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Quarta macro-categoria: i nuovi beni pubblici immaterial

O DELLE PROPRIETÀ “ SOTTO FALSO NOME ”

6. Quarta macro-categoria: i nuovi beni pubblici immaterial

gestite da privati, in virtù di concessioni di costruzione ed esercizio (…)”(321); c) “gli aerodromi e gli impianti aeronautici privati”(322); d) “le cave e le torbiere di proprietà privata”(323); e) i “terreni d‘interesse idrogeologico, [ne]i boschi e [nel]le foreste privati”(324); f) “altri beni privati, nei quali la caratteristica di beni d‘interesse pubblico nel senso sopra delineato è di palese evidenza, sono quelli d‘interesse storico, artistico, archeologico, paletnologico, paleontologico, nonché le collezioni di oggetti d‘arte”(325); g) gli “archivi e i materiali archivistici privati di interesse storico particolarmente importante”(326); h) “quei beni immobili – naturali o artificiali – i quali costituiscono, o contribuiscono costituire, bellezze naturali, o singolarità geologiche, o quadri di non comune bellezza, o aspetti caratteristici aventi valore estetico e tradizionale, o quadri panoramici, nonché quei luoghi che costituiscono punti di vista accessibili al pubblico per il godimento di quadri panoramici”(327).

Per questi beni, “l‘essere di interesse pubblico, importando addirittura un particolare regime della cosa, diventa qualità di questa, così come lo è, per i beni demaniali e patrimoniali indisponibili, la qualità di cosa pubblica [n.d.r. Sandulli scrive questo saggio nel 1956; oggi, a fronte dei processi di privatizzazione di cui si è parlato, non è nemmeno più certo che i beni demaniali e patrimoniali indisponibili rechino in sé la qualità di “cosa pubblica”]”(328).

E, concretamente, tali beni, ciascuno in forma diversa, eppure perfettamente legittima, sono assoggettati a un particolare regime che implica, tra l'altro: vincoli di destinazione, vincoli di immodificabilità, vincoli di ammissione al godimento pubblico, diritti di prelazione da parte dell'Amministrazione, particolari regimi di polizia, di interventi e di tutela pubblica.

Non è forse sbagliato pensare che attingere a queste categorie di beni e, più in generale, a questo modello teorico, potrebbe offrire soluzioni già collaudate, suscettibili, in ipotesi, di prefigurare un “autorevole” modello di nuova proprietà per i beni pubblici che si vuole dare in gestione ai privati, in grado pur tuttavia di essere ricompreso all’interno della nozione costituzionale di proprietà privata.

Anche in questo caso, come è evidente, la conclusione è per una polisemia della nozione di proprietà. Che, assieme alle altre accennate nei paragrafi precedenti, andrà dunque verificata a livello costituzionale.

6. Quarta macro-categoria: i nuovi beni pubblici immateriali (321) Ibidem. (322) Ult.cit., 170. (323) Ibidem. (324) Ult.cit., 171. (325) Ult.cit., 172. (326) Ult.cit., 173. (327) Ult.cit., 174. (328) Ult.cit., 166.

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L'ultima macro-categoria di nuovi beni nell'ambito della prospettiva assunta nella presente ricerca riguarda ancora beni che esprimono un interesse pubblico – come lo esprimono le appena esaminate autorizzazioni all’utilizzo di risorse pubbliche oi beni pubblici privatizzati o privatizzabili di cui si è dato cenno – ma che, quanto alla loro provenienza, appartengono invece alla categoria dei beni dell'informazione e della conoscenza. Ad oggi, tali beni sono integralmente posseduti e gestiti dallo Stato, e dunque in ipotesi estranei all’analisi che si sta compiendo. Pur tuttavia è utile darne conto, almeno per brevi cenni, perché vi sono segnali che fanno presumere un possibile cambio di rotta. In particolare, hanno avuto l’onore delle cronache, dapprima, il contratto concluso da un noto gruppo calzaturiero con il Comune di Roma per la sponsorizzazione dei lavori di ristrutturazione del Colosseo a fronte della cessione per un periodo di tempo determinato di non ben definiti diritti di sfruttamento dell’immagine del monumento(329) e, da ultimo, la proposta del sindaco di Agrigento di commercializzare il marchio “Valle dei Templi”(330).

