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Cartiera piccola (La Fabbrichetta) 15 L’edificio (fig 8) è costituito da tre pia-

Nel documento Il castello di Pietrabuona (pagine 156-162)

ni, due fuori terra ed uno seminterrato (addossato al pendio sul lato settentriona- le e su quello occidentale), coperti da un tetto a due falde con manto in coppi e te- gole. Sul fronte Ovest una scala esterna consente di raggiungere l’ultimo livello. La muratura è in pietre dalla pezzatura irre- golare, eccetto i cantonali, tenute assieme da malta. Gli architravi delle aperture sono anch’essi, salvo alcune eccezioni, in pietra; i solai presentano un’orditura lignea ed uno scempiato in cotto, ad esclusione di una porzione tra il piano terra ed il primo piano realizzata in ferro e tavelloni. Le pa- reti interne del piano terreno, tutte con funzione portante, sono in pietrame a faccia vista, mentre quelle degli altri piani sono intonacate. All’ultimo livello il crollo di una parte di controsoffitto rivela le capriate lignee che sostengono le due falde del tetto. Esternamente l’edificio è intonacato e tinteggiato su tre fronti, mentre il prospetto lungo fiume è sprov- visto di rivestimento, consentendo di leggere le discontinuità delle murature.

Nel 1825 la cartiera era costituita da un corpo ad L formato dalla parte meridionale del fabbricato odierno, comprendente i due vani comunicanti, e da un corpo annesso sul lato orientale di cui oggi sono visibili solo alcuni lacerti, per un totale – nel 1875 –

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Fig. 8 - Cartiera piccola Bocci Fig. 7 - Le peschiere

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di otto vani distribuiti su tre piani16.

Una conduttura con presa a monte della car- tiera consentiva di trasportare l’acqua in prossi- mità dell’edificio, dove una chiusa in pietra (di cui sono visibili i resti) regimentava la portata idrica prima che il flusso passasse attraverso l’opificio ortogonalmente al rio, entrando vicino all’attuale scala di accesso al secondo piano e proseguendo all’interno di una canalizzazione in cotto ancora oggi presente nel pavimento dell’ambiente più piccolo al piano terra (fig. 9).

La cartiera era fornita di bottaccio il quale, una volta terminata la produzione della carta, è stato utilizzato come deposito d’acqua per la cartiera maggiore. La portata della gora era ca- pace di far muovere una ruota verticale di me- dia dimensione (diametro 1,5 metri).

Sul muro di confine tra i locali comunicanti del piano terra si trovano poste, in alto una so- pra l’altra, due lastre in pietra con iscrizione: la targa superiore riporta “LA 1809”, che potreb- be indicare la data di costruzione del fabbrica- to, in quella sottostante vi è incisa la scritta “F.C.c 1889”; la data coincide con quella del censimento degli opifici che venne condotto per la redazione della Carta Idrografica, le lettere invece richiamano le iniziali di uno dei proprie- tari (Calamari Casimiro, Silvano e Angelo) a cui potrebbe attribuirsi un iniziale fecit(fig. 10).

In un arroto del 1890 legato al catasto leopoldino17 è registrato un cambiamento nella particella che però non ha riscontro nella morfologia dell’edificio, il quale rimase a forma di L. Solo nella raffigurazione della fabbrica riportata nel Nuovo Catasto Terreni del 1953 la configurazione planimetrica del manufatto cambia, assumendo quella attua- le. Tra le due date, quindi, la cartiera è stata ampliata verso Nord con l’aggiunta di un nuovo volume, come si evince dall’analisi del paramento murario, che mostra una evi- dente discontinuità nel punto di attacco tra la parte antica e quella moderna.

Le 280 Bq indicate nel 1825 sono presumibilmente riferite ad una porzione dell’am-

Le cartiere “San Rocco”

Fig. 10 - Le due pietre scolpite Fig. 9 - La canalizzazione in cotto

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biente 1 (fino alla prima finestra sul fronte fiume) e gli ambienti 2 e 3 (fig. 11).

Il fulcro della lavorazione avveniva nella stanza centrale, nella quale vi erano tre pile di stracci che venivano battuti e impastati da un maglio “a burrattino” (cioè a doppia le- va) di cui è rimasta in loco la pietra a terra. I martelli in ferro erano mossi dalla ruota ver- ticale “a colpo” sostenuta da un albero in legno posto sul lato Ovest della stanza e a sua volta incastrato in appositi vani nella muratura. La ruota era azionata dall’acqua che discendeva attraverso una tromba, ovvero una canalizzazione ad imbuto, che serviva per aumentarne la potenza. Sul muro verso la collina si notano, inoltre, le tracce di una ca-

nalizzazione e le chiazze lasciate dall’acqua che cadeva lungo tutta la lunghezza della parete stessa, al fine di lubrificare e raffreddare l’albero di trasmissione. Una scala inter- na in legno univa il piano primo con lo spanditoio.

