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Il “sistema del codice” e la proposta del “quasi” numerus clausus (una premessa alla successiva riflessione costituzionale)

U NA STRADA PIÙ IN SALITA PER IL LORO RICONOSCIMENTO

3. Il “sistema del codice” e la proposta del “quasi” numerus clausus (una premessa alla successiva riflessione costituzionale)

Prima di concludere questo capitolo, non si può non fare una riflessione sulla varietà di interpretazioni proposte dalla dottrina civilistica in riferimento alll’articolo 810 c.c. e, conseguentemente, sulla generale “sostenibilità” dell’attuale assetto normativo, che abbiamo definito nel corso di questa ricerca il “sistema del codice” – con ciò intendendo evidentemente il sistema di norme e principi che ruota attorno al libro terzo del codice civile – rispetto al “peso” che le nuove forme immateriali di ricchezza vanno sempre più raggiungendo.

A prescindere dalle posizioni dottrinali più o meno possibiliste nel valutare ipotesi (teoriche) di allargamento della nozione di bene, è indubbio che l’insieme delle norme del libro terzo del codice civile debba leggersi, ancor oggi, nel senso che: a) sono beni le entità che possono formare oggetto di diritti; b) non tutti i beni sono suscettibili di formare oggetto di ogni diritto; c) la nozione di bene rileva primariamente per l'accertamento e l'affermazione di diritti di esclusiva; d) il principale di tali diritti di esclusiva, la proprietà, qui intesa nel suo significato civilistico, come esplicitato dall’art. 832 c.c., può avere ad oggetto, nel nostro ordinamento, in via generale, ex art. 810 c.c., unicamente le cose; e) le cose di cui all'art. 810 c.c. “se si vuole dare a tale termine un significato che permetta all'ordinamento di conservare una sua coerenza, sono le entità corporali”(155); f)

(155) Cfr. ZENCOVICH, voce Cosa, cit., 1982, 452. A una medesima conclusione arriva peraltro anche chi, in tempi più recenti, ha svolto indagini simili, questa volta sul fronte costituzionale: anche in questa prospettiva, le cose, come appena descritte, sarebbero infatti le uniche entità che,

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per tutte le entità diverse dalle cose, l'attribuzione di diritti di esclusiva è regolata da un sistema sostanzialmente tipico (ragionare diversamente significherebbe vanificare il principio del numerus clausus dei diritti reali(156)); h) gli interessi su entità diverse dalle cose e prive di uno stretto riconoscimento normativo godono necessariamente di una tutela limitata, in ogni caso caratterizzata dall'assenza di esclusività(157).

Si potrebbe però ragionare anche in senso esattamente contrario, come pure è stato fatto – avendo a mente in questo caso non la stretta lettera del codice quanto piuttosto i principi generali dell’ordinamento in tema proprietà – e ricordare ad esempio che la nozione essenziale di bene è stata elaborata dalla nostra esperienza giuridica massimamente per distinguere le cose che appartengono a qualcuno, sia esso soggetto pubblico o privato, individuale o collettivo, dalle cose che non possono appartenere a nessuno, come l’aria, l’acqua del mare, il sole (res communes omnium)(158).

In questo caso, al di là dei disordini teorici e delle questioni nominalistiche di cui si è dato conto, sarebbe forse “compito” dello studioso, e dell’interprete, ricercare soluzioni che consentano di estendere la nozione di bene a tutte quelle nuove utilità che nascono dal “mondo delle cose” e che non sono illimitate (i.e. che dunque debbono essere tutelate)(159), siano esse frutto del progresso tecnologico o del mutato contesto sociale(160).

nell’attuale ordinamento, possono essere “legittimo” oggetto di proprietà se non si vuole correre il rischio che l'architettura chiara e definita dell'istituto trascolori in una generica nozione di appartenenza (MOSCARINI, Proprietà privata, cit., 2006, 155). A meno che non si adotti una diversa prospettiva, che tenga conto delle influenze che si realizzano in funzione della tutela multilivello dei diritti fondamentali; il che è appunto l’oggetto della seconda parte della ricerca. (156) La regola non trova riscontro esplicito nel codice civile, pur tuttavia “È opinione comune che

si tratti di un principio [ancorché] non codificato, desumibile con ragionevole certezza dalla legislazione nel suo insieme” (A. GAMBARO, Trattato dei diritti reali, Milano, 2010, 68).

