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Pugliatti e “La proprietà nel nuovo diritto”: tra “vegetazione

U NA STRADA PIÙ IN SALITA PER IL LORO RICONOSCIMENTO

1. Pugliatti e “La proprietà nel nuovo diritto”: tra “vegetazione

parassitaria” e “nuovi fermenti”

L'idea della polisemia del concetto di proprietà non è un'esclusiva di Reich e non è un’esclusiva dei sistemi di common law(116).

Dieci anni prima dell’autore di The New Property, nel 1954, Salvatore Pugliatti dà alle stampe un saggio destinato a diventare celebre: La proprietà e le proprietà(117). Il lavoro di Pugliatti è pubblicato, assieme ad altri suoi scritti, in una raccolta dal titolo La proprietà nel nuovo diritto.

Il titolo del saggio (La proprietà e le proprietà) e il titolo della raccolta (La proprietà nel nuovo diritto) sembrerebbero far preludere a sostanziali differenze

(116) Su unitarietà versus polisemia della nozione di proprietà, il contributo in letteratura è vastissimo (cfr., per tutti, RODOTÀ, Il terribile diritto, cit., 374 ss.).

(117) Ironia della sorte, La proprietà nel nuovo diritto di Pugliatti verrà poi ripubblicato dieci anni dopo, nel 1964, l’anno di The new property di Reich.

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rispetto all’impostazione di Reich. Il termine proprietà è declinato sia al singolare sia al plurale, così lasciando intendere che ci troviamo di fronte ad una proprietà (quella classica, dell’art. 832 c.c. mutuata dalla tradizione precedente e costruita attorno al bene-terra) e ad altre proprietà (che derogano rispetto al modello classico; ma che, come si vedrà, non hanno tradizioni meno risalenti e riguardano per lo più proprio lo stesso bene-terra). L’aggettivo nuovo è poi associato a diritto e non a proprietà, lasciando pure intendere che la novità non sta nell’oggetto di proprietà, come nel pensiero di Reich, ma nelle diverse attribuzioni del diritto.

Come si dimostrerà qui di seguito, Reich e Pugliatti trattano le due facce della stessa medaglia. Reich concentra l’analisi sui nuovi beni oggetto del diritto di proprietà. Per Pugliatti, l’oggetto dell’analisi è il (nuovo) diritto di proprietà in alcune sue conformazioni che appunto si allontanano dal modello classico.

Secondo l’art. 832 c.c., “Il proprietario ha diritto di [a] godere e [b] disporre delle cose [c] in modo pieno ed [d] esclusivo, [e] entro i limiti e [f] con l‘osservanza degli obblighi stabiliti dall‘ordinamento giuridico”(118).

Il diritto di proprietà è dunque, storicamente, un monolite costruito attorno a queste poche, inequivoche, righe. Ma in effetti il nuovo diritto descritto da Pugliatti porta alla luce “diritti di proprietà” anche molto diversi dal modello codicistico. Nuovo diritto, in questo caso, significa dunque un diritto di proprietà non necessariamente di nuovo conio ma certamente originale, nel senso di non conforme alla generale prescrizione contenuta dell’art. 832.

Le principali nuove proprietà – che, è lo stesso Pugliatti ad ammettere(119), si riferiscono “con riguardo particolare alla proprietà terriera” – sono: a) la “nuova configurazione del condominio” come “proprietà collettiva”(120); b)

(118) In cui, gli elementi [a] e [b] identificano le facoltà che spettano al proprietario.

[a] “Godere” della cosa implica, in linea di principio, la possibilità di usarla o di non usarla; di trasformarla e, al limite, di distruggerla. È lo ius utendi abutendi, secondo la formula tramandata dal diritto romano.

[b] “Disporre” della cosa significa invece, in contrapposizione proprio al godimento, la possibilità di venderla o non venderla, donarla, lasciarla, costituire sulla stessa diritti reali minori a favore di altri, ecc.

Gli elementi [c] e [d] indicano invece i generali caratteri riconosciuti alle facoltà di godere e disporre del proprietario.

[c] “In modo pieno” indica nel modo più assoluto (secondo il disposto dell’art. 544 del Code

Napoléon); il proprietario può cioè fare tutto ciò che non sia espressamente vietato.

[d] “Esclusivo” indica che i proprietario può escludere chiunque altro dal godimento della cosa (ius excludendi omnes alios); esso è quel carattere della proprietà per cui “il rapporto fra l‘uomo e

la cosa è trasformato in un rapporto fra gli uomini”.

