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La mancata presa di posizione della giurisprudenza costituzionale La Corte costituzionale ha respinto tutte e tre le teorie prima ricordate, e ha

A LLA RICERCA DI UNA NOZIONE POCO UTLIZZATA

2. La mancata presa di posizione della giurisprudenza costituzionale La Corte costituzionale ha respinto tutte e tre le teorie prima ricordate, e ha

seguito, sin dai primi anni del suo operare, quasi “per istinto”(362), la tesi, allora minoritaria(363), relativa alla presenza in Costituzione di una connotazione, seppur minima o essenziale, della proprietà privata.

Per la verità, una tale tesi – e questo spiega il perché dell’utilizzo dell’espressione “per istinto” – è stata seguita a fronte dell’“enunciazione” della necessaria presenza di una nozione di proprietà in Costituzione, ma senza che fosse poi stata sviluppata una teoria compiuta sul contenuto costituzionale della proprietà. E ciò ha determinato che la Corte, che pure “diverse volte, ed in modo clamoroso”(364), ha giudicato costituzionalmente illegittime per contrasto con l’art. 42 Cost., importanti norme legislative, abbia preferito indicare come violato il terzo comma di tale articolo, che dispone la garanzia dell’indennizzo in caso di espropriazione, piuttosto che il primo(365).

(362) Cfr. GAMBARO, La proprietà, cit., 115

(363) Autorevolmente sostenuta, ad esempio, da F. BARTOLOMEI, L‘espropriazione nel diritto

pubblico, Milano, 1965, 389, e poi da S. RODOTÀ, Art. 42, nel volume Rapporti economici, a cura di F. Galgano e S. Rodotà, del Commentario alla Costituzione a cura di G. Branca, Roma- Bologna, 1989

(364) GAMBARO, cit., 120.

(365)Secondo Gambaro, si possono ricordare, in particolare, le seguenti pronunce, esemplificative di come si possa tutelare un diritto, in ipotesi anche efficacemente, senza mai (o quasi mai) definirlo: Corte Cost., 25 maggio 1957, n. 61, in Giur.it, 1957, I, 1, 1098 (secondo cui l’art. 42 cost. impone solo la corresponsione di un’indennità di espropriazione rapportata al massimo del contributo che la P.A. può garantire al privato nell’ambito di una valutazione comparativa. Cfr. anche le sentenze 24 novembre 1958, n. 60, in Giur, it., 1959, I, 1, 8; 18 gennaio 1958, n. 3, in

Giur. cost., 1958, 10); Corte Cost., 2 maggio 1958, n. 33, in Giur. cost., 1958, 474 (stabilisce che

l’indennità deve assolvere comunque ad una funzione riparatoria);Corte Cost., 29 dicembre 1959, n. 67, in Giur. it., 1960, I, 1, 373 (dichiara la illegittimità costituzionale della L. 22.4.1953, n. 342 poiché istituisce un meccanismo di quantificazione dell’indennizzo, rapportato ad un’epoca antecedente e remota, in base al quale l’indennità finisce con l’essere una forma di ristoro solo apparente); Corte Cost., 18 giugno 1963, n. 91, in Foro it., 1963, I, 1090 (dichiara l’illegittimità costituzionale della legge emanata per rimediare alla lacuna precedente in quanto ogni valutazione riferita al valore del bene in un tempo notevolmente diverso da quello dell’espropriazione viola il criterio del “serio ristoro”); Corte Cost., 9 aprile 1965, n. 22 in Foro it., 1965, I, 585 (dichiara la illegittimità cost. di alcune norme della L. 18 aprile 1965 n. 167, perché stabilendo tempi di espropriazione diversi, ma criteri di computo eguali, nell’ambito dei programmi di edilizia popolare, viola anche l’art. 3, 1 comma, Cost.); Corte Cost., 20 gennaio 1966, n. 6, in Foro it., 1966, I, 203 (dichiara la illegittimità cost. delle norme che consentivano la imposizione di servitù militari senza indennizzo introducendo la nozione di limiti alla proprietà a carattere espropriativo); Corte Cost., 29 maggio 1968, n. 55, in Foro it., 1968, I, 1361 (dichiara la illegittimità cost. di alcune norme della L.U. che consentono la imposizione di limiti a carattere espropriativo a tempo indeterminato e senza indennizzo); Corte Cost., 29 maggio 1968, n. 56 ivi, (dichiara la legittimità costituzionale delle norme che impongono vincoli paesaggistici anche di inedificabilità assoluta); Corte Cost., 30 aprile 1973, n. 46, in Foro it., 1973, I, 1965 (dichiara la illegittimità cost. delle norme che in tema di servitù di elettrodotto prevedevano una indennità pari al valore venale aumentato di un quinto, introducendo il principio per cui la misura dell’indennizzo non può superare il valore venale); Corte Cost., 6 marzo 1974, n. 58, in Foro it., 1974, I, 957 (dichiara non fondata la questione sollevata circa le norme speciali sulla creazione della zona industriale di

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Il risultato è stato certamente quello della tutela della garanzia costituzionale della proprietà. Ma si è consolidata quella tendenza a non definire il contenuto della proprietà privata secondo la Costituzione di cui abbiamo accennato.

In questo senso, può essere utile una breve disamina di alcune delle sentenze (poche), in cui la Corte ha in effetti dato prova di volersi cimentare con il contenuto della proprietà secondo la Costituzione, e dunque con il secondo comma dell’art.42.

Nella sentenza n. 6/1966, si discute dell’effettivo contenuto di alcune limitazioni imposte da servitù militari e, in particolare se, data la loro incidenza sul diritto, non si debbano qualificare come espropri.

Secondo la Corte, “[c]he cosa debba intendersi per espropriazione ai sensi del terzo comma dell'art. 42 risulta dal confronto di questa norma con i due commi precedenti dello stesso articolo. Con il primo comma e con la prima parte del secondo comma, si afferma, in correlazione con altri articoli, quali precipuamente il 41, il 43 ed il 44, il principio che l'istituto della proprietà privata è garantito; con la seconda parte del secondo comma si enuncia che la legge ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti; nel terzo comma si prevede che la proprietà può essere espropriata, salvo indennizzo. Ciò comporta che la determinazione dei modi di acquisto e di godimento e dei limiti, volta, come deve essere, a regolare l'istituto della proprietà privata, a stabilirne, cioè, la configurazione nell'ordinamento positivo, non può violare la garanzia accordata dalla Costituzione al diritto di proprietà, sopprimendo l'istituto della proprietà privata o negando ovvero comprimendo singoli diritti senza indennizzo”.

In particolare, “[l]a logica del sistema impone di considerare che la violazione della garanzia si avrebbe non soltanto nei casi in cui fosse posta in essere una traslazione totale o parziale del diritto, ma anche nei casi in cui, pur restando intatta la titolarità, il diritto di proprietà venisse annullato o menomato senza indennizzo”.

A ben vedere, non vi è qui una diretta definizione di diritto di proprietà, vi è al limite una definizione “in negativo”, attraverso la previsione dell’effettività di una delle garanzie proprietarie, quella relativa all’indennizzo, anche laddove non si realizzi il presupposto formale che automaticamente lo determinerebbe.

Nella sentenza n. 5/1968, si discute delle stesse appena accennate questioni di diritto. Secondo il Consiglio di giustizia amministrativa della Regione siciliana, Padova che prevedevano l’esproprio di terreni agricoli, ma suscettibili di sviluppo, al valore agricolo); Corte Cost., 22 gennaio 1976, n. 15, in Foro it., 1976, I, 523 (dichiara non fondata la questione relativa ai criteri di cui alla Legge per Napoli, L. 15 gennaio 1885 n. 2982); Corte Cost., 30 gennaio 1980, n. 5, in Foro it., 1980, I, 273 (dichiara la illegittimità cost. delle norme della l. 1977 n. 10 che prevedevano il criterio del valore agricolo medio anche per determinare l’indennità dovuta in caso di espropriazione di aree urbane a vocazione edilizia); Corte cost., 2 luglio 1983, n. 223, in Foro it., 1983, I, 2057 (dichiara la illegittimità cost. della reintroduzione delle norme sulla determinazione dell’acconto in attesa di indennità definitiva da stabilirsi in base a legge futura.

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“dai precetti dell'art. 42 della Costituzione, emerge implicita l'esigenza in linea generale, che non indennizzabili sono soltanto quelle limitazioni che non incidono radicalmente sul contenuto del diritto di proprietà”.

Pertanto, in relazione alla fattispecie in esame, “l'imposizione - sine die - di vincoli a verde pubblico, a verde privato, a verde agricolo su aree di natura pacificamente edificatoria, per effetto del solo piano regolatore generale, in attesa della espropriazione, sembrava dover importare il verificarsi del principio di indennizzabilità”.

Ma il richiamo al secondo comma qui è ancora di maggiore vaghezza rispetto al precedente, e in questo caso, addirittura, si argomenta che “[i] commi secondo e terzo dell'art. 42 (e quest'ultimo come già interpretato dalla Corte) vanno insieme considerati e coordinati, per ricavarne, - alla stregua di quello che, in base all'ordinamento giuridico attuale, rappresenta il vigente, concreto regime di appartenenza dei beni (art. 42, secondo comma) - l'identificazione del casi, nei quali, incidendo essi negativamente, a titolo individuale, sulla proprietà riconosciuta secondo il regime stesso, occorre far luogo all'indennizzo (art. 42, terzo comma)”. E, dunque, la Corte, con la locuzione “alla stregua di quello che, in base all'ordinamento giuridico attuale, rappresenta il vigente, concreto regime di appartenenza dei beni (art. 42, secondo comma)”, altro non fa che deferire al legislatore una questione che sarebbe invece di sua competenza.

Anche nella sentenza n. 4/1976, in un procedimento civile avente ad oggetto la convalida di sfratto per finita locazione, il richiamo al secondo comma del’art. 42 appare vieppiù formalistico.

E infatti tutto quello che si può leggere è che “la funzione sociale della proprietà, di cui all'art. 42 cpv. della Costituzione - se può giustificare un regime di blocco dei canoni (come misura contingente e non come forma di assetto ordinario della proprietà di immobili urbani destinati ad uso di abitazione: cfr. la sentenza n. 3 del 1976) - non postula, però, l'adozione del regime stesso come misura in ogni caso e in ogni tempo indispensabile alla attuazione del precetto costituzionale”.

Nella sentenza n. 95/1966, finalmente la corte prova a riempire di contenuto il secondo comma.

E così, premesso che “si potrebbe ipotizzare l'eliminazione dal nostro ordinamento di istituti come l'usufrutto, l'uso o l'abitazione mediante legge ordinaria, e non già dell'istituto della proprietà privata, che è uno dei connotati caratteristici del nostro sistema economico e sociale”, la Corte argomenta che “il dettato medesimo del secondo comma dell'art. 42 della Costituzione è così ampio che consente già di ritenere compresi nel "riconoscimento" e nella "garanzia", di cui è in esso parola, anche i diritti in questione”.

La conseguenza è che, se anche “si parlasse, nel secondo comma soltanto della proprietà stricto sensu, non ne consegue che le regole costituzionali dell'espropriazione, che sono segnate nel terzo comma del medesimo articolo, non

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riguardino anche quella che le ordinanze definiscono come proprietà in senso lato”.

Pur tuttavia, siamo comunque in un caso che ricade tra le forme di esclusiva che già rientrano tra i diritti reali. I “rischi” presi dalla Corte son dunque praticamente inesistenti e, difatti, non si può dire che si possa ricavare da questa sentenza un qualche contributo per una definizione del diritto di proprietà autonoma, dal “sistema del Codice”.

Le stesse considerazioni si possono fare a proposito della sentenza n. 702/1988, in cui la Corte ribadisce che “[l]a nozione "costituzionale" di proprietà comprende pure i diritti reali limitati (cfr. Corte cost. n. 95 del 1966), onde la competenza attribuita alla legge dall'art. 42 Cost. per la determinazione dei modi di acquisto del diritto si estende anche alla costituzione del diritto di pegno”.

Anche in questo caso, infatti, la sentenza non vale a fugare il dubbio che la Corte sia appiattita sul regime civilistico delle appartenenze.

Va infine ricordata la sentenza n. 99/1976.

La norma impugnata è l'art. 9 della legge sulla disciplina dei casi di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio (10 dicembre 1970, n. 898), a tenore della quale si dispone che una quota della pensione spettante al coniuge superstite possa essere attribuita al coniuge, rispetto al quale sia stata pronunziata, a suo tempo, sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio.

In applicazione di una tale norma, la prima moglie del marito ormai defunto chiede al Tribunale di Firenze che le venga riconosciuta una quota della pensione della moglie superstite. Il Tribunae le da’ ragione; la moglie superstite appella la sentenza; la Corte d’appello di Firenze sospende il giudizio e sottopone alla Corte questione di legittimità costituzionale del citato art. 9 della legge del 1970 in relazione all'art. 42 della Costituzione.

La Corte, risponde sbrigativamente, ritenendo “non congruo il richiamo all'art. 42‖. E affermando che ―[n]el caso, la censura è rivolta contro disposizione che riguarda le vicende di una obbligazione pecuniaria, quale si configura lato sensu il rapporto pensionistico e non già il regime della proprietà o degli altri diritti reali, cui, invece, la tutela dell'art. 42 è diretta. La disposizione consiste e si risolve nella individuazione del destinatario di parte di un pagamento di somma (che sarebbe ad altri integralmente dovuta), in base a statuizione giudiziale ed alle condizioni che si sono enunciate al numero precedente. La disposizione, che trova il suo supporto nell'art. 1188 del codice civile non contiene punti di contrasto con l'art. 42 della Costituzione dettato, in ambito diverso, per altri fini”.

Qui evidentemente appare più interessante la posizione della Corte d’appello di Firenze che on quella della Corte, ma la sentenza è significativa perché arriva alla corte un caso “tipico” di nuove proprietà (che nel 1976 la stessa Corte di Strasburgo doveva ancora elaborare), e la Corte offre comunque delle

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obiezioni già deboli: il rapporto in questione non riguarda infatti un’obbligazione pecuniaria ma direttamente il regime delle appartenenze, rientrando a pieno titolo tra le situazioni soggettive di diritto privato patrimonialmente rilevanti, che già Zencovich, come si è visto considera, almeno da un punto di vista teorico, suscettibili di tutela proprietaria.

3. I tentativi (mancati) di individuare una nozione di proprietà nella

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