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L’esperienza della politica per i distretti tecnologici e le implicazioni per una politica sulle reti innovative nel Mezzogiorno

Reti innovative e politiche per il Mezzogiorno

7. L’esperienza della politica per i distretti tecnologici e le implicazioni per una politica sulle reti innovative nel Mezzogiorno

Per quanto riguarda il Mezzogiorno non vi è dubbio che in astratto una politica per le reti inno- vative appare opportuna per la presenza al Sud di buone risorse di capitale umano. Purtroppo, come si è detto, ciò non è condizione sufficiente perché si creino spontaneamente reti innovative. Oltre alla minor presenza di imprese innovative ed alla tradizionale inefficienza delle pubbliche istitu- zioni le regioni meridionali si caratterizzano per indici di fiducia interpersonale molto bassi7. Tale indicatore non solo è particolarmente basso per l’Italia rispetto agli altri paesi europei ma evidenzia forti disomogeneità regionali. Mentre le regioni del Centro-Nord dell’Italia includendo l’Abruzzo ed escludendo l’Emilia-Romagna, formano un’area culturalmente omogenea e sono simili a quelle della Spagna ed alla zona di Lisbona, e l’Emilia Romagna costituisce un’area a sè con similarità con la Catalogna, i Paesi Baschi ed il Belga Fiammingo, le regioni meridionali registrano valori sostanzialmente inferiori dell’indice di fiducia con somiglianza con l’Estremadura della Spagna ed il Portogallo del Nord. Ciò fa pensare che potenziali rapporti di rete, pur se efficienti dal punto di vista del benessere sociale, non si realizzino spontaneamente. Quindi una politica per la costruzioni di reti innovative potrebbe contribuire allo sviluppo economico di tali regioni.

Nei settori innovativi del Mezzogiorno o sono presenti grandi imprese pubbliche e private, sia nazionali che multinazionali, o piccole e medie imprese che pur avendo capitale umano qualificato 7. I dati utilizzano l’European Value Study relativo al 1995 e riguardano valori culturali delle regioni europee.

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sono caratterizzate da un mercato prevalentemente locale. Per quanto riguarda la prima tipologia di aree sono stati sviluppati alcuni studi, nell’ambito del progetto REPOS8. Il concetto base è quello di “network additionality” inteso come creazione di collaborazioni fra imprese e fra imprese e isti- tuzioni che in assenza dello specifico intervento non sarebbero sorte. Un primo lavoro (Del Monte,

et al., 2011) analizza un particolare distretto in Sud Italia e verifica, attraverso un questionario tre

configurazioni di rete (ex ante, attuale, ex post). Risulta che vi è una tendenza alla crescita alla colla- borazione fra le imprese intervistate rispetto al tempo in cui si è costituito il distretto. Un altro lavoro (Ardovino, Pennacchio, 2013) ha analizzato utilizzando la metodologia basata sui rapporti diadici fra i partners di 6 distretti MUIR (2 nel Sud, 2 nel Nord-Ovest, 2 nel Nord-Est) i fattori determinanti la collaborazione. Un interessante risultato del lavoro è che la collaborazione è maggiore nei distretti in cui le università hanno un maggior peso e la governance segue una logica di mercato. La variabile

governance è una variabile dicotomica con valore 1 se la collaborazione delle imprese è frutto di una

azione spontanea dei vari attori e 0 se la scelta degli attori è aiutata da una specifica autorità di gover-

nance (logica gerarchica). Un altro risultato del lavoro è che i distretti tecnologici sembrano stimolare

la cooperazione fra piccole imprese e fra piccole e grandi imprese. La presenza di un organismo di tipo gerarchico sembra essere un elemento più importante ove più deboli sono le forze di mercato nel favorire la collaborazione. Vi è poi un altro lavoro (Cucco, Savoretti, 2013) che confronta un distretto tecnologico meridionale MUIR con un distretto tecnologico non MUIR del Centro Italia. Nel primo opera una forma di governance di tipo gerarchico mentre nel secondo, anche se stimolate da fondi pubblici, le collaborazioni fra gli attori sono di tipo spontaneo. Il lavoro in particolare vuole analiz- zare il ruolo svolto nei due distretti da università, centri di ricerca pubblici e imprese. Nel distretto meridionale caratterizzato da un elevato numero di grandi imprese non locali le collaborazioni fra imprese appaiono più probabili che le collaborazioni fra imprese e centri di ricerca. Nel distretto del Centro invece, le collaborazioni fra imprese e università appaiono più probabili. Per quanto riguarda il ruolo dei brevetti nel Distretto meridionale gli attori che in passato hanno realizzato attività bre- vettuale sono, coeteris paribus, più disponibili a intrattenere rapporti di collaborazione. Per quanto riguarda il ruolo di organismi misti del distretto volti a favorire la collaborazione non risulta dal modello ERGM utilizzato per le stime, che essi abbiano particolare importanza.

Quindi sembrerebbe che lì dove esistono grandi imprese che operano per i mercati nazionali e internazionali e centri di ricerca sviluppati la probabilità che si costituisca una rete stabile e robusta è abbastanza alta. Le grandi imprese hanno infatti già esperienza di collaborazione ed è quindi più facile dar vita a legami con altre imprese, specie se esistono adeguati incentivi. L’ulteriore presenza di piccole e medie imprese locali con elevata capacità di assorbimento di nuove tecnologie e di capi- tale umano, così come centri di ricerca, può indubbiamente facilitare la costruzione di reti innovative. In tal caso il rischio per le politiche innovative non riguarda tanto l’efficienza dei progetti finanziati, quanto la sua addizionalità. Quest’ultimo problema sarà tanto maggiore quanto minore sarà il coin- volgimento delle piccole e medie imprese locali. Il mancato coinvolgimento delle imprese locali limiterà anche la rilevanza degli effetti indiretti. In ogni caso ove esistono grandi imprese con mercati non locali differenziati, la presenza di un adeguato organo di governance indipendente ed un corretto funzionamento delle istituzioni pubbliche può sviluppare reti stabili ed efficienti.

Più complesso è il problema lì dove vi è una concentrazione di piccole e medie imprese, con scarsa esperienza di collaborazione e che lavorano per un mercato locale. L’esistenza di centri di ricerca e di capitale umano non è sufficiente a creare reti. La presenza, quindi, di imprese multinazionali può essere di aiuto ma, se queste operano per un mercato locale ed hanno difficoltà a stabilire rapporti con le imprese locali per la loro attività, la rete che si crea come effetto di una politica di incentivi rischia di essere instabile ed i progetti inefficienti anche se addizionali.

Il caso del Distretto Tecnologico della Logistica e della Trasformazione nella regione Calabria gestito dalla società s.c.r.l R&D log illustra tali difficoltà. L’obiettivo del Distretto era quello di costituire una rete di imprese fortemente integrato fra di loro in grado di produrre servizi innovativi (ad esempio pacchetti di software) non solo per il mercato della logistica trainata da Gioia Tauro ma 8. Repos (Reti, politiche pubbliche e sviluppo) progetto finanziato dalla Regione Campania nell’ambito del POP Campa- nia FSE 2007-2013.

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anche per il mercato nazionale ed internazionale. Nell’area del Distretto vi erano due multinazionali che gestivano lo scalo di Gioia Tauro, un certo numero di piccole imprese innovative nel settore informatico oltre alle università e centri di ricerca con adeguate competenze rispetto all’obiettivo del progetto. Al Consorzio R&D log ha aderito una sola delle due multinazionali che gestivano lo Scalo di Gioia Tauro, più due altre multinazionali del settore informatico, 6 imprese nazionali, 16 imprese locali e 6 università e centri di formazione (Si veda Tabella 1).

