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O DELLE PROPRIETÀ “ SOTTO FALSO NOME ”

3. Prima macro-categoria: i beni “dell’informazione e della

3.1. Il caso dei domain names aziendal

Un esempio delle conseguenze pratiche che deriverebbero dalla definitiva riconducibilità dei beni della proprietà industriale allo statuto dell'art. 42 della Costituzione, lo si può rinvenire nel caso dei domain names(231).

Su tali beni, in assenza di una norma specifica, è problematica la costituzione di forme di garanzia. Eppure, per un’impresa, dato il valore rilevante che tali utilità possono assumere la questione non è di scarso rilievo.

Una stretta interpretazione del dato normativo di partenza, l’art. 2784 c.c., secondo cui “Possono essere dati in pegno i beni mobili, le universalità di mobili, i crediti a altri diritti aventi per oggetto beni mobili”, aveva portato la dottrina –

(230) Consiglio di Stato, Ad. Gen. Parere, 25-10-2004, n. 2/04, in Foro It., 2005, III, 209.

(231) Sull'argomento, cfr. C.M. CASCIONE, I domain names come oggetto di espropriazione e di

garanzia: profili problematici, Dir. Inf. Inf., 2008, 25 ss.; nonché ID., Garanzie e nuovi beni. Sulla

collateralization di nomi di dominio, pagine web, banche dati, in Riv. Dir. Priv., 2010, 3, 69 ss.;

ID., I nomi a dominio aziendali, in G. RESTA, (a cura di), Diritti esclusivi e nuovi beni immateriali, Milano, 2011, 400 ss.; P. SAMMARCO, Il regime giuridico dei ―nomi a dominio‖, Milano, 2002; nonché ID., La tutela giudiziaria del nome a dominio in Italia, in http://www.fog.it/convegni/programmi/03-05-30-rel-Sa.rtf.

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nell’ambito del più volte citato “sistema del Codice” – a limitare l’ambito di operatività della disposizione ai beni corporali(232).

Tuttavia la giurisprudenza ha già da tempo ammesso, attraverso l'interpretazione estensiva della norma appena citata, la costituzione di pegno su taluni beni immateriali. L’esempio ricorrente è quello del pegno di quote di srl(233).

In materia di diritto d’autore, secondo l'art. 111 della Legge 633/1941 (Legge sul Diritto d'Autore), è possibile la costituzione di pegno, ma non sui diritti di pubblicazione e di utilizzazione dell'opera, bensì sui soli “proventi dell'utilizzazione” e sugli “esemplari dell'opera”(234).

Con riferimento più specifico alle invenzioni industriali, l'art. 69 del RD 1127/1939 (Legge Brevetti) prevedeva che “diritti di garanzia sui brevetti per invenzioni industriali devono essere costituiti per crediti in denaro”; similmente, secondo l'art. 49 del RD 929/1942 (Legge Marchi) si possono costituire atti di garanzia sui marchi. Queste disposizioni sono da ultimo confluite nel Codice della proprietà industriale che, all'art. 138, prevede che devono essere resi pubblici mediante trascrizione presso l'Ufficio Italiano Marchi e Brevetti “gli atti... che costituiscono... diritti di garanzia... ai sensi dell'art. 140” e al successivo articolo 140 che “I diritti di garanzia sui titoli di proprietà industriale devono essere costituiti per crediti di denaro”.

L’attuale Codice della proprietà industriale prevede dunque la possibilità di costituire diritti di garanzia sui “titoli di proprietà industriale”. Ai sensi dell’art. 1 del Codice, l'espressione proprietà industriale comprende “marchi ed altri segni distintivi, indicazioni geografiche, denominazioni di origine, disegni e modelli, invenzioni, modelli di utilità, topografie dei prodotti a semiconduttori,

(232) In questo senso, andrebbero tenute in conto le esperienze di altri paesi. Ad esempio, il nuovo Libro IV del Code Civil nella parte in cui tratta delle garanzie in generale contiene un parte specifica dedicata al pegno di beni immateriali. Significativa è poi l'esperienza nordamericana. L'art. 9 UCC (Uniform Commercial Code), nella versione sottoposta a revisione nel 2001, nel dettare la disciplina dei security interest (ossia ogni accordo volto a creare un diritto su personal property a garanzia del pagamento di una somma di denaro o dell'adempimento di un'obbligazione), allarga notevolmente l'oggetto della garanzia. Schematicamente, l'art. 9 UCC prevede tre categorie di collaterali: “tangible” (“consumer goods, inventory, farm products,

equipment”), “quasi-tangible” (“documents such as warehouse, receipts and bill of lading, chattel papers, instruments, including promissory notes and investment properties like stocks and bonds”)

ed “intangible” (“accounts, deposit accounts, health care insurance receivables and "general

intangibles"”). Quast'ampia formulazione, soprattutto nell'espressione di chiusura, “general intangibles”, ha permesso di utilizzare come collaterals i beni immateriali e in particolare i diritti

della proprietà intellettuale.

(233) Peraltro, dopo la riforma del diritto societario, una tale possibilità è stata cristallizzata nel dato normativo, e ora l'art. 2471-bis c.c. espressamente prevede che “La partecipazione [ndr, in una

srl] può formare oggetto di pegno, usufrutto e sequestro”.

(234) Precisamente, ai sensi del citato art. 111, “I diritti di pubblicazione dell'opera dell'ingegno e

di utilizzazione dell'opera pubblicata non possono formare oggetto di pegno, pignoramento e sequestro né per atto contrattuale, né per via di esecuzione forzata, finché spettano personalmente all'autore. Possono invece essere dati in pegno o essere pignorati o sequestrati i proventi dell'utilizzazione e gli esemplari dell'opera, secondo le norme del codice di procedura civile”.

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informazioni aziendali riservate e nuove varietà vegetali”. La disposizione, dunque, non li ricomprende. Tuttavia, l’art. 2, nel disciplinare le diverse fattispecie di costituzione ed acquisto di tali diritti, distingue tra diritti “titolati” (suscettibili di acquisto mediante brevettazione o registrazione) e diritti “non titolati” che sono invece protetti “ricorrendone i presupposti di legge”, e, il medesimo art. 2 (quarto comma), fa rientrare in tale ultima categoria “i segni distintivi diversi dal marchio registrato, le informazioni aziendali riservate, le indicazioni geografiche e le denominazioni di origine”.

Ora, secondo una parte della dottrina(235), i domain names (ma solo quelli aziendali) potrebbero essere ricompresi tra i “segni distintivi diversi dal marchio registrato” e, se così fosse (se si dovesse cioè aderire a questa interpretazione), gli artt. 138 e 140 potrebbero divenire la base normativa da cui desumere direttamente la sostituibilità di diritti di garanzia sui nomi di dominio(236).

Peraltro, secondo i sostenitori di questa ipotesi, “anche a voler ritenere che i nomi di dominio non siano ―titoli di proprietà industriale‖, dovrebbe comunque optarsi per la possibile costituzione di garanzie su di essi” (237). Deporrebbero in tal senso “innanzitutto una considerazione di politica del diritto: i domain names sono commodities oggetto di scambio”(238); inoltre “[m]olto spesso hanno un valore di mercato di gran lunga esorbitante rispetto al loro costo di registrazione”(239); infine, in questo settore, spesso si registrano “pratiche di rivendita dei nomi di dominio, anche a cifre – in taluni casi – elevatissime”(240). In conclusione, “[s]e questo è vero, non avrebbe senso, da un lato consentire la circolazione volontaria dei nomi di dominio e, dall‘altro, impedire la costituzione di garanzie su di essi”(241).

Ora – a parte la condivisibilità delle affermazioni accennate – una soluzione come quella prospettata, o almeno con gli “strumenti” che si sono prospettati, appare però difficilmente percorribile. A giocare “contro”, vi sono, in generale, tutte le ragioni di cui abbiamo conto nei capitoli precedenti, tra cui il fatto che l’art. 810 c.c. nell’interpretazione che “coerentemente” (coerentemente

(235) Così, espressamente, G. FLORIDIA, Il codice della proprietà industriale: disposizioni generali

e principi fondamentali, in Diritto Industriale, 1, 2005, 11, ss., D. SARTI, Il codice della proprietà

industriale: impianto sistematico e criticità, in Studium Iuris, 2007, 14. Cfr. altresì Tribunale di

Napoli, 7 luglio 2005, in Foro it., 2006, 2, 598, secondo cui “Il nome a dominio aziendale, tale

essendo quello utilizzato in ambito imprenditoriale, o almeno pubblicitario, costituisce – nella vigenza del codice della proprietà industriale – segno distintivo tipico non titolato, e – a fronte dell‘altrui condotta confusoria – usufruisce della tutela giurisdizionale, anche inibitoria cautelare, prevista dal capo III del codice per tutti i diritti di proprietà industriale”.

(236) In questo senso, cfr. C.M. CASCIONE, I domain names come oggetto di espropriazione e di

garanzia..., cit., 2008, 25ss.

(237) ID., Garanzie e nuovi beni. Sulla collateralization di nomi di dominio, pagine web, banche

dati, in Riv. Dir. Priv., 2010, 3, 86.

(238) Ibidem. (239) Ib. (240) Ib. (241) Ib.

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rispetto alla generalità delle norme del libro terzo del Codice civile) viene ad esso data dalla maggior parte della dottrina impedisce che ai beni immateriali possa essere attribuita la qualificazione di “beni in senso giuridico” e il fatto che, in applicazione del principio del numerus clausus dei diritti reali, un allargamento della schiera del beni è consentito solamente per espresso richiamo da parte del legislatore(242). E vi sarebbero poi (meno forti e forse superabili) ragioni di carattere specifico che attengono, ad esempio, alle modalità di costituzione della garanzia: trattandosi di un bene immateriale, si dovrebbe operare attraverso un regime di trascrizioni, e sarebbe dunque necessario, analogamente a quanto avviene per i marchi e i brevetti, istituire appositi registri, probabilmente presso la RA (registration authority) italiana(243).

Ci troviamo così di fronte ad una situazione in cui, da una parte, la pratica degli affari premerebbe per estendere anche ai diritti c.d. “non titolati” la possibilità di costituire su di essi diritti reali di garanzia(244), ma, dall'altra, la rigidità del sistema normativo, non permette, come si è accennato, di aggiungere fattispecie per via interpretativa(245).

(242) In questo senso, per tutti, cfr. M. RICOLFI, Il diritto d‘autore, in Trattato di Diritto

Commerciale, Padova, 2001, 460 ss.

(243) Peraltro, un tale aspetto problematico è sollevato anche da Cascione (ult. cit.), che pure, come si è visto, sarebbe generalmente propensa ad ammettere la possibilità della costituzione di garanzie su beni “non titolati”.

(244) Peraltro, a conclusioni simili si arriverebbe ragionando su altri asset immateriali di importanza strategica, ad esempio per le e-companies, quali sono le pagine web o i data base. Le

pagine web sono opere c.d. multimediali che combinano in un unico prodotto opere di generi

differenti (parole, immagini, suoni, etc.), normalmente fruibili attraverso mezzi di comunicazione diversi ma la cui coesistenza è assicurata da un formato omogeneo, quello digitale, e da un programma. Mancando di una regolamentazione specifica, in dottrina e giurisprudenza si ritiene siano, per quanto possibile, riconducibili alla disciplina del diritto d'autore o a quella delle banche dati. In entrambi i casi sarebbe dunque applicabile la garanzia di cui all'art. 111 LdA, che, come visto, ha comunque caratteristiche sue particolari rispetto ai titoli della proprietà industriale (i.e. permette la costituzione di pegno non sui diritti di pubblicazione e di utilizzazione dell'opera ma solo sui “proventi dell'utilizzazione” e sugli “esemplari dell'opera”; senza contare che le forme di pubblicità previste dalla legge sul diritto d'autore (artt. 103 e 104) hanno efficacia meramente dichiarativa e non costitutiva). E ancora a conclusioni simili si arriverebbe esaminando la possibilità di costituire collateral su data base. Diverso il caso degli Stai Uniti; qui esiste una valvola generale, l'art. 9 UCC (Uniform Commercial Code), che offre una generalizzata tutela ai “general intangibile”. In particolare, poi, quanto alle modalità di costituzione e perfezionamento della garanzia, se i data base non sono pubblici potrà essere applicata la Trade secret law, se invece la banca dati possiede i requisiti necessari potrebbe anche applicarsi la Copyright law. (245) Ben diverso è, come si è accennato, il panorama statunitense. Una prima questione riguarda la loro riconducibilità ai “general intangibles” di cui all'art. 9 UCC (Uniform Commercial Code). I

domain names sono assimilabili ai marchi “when identify and distinguish the source of goods or services available through a web site”; per questa via essi sono riconducibili dunque agli intangibles tutelati. Diverso è però il discorso per quei domain names che non sono allo stesso

tempo trademarks, vale a dire i domain names “generici”, che, da un punto di vista commerciale, sono peraltro quelli considerati di maggior valore (sex.com sarebbe valutato attorno ai 250 mln di dollari), e dunque meglio si presterebbero ad essere utilizzati come collateral. In relazione ad essi, le Corti statali e federali hanno proposto due soluzioni: la loro assoggettabilità al regime della

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Si arriva a identiche conclusioni anche ragionando in termini di pignorabilità dei domain names. Ferma l'assenza di disposizioni normative al riguardo, è possibile registrare una sola sentenza, resa dal Tribunale di Bologna(246).

Nel mondo delle cose, i domain names sono beni a tutti gli effetti: essi possono essere scambiati; spesso rappresentano una delle principali voci di attivo nel patrimonio di un'impresa (oltre a marchi, brevetti, copyrights); si tratta dunque di stabilire se il titolare divenga titolare di un diritto assoluto o di un mero diritto di credito.

