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Seconda macro-categoria: le licenze e le autorizzazioni all’esercizio di professioni protette

O DELLE PROPRIETÀ “ SOTTO FALSO NOME ”

4. Seconda macro-categoria: le licenze e le autorizzazioni all’esercizio di professioni protette

Licenses, franchises, benefits, subsidies, e altre utilità erogate dallo Stato sono per Reich tra gli esempi più significativi di nuove proprietà. Nel nostro ordinamento, attribuire a tali utilità la qualifica di beni non è operazione agevole. Pur tuttavia, secondo alcuni civilisti(282), un buon metodo per individuare “situazioni di evidente rilevanza reale” nell’ambito delle licenze e autorizzazioni erogate dallo Stato è quello di “misurarne” la trasmissibilità per via successoria.

I risultati sono di un certo interesse. Nel saggio di Zoppini, “Le "nuove proprietà" nella trasmissione ereditaria della ricchezza”(283), sono infatti trattate alla stregua di beni, nel senso che sono espressamente trasmissibili per via ereditaria, almeno le seguenti autorizzazioni e licenze: a) l'autorizzazione alla conduzione di autoservizi pubblici non di linea (art. 9, comma 2, l. 15 gennaio 1992, n. 21)(284); b) l'autorizzazione alla gestione degli impianti dei carburanti (art. 16, l. 18 dicembre 1970, n. 745, e art. 19, d.p.r. 27 ottobre 1971, n. 1269) (285)(286); c) l’autorizzazione all‘esercizio d‘una farmacia (art. 12, comma 12, l. 2

(279) PASCUZZI, ult. cit., pp. 92-93.

(280) P. SPADA, La circolazione della «ricchezza assente» alla fine del millennio, in Banca, borsa,

titoli di credito, 1999, I, p. 424.

(281) PASCUZZI, ult. cit., p. 96.

(282) Il riferimento, in particolare, è al saggio di A. ZOPPINI, Le «nuove proprietà» nella

trasmissione ereditaria della ricchezza (note a margine della teoria dei beni), in Riv. Dir. Civ.,

2000, II, p. 185-248.

(283) A. ZOPPINI, Le «nuove proprietà» nella trasmissione ereditaria della ricchezza (note a

margine della teoria dei beni), in Riv. Dir. Civ., 2000, II, p. 185-248.

(284) Ult. cit., 201.

(285) Ult. cit., 202, e nota 64.

(286) In questo caso, la giurisprudenza si è interrogata sulla validità della clausola che esclude dalla successione nel contratto il coniuge ovvero la limita ai consanguinei entro il secondo grado (tesi

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aprile 1968, n. 475 e art. 7, comma 9, l. 8 novembre 1991, n. 362, come modificato dall’art. 5 del d.l. 4 luglio 2006, n. 223)(287); d) la qualifica di ―coadiutore‖ relativamente ai magazzini di distribuzione e vendita dei generi di monopolio (combinato disposto artt. 9, commi 2 e 4, l. 22 dicembre 1957, n. 1293 e 45, d.p.r. 14 ottobre 1958, n. 1074)(288); e) l’autorizzazione alle rivendite fisse di giornali (art. 14, l. 5 agosto, 1981, n. 416)(289); f) il diritto di abitazione negli alloggi di edilizia residenziale pubblica (art. 12, d.p.r. 30 dicembre 1972, n. 1035)(290).

Secondo Zoppini, il riconoscimento di uno statuto “simil-proprietario” alle utilità erogate dallo Stato sarebbe addirittura esemplificativo di una più generale tendenza a trasformare rapporti personali in situazioni reali(291)(292). E in particolare, sarebbe in corso un processo di commodification che “accompagna il proliferare delle pretese dominicali” e che “investe, da un lato, i beni pubblici (nel senso più ristretto accolto dalla scienza economica) [n.d.r. e, come si vedrà qui di seguito, dall’avvio delle privatizzazioni la stessa considerazione vale, sotto profili in parte diversi, anche per il patrimonio immobiliare pubblico]; poi quelli che naturalisticamente sono indisponibili all‘appropriazione esclusiva basata sull‘apprensione materiale e il cui valore si radica essenzialmente in un‘attività (sia essa attuale o compiuta) e nell‘aspettativa d‘una remunerazione nei rapporti coi terzi”(293)(294).