Tabella 1 - Distribuzione soci per tipologia di attorie e loro variazione nel periodo 2005-2010 nel distretto R&D log

Tipologia di imprese Soci nel 2005 ai progetti nel periodo 2005-2010Soci partecipanti Soci nel 2010 Variazione Soci

Locali 16 11 9 -7

Nazionali 6 5 3 -3

Multinazionali 3 3 3

Università e Centri di ricerca e

formazione 6 6 6

Totale 31 25 21 -10

Come emerge dalla Tabella 1 non vi è stata quella sperata interazione fra i soci che avrebbe dovuto avere come risultato un rafforzamento della rete, sia attraverso un aumento nel tempo dei progetti che attirando nuovi soci. Vi è stata una diminuzione nel numero dei soci, in particolare locali, sia per il fallimento di alcune imprese, sia per mancanza di interesse. Non vi è dubbio che la possibilità di usufruire di incentivi ha stimolato l’adesione al Consorzio di ricerca di operatori che non avevano le necessarie competenze e progetti di ricerca che difficilmente potevano avere ricadute in termini di mercato.

Una importante difficoltà ha riguardato il rapporto fra le piccole imprese e le imprese multina- zionali. Queste ultime sono apparse poco interessate a che le prime utilizzassero prodotti innovativi da usare in attività localizzate anche in altri luoghi. Non vi è stata una sufficiente sensibilità da parte delle grandi imprese utilizzatrici ad integrare le piattaforme standard utilizzate per la gestione dell’hub con i pacchetti software sviluppati nell’ambito dei singoli progetti e ciò ha indubbiamente ridotto la capacità di mercato dei prodotti realizzati nei vari progetti. Inoltre, non vi è stato un ade- guato coordinamento fra i partecipanti per quanto riguarda i progetti di ricerca. Alcuni hanno iniziato a lavorare al progetto prima dell’erogazione dei contributi, mentre altri hanno iniziato al momento dell’erogazione. I ritardi nelle erogazioni hanno, specie a livello delle piccole imprese, determinato problemi finanziari che hanno messo in discussione l’operatività degli operatori.

Tutto ciò è avvenuto in un contesto di scarsa fiducia interpersonale, illegalità diffusa, inefficienza della pubblica amministrazione che ha accentuato le difficoltà.

Certamente dei benefici vi sono stati in termini di capitale umano creati e di progetti addizionali ma la politica è risultata poco efficiente ed il Consorzio ha cessato di esistere.

Probabilmente l’insuccesso della politica per la costruzione di una rete innovativa da parte di R&D log è dovuta ad un eccesso di fondi impegnati che ha creato elevate aspettative ed iniziative poco valide. Probabilmente l’uso di criteri di scelta diversi avrebbe permesso il finanziamento di un ridotto numero di progetti e di operatori con finanziamento ed obiettivi più modesti che avrebbe potuto dar vita a legami più duraturi fra le imprese.

Le implicazioni dei risultati dei precedenti lavori per una politica a favore delle reti innovative al Sud non sono chiare e sono a volte contrastanti. Vi è anzitutto da verificare se i progetti in collabora- zione realizzati dalle grandi imprese e finanziati nell’ambito della politica dei distretti, pur essendo efficienti, siano o meno addizionali. Rimane poi il problema di stabilire la rilevanza dei legami fra grandi e piccole imprese e fra istituzioni e imprese. Anche il ruolo delle università e centri di ricerca pubblici appare poco rilevante nello stabilire rapporti di collaborazione. Gli aspetti positivi, che sembrerebbero emergere dal lavoro di Bertamino, et al. (2012) per quanto riguarda piccole e medie imprese al Sud, devono trovare un ulteriore conferma.

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D’altronde proprio la necessità di sviluppare nel Mezzogiorno reti di imprese innovative spinge a favorire la continuazione di una politica per le reti. Certamente i risultati contrastanti di tale politica al Sud non possono non avere una loro importante spiegazione nel modo con cui tale politica è stata condotta più che in una inefficacia in se della stessa. Un punto in ogni caso che emerge chiaramente è che per avere successo le politiche a favore delle reti innovative devono migliorare di molto le tec- niche ex ante per la scelta dei progetti di ricerca in collaborazione oltre che per l’individuazione dei distretti e trovare dei modelli di governance del distretto adeguati.

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Dualismo e declino nel territorio italiano.