Il Codice civile non contempla una categoria specifica di beni pubblici immateriali(331). Tuttavia, risultano innanzitutto regolate nel nostro ordinamento almeno quattro fattispecie che evidenziano fenomeni di acquisto a titolo originario o derivativo da parte dello Stato di beni immateriali: a) i diritti d'autore su opere create in nome e per conto dello Stato (art. 11.1, l. 633/1941); b) i diritti di utilizzazione di opere dell'ingegno assoggettate a espropriazione per pubblica utilità (artt. 112-114, l. 633/1941); c) i diritti delle pubbliche amministrazioni sulle

(329) Secondo fonti di stampa, la convenzione (25 milioni di euro per il restauro del Colosseo Versati dal Gruppo Tod’s) dovrebbe prevedere la cessione dell’immagine del monumento al gruppo imprenditoriale privato per 15 anni, al punto che, dopo la sottoscrizione della convenzione, un noto gruppo automobilistico avrebbe avanzato la proposta di pagare una somma cospicua per svolgere una campagna promozionale dei propri prodotti, e il Ministero si sarebbe trovato nella situazione di non poter accettare (cfr. Paolo Conti, Restauro del Colosseo. Lite sullo sponsor

esclusivo, in Corriere della Sera, 4 aprile 2011, pag. 27).

(330) La proposta del sindaco di Agrigento, allo scopo di “fare cassa” e garantire così i servizi essenziali della sua città, sarebbe di registrare il logo e provvedere poi alla cessione dei diritti di sfruttamento economico (Alfio Sciacca, Il sindaco che vuole vendere il marchio della Valle dei

Templi, Corriere della Sera, 31 agosto 2011, 31).

(331) Come già si è accennato, manca una “parte generale” sia sui beni immateriali privati che su quelli pubblici. L’unica regola di carattere generale è quella prevista, per i beni immateriali privati, in tema di “energie naturali” (art. 814 c.c.), che pur tuttavia reca le ambiguità di cui si è dato cenno nei paragrafi precedenti. Diritti d'autore e diritti connessi (art. 2575 ss.; l. 633/1941), segni distintivi (art. 2653 ss.; r.d. 929/1942 e succ. d.lgs. 30/2005), brevetti (art. 2584 ss.; r.d. 1127/1939 e succ. d.lgs. 30/2005), sono regolati in modo non sistematico ma con l’approccio tipico della legislazione “speciale”. Solo di recente, la materia dei diritti di brevetto è stata oggetto di un importante intervento legislativo di razionalizzazione che si è tradotto nell'approvazione del Codice della proprietà industriale (d.lgs. 30/2005). A questo proposito, per i motivi che si sono accennati è particolarmente significativo, e può avere un valore per così dire “sistematico”, il fatto che nel 2010 si sia deciso di compendiare nel Codice della Proprietà Industriale anche la disciplina relativa alle invenzioni biotecnologiche, dapprima separatamente regolata nel d.l. 3/06. A fronte dei tentativi accennati, nulla è stato invece compiuto nel settore dei beni pubblici.

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invenzioni dei dipendenti (art. 65.4 e 65.5, d.lgs. 30/2005); e d) i diritti di proprietà industriale espropriati per ragioni di pubblica utilità (artt. 141-143, d.lgs. 30/2005).

I beni immateriali appena menzionati (marchi pubblici(332), brevetti e opere dell'ingegno pubbliche, domain names pubblici, ecc.) si possono far rientrare nell'ambito dei beni pubblici immateriali in senso giuridico. Accanto ad essi, si possono però anche ricomprendere i diritti televisivi su manifestazioni sportive, i diritti sull'immagine di certi beni del demanio, i beni immateriali c.d. finanziari (e tra questi i crediti pubblici, in particolare quelli fiscali), i beni pubblici immateriali in senso naturale, tra cui, ad esempio, lo spettro delle frequenze (la cui utilizzazione è regolata per il tramite delle concessioni di cui si è accennato nei paragrafi precedenti), e le informazioni del settore pubblico (meteorologiche, cartografiche, sul trasporto pubblico, ecc.).