Sembra di rileggere Reich, a giudizio del quale “Non è più [o non è solo] il rapporto immediato con il bene che identifica e conchiude la pretesa di libertà del soggetto; sono invece [anche] i diritti vantati nei confronti della burocrazia affermativa in Cass., 18 novembre 1983, n. 6881, in Riv. Giur. Circol. Trasp., 1984, p. 508 ss.;

contra, Trib. Roma, 21 giugno 1975, in Giur. Merito, 1976, I, p. 214 ss.

(287) Ult. cit., 202, e nota 66. (288) Ult. cit., 203, e nota 68. (289) Ult. cit., 203, e nota 69. (290) Ult. cit., 204.

(291) Ult. cit., 196 e nota 45.

(292) A questo proposito, Pietro Rescigno (in Per uno studio sulla proprietà, cit., p. 18) parla di “diritti di vera natura reale”.

(293) Ult. cit., 188.

(294) ZOPPINI, Ult. cit., 188. Sui processi di commodification, si può fare riferimento a G. DE NOVA, B. INZITARI, G. TREMONTI, G. VISENTINI, Dalle res alle new properties, Milano, 1991; G. PUGLIESE, Dalle ―res incorporales‖ del diritto romano ai beni immateriali di alcuni sistemi

giuridici odierni, in Riv. Trim., 1982, p. 1137 ss. Rispetto a chi vede nei processi di

“propertization” dei beni immateriali un rischio di “pregiudizio” di altri diritti fondamentali, quali potrebbero essere, ad esempio le libertà di espressione e di informazione (per tutti, cfr. Resta, I

nuovi beni immateriali..., cit., 67) andrebbe comunque opposto che, almeno sotto certi aspetti, si

profila la necessità di un ritorno diciamo così alla tradizione liberale classica, per cui la tutela proprietaria, soprattutto quella a livello costituzionale, era determinata dalla necessità di salvaguardare il nesso proprietà-libertà contro le limitazioni ed espropriazioni dei pubblici poteri. Oggi, in parte, e con peculiarità sue proprie, quel nesso si ripropone almeno rispetto all’immensa discrezionalità che i poteri pubblici hanno conservato nella allocazione di importanti strati della ricchezza, appunto attraverso l’erogazione e la concessione di licenze, autorizzazioni, sussidi, ecc.

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statale o dell‘organizzazione produttiva a definire la cifra più intima dello statuto giuridico della persona”(295).

E, parrebbe condivisibile l’opinione di quegli autori secondo cui è o sarebbe in corso un “ritorno «dal contratto allo status»”(296).

E, sempre secondo Zoppini, a testimonianza della possibile varietà di conformazione del panorama dei beni, allontanandosi dal perimetro delle utilità erogate dallo Stato, ma rimanendo nell’ambito delle successioni anomale(297), “non è difficile scorgere [n.d.r., come è per le nuove proprietà] una disciplina dei beni orientata alla considerazione dei soggetti su cui la regola incide e, in definitiva, alla posizione qualificata che questi rivestono rispetto a quelle utilità economiche”(298). In particolare(299), alcuni degli esempi che risultano dal nostro ordinamento sono: a) il diritto del coniuge superstite ad abitare la casa di abitazione (art. 540, comma 2, c.c.); b) il diritto alla successione nel contratto di locazione di immobili urbani (art. 6, comma 1, l. 392/1978); c) la delazione del fondo nelle vocazioni anomale del diritto agrario, in cui la legittimazione preferenziale del chiamato si giustifica in ragione del lavoro spiegato; d) la pensione di reversibilità; e) la successione anomala del coniuge separato (art. 548, comma 2, c.c.); f) la successione nelle indennità del prestatore di lavoro (art. 2118 c.c.). Essere a conoscenza dell'esistenza di una così particolare conformazione del diritto di proprietà può costituire un utile parametro di riferimento per valutare la conformità della categoria delle licenses alle regole essenziali della proprietà.