(157) ZENCOVICH, Ult. cit., 452.

(158) GAMBARO, La proprietà, cit., 1990, 5.

(159) Talvolta questa scelta viene collegata alla distinzione, di carattere economico, tra risorse scarse e risorse illimitate. Se una risorsa è scarsa allora è necessario ricorrere ad assegnarla in appartenenza a qualcuno e poi escogitare qualche meccanismo per provvedere alla distribuzione delle utilità dalla stessa ritraibili. Se al contrario una risorsa è illimitata si può scegliere invece il sistema della comunione universale. Sostiene Gambaro che le società umane appaiono più contente se possono permettersi una situazione di non appartenenza, probabilmente, sempre secondo l’autore, per una naturale avversione verso il diritto o i legulei, o molto più probabilmente, per il semplice fatto che l'utilizzo delle regole, fino a quando non è sentito come necessario, è antieconomico, nel senso che le utilità sono inferiori alle disutilità.

(160) Il rifiuto, o diciamo così la “pigrizia”, a procedere in questo senso, ha come conseguenza ineluttabile, quella che in dottrina è definita una situazione di tragedy of the commons (dal celeberrimo saggio di G. Hardin, The tragedy of the commons, Science, 1968, 1246 ss.), secondo cui, in estrema sintesi, quando una risorsa non illimitata è sottoposta all'utilizzo indiscriminato/non regolato (consumo universale), presto o tardi, quella risorsa si esaurirà (a correzione di questa impostazione sono stati, in epoca più recente, vaticinati i rischi inversi, di una tragedy of the

anticommons, ce ne occuperemo più avanti nel corso della ricerca, ancorché questa seconda tragedy appaia più come un esercizio retorico che non un rischio effettivo).

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A questo proposito, va notato che l’oramai imponente apparato legislativo che disciplina i nuovi beni, che a rigore dovrebbe definirsi “speciale” (speciale rispetto al “sistema del codice”) – e a base del quale si è costruita la “mappa” che si propone nel capitolo successivo – ha indotto alcuni studiosi a mettere in dubbio il principio per cui le norme del libro terzo del codice civile possano ancora avere portata generale e sistematica rispetto alla categoria dei beni(161).

E quando la normazione “speciale” (speciale nel senso di cui si è detto; relativa dunque alla categoria delle utilità che non rientrano nelle maglie dell'art. 810 c.c.) supera o comunque compete, per l’importanza dei settori di ricchezza cui si riferisce, con la normazione “generale” (relativa alla proprietà delle cose corporali e conformata sulla base del “bene-terra”(162)), qualche dubbio, in effetti, deve pur porsi.

Ora, a parte l'opinione secondo cui “non è possibile reperire una spiegazione razionale dell‘art. 810”(163), va comunque registrato il tentativo, da parte di alcuni civilisti, di ricercare una soluzione che consenta all’ordinamento di modellarsi sulla base delle “cose come stanno nella realtà”.

In particolare, merita di essere ricordato il recente contributo di Morello che, riprendendo il pensiero di Gambaro(164), ha ragionato su una possibile “evoluzione” delle teorie sul numerus clausus dei diritti reali. Secondo lo studioso, “l‘affermarsi nella prassi e nella giurisprudenza di nuove figure certamente inquadrabili tra i diritti reali, nell‘ambito di un movimento evolutivo ormai da tempo consolidato”(165), conduce i giuristi più sensibili a ritenere che da un’analisi attenta del diritto in azione possa desumersi con chiarezza “la tendenza ad ammettere nuovi diritti reali inquadrandoli tuttavia in diritti reali tipici, e consentendo quindi con larghezza la possibilità di modifiche importanti anche in ordine agli elementi ritenuti ―essenziali‖ di un diritto reale” (gli esempi citati sono la multiproprietà, i diritti di godimento perpetuo di posti auto, giardini e terrazzi su proprietà condominiali, ma in senso più ampio anche il complesso di regole derogatorie del regime classico dell’appartenenza che si possono rinvenire ad esempio nella c.d. “proprietà fondata su concessioni”)(166)

(161) Per tutti si può fare riferimento alla più volte citata, e “coraggiosa”, introduzione di De Nova alla raccolta di saggi “Dalle rese alle new properties”.