Il ruolo delle competenze

Sergio Destefanis1

Sommario

In questo scritto, utilizzando soprattutto un semplice strumento grafico, l’OECD Diagnostic Tool, si met- tono in luce gli squilibri a livello locale tra domanda e offerta di competenze, nonché alcuni dei loro elementi determinanti. Quindi, dopo avere chiarito che nel nostro Paese la promozione del matching tra domanda e offerta di competenze deve considerarsi elemento essenziale di una politica di sviluppo delle competenze stesse, si presentano alcune best practices (di altri paesi, e, a livello locale, anche italiane) in questo ambito. Particolare attenzione è dedicata agli one-stop shops per i servizi all’impiego, ad alcune importanti esperienze concertative, e ad alcune iniziative di sviluppo coordinato di domanda e offerta di competenze.

1. Introduzione

La profonda crisi economica che incombe attualmente sulle economie occidentali e nella mente di cittadini, politici e analisti non ci dovrebbe privare di una corretta prospettiva di lungo termine sull’economia italiana. Al contrario, l’analisi a lungo termine è di fondamentale importanza se i 3,5 milioni di persone che la crisi ha aggiunto alla schiera della disoccupazione devono evitare il rischio di diventare o disoccupati di lunga durata o socialmente esclusi in altri modi. Per le politiche del lavoro è stato sempre più difficile negli ultimi anni contribuire allo sviluppo economico in un conte- sto di crescente globalizzazione, cambiamento tecnologico e organizzativo e di fronte alla riduzione dei bilanci pubblici (Froy, Giguère, 2010a; 2010b). Queste sfide rendono necessario lo sviluppo di strategie multi-purpose. Iniziative in un campo (di lavoro, istruzione o formazione professionale) devono avere benefici concomitanti in altri campi (inclusione sociale, diffusione e utilizzo di com- petenze). Le risorse attualmente scarse devono andare agli ambiti dove sono più necessarie o dove possono avere il massimo effetto, o ancora meglio, dove possono soddisfare entrambi gli obiettivi.

In questo senso, è risaputo come le politiche attive del lavoro siano importanti per la performance del mercato del lavoro soprattutto se ben integrate con le politiche passive (Destefanis, Mastromat- teo, 2010). Meno esplorata è invece l’interazione delle politiche del lavoro con le politiche industriali (cfr. la vecchia distinzione tra politiche orizzontali relative, per esempio, a istruzione e formazione, e verticali, relative ad ambiti settoriali ristretti). In questo scritto si intende per l’appunto evidenziare come una maggiore interazione tra politiche del lavoro e industriali sia altamente necessaria per il nostro Paese, anche e soprattutto a livello locale. Filo conduttore di questa disamina, che riprenderà varie analisi recenti, sarà il lavoro condotto, per l’Italia e per altri paesi, nell’ambito del programma LEED dell’OCSE.

Lo scritto ha la struttura seguente. Nel paragrafo 2 si mettono in luce le attuali carenze di lungo periodo dell’economia italiana, che rendono necessario un forte impegno di policy per migliorare la produttività e la competitività del sistema produttivo italiano, promuovendo lo sviluppo di un mercato del lavoro caratterizzato da alte competenze. Il paragrafo 3, utilizzando un semplice stru- mento grafico, l’OECD Diagnostic Tool (Froy et al., 2012) evidenzierà gli squilibri a livello locale tra domanda e offerta di competenze, nonché alcuni dei loro elementi determinanti. Nel paragrafo 4 si mostrerà come nel nostro Paese la promozione del matching tra domanda e offerta di competenze 1. Università di Salerno, CELPE e CSEF, e-mail: destefanis@unisa.it.

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debba considerarsi elemento essenziale di una politica di sviluppo delle competenze stesse. Il para- grafo 5 presenterà alcune best practices (di altri paesi, e, a livello locale, anche italiane) nell’ambito del matching tra domanda e offerta di competenze, e, più generalmente, del coordinamento delle politiche industriali e del lavoro. Il paragrafo 6 contiene alcune considerazioni conclusive.

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