A questi beni, si potrebbero poi aggiungere, pur costituendo probabilmente una categoria a parte, per il regime dell'appartenenza ancora diverso di cui godono, i beni immateriali c.d. collettivi, tra cui l'ambiente e il paesaggio(333).

Alcuni di questi beni, si pensi ai diritti connessi allo sfruttamento dell’immagine dei beni pubblici o al vasto campo delle informazioni del settore pubblico sono o poco conosciuti o addirittura non censiti tra i beni pubblici o non regolati. In particolare, mentre è regolamentata la riproduzione delle proprietà museali e più in generale dei beni in consegna al Ministero dei beni e delle attività culturali (artt. 107-109, d.lgs. 42/2004, Codice dei beni culturali e del paesaggio), per i quali esistono anche appositi tariffari (art. 8, d.m. 139/1997), rimane integralmente da disciplinare il regime dei beni esposti alla pubblica vista(334).

Quanto alle informazioni del settore pubblico(335), le nuove tecnologie dell'informazione offrono possibilità senza precedenti di aggregare dati

(332) Tra questi, secondo la Relazione finale della Commissione Ministeriale per la Riforma dei

―beni pubblici‖, istituita presso il Ministero della Giustizia nel giugno 2007, presieduta da Stefano

Rodotà, meriterebbe di essere approfondito, ai fini della sua migliore utilizzazione, il c.d. marchio “Italia”(Rel. Fin., cit., 147).

(333) Cfr. MOSCARINI, Proprietà privata…, cit., 177. Per questi beni il cui statuto potrebbe far pensare a una loro titolarità diffusa – l’esempio corre a beni quali l’ambiente, il paesaggio, l’aria, l’acqua, la flora e la fauna selvatiche, ecc. – la citata Commissione Rodotà che li qualifica, appunto, come beni collettivi o comuni, data la (possibile) scarsità della risorsa, ritiene necessario un sistema di regolazione di tipo prevalentemente pubblicistico.

(334) Sul punto si può vedere anche G. RESTA, L'appropriazione dell'immateriale: quali limiti?, in

Dir. Inf., 2004, 21 ss.

(335) Le informazioni del settore pubblico sono le informazioni di tipo sociale, economico, geografico, climatico, turistico, in materia di affari, di brevetti, di istruzione. La loro migliore organizzazione e disponibilità costituisce un indubbio vantaggio per gli operatori economici che possono così assumere decisioni in maniera informata. Ha dunque una duplice connotazione: riveste grande valore sociale ma è altresì dotata di enormi potenzialità di sviluppo economico. Se ne può favorire il “libero accesso” o, al contrario, la “commercializzazione governativa”. Nell’esperienza americana, l’informazione pubblica non può essere brevettata ed entra a far parte del public domain. E soprattutto può essere liberamente utilizzata per finalità economiche. Il caso europeo è molto diverso. In generale esiste un libero accesso ma non una libera

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provenienti da diverse fonti, creando così prodotti e servizi nuovi e dando valore aggiunto a quelli preesistenti(336). La Direttiva 2003/98 li configura come beni “suscettibili di valutazione patrimoniale”, e il d.lgs. 36/2006 di recepimento, ne disciplina il riuso, le licenze, i formati, le tariffe, ecc.(337).

Solo per rilevarne l’importanza strategica, basti qui ricordare che secondo un recente studio della società di consulenza Mc Kinsey sui paesi dell’Unione Europea risulta che gli Open Data potrebbero abbattere i costi della pubblica amministrazione del 20% creando valore fino a 300 miliardi di euro in 10 anni, tra riduzione di inefficienze, maggiori introiti fiscali e maggiore produttività(338).

Quanto poi allo spettro delle frequenze, merita qui solo considerare che esse sono un bene strutturalmente scarso, la cui domanda è prevista in forte crescita per i prossimi vent'anni. Secondo uno studio del regolatore inglese (Ofcom, Spectrum Framework Review, 2005), il valore economico delle frequenze in quel paese è di almeno 24 mld di sterline e gli attuali meccanismi di assegnazione non garantiscono affatto che lo spettro sia assegnato a chi è disposto a pagarlo di più. L'obiettivo dell'Ofcom è di modificare i meccanismi di assegnazione e gestione del 70% delle frequenze disponibili nella porzione più pregiata (da 300Mhz a 3Ghz) dello spettro(339).