(162) Si potrebbe peraltro rilevare, riprendendo l’insegnamento di Pugliatti che la formazione “speciale”, sempre da intendersi nel senso di derogatoria al “sistema del codice”, riguarda anche molti beni materiali e, tra questi molti beni immobili. E una tale considerazione è peraltro la riprova che il “sistema del codice” in quanto tale è suscettibile di critica sia dall’interno (dal fronte dei beni materiali) si dall’esterno (dal fronte dei beni immateriali, di cui appunto si sta discutendo). (163) O.T. SCOZZAFAVA, I beni e le forme giuridiche di appartenenza, Milano, 1982, 94.

(164) Cfr. A. GAMBARO, La proprietà, in Trattato di Diritto Privato, a cura di Iudica e Zatti, Milano, 1990, 67 ss., Id., Note sul principio di tipicità dei diritti reali, in Clausole e principi

generali etc., a cura di Cabella, Pisu e Nanni, Padova, 1998, 245 ss.

(165) U. MORELLO, Tipicità e numerus clausus dei diritti reali, in A. GAMBARO, Trattato dei diritti

reali, Milano, 2010, 81.

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Si passerebbe così dal principio del numero chiuso dei diritti reali ad un nuovo sistema che si potrebbe definire di “numero ―quasi‖ chiuso dei diritti reali”(167). In pratica, sarebbe disattesa la regola per cui non possono essere modificati i caratteri “sostanziali” od “essenziali” dei diritti reali tipici, mentre sarebbe ancora osservata la regola che non sono ammissibili diritti reali del tutto nuovi(168).

In questo prospettiva, che contiene molte analogie con le teorie pugliattiane sulla polisemia della nozione di proprietà, non si applicherebbe più in modo automatico il principio del numerus clausus, ma al più gli si riconoscerebbe una sua operatività molto generica, e spetterebbe, da una parte, al giudice di valutare in concreto se non sia possibile ammettere esplicitamente nuove figure di diritti reali, e, dall'altra, al giurista di raggruppare le nuove figure emerse nella prassi e nella giurisprudenza(169).

Come si vedrà nel prossimo capitolo, le molteplici soluzioni che le diverse legislazioni “speciali” hanno proposto con riferimento ad esempio ai beni della proprietà industriale non titolati, alle invenzioni biotecnologiche, alle banche dati, ecc., potrebbero, forse, portare a concludere che oggi esistono margini per una interpretazione non così rigorosamente fisicista dell’articolo 810, e che le soluzioni appena delineate costituiscano una sorta di approdo obbligato.

In realtà, nonostante queste prese di posizione, nel nostro ordinamento l’attribuzione dei diritti di esclusiva continua ad essere regolata in modo sostanzialmente tipico; non esistono disposizioni di carattere generale dedicate ai beni immateriali, come è ad esempio nel sistema americano(170); le norme “speciali”, sono (spesso) incoerenti e incomplete (anche in virtù della trasformazione incessante cui sono soggetti i nuovi beni); il principio del numerus clausus, almeno ad opinione della dottrina prevalente, rende difficile non solo la

(167) Secondo l'autore, peraltro si tratterebbe di una presa d'atto del fatto che per la maggioranza dei giuristi tale principio è, ancor oggi, un cardine del nostro sistema, ma questa stessa maggioranza, non facendolo valere nella pratica, evidentemente, “lo considera più un principio

―declamato‖ che un principio ―applicato‖”, così relegandolo ad un principio “di scarso o nullo rilievo concreto come altre regole tradizionalmente enunciate a livello solo sistematico ma di incerta applicazione (ad esempio: favor debitoris, par condicio creditorum, fraus omnia corrumpit, etc.)”

(168) Pur con le diverse regole operative proprie dei sistemi di common law, ad una medesima soluzione sono arrivati, ad esempio, S. VAN ERP in A numerus quasi clausus of Property Rights as

a Constitutive Elemet of a Future European Property Law (in Netherlands Comparative Law Association, vol. 7/2, 2003) e H. Hansmann-R. Kraakman, in Property, Contract and Verification: The Numerus Clausus. Problem and the Divisibility of Rights (Harvard Law School, Research

paper 037, 2002).

