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Le cose da fare (primo step): organizzare la transizione nei territori attraverso poche e riconoscibili idee motric

Territori in transizione Il nuovo rapporto tra imprese e Politiche territoriali per la rinascita industriale e l’innovazione.

6. Le cose da fare (primo step): organizzare la transizione nei territori attraverso poche e riconoscibili idee motric

Come arrivare a questi risultati, partendo da un paese in crisi e da imprese che certo non hanno grandi margini di resistenza e di investimento sul futuro?

In prima istanza possiamo contare sulla forza dei tanti innovatori che, sulla base dell’esperienza precedente, hanno ormai realizzato o portato a buon punto il riposizionamento competitivo dei loro modelli di business nell’economia delle filiere globali. Nel campo del made in Italy, ci sono ormai molte imprese che stanno proponendosi come fonte rilevante di conoscenza generativa e come base di piattaforme globali multi-localizzata di produzione e vendita di prodotti replicativi. Lo abbiamo fatto nella moda, nell’alimentare, dell’arredamento e in certi campi della meccanica. Lo cominciamo a fare in tanti altri campi, anche a forte contenuto tecnico-scientifico, anche se per ora si tratta di posizionamenti di nicchia.

Non tutte le imprese lo stanno facendo: ma questo, in un certo senso, non deve meravigliare: l’in- novazione è sempre un processo di anticipazione e di selezione elitaria. Piuttosto preoccupa il fatto che gli altri attori in gioco non leghino i loro comportamenti e i loro destini alle imprese maggior- mente innovative con cui sono in contatto, nelle filiere e nei territori.

Siamo però indietro in tantissimi settori e soprattutto nella subfornitura dipendente, che non ha ancora imparato a muoversi con autonomia nelle filiere globali e dipende in misura eccessiva dai committenti. Siamo indietro, salvo eccezioni, nel turismo e nella valorizzazione del patrimonio arti- stico e culturale.

Questa geografia molto frastagliata che distingue tra pionieri in movimento e il resto del sistema, attestato su una posizione attendista o inerziale, è molto pericolosa, perché rischia di indurre i pio- nieri di successo a tagliare il cordone ombelicale che li lega ai territori di origine, determinando in questo modo un esito catastrofico per chi rimane.

Il primo compito delle politiche è dunque quello di evitare che la distanza – del tutto naturale – che si crea tra chi innova, andando avanti, e chi segue o attende, nelle retrovie, non si allarghi ma si

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riduca. È un risultato che si può conseguire se si riesce a legare tra loro il nuovo e (una parte de) il

vecchio, mettendo insieme interessi e progetti che nella transizione potrebbero, altrimenti, trovare più comodo andare avanti ciascuno per conto proprio.

Quello che serve è una politica di condivisione di investimenti e rischi relativamente a progetti di innovazione importanti, ancorati a idee motrici che possono cambiare il destino non solo delle singole imprese ma anche di sistemi produttivi e sociali rilevanti. Le idee motrici non riguardano singole innovazioni ma nuovi modi di pensare alla qualità del vivere e del lavorare (Micelli, Rullani, 2011; Rullani, 2010).

Sono idee motrici, ad esempio, alcuni stili di vita proposti dalla moda (lo “stile” sportivo, elegante, casual, minimalista ecc.), attorno ai quali organizzare modelli di business riconosciuti e apprezzati nelle filiere globali. Oppure, nel campo dell’alimentazione e della ristorazione, sono idee motrici importanti quelle legate a movimenti culturali come Slow Food, o a metodi biologici/ecologici di coltivazione, o a stili di alimentazione corrispondenti a diete riconosciute e apprezzate nei mercati di riferimento.

Ma la stessa cosa si può fare sviluppando idee motrici di questo genere con riferimento al “buon abitare” (una casa bella, ecologica, sicura, silenziosa, automatizzata, ecc.) che potrebbe rilanciare non solo l’edilizia ma tutti i prodotti collegati alla casa (mobili, piastrelle, illuminazione, impiantistica, domotica ecc.). Proporre nuove idee di salute, divertimento, sport, turismo significa infatti attivare circuiti di accumulazione di conoscenza generativa in certi luoghi e da essi far muovere filiere globali che realizzano la propagazione moltiplicativa dei modelli ricavati dall’idea motrice di partenza.

Questo vale anche nelle attività che non si rivolgono direttamente al consumatore finale, ma che, nelle filiere, svolgono funzioni di subfornitura. Proporre modelli di vita e di cultura del lavoro, insieme a protocolli di azione e certificazioni di qualità tali da “garantire” il cliente sul modo con cui gli ordini di lavorazione ricevuti verranno assolti significa inquadrare il lavoro delle singole aziende in un contesto ideale favorevole, che crea fiducia negli interlocutori esterni.

Ad esempio, in molti campi del made in Italy si è affermato uno stile di lavoro e di proposta che possiamo chiamare dell’artigianato di qualità. Un modo di agire nella produzione che mette insieme l’intelligenza flessibile e creativa dall’artigiano innovatore con la competenza pratica di lavorazioni collaudate dall’esperienza.

Anche attività a media o alta tecnologia (come la meccatronica o la farmaceutica) possono pro- porre la loro offerta all’interno di idee motrici che riguardano la qualità del prodotto – adeguatamente certificata – i significati costruiti intorno alla loro “reputazione”, i tempi di consegna, la modularità dei modelli e dei componenti forniti, il servizio pre- o post-vendita, i livelli dei personalizzazione e di innovazione delle soluzioni proposte ai clienti, specie nei processi di co-innovazione del prodotto finale della filiera. Il difficile, per molte aziende eccellenti che in Italia operano in questi campi, è avere intorno all’azienda un territorio cooperante e lavoratori disposti ad assecondare, con i loro con- tratti e comportamenti, le idee motrici con cui l’azienda si propone al mercato internazionale.

La riconquista di una posizione di rilievo anche nei campi di frontiera, in cui conta la ricerca e la sua traduzione in soluzioni pratiche, è uno degli obiettivi da porsi, nell’ambito del più generale ri-posizionamento del sistema produttivo italiano. Ci sono le premesse per andare avanti anche in questa direzione, ma la strada da percorrere rimane lunga: ragione di più per agire, recuperando il

gap che si è creato rispetto agli altri paesi industrializzati (Sterlacchini, 2004).

Il rapporto con la cultura ambientale può dunque essere un altro versante critico per lo sviluppo di idee motrici che associano imprese innovatrici, istanze territoriali, centri di ricerca e di forma- zione, consumatori e lavoratori co-interessati ecc.. Il mercato interno (nazionale o locale), in effetti, è spesso il terreno in cui prendono forme modelli di business e idee motrici che, una volta selezio- nate e affermate, si propagano all’estero, a scala globale, trovando tuttavia un presidio di qualità nella competenza e capacità selettiva dei consumatori locali: gli unici in grado di valutare le devia- zioni dall’eccellenza ereditata dal passato e di accettare (o rifiutare) le innovazioni di volta in volta proposte.

L’ecologia territoriale dell’innovazione mette insieme, infatti, imprese e interlocutori locali o nazionali con cui viene co-prodotta sia l’idea motrice, sia la gamma dei prodotti di qualità ad essa

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corrispondenti. È questa ecologia che alimenta lo sviluppo di conoscenza generativa in certi luoghi e da questi serve l’insieme delle filiere di propagazione moltiplicativa che portano nel mondo i modelli messi a punto con le esperienze di frontiera.

Un altro campo in cui le imprese possono modificare i propri modelli di business mediante pro- cessi di aggregazione e condivisione (dei progetti, degli investimenti, dei rischi) è quello delle reti

di impresa. È questo un tema di cui molto di discute, ma spesso con riferimenti scarsamente fondati

(Rullani 2011b).

Il sistema italiano, proprio per la rilevanza delle piccole e medie imprese, è un sistema che ha potuto modernizzare la produzione e i prodotti portati sul mercato nell’ultimo mezzo secolo solo grazie ad una capillare produzione in rete. Ossia solo grazie ad una divisione del lavoro tra moltissimi specialisti che – tenuti insieme dalle filiere settoriali e dai rapporti di prossimità – hanno consentito a centinaia di piccoli produttori di fornire prestazioni complementari rispetto al risultato finale.

Si è trattato quasi sempre – salvo alcune eccezioni (consorzi, cooperative, ATI ecc. – di reti infor- mali, basate su un rapporto di stabile collaborazione e divisione del lavoro tra imprese che si legano attraverso rapporti interpersonali diretti, contrattualmente poco impegnativi ma di fatto ricorsivi e fiduciari.

Oggi queste reti continuano ad essere utili, ma per fare i prodotti e servire i clienti che già si hanno. Riescono con fatica ad innovare ciò che si fa o a proiettare ponti di qualche rilevanza verso fornitori, committenti e consumatori finali che stanno nelle filiere globali. E riescono poco ad alimentare idee motrici che non siano quelle ereditate dalla storia.

Il nuovo – quando la discontinuità eccede l’ordinaria amministrazione - richiede investimenti, e impone rischi che le singole imprese da sole non riescono ad affrontare. Dunque occorre il contributo di altri, che sono dotati di capitali, capacità, competenze complementari. E che credono, fidandosi, ad un progetto comune.

Le “nuove” reti – più formalizzate e impegnative – nascono da questa esigenza di andare oltre il già noto e affrontare, insieme ad altri, il mare aperto del mercato globale, portandovi le idee motrici da cui il progetto comune è scaturito.

Non lo faranno tutti, ma solo le aziende più dinamiche, per le quali la sfida del nuovo fa parte del modello di business prescelto. Le politiche territoriali devono innanzitutto consolidare il rapporto tra i pionieri e il retroterra in cui operano saldando questi due poli con idee motrici ampie, che possano intercettare gli interessi degli innovatori, quelli dei loro interlocutori locali (fornitori, servizi alle imprese, banche, lavoratori, distributori, consumatori, istituzioni) e insieme la cultura, le competenze professionali, le regole, le infrastrutture e le reti connettive (logistiche, comunicative e di garanzia) del luogo in cui essi operano

7. Le cose da fare (secondo step): sfruttare la forza del vento che muove la transizione

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