Il Tribunale di Bologna citato esclude questa possibilità, da una parte, sulla base della difficoltà di qualificazione giuridica e, dall’altra, sull’asserito dato di fatto secondo cui “il domain name serve ad identificare non solo il marchio ma ogni segno distintivo e identificativo dell'utilizzatore ed è quindi prevalente il collegamento al "soggetto", onde non si comprende come possa essere venduto a terzi e da questi utilizzato”.

Le considerazioni espresse dal Tribunale sono state oggetto di critica severa(247). In fatto, perchè i domain names hanno in taluni casi un mercato rilevantissimo che certamente prescinde dal “collegamento al soggetto”. In diritto, perchè la non completa previsione legislativa non può indurre a rinunciare alla loro qualificazione. Semmai deve indurre l'operatore ad uno sforzo maggiore. E, se ne ravvisi la necessità anche ad interrogare il giudice delle leggi, soprattutto laddove il testo normativo, in via interpretativa, non consenta un armonico inserimento della fattispecie nell'ordinamento(248).

moltissimo (anche nella tradizione di common law, infatti, i security interest sono, per espressa definizione normativa, un diritto su personal property). A favore della natura di contract service, si possono citare i casi Dorer v. Arer (Corte Suprema della Virginia, 1999), in cui è stata esclusa la possibilità di esperire procedure esecutive su domain names, e Network Solutions, Inc. v. Umbro (Corte Suprema della Virginia, 2000), in cui è stata esclusa la sottoponibilità a garnishment dei nomi di dominio, in quanto prodotti di un contract for service. Per questa via la costituzione di garanzie sopra tali beni non è dunque percorribile. Da un altro lato però, l'entrata in vigore del

Cybersquatting Act (1999) e alcune differenti prese di posizione delle Corti, hanno invece indotto

ad optare per l'opposta qualificazione dei domin names in termini di property rights. A questo proposito si possono citare i casi Online Partners.com Inc. v. Atlanticnet Media Corp. (N.D.Cal., 2000) e Caesar World, Inc. v. Caesar's Palace.com (Corte Suprema della Virginia, 1999) nei quali si è definitivamente sancita la rispondenza dei domain names al concetto di property, intesa come

bundle of rights (che, grosso modo, è la traduzione inglese del concetto di polisemia della nozione

di proprietà). Tale configurazione ha come diretta implicazione la possibile costituzione di un

security interest su di essi. Più simile all'esperienza italiana è stato invece l'orientamento delle

Corti tedesche, secondo cui la registration authority corrisponderebbe al soggetto titolare un'esclusiva soltanto di fatto e non giuridica, in quanto sarebbe assente una specifica disciplina attributiva. Di conseguenza, l'unica situazione soggettiva giuridicamente rilevante è quella costituita dal diritto di credito vantato nei confronti della registration authority in base al contratto atipico di assegnazione dell'indirizzo (Cfr., CASCIONE, Ult. cit., 83 ss.).

(246) Trib. Bologna, Ord. 22 marzo 2000, in Nuova Giur. Civ. Comm., 2002, 39 ss. (247) CASCIONE, Ult. cit., 27.

(248) E, per la verità, i riferimenti normativi esistenti sarebbero forse contraddittori ma non escludenti. L'art. 2910 c.c. in tema di espropriazione forzata dispone l'espropriabilità dei beni del

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Come si vedrà nella seconda parte della ricerca esaminando la giurisprudenza della Corte di Strasburgo sulle nuove proprietà e i nuovi beni(249), si può forse arrivare a conclusioni diverse se si guarda alla possibilità del riconoscimento di tali beni all’interno della nozione costituzionale di proprietà (anche per il tramite delle “tradizioni costituzionali comuni europee” come interretate dalle Corti di Lussemburgo e Strasburgo).

Qui valga solo la pena accennare, con specifico riferimento ai domain names, che per la Corte costituzionale federale tedesca (Bundesverfassungsgericht - BVerfG), pur rigettandosi le istanze specifiche, “the applicant had a right to use the domain in question, which constituted ―property‖ under the Basic Law”(250), e che per la Corte di Strasburgo, chiamata a pronunciarsi sullo stesso caso(251), “the contracts with the registration authority gave the applicant company, in exchange for paying the domain fees, an open-ended right to use or transfer the domains registered in its name. As a consequence, the applicant could offer to all internet users entering the domain name in question, for example, advertisements, information or services, possibly in exchange for money, or could sell the right to use the domain to a third party. The exclusive right to use the domains in question thus had an economic value. Having regard to the above criteria, this right therefore constituted a ―possession‖, which the court decisions prohibiting the use of the domains interfered with”(252).

3.2 La proprietà di parti del corpo e i limiti alla brevettabilità di invenzioni

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