Due tra i meccanismi proposti sono in particolare degni di nota (ed entrambi sembrano nella direzione di dare a tali utilità il connotato di beni “commerciabili”): a) il trading delle frequenze (la possibilità di rivendere i diritti d'uso acquisiti sullo spettro a nuovi operatori, anche per nuovi usi); e b) i prezzi incentivanti (tariffe per l'uso dello spettro imposte a tutti gli utilizzatori, siano essi pubblici o privati: l'obiettivo è quello di spingere tutti gli utilizzatori, pubblici o privati, ad una valutazione economica dello spettro e, dunque, alla decisione se mantenerne il controllo per trarne adeguati vantaggi economici o rinunciarvi e restituirlo allo Stato per una nuova assegnazione). Le porzioni di spettro così liberate potrebbero anche essere messe all'asta. Secondo i calcoli della commercializzazione (cfr C.M. CASCIONE, Il riutilizzo dell'informazione del settore pubblico, in

Dir. Inf., 2005, 1 ss.; D. SOLDA, voce Circolazione dell'informazione del settore privato, in Dig.

Civ., Agg., 3, 2007, 8 ss.).

(336) Cfr. Rel. fin. Commissione Rodotà, cit., 168.

(337) La Direttiva 2003/98 stabilisce un principio generale: laddove è consentito l'accesso a tali dati deve esserne altresì concesso il riutilizzo a fini commerciali. Sono però previste significative eccezioni: l'utilizzo di tali dati per attività commerciali da parte degli stessi enti, posto che tali dati non rivestano caratteri di essenzialità; la normativa sulla tutela del diritto d'autore e delle banche dati di cui titolari siano soggetti pubblici. L'art. 8 della Direttiva prevede poi che il riutilizzo possa essere concesso attraverso una licenza. Rimane da distinguere se il riferimento sia alla licenza pubblicistica, la cui disciplina è incentrata sul potere autorizzatorio della pubblica amministrazione valutata la conformità all'interesse pubblico, ovvero alla licenza privatistica, il cui presupposto sarebbe quello della maggiore accessibilità possibile, senza diritti di esclusiva. Per una analisi più particolareggiata, cfr. C.M. CASCIONE, Il riutilizzo dell'informazione del settore pubblico, cit. (338) Cfr., Riccardo Luna, Banche dati. Così gli archivi gratis sul web cambieranno le nostre vite,

La Repubblica, 18 ottobre 2011.

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Commissione Rodotà, in Italia, l'assegnazione su base d'asta delle sole frequenze televisive potrebbe generare entrate ulteriori per quasi 3 mld di euro, rispetto ai canoni irrisori pagati attualmente(340).

Dal punto di vista della loro individuazione e classificazione, i beni immateriali pubblici presentano le stesse problematiche che si sono esaminate nei capitoli precedenti a proposito dei beni immateriali privati. E, in particolare, si pone anche per tali utilità il “dilemma” di stabilire quali di esse possano considerarsi oggetto di tutela proprietaria e quali no.

Inoltre, così come per i beni di cui all’art. 810 c.c., anche per i beni pubblici l’interpretazione consolidata della nozione è “fisicista”: essi sono, per il diritto, cose; precisamente, “l'insieme delle cose (in senso giuridico) mobili e immobili appartenenti allo Stato o ad altro ente pubblico”(341).

Come è intuibile, le problematiche relative agli assetti proprietari di tali nuovi beni sono molteplici e suscettibili di rilevanza costituzionale. Questi aspetti, come si è accennato, non rientrano nell’ambito della presente ricerca, pur tuttavia almeno di un interrogativo, sollevato da più parti e per il momento non risolto, va dato conto: all’esito del censimento, che pur dovrà essere compiuto, dei beni pubblici immateriali, lo Stato sarà chiamato a una scelta: spingere verso l'espansione del public domain e verso la sfera delle libere utilizzazioni, come ad esempio già avviene nella maggioranza dei paesi di common law, o al contrario farsi egli stesso imprenditore(342). Indipendentemente dalla scelta, che andrà pur fatta, ne andrà definitivamente chiarito il regime, se di proprietà o meno, e nel caso si opti per la proprietà se essa debba essere collettiva o pubblica. Verificare preliminarmente se anche questi beni possano rientrare nell’ambito di applicazione dell’art. 42 della Costituzione può dunque essere essenziale per prevederne una coerente disciplina.