Tuttavia, associare il concetto di proprietà ad alcune delle utilità sopra menzionate non è un'operazione “neutra” per il civilista, soprattutto per i limiti determinati dalla natura del bene. E non lo è per il costituzionalista. Si pongono infatti problemi di tutela e di bilanciamento con altri diritti fondamentali, ad esempio rispetto al principio di eguaglianza: “Nella successione della situazione soggettiva originata dal diritto pubblico possono ravvisarsi i segni della discriminazione, se non addirittura i relitti normativi del passato; un privilegio tanto ingiustificato - sino ad evidenziare un vizio di costituzionalità - ove in esso si ravvisi lo strumento della disuguaglianza, per il fatto che consente di replicare

(295) REICH, op. cit., p. 771 ss.

(296) Sull’ampio dibattito che si è sviluppato sul ritorno allo status, e sul fatto che lo status non costituirebbe più un limite alla capacità del singolo (P. Rescigno) o farebbe addirittura venire meno il concetto di classe. (S. Rodotà), si può fare riferimento a: S. RODOTÀ, Il terribile diritto,

cit., p. 201; P. RESCIGNO, Situazione e status nell‘esperienza del diritto, in Riv. Dir. Civ., 1973, I, p. 209 ss.; P. RESCIGNO, Gli interessi e il diritto: qualificazione e tutela, in (L‘unità del diritto.

Massimo Severo Giannini e la teoria giuridica, a cura di S. Cassese, G. Carcaterra, M. D’Alberti,

A. Bixio, Bologna, 1994, p. 155 ss., ed ora in) Persona e comunità, III [1988-1999], Padova, 1999, p. 542 ss.;G. ALPA, Status e capacità. La costruzione giuridica delle differenze individuali, Bari, 1993; P. RESCIGNO, L‘autonomia dei privati, in (Studi in onore di G. Scaduto, Padova, 1968, p. 529 ss., ed ora in) Persona e comunità, II [1967-1987], Padova, 1988, p. 422 ss.

(297) A. ZOPPINI, cit., 196. (298) Ult. cit., 197. (299) Ult. cit., 196 ss.

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nella struttura sociale le caratteristiche e i ruoli della generazione precedente”(300).

E un esempio concreto di pregiudizio del diritto di eguaglianza sarebbe ad esempio “La successione nel posto di lavoro e soprattutto nelle abilitazioni, nelle licenze, nelle concessioni necessarie per accedere o per esercitare determinate attività protette”(301).

In questo senso, l’idea di ereditare il lavoro evoca un passato che consentiva di compravendere le cariche pubbliche, così come di trasmetterle mortis causa, sì che il destino della persona era ineluttabilmente segnato dalle proprie origini e dallo status rivestito nella famiglia e nella società. Un esempio è, in Francia, l’Edit de Paulet del 12 dicembre del 1604 in cui si afferma il principio della venalità degli uffici pubblici(302).

Le considerazioni proposte rischiano però di non essere esaustive. Va infatti considerato che rispetto a tali obiezioni, “potrebbe soppesarsi in senso contrario il connotato previdenziale che alcune delle fattispecie considerate assumono (com‘è verosimilmente nel caso delle licenze degli autotrasporti pubblici non di linea), così come potrebbero scorgersi ragioni di efficienza economica che militano a favore della successione, atteso che ciò costituisce un sicuro incentivo a preservare la dimensione organizzativa che intorno alla posizione di diritto pubblico il privato ha creato (com‘è forse nel caso delle farmacie)”(303).

La trasmissibilità o cedibilità delle autorizzazioni può dunque rispondere anche al principio di non vedere un soggetto ingiustamente privato di un valore economico che egli stesso ha contribuito a creare.

5. Terza macro-categoria: le autorizzazioni amministrative all’utilizzo

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