(169) Cfr. U. MORELLO, cit., 82.

(170) Cfr., ad esempio, lo Uniform Commercial Code (UCC), in cui all’art. 9 (Secured

Transactions), Par. 9-102(42), è specificamente disciplinata la categoria dei “General Intangible”,

avente ad oggetto “any personal property, including things in action, other than accounts, chattel

paper, commercial tort claims, deposit accounts, documents, goods, instruments, investment property, letter-of-credit rights, letters of credit, money, and oil, gas, or other minerals before extraction. The term includes payment intangibles and software”.

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creazione per via giurisprudenziale di nuovi diritti tipici ma lo stesso ricorso all’interpretazione analogica od estensiva per ricomprendere nell’alveo della tutela situazioni non disciplinate o per correggere la portata di quelle disciplinate solo parzialmente(171); e dunque un “riequilibrio” di questo sistema, in assenza di un intervento di carattere sistematico da parte del legislatore, appare unicamente pensabile proprio attraverso una riconsiderazione delle norme costituzionali sulla proprietà(172), ed una “verifica” se esse – strette tra il mutevole contesto in cui si va definendo il concetto stesso di appropriazione di quei beni che ai sensi del codice beni non sono, e nell’ambito dell’oramai acquisito principio della tutela multilivello dei diritti fondamentali, e dunque delle influenze che si registrano attraverso le tradizioni costituzionali comuni europee e la giurisprudenza delle Corti di Strasburgo e del Lussemburgo – siano suscettibili di ricomprendere nel loro perimetro le nuove proprietà e i nuovi beni.

Il rischio è che si realizzi altrimenti una lontananza sempre maggiore tra la realtà del mondo dell’economia e dell’impresa, che giornalmente produce “specificazioni” di utilità immateriali, di utilità infinitamente piccole tanto da essere difficilmente catturabili, o semplicemente di utilità virtuali, che vanno dai big data del mondo dell’informazione ai (continui) nuovi ritrovati del settore biotecnologico, e il sistema normativo di regolazione dei beni che rimane invece ancorato ad una concezione fisicista e terragna dei diritti di appartenenza.

(171) Cfr., per tutti, con riferimento ai diritti della proprietà intellettuale, M. RICOLFI, Il diritto

d‘autore, in Trattato di Diritto Commerciale, Padova, 2001, 460 ss.

(172) Come si tenterà di argomentare nella seconda parte della ricerca, la “rilettura” delle norme costituzionali sulla proprietà va operata anche con riferimento ai possibili nuovi confini, determinati proprio dalla disciplina delle nuove proprietà, tra proprietà pubblica e proprietà privata (Cfr., tra i molti autori che hanno trattato il tema, C.M. CASCIONE, Beni pubblici e privatizzazioni:

eclissi o metamorfosi di una categoria giuridica, Riv. Crit. Dir. Priv., 2008, 211 ss.).

Probabilmente, andrebbe addirittura riflettuta l'effettiva utilità concettuale di una tale categoria, di fronte ad esempio, alle nuove modalità di gestione di molti beni demaniali e del patrimonio indisponibile dello Stato. Secondo una autorevole impostazione (Cfr. i lavori della Commissione

Ministeriale per la Riforma dei ―beni pubblici‖, istituita presso il Ministero della Giustizia nel

giugno 2007, presieduta da Stefano Rodotà), la soluzione, in termini tecnico-giuridici, potrebbe essere di adottare una più attuale ed efficace divisione tra beni di interesse privato e beni di

interesse pubblico, dove l’aspetto qualificante non è più costituito, dunque, dal regime delle appartenenze (proprietà pubblica versus proprietà privata) ma dalla funzione che tali beni

assolvono (interesse privato versus interesse pubblico). Come si avrà modo di vedere nel prosieguo della ricerca, una tale impostazione, che ha certamente il merito di mettere in evidenza un aspetto critico nella teoria attuale della proprietà, sconta comunque la non irrilevante debolezza di costringere talvolta l’interprete a considerazioni metagiuridiche per individuare se via sia prevalenza di un interesse pubblico o privato, il che rende poi complicato, o quantomeno discrezionale, compiere scelte concrete in ordine alle migliori e più efficaci modalità di regolazione di quei beni.

54 CAPITOLO III

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