L’analisi costituzionale potrebbe essere la premessa, così come proposto dalla Commissione Rodotà, per l’introduzione di una norma “generale” che ne sancisca l’esistenza, come categoria giuridica, e per evitare, come già sta accadendo, prova ne siano i citati esempi dello sfruttamento dell’immagine del Colosseo o della commercializzazione del marchio Valle dei Templi, che si determini (anche) rispetto a tali beni, che godono di un potenziale economico assai elevato, un loro utilizzo inefficiente.

* * *

(340) Ult. cit., 417.

(341) Cfr. CERULLI IRELLI, voce Beni pubblici, in Digesto delle discipline pubblicistiche, II, Torino, Utet, 1997, pag. 273.

(342) Sull’argomento cfr. J. Boyle, The second Enclosure Movement and the Construction of the

Public Domain, in Law & Cont. Prob's, 2003. Degna di nota, è la posizione di Resta (I nuovi beni immateriali, cit., 65ss.), secondo cui per tutti i beni immateriali, compresi quelli pubblici, andrebbe

per quanto possibile garantito il public domain. L’attuale assetto della finanza pubblica pone naturalmente dei dubbi sulla percorribilità e sull’opportunità di una tale soluzione.

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In sintesi, a conclusione di questa prima parte della ricerca risulta, da quanto si è esposto nei precedenti Capitoli I e II, che il “sistema del codice civile” è cristallizzato attorno ad una concezione “fisicista” degli oggetti di proprietà (artt. 810 e 832 c.c.); che l’intero Libro Terzo del Codice Civile è ispirato ad una rigida definizione dei diritti reali secondo il principio del numerus clausus; e che, di conseguenza, le utilità immateriali non possono godere del trattamento riservato ai beni, e la loro tutela è limitata a quanto espressamente (e spesso disorganicamente) stabilito dalle norme che le disciplinano.

Dal presente Capitolo III, risulta invece che le leggi speciali disciplinano una ampia categoria di utilità che in dottrina si è soliti indicare (anche) con le locuzioni nuove proprietà e nuovi beni. Dall’analisi sommaria di queste utilità sembra empiricamente confermata la polisemia del concetto di proprietà. E anzi attorno al Codice, e in certi casi persino all’interno di esso fuori dal binomio degli articoli 810 e 832, si registra l’emergere di una miriade di “situazioni”, “creazioni della conoscenza”, “diritti”, per i quali la relativa disciplina lascerebbe presumere di trovarsi di fronte a vere e proprie… proprietà “sotto falso nome”.

Questi risultati impongono, nella seconda parte della ricerca, di rileggere le norme costituzionali sulla proprietà per verificarne la loro attuale portata. In particolare, andrà verificato se tali norme hanno “apertura” sufficiente per ricomprendere i nuovi beni e le nuove proprietà. Non secondariamente, le nuove forme di ricchezza che si vanno rapidamente sviluppando impongono, come già si è reso evidente, fors’anche una rilettura della tradizionale distinzione contenuta in Costituzione tra proprietà pubblica e privata. Anche in questo caso gli effetti pratici potrebbero essere immediatamente percepibili e determinare un più coerente utilizzo di molte risorse pubbliche dotate di un potenziale economico rilevante. Ma quest'ultimo punto, per essere sviluppato appieno, meriterebbe una autonoma ricerca sui limiti e le prospettive della proprietà pubblica che esula dagli obiettivi del presente lavoro(343).

(343) Cfr. CASSESE S., Lo spazio giuridico globale, Roma-Bari, 2003, e, recentemente, U. MATTEI,

103 Parte Seconda

LA PROPRIETÀ IMMOBILE DELLA COSTITUZIONE

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