Gli elementi [e] ed [f] costituiscono altrettanti correttivi agli accennati caratteri di pienezza ed esclusività del diritto di proprietà.

[e] “Entro i limiti” indica i limiti propri del diritto di proprietà, posti dal codice civile e contenuti in leggi speciali.

[f] “Con l‘osservanza degli obblighi stabiliti dall‘ordinamento giuridico” indica invece gli obblighi “positivi” imposti al proprietario.

(119) Cfr. PUGLIATTI, ult. cit., pag. 234.

(120) Il condominio è “concorrenza di più proprietà sulla medesima cosa” ma lo schema che meglio descrive questo istituto è in realtà quello della proprietà collettiva; ad esso si potrebbero

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l’“evoluzione della proprietà fondiaria in Sardegna”: nelle forme dell’ademprivio, della cussorgia e della cungiadura (121); c) le “concessioni minerarie perpetue”(122); d) l’“enfiteusi perpetua”(123); e) la “proprietà risolubile”(124); f) la “coltivazione coattiva della terra”(125); g) la “proprietà- lavoro e i contratti agrari: (...) enfiteusi, (...) contratti con clausola

associare le “comunioni famigliari” prima del Codice del 1865, i “masi chiusi”, gli “usi civici”, le “partecipazioni emiliane”(PUGLIATTI, Ult. cit., 164-165). Sugli usi civici, si può vedere, a titolo di esempio, l’art. 34 della l. 991/52 che riconosce alle comunioni familiari vigenti sui territori montani una particolare autonomia. Si deve in ogni caso distinguere tra: diritti di godimento e d'uso delle popolazioni su terre altrui (usi civici in senso stretto, o demani feudali); diritti delle popolazioni su terre proprie (terre civiche o demanio collettivo); e terre appartenenti a comunioni familiari montane chiuse (terre collettive)(Cfr. Relazione finale dei lavori della Commissione

Ministeriale per la Riforma dei ―beni pubblici‖, istituita presso il Ministero della Giustizia nel

giugno 2007, presieduta da Stefano Rodotà, 527). Secondo i dati raccolti dalla Commissione sui Beni Pubblici, il modello comunitario di proprietà collettiva è riuscito a sopravvivere. Ad oggi, ad esempio, l'utilizzo del 25% dei terreni boschivi (oltre 2 milioni di ettari) è disciplinato da modelli di proprietà collettiva (Cfr. Rel., ult. cit., 532) e la superficie totale dei domini collettivi ammonta a circa 5 milioni di ettari(Cfr. Rel., ult. cit., 545). Le principali caratteristiche sono: indisponibilità delle terre collettive (destinazione vincolata) e loro inusucapabilità/inalienabilità(Cfr. Rel., ult. cit., 533). Per maggiori approfondimenti sulla materia si può fare riferimento alla monografia di F. Marinelli, Gli usi civici, Giuffrè, 2003 e ai materiali del Centro studi e documentazione sui demani

civici e le proprietà collettive.

(121) In origine (seconda metà del secolo XIV), si conosce l’ademprivio, quale diritto naturale delle popolazioni di godere delle terre per uso di coltivazione e di pascolo, di poter tagliare la legna da ardere e per strumenti agricoli e di poter ricavare dalle stesse terre tutto quanto era necessario alla sussistenza individuale; poi nasce la cussorgia, cioè un diritto di godimento riservato a certi nuclei famigliari, in contrapposizione al diritto della generalità; infine si ha la cungiadura, o chiusura dei terreni, che richiede la presenza e l’attività di rappresentanti dell’autorità e persino un principio di pubblicità (PUGLIATTI, Ult. cit., 234-235).

(122) Artt. 53.1 (“Le concessioni e le investiture di miniere date senza limite di tempo, in base alle

leggi fino ad ora vigenti, sono mantenute come concessioni perpetue, quando per esse non siasi incorso in motivi di decadenza”) e 54.1 (“Nei territori nei quali, in virtù delle leggi fino ad ora vigenti, la disponibilità delle sostanze minerarie era lasciata al proprietario della superficie, le miniere che, a giudizio insindacabile del Ministro per l'economia nazionale risultino in normale coltivazione alla data di pubblicazione del presente decreto, sono date in concessione perpetua a chi dimostri di esserne il legittimo proprietario”), R.D. 29 luglio 1927, n. 1443 (PUGLIATTI, Ult.

cit., 236).

