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La pressoché totale assenza di riflessioni sulