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3 Una proposta di sintesi per uscire dalla crisi: obiettivi e strumenti operat

In base a tutte le considerazioni sinora fatte è possibile indicare alcune linee guida per una politica urbana nazionale che abbia l’obiettivo di contribuire non solo alla soluzione dei problemi delle città ma possa, al tempo stesso, essere una leva per uscire dall’attuale situazione di crisi. Si tratta di ope- rare secondo la logica dello sviluppo sostenibile dal punto di vista economico sociale e ambientale, centrato su un modello di governance bottom-up, corretto e inquadrato in uno schema strategico nazionale, non solo per l’indicazione delle aree/settori di intervento, ma anche per fornire assistenza nella fase di progettazione e finanziamento e per l’integrazione delle singole progettualità secondo la logica delle reti di cooperazione e di sinergia e, quindi, per ottenere le economie di scala sia sul lato della domanda sia dell’offerta.

Si tratta innanzitutto di definire gli strumenti metodologici a i quali ispirarsi, per poter poi ricavare tutti gli aspetti operativi di una politica urbana nazionale. Il punto di partenza è senza dubbio rap- presentato dallo stretto legame esistente tra città e innovazione. Va ricordato al riguardo che quando si parla di innovazione è implicito il riferimento al suo carattere prevalentemente endogeno, cioè al fatto che si tratta di innovazioni derivanti da un processo continuo ed incrementale di miglioramenti nei prodotti, nei processi e nell’organizzazione delle imprese. Le università ed i centri di ricerca 10. Rapporto IFEL, La dimensione territoriale del QSN 2007-2013, terza edizione 2013.

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giocano senza dubbio un ruolo rilevante in questo processo, ma non necessariamente in quanto centri di eccellenza (poiché altrimenti sarebbero molto pochi e concentrati sul territorio nazionale). In altre parole non è solo importante introdurre poche innovazioni di base, ma anche adottare innovazioni introdotte altrove e adattarle ai singoli contesti produttivi e sociali. L’approccio settoriale/verticale, cioè dal lato dell’offerta di tecnologie, va integrato con quello orizzontale, dal lato della domanda e dei bisogni. In tale contesto la città, come sistema complesso, è in grado di operare questa sintesi in un rapporto circolare tra domanda e offerta che si autoalimenta in modo virtuoso (Cappellin, 2012). Sempre rimanendo al rapporto tra città e innovazione, va ricordato il ruolo specifico che gli spazi disponibili nel cuore delle aree metropolitane giocano nell’incubazione delle nuove imprese innovative. Questo ruolo, ritenuto rilevante nel contesto della città industriale, lo è in misura ancora maggiore nell’era post-industriale in cui, da un lato le città si caratterizzano per la specializzazione nel terziario innovativo alle persone, nei servizi avanzati alle imprese e nelle attività culturali e crea- tive e, dall’altro, si liberano spazi che possono essere riqualificati con opportune politiche.

L’elemento più innovativo da un punto di vista metodologico per una nuova politica urbana è però rappresentato dall’approccio reticolare. Non si tratta soltanto di mettere in rete le città perché si scambino le buone pratiche, o di sfruttare il naturale processo di diffusione delle innovazioni attra- verso l’armatura urbana ma, soprattutto, di sfruttare le possibili economie di scala nella produzione e nell’utilizzo dei nuovi prodotti e servizi messi a punto per i singoli sistemi urbani. Le relazioni di complementarietà e di sinergia che si possono stabilire tra le singole iniziative vanno valoriz- zate attraverso strategie ed azioni specifiche volte, ad esempio, alla nascita o al consolidamento di opportuni cluster di imprese operanti nei settori ove la domanda da parte delle città si mostra di peso maggiore in termini quantitativi, di innovazione tecnologica e di export potenziale.

Un aspetto di particolare rilievo ci sembra essere quello relativo alla nascita o al consolidamento di opportuni cluster di impresa operanti nei settori dove la domanda da parte delle città si mostra di maggiore peso, sia in termini quantitativi, sia per le implicazioni in termini di innovazione tecnolo- gica e di export potenziale.

Per quanto riguarda i settori di intervento e le attività si possono fare alcune precisazioni rispetto alle indicazioni contenute nell’Agenda urbana del FESR e alle specifiche fatte dal CIPU. Va ribadita l’esigenza di non riferirsi solo all’uso delle nuove tecnologie (come per il bando smart cities) ma anche di puntare su temi in grado di massimizzare le possibili sinergie tra i diversi aspetti materiali e immateriali che caratterizzano la vita delle moderne città. Vanno enfatizzate, date le caratteristiche del sistema urbano italiano, temi come la la messa in sicurezza e al risparmio energetico per gli edi- fici storici, la valorizzazione dei centri storici, lo sviluppo delle industrie culturali e creative. Come si può intuire, si tratta di attività (tra l’altro in notevole sinergia tra loro) che hanno una forte domanda interna, ma nelle quali è anche possibile acquisire vantaggi competitivi a scala internazionale, in quanto esiste sicuramente un mercato rilevante almeno a livello UE. Di notevole interesse appare, inoltre, il tema relativo alla così detta blue economy, il cui principio base è quello di trasformare gli scarti o i sottoprodotti (output) di un sistema, attualmente sprecati, in risorse (input) per un altro sistema (Bistagnino, 2009): Questo tipo di attività potrebbero trovare infatti notevoli applicazioni in campo urbano. Un aspetto da non sottovalutare, infine, è rappresentato dagli aspetti soft della progettazione. Si tratta di dare la giusta enfasi nella valutazione dei progetti di politiche urbane agli elementi immateriali, quali il marketing territoriale, la promozione, la comunicazione e gli aspetti gestionali delle iniziative. Molto spesso queste attività non sono previste o comunque sono sottosti- mate sia dai proponenti i progetti sia dai valutatori, con conseguenze dannose sulla realizzabilità e soprattutto sulla gestione e l’efficacia dei progetti stessi. Inoltre si tratta in genere di attività ad alta intensità di lavoro, anche giovanile, in grado di valorizzare quindi competenze e professionalità tipi- camente urbane.

La soluzione proposta in sede CIPU in tema di coordinamento in tema di politica urbana, se denota la giusta prudenza del Ministro per la coesione territoriale, andrebbe valutata con cura, Va verificato infatti se sia effettivamente in grado di raggiungere gli obiettivi di una vera politica urbana nazionale, superando tutti i limiti messi in evidenza, ed essere all’altezza delle “ambizioni” cui si richiama la stessa Commissione Europea quando parla di Agenda Urbana. Non sappiamo se la risposta sia la rinascita del Ministero per le aree urbane (o di un Ministro senza portafoglio), si vuole solo ricordare

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che in altri paesi soluzioni più “pesanti” esistono da tempo: molti stati (Francia, Olanda, Danimarca, Portogallo) hanno un ministero, mentre la Gran Bretagna ha un Dipartimento presso l’Ufficio del Primo Ministro. La governance complessiva della politica dovrebbe comunque dare sufficientemente spazio agli attori coinvolti: città interessate, ministeri di settore e ministro delegato.

Per quanto riguarda gli strumenti la pianificazione strategica dovrebbe trovare una sua definizione e collocazione tra gli strumenti di governo dello sviluppo urbano ed essere riconosciuta come punto di riferimento per ogni altro tipo di strumento di pianificazione del territorio (Mosso, 2013) e come condizione fondamentale per la presentazione di progetti al FESR (Camagni, 2013). Le caratteristi- che del piano strategico: multilivello, multisettoriale, territoriale e integrato, lo rendono lo strumento fondamentale per l’attuazione di una politica urbana come quella ipotizzata in precedenza, oltre ad essere perfettamente in linea con quanto richiesto dall’Europa. Si potrebbe pertanto ipotizzare che la redazione di un piano strategico divenga la condizione necessaria per accedere alla politica urbana, tenendo però in dovuto conto i limiti che alcune delle esperienze più recenti di piani strategici in Italia hanno messo in evidenza.

Proprio questi limiti fanno ritenere necessaria un’attività di assistenza alla progettazione a livello delle singole città per la messa in essere di progetti innovativi e più in generale di piani strategici. Tale attività di assistenza dovrebbe riguardare sia la parte tecnologica e tecnico economica, sia quella relativa agli aspetti di governance (coinvolgimento degli stakeholders, forme di finanziamento pub- blico-privato, modalità di gestione dei progetti, attività comunicazione e marketing). Le esperienze concrete, hanno mostrato le difficoltà delle singole amministrazioni nell’affrontare la progettazione complessa, ed il rischio derivante dall’utilizzo di consulenti esterni che molto spesso applicano modelli precostituiti senza tener conto delle specificità locali. Questo compito potrebbe essere svolto dalla stessa Agenzia per la Coesione territoriale, appena varata dal Consiglio dei Ministri per venire incontro ai problemi di utilizzo dei fondi strutturali. Si tratta infatti di una struttura di servizio che ha il compito di attuare un monitoraggio continuo e sistematico sull’uso dei fondi per intervenire tempestivamente laddove emergono problemi, di fornire formazione e assistenza a tutte le istituzioni centrali e regionali coinvolte, di sostituirsi ad esse come unica autorità di gestione, in casi ben definiti e a fronte di una situazione di gravi inadempienze o ritardi.

Come corollario dell’attività di assistenza va ipotizzata un’adeguata attività di formazione e qua- lificazione della PA locale per quanto riguarda le competenze interne, in modo da superare nel lungo periodo il deficit attuale e la necessità di assistenza esterna evidenziata in precedenza. Tale attività di formazione dovrebbe essere effettuata in vista di un vero e proprio controllo di qualità sull’atti- vità progettuale, nella ipotizzata prospettiva dell’estensione della attività di pianificazione strategica. Andrebbe inoltre accompagnata da un ricambio generazionale all’interno della stessa PA locale che, come è noto, è invece caratterizzata da tempo dal blocco del turn over. Formazione, ricambio gene- razionale e rimozione del blocco del turn-over dovrebbero essere affrontati in modo congiunto in un piano di riforma delle PA, non solo locale, che travalica ovviamente l’attuazione le politiche urbane in un’ottica di rilancio complessivo della competitività dell’economia Italiana.

Un aspetto di non scarso rilevo in una nuova politica urbana riguarda i soggetti a cui essa deve rivolgersi. Abbiamo visto come, in modo molto pragmatico l’attuale Ministro per la coesione territo- riale ha suggerito di partire in via sperimentale dalle aree metropolitane. Questa scelta solleva però alcuni dubbi e problemi. Se vero infatti che nelle aree metropolitane si concentrano sicuramente la maggior parte delle popolazione e quindi delle potenzialità da utilizzare e dei problemi da risolvere, è anche vero che nel contesto italiano sono state alcune città intermedie a mostrare negli ultimi anni il maggior dinamismo (tra l’altro, la fissazione per legge delle città metropolitane rischia di irrigidire tutto il sistema). Inoltre il tema delle città metropolitane si lega a quello dell’abolizione delle province sul quale vale la pena di spendere qualche parola. Infatti l’ipotesi di una abolizione generalizzata delle province e quindi non solo nel caso delle città metropolitane, è il frutto di una visione al tempo stesso demagogica e superficiale dei problemi del sistema degli enti locali in Italia. Ridurre infatti il costo della politica non deve accompagnarsi alla rinuncia ai benefici della struttura. Chiunque si occupi di pianificazione del territorio conosce i ruoli rilevanti che le province svolgono in numerose materie: mobilità e viabilità; pianificazione territoriale generale e delle reti e delle infra- strutture; organizzazione dei servizi pubblici di livello sovracomunale; promozione e coordinamento

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dello sviluppo economico e sociale; tutela del paesaggio. In molti casi è proprio grazie all’attività delle province che il dissennato consumo di suolo messo in atto dai comuni (anche in relazione al loro modo di finanziamento) è stato in parte frenato. Sarebbe forse opportuno preveder la riforma dell’intero sistema degli enti locali sia in termini di attribuzioni di funzioni sia di risorse finanziarie non tanto e non solo per ridurre i costi della politica ma per rendere più efficiente la gestione del territorio 12. Questo potrebbe essere un compito da affidare al CIPU che, data la sua composizione, ha al proprio interno tutte le competenze per imbarcarsi in una simile impresa. L’ultima considerazione riguarda il carattere sperimentale dell’azione sulle aree metropolitane. Purtroppo in Italia le “speri- mentazioni” di politiche (non solo urbane ma per queste ultime valga il caso delle smart cities) hanno sempre mostrato grandissimi limiti, in quanto non si quasi mai passati alla fase di messa a regime, vuoi per mancanza di fondi vuoi perché il tema finisce per “passare di moda”. Quindi, anche se l’ap- proccio prudenziale può essere opportuno, va fatto quanto prima un chiaro disegno organico di quella che dovrà essere la strategia di lungo periodo della politica urbana nazionale, in modo da avere un punto di riferimento che costituisca la base per l’azione dei singoli soggetti che saranno poi chiamati a realizzarlo e, quindi, anche dei possibili investitori privati che potrebbero essere coinvolti.

Veniamo così all’ultimo aspetto della proposta, il finanziamento della politica e il suo ruolo per rilancio degli investimenti pubblici. È del tutto evidente che la riserva del 5% del FESR e l’even- tuale destinazione di una quota di una qualche imposta comunale ancora da definire, siano del tutto insufficienti. Inoltre, a questa insufficienza e al quadro delle criticità evidenziato in precedenza, si aggiungono i vincoli agli investimenti legati al Patto di stabilità. Al contrario si tratta di prevedere un piano pluriennale di finanziamento (su cui eventualmente chiedere la deroga in sede UE) per il potenziale moltiplicatore che gli investimenti nelle aree urbane potrebbero generare. Piuttosto che preveder infatti pochissime grandi opere sulla cui utilità e sugli effetti moltiplicativi si potrebbero esprimere numerosi dubbi, un piano di investimenti urbani, nei settori citati e le con le caratteristi- che evidenziate, potrebbe avere un impatto sul territorio di gran lunga maggiore, mettendo in moto meccanismi virtuosi assai più diffusi e articolati. Inoltre un piano di investimenti pubblici potrebbe fornire lo stimolo per l’attrazione di investimenti privati complementari, indirizzabili anche verso il patrimonio immobiliare pubblico che altrimenti rischia di essere “svenduto” se non inserito in un disegno organico interno alle singole città e a scala nazionale. A questo riguardo è ipotizzabile l’attra- zione anche di capitali esteri, da coinvolgere nelle opere di riqualificazione urbana e valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico. Non va dimenticato infatti che l’attuale fase di stagnazione degli investimenti industriali, particolarmente acuta in Italia, può essere superato o investendo in ricerca e innovazione, cosa assolutamente necessaria, ma con un ritorno almeno di medio periodo e che comunque deve tener conto della competizione internazionale, o investendo nel sviluppo urbano, al contrario a forte domanda interna.

Sempre in tema di finanziamenti va infine prevista la revisione della fiscalità immobiliare nazio- nale e locale. Come è stato più volte sottolineato13 i livelli degli oneri di urbanizzazione e concessori rischiano di non coprire neanche i costi delle opere primarie e sono, comunque, di gran lunga infe- riori a quelli ad esempio di Spagna e Germania.

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13. Si veda: Camagni R. (2013), L’unione europea e le azioni integrate per lo sviluppo. Il piano città: un passo verso un’Ita- lia strategica? Intervista di Simona Vinci, 2 febbraio.

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