(123) Art. 958 c.c. (“L‘enfiteusi può essere perpetua o a tempo”) (PUGLIATTI, Ult. cit., 240). (124) Art. 838 c.c. (“(…) quando il proprietario abbandona la conservazione, la coltivazione o

l'esercizio di beni che interessano la produzione nazionale, in modo da nuocere gravemente alle esigenze della produzione stessa, può farsi luogo all'espropriazione dei beni da parte dell'autorità amministrativa, premesso il pagamento di una giusta indennità”). L’espropriazione in questa

ipotesi non deriva dall’accertamento di una utilità pubblica ma è “la realizzazione di una

condizione risolutiva della proprietà” (PUGLIATTI, Ult. cit., 266).

(125) L’art. 1 del D.L.C.P.S. 6 settembre 1946, n. 89 prevedeva che, a seguito di atto coattivo provocato da istanza dei concessionari, “Le associazioni di contadini, costituite in cooperative o

altri enti, possono ottenere la concessione di terreni di proprietà privata o di enti pubblici che risultino incolti” (PUGLIATTI, Ult. cit., 267). Oggi la materia è affidata dalla l. 4 agosto 1978, n. 440, alla competenza delle singole regioni.

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parziaria”(126); h) la “proprietà (delle terre incolte) come interesse legittimo”(127); i) la “proprietà dell‘Ente per la riforma agraria in Sicilia”(128).

Sulla nascita di tante nuove proprietà (nel senso, si ripete, di diritti di proprietà che per il loro contenuto derogano dallo schema classico), scrive Pugliatti che: “a poco a poco, attorno alle disposizioni del codice, che avevano consacrato le strutture dell‘istituto, si venivano accumulando disposizioni particolari che derogavano a quelle generali, fino a paralizzarne l‘applicazione, e agli occhi dei tradizionalisti apparivano come una vegetazione parassitaria, mal sopportata, volutamente ignorata”(129).

Per i tradizionalisti, le nuove proprietà sono “vegetazione parassitaria”. Per Pugliatti sono invece “nuovi fermenti” (che comunque “rendono assai difficile il compito sistematico”)(130)(131).

Alcuni autori hanno sostenuto che la prospettiva di Pugliatti pone l’accento sul diritto di proprietà, attaccando dall’interno l’unitarietà del concetto di proprietà: “denunciare la ―crisi‖ della proprietà vuol dire essenzialmente rinunciare ad ipotizzare l‘unità (del valore anche conoscitivo) del concetto astratto e d‘un contenuto che si riteneva capace di compendiare ed esaurire l‘essenza dell‘istituto”(132); e che Reich si concentra invece sui nuovi beni oggetto di proprietà e dunque attacca dall’esterno la nozione di proprietà, “in quanto non entra in questione l‘univocità del modello di riferimento – che semmai ne esce confermata –, ma la sua insufficienza e la necessità di «aprire» la categoria dei beni e di ampliare il raggio degli interessi giuridicamente tutelati”(133).

(126) Nel rapporto enfiteutico (art. 960 c.c.) e nei contratti di affitto con canone consistente in un quota di prodotto, contratti di colonia parziaria, contratti di mezzadria, contratti di compartecipazione agraria e contratti di lavoro agricolo con salario costituito da una quota di prodotto “la proprietà cede in parte la sua virtù espansiva al (soggetto che presta il) lavoro, e il

lavoro cede in parte la sua capacità produttiva e il risultato di essa al (soggetto che mette a disposizione) la proprietà” (PUGLIATTI, Ult. cit., 273).

(127) La proprietà delle terre incolte di cui all’art. 1 del D.L.C.P.S. 6 settembre 1946, n. 89 (cfr. precedente nota 24) degrada da diritto a interesse legittimo, poiché “la libertà si trova di fronte

all‘autorità incombente” della P.A. (PUGLIATTI, Ult. cit., 283).

(128) Ai sensi della L.R. 27 dicembre 1950, n. 104, la Regione Sicilia è trasferita nel possesso dei terreni che formano oggetto della riforma agraria e mediante sorteggio in presenza di un notaio vengono trasferiti i terreni, contro i proprietari e in favore degli assegnatari. Il trasferimento di proprietà all’ente “presenta una fisionomia del tutto particolare, una struttura assai complessa,

nella quale il fondamentale nucleo privatistico è permeato da elementi pubblicistici, la libertà di iniziativa è vincolata e sollecitata, la facoltà di godimento e di esercizio del diritto limitata e disciplinata, la facoltà di disposizione, sia pure temporaneamente, esclusa, la stessa titolarità è risolubile: poco o nulla insomma, rimane delle caratteristiche fisionomiche della proprietà tramandateci dalla tradizione romanistica” (PUGLIATTI, Ult. cit., 297).

(129) PUGLIATTI, Ult. cit., V-VI. (130) Ibidem.

