascurata dalla politica (ma anche dalla cultura urbanistica) ed evidentissima allorché si proceda anche a iniziali compara- zioni internazionali: la tassazione delle ingentissime rendite di trasformazione urbanistica.

Questa tassazione viene effettuata attraverso l’imposizione di oneri di urbanizzazione locali e di imposte nazionali sui capital gain, entrambi di dimensione modestissima. Gli oneri sulle edificazioni residenziali sono di 748 euro/mq a Parigi e di 244 euro/mq a Milano; 660 euro/mq in tutta la Francia, 98 euro a Bologna. Come quota sul valore medio costruito in Italia ci si posiziona, al massimo, sul 5-7% del valore del costruito, a Monaco di Baviera sul 30%. I plusvalori estratti dalle trasformazioni immobiliari, fatti salvi i profitti del costruttore puro e del developer, si calcolano attorno al 50% del valore costruito a Milano e a Roma; Fra il 2000 e il 2007, allorché le transazioni immobiliari rag- giungevano il milione all’anno, nelle due grandi città si costruiva a 1.000 euro al mq e si vendeva, in periferia, a 5-7.000 euro, con una forbice che progressivamente aumentava dato il continuo aumento dei prezzi a fronte di una sostanziale stabilità dei costi. La perdita di risorse pubbliche che poteva derivare da un “recapture” di valore attraverso un adeguamento degli oneri di urbanizzazione (da parte delle Regioni e dei singoli Comuni) e una più forte e attenta negoziazione col privato nei pro- getti di trasformazione urbanistica (da parte dei Comuni) è stata rilevantissima.

Nei paesi in via di sviluppo politiche di recapture sono fortemente auspicate dalle grandi agenzie internazionali e perseguite con decisione in paesi come Colombia, Brasile, Messico, India, non solo con l’obiettivo di ottenere risorse da dedicare alla capitalizzazione delle città e alla modernizzazione dei servizi pubblici, ma anche con quello di combattere e ridurre una delle più rilevanti fonti di cor- ruzione politica: un insegnamento che non può non interessarci.

La giustificazione economica e giuridica per una decisa tassazione delle rendite immobiliari è chiara: la rendita, e quella edilizia/immobiliare per antonomasia, è, per gli economisti classici e per un grande neoclassico come Marshall, ‘un reddito non guadagnato’; in molte Costituzioni Latino- americane si afferma il principio ‘nessun arricchimento senza giusta causa’ e nella nuova Costituzione spagnola si annuncia che “la comunità parteciperà ai plusvalori generati dall’azione urbanistica degli enti pubblici”. Ma anche se intesa come reddito generico, la rendita di trasformazione non merita il trattamento da paradiso fiscale che le viene riservato, nei fatti e nel diritto, nel nostro paese.

Si potrà dire, con qualche ragione: non possiamo iniziare a tassare oggi un settore come quello edilizio in crisi profonda e non possiamo aumentare il livello di tassazione già elevatissimo del paese.

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Ma occorre ribattere che, in primo luogo, la crisi dell’edilizia è oggi una crisi di domanda, non di offerta (profittabilità); i prezzi sono scesi (attorno al 30% secondo le stime Cresme) assai meno di quanto è successo in altri paesi e assai meno di quanto non siano aumentati nel precedente periodo di espansione e dunque i margini sono ancora consistenti. In secondo luogo, come si è detto, non si aumenterebbe il livello di tassazione generale ma si perseguirebbero plusvalori che storicamente sono stati tassati solo lievemente o sono sfuggiti a una equa tassazione. Infine, esiste una domanda “sociale” che non arriva sul mercato ai prezzi attuali, sulla quale si potrebbe facilmente fare perno per realizzare parte dell’enorme invenduto attuale, attraverso accordi fra le amministrazioni locali e gli operatori, a condizione che questi ultimi accettino l’idea che i precedenti margini non sono e non saranno più realizzabili. Dunque, nella fase del perdurare della crisi potrebbero essere contrattati prezzi ridotti di assegnazione ai Comuni di parte dell’edilizia meno competitiva già esistente, desti- nata altrimenti al decadimento fisico (già iniziato in molte città). E nella fase della sperabile ripresa, per le nuove costruzioni si dovrebbero introdurre nuove regole di fiscalità immobiliare finalmente degne di un paese moderno, anche al fine di poter eventualmente ridurre una parte dell’imposizione patrimoniale sulla casa, oggi esagerata, che grava sulle famiglie e che costituisce una delle cause non ultime dell’attuale crisi di domanda nel settore immobiliare.

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Tabella 2 - Rendita ottenuta in 3 progetti in provincia di Roma

Valori e indici PRINT Frascati Montero-tondo PI Colleferro V1 = Costo totale di realizzazione (milioni)

V2 = Utile su area

V3 = Valore iniziale dell’area (rendita pura) Vf = Valore finale del costruito

27,1 23,7 42,2 93,1 45,3 16,5 29,4 91,3 5,9 1,6 2,8 10,4

PL = V2+V3 Plusvalenza complessiva (milioni) 66,0 46,0 4,4

PL/Vf = margine di plusvalore V3/Vf = margine di rendita V2/Vf = margine di utile su area V1/Vf = quota dei costi sul valore finale

di cui: quota oneri su valore finale

70,8% 45,3% 25,5% 29,2% 4,0% 50,4% 32,2% 18,1% 49,6% 5,6% 42,5% 27,2% 15,3% 57,5% 5,1% (V2+V3)corr./V1 = Tasso di plusvalore complessivo sui costi

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Ripartire dall’industria nel Mezzogiorno

Gianfranco Viesti1, Francesco Prota2

Sommario

Le attuali condizioni dell’industria manifatturiera nel Mezzogiorno appaiono fortemente critiche a causa sia degli effetti della grande crisi internazionale iniziata nel 2007-2008 che di dinamiche e trasformazioni di lungo periodo. Ciononostante, la manifattura resta ancora oggi il cuore dell’attività economica, senza un suo significativo sviluppo è difficile immaginare una crescita o anche il solo mantenimento, dei livelli di benessere del Mezzogiorno. In virtù di queste considerazioni, in questo lavoro si sostiene che una forte e moderna politica industriale è una componente essenziale delle politiche economiche necessarie per far riprendere al Mezzo- giorno (e all’Italia nel suo complesso) un processo di crescita.

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