La cartiera è rimasta attiva fino all’inizio del XX secolo; negli anni Trenta del Novecento vi aveva stabilito la sua bottega un lattaino che vi fondeva il bronzo. Dopo la Seconda Guerra Mondiale lo spanditoio è stato convertito in abitazione con accesso in- dipendente dall’esterno dell’edificio, mediante l’attuale scala in pietra.

Ulteriori lavori di ristrutturazione sono stati condotti negli anni Cinquanta per realiz- zare tre appartamenti (due al piano primo e uno al piano secondo) facendo assumere al-

l’edifico l’attuale configurazione; a questo stesso periodo risale la costruzione al primo 157 Le cartiere “San Rocco”

Fig. 12 - Disegno tratto dal documento ASFI,Segreteria di Gabinetto, Regolamento dell’arte della carta all’uso di Toscana e dei suoi rispettivi scandagli tratti dagli usi antichi e moderni soliti praticarsi negli edifizi di Pescia in Toscana e nello Stato di Genova 165, 42; nel testo si fa riferimento al suddetto disegno quando viene descritta una fabbrica-tipo della carta: “Per un edifizio con un sol tino vi vogliono almeno sei pile di pietra, cioè tre dette a cenci, due dette a ripesto e una da sfiorato, così come la grandezza della fabbrica va per ordinario di lunghezza braccia 40, di larghezza B. 12 e di altezza B. 25”. Segue la descrizione degli ambienti riportati nella legenda del disegno

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piano del piccolo volume esterno che accoglie il bagno. Da alcuni anni l’edificio è in sta- to di abbandono.

Il documento d’archivio “Regolamento dell’arte della carta all’uso di Toscana e dei suoi rispettivi scandagli tratti dagli usi antichi e moderni soliti praticarsi negli edifizi di Pescia in Toscana e nello Stato di Genova”, già pubblicato in altri testi, oltre a prescrizioni di vario genere, riporta anche le dimensioni ed il relativo disegno di un prototipo di cartie- ra18(fig. 12). Il documento è interessante per comprendere se i manufatti rispondessero o meno alla regolamentazione di tali opifici redatta negli anni Venti dell’Ottocento.

Le cartiere qui analizzate19sono di dimensioni minori rispetto a quelle del tipo ripor- tato nel “Regolamento” sia per il numero di pile (tre al posto delle sei del “tipo”) sia, di conseguenza, per le misure effettive degli edifici20. L’organizzazione dell’uso degli spazi rispecchia quella indicata nel testo e nel disegno, con tre stanze di lavorazione del pro- dotto grezzo; la scala invece è posta in posizione diversa: centrale all’interno della stecca nel “tipo”, in fondo ad una delle stanze nella cartiera grande ed esternamente nella car- tiera piccola. La scala portava al piano superiore adibito al deposito del materiale ne La Fabbrichetta, mentre nella cartiera più grande tali funzioni erano previste in altri spazi del complesso. Il piano più alto era usato in entrambi per asciugare la carta. Si può notare che la stanza delle pile della cartiera grande (n. 2) è la metà di quella del “tipo” in lun- ghezza (le pile sono la metà di numero) e la medesima in profondità e che i muri hanno tutti lo spessore di 1 braccio fiorentino. Le numerose modifiche, variazioni e sistemazione apportate alle costruzioni analizzate non permettono di fare ulteriori approfondimenti.

NOTE

* Dal contributo originario “Due cartiere dismesse a Pietrabuona” di Uliva Velo nel DVD allegato al volume.

1 A tal proposito si ringrazia il sig. Alessandro Bocci, attuale proprietario dei due manufatti, e la sua

famiglia per aver concesso di accedere agli opifici e per aver fornito preziose indicazioni sulla loro storia.

2 ASFI,Capitani di Parte Guelfa Cartone XXVI, n. 36 (riva sinistra del rio di San Rocco) e ASFI,

Capitani di Parte Guelfa Carte sciolte, n. 64H (riva destra del rio di San Rocco). Le carte sono del 1783 e sono state redatte dall’ingegnere granducale Carlo Maria Mazzoni.

3 SASPE,Archivio del Comune di Vellano n. 380, c. 202r. 4 SASPE,Vecchio Catasto Terreni, 1825.

5 Risulta difficile attribuire la proprietà delle due cartiere su un elenco di edifici “a carta” a

Pietrabuona nel 1826 perché in esso l’unica indicata sul rio di San Rocco riporta come proprietario Francesco Masoni, che non compare fra quelli indicati nei registri catastali. Giuseppe Gherardi, proprie- tario della cartiera più piccola nel 1825, è indicato in questo elenco in relazione ad una cartiera con tre pile in luogo Tremignani (cfr. SASPE,Archivio del Comune di Vellano n. 54).