(131) Sui diversi modi di possedere, cfr. P. GROSSI, Un altro modo di possedere, Milano, 1977 e La

proprietà e le proprietà nell‘officina dello storico, Napoli, 2006.

(132) A. ZOPPINI, Le «nuove proprietà» nella trasmissione ereditaria della ricchezza (note a

margine della teoria dei beni), in Riv. Dir. Civ., 2000, II, 192.

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La distinzione non sembra decisiva. Come si vedrà più avanti, i nuovi beni infatti implicano spesso nuovi rapporti proprietari (ad es., il modo di esercitare l’appartenenza sui beni della proprietà intellettuale o sui titoli finanziari dematerializzati si attua sovente attraverso un sistema di “iscrizioni” o “registrazioni”, che nulla hanno a che vedere con l’apprensione fisica che si esercita sulle cose corporali, e pertanto in questi casi non si configurano più situazioni di proprietà e possesso, bensì piuttosto di titolarità e legittimazione). E a loro volta, i nuovi rapporti proprietari non riguardano necessariamente nuovi beni, nel senso di nuovi ritrovati, ma possono avere ad oggetto anche beni che già esistevano e che solo recentemente sono entrati nel circuito della commerciabilità tout court (ad es., i beni del patrimonio immobiliare pubblico privatizzati o in via di privatizzazione).

Invece, tra le new properties di Reich e alcune nuove proprietà di Pugliatti si possono cogliere interessanti analogie che toccano proprio la nozione essenziale di proprietà. In particolare, il principio generale che sta alla base delle largess reichiane è molto simile a quello su cui si fondano le concessioni minerarie perpetue o la proprietà risolubile descritte da Pugliatti: in entrambi i casi l’oggetto di proprietà non è (direttamente) la cosa (sottostante) ma una situazione (in questo caso di natura concessoria) da cui deriva l’utilità economica che la costruzione proprietaria si propone di tutelare. Evidentemente, il riferimento teorico più prossimo è alle c.d. “concessioni di godimento” di cui si è dato conto nel capitolo precedente che, come si è appunto visto, rappresenta una delle possibili “traduzioni” della nozione di property in un ordinamento di civil law.

In definitiva, il censimento operato da Pugliatti consente almeno di arrivare alle seguenti conclusioni: che il nostro diritto di proprietà non è (solo) la parete granitica dell’art. 832 del codice civile; che, al pari della property, anche i nostri diritti dominicali si caratterizzano per una certa flessibilità nelle attribuzioni che possono essere concesse ai titolari; che, infine, nell’ambito della proprietà dei civilisti, che è distribuita dentro e fuori dal codice, esistono non solo una pluralità di statuti proprietari ma anche, all’interno di ciascuno statuto, una pluralità di conformazioni in cui il diritto si può articolare(134). Anche di questi esiti si dovrà

(134) Molti studiosi hanno disquisito sul fatto se le diverse proprietà rinvenibili nell’ordinamento fossero esemplificative di una pluralità di statuti proprietari o si dovessero invece considerare

diverse manifestazioni di un unico diritto di proprietà. La collocazione delle norme derogatorie al

regime classico (dentro e fuori dal codice civile), testimonierebbe che in realtà siamo di fronte ad entrambi i fenomeni. Le diverse proprietà che provengono da una medesima fonte (il codice) testimoniano infatti della varietà di forme che può assumere il medesimo diritto (ad es. l’enfiteusi perpetua dell’art. 958 rispetto alla proprietà “classica” di cui all’art. 832). Le diverse proprietà rinvenibili non solo in altri testi legislativi ma desumibili ad esempio dagli usi civici o da altre fonti c.d. di proprietà collettiva (la coltivazione delle terre incolte in Sicilia rispetto ad esempio alle concessioni minerarie perpetue), sarebbero invece testimonianza di come nel nostro ordinamento coesistano diversi statuti proprietari, alcuni dei quali anche anteriori, o di gran lunga anteriori, rispetto alla generale prescrizione contenuta nell’art. 832. Su questo punto, a favore dell’unicità del diritto di proprietà (e sulla necessità/opportunità di modificare la nozione tradizionale per includervi le nuove proprietà) si può citare la posizione di OPPO (Sui principi

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tenere conto a livello costituzionale, se non altro per sottoporre a verifica quelle teorizzazioni che – prescindendo da come i diritti dominicali si sono venuti sviluppando e modificando nel contesto sociale – sono inclini a rinchiudere la nozione costituzionale di proprietà in un perimetro molto più ristretto rispetto a quello qui delineato.

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