6 IGM,Carta Idrografica d’Italia, Foglio 105. La carta è accompagnata da relazioni divise per re-

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per comunità dei corsi d’acqua irrigui e dei corsi d’acqua industriali; su quest’ultimo ogni opificio cata- logato è segnato sulla porzione di carta corrispondente.

7 Si suppone infatti che l’opificio numero 1234, catalogato come “molino San Rocco” e costruito su

derivazione “dal canale di fuga”, sia il Mulino di Pietrabuona, detto di Pellegro, costruito a metà del XIX secolo e attivo fino al 1946 (cfr. P. Biagini,Mulini e frantoi a nord di Pescia (storia-leggenda-realtà attuale), Vellano 2010, p. 105). La localizzazione dei due edifici è stata effettuata rispetto ai corsi d’acqua e incro- ciando nell’elenco la denominazione “San Rocco” – già utilizzata nel 1825 – con la destinazione d’uso.

8 Le proprietà si snodano nel tempo secondo un ordine pubblicato in Cresti,op. cit., pp 120-121. 9 Per il manufatto di dimensioni maggiori è stato effettuato il rilievo fotografico e topografico dei

soli fronti stradali con la redazione finale di fotopiani ed un rilievo planimetrico della parte più antica. Il rilievo è stato realizzato nell’ambito delle relazioni tra il Dipartimento di Architettura DSP dell’Università degli Studi di Firenze e la Escuela Técnica Superior de Ingeniería de Edificación de la Universidad Politecnica di Valencia (Spagna), responsabile: Pablo Rodriguez Navarro, rilievo topografico: Maria Teresa Gil Piqueras, con la partecipazione degli studenti Vicente Celda Cerdán, Rubén García Lozano, Antonio Ramírez Rentero, Marta Renau Guerra, María Jesús Sánchez Mora, Alejandro Tomás Mascarell.

10 Si sono considerate rispettivamente la particella 568 (“cartiera”), attraverso cui si vede passare

la linea d’acqua, e la particella 567 (“casa con resede”).

11 La pila è un grande recipiente nel quale vengono triturati e ridotti in pasta gli stracci. 12 Lo spanditoio è il luogo dove venivano stesi i fogli di carta ad asciugare.

13 Sul muro a retta dietro il nuovo capannone e sul muro di confine tra quest’ultimo e la parte più

antica del complesso dove si trovano attualmente le vasche per l’impasto, vi è l’iscrizione “A.S. 1.4.961” che indica la data in cui furono effettuare tali opere e il nome del maestro muratore che le realizzò: Andrea Salvatori.

14 Tale tubazione è oggi in parte interrata, mentre in corrispondenza de La Fabbrichetta è tutt’ora

a vista.

15 Per La Fabbrichetta è stato realizzato, da Uliva Velo, Gaia Lavoratti e Alessandro Merlo, un rilievo

diretto e topografico dell’interno opificio.

16 Tutt’ora il catasto riporta nell’unica particella 146 una costruzione comprensiva della parte crol-

lata negli anni Quaranta del Novecento e ormai diruta.

17 SASPE,Arroto n. 45, Foglio 50.

18 Il manoscritto si trova all’Archivio di Stato di Firenze (ASFI,Segreteria di Gabinetto 165, 42). Non

presenta una propria datazione, ma gli altri inserti del pezzo sono datati tra il 1813 e il 1827. Il “Regolamento” è quasi interamente trascritto nel testo Cresti,op. cit., pp. 55-60, seppure la forcella tem- porale degli altri inserti riportata nel volume non coincida con quelle qui esposte. Il disegno, pur citato, è stato deliberatamente tralasciato perché ritenuto di scarsa importanza per la trattazione del testo stesso; in effetti gli autori in quel caso hanno tracciato un percorso con tappe in sedi macroscopiche della rete delle cartiere della valle della Pescia senza soffermarsi sulla grande quantità di opifici secondari. Nel pre- sente caso, invece, proprio l’indagine portata avanti su manufatti di piccole dimensioni, rapportabili a quelle del disegno-prototipo, rendono interessante questo documento grafico per operare un confronto.

19 Per la cartiera grande si considera la parte più antica.

20 Le dimensioni del disegno del “tipo” sono in braccia fiorentine (b.f. = 0,583626 m cfr. Martini,

op. cit.). La cartiera grande ha le seguenti dimensioni in pianta in b.f.: lunghezza totale 31, larghezze varie (non è stato rilevato lo spessore dei muri verso la collina). La cartiera piccola rilevata ha le se- guenti dimensioni in pianta in b.f.: lunghezza totale 34, larghezza sul fronte Nord 8, sul fronte Sud 9, larghezza considerando il vano centrale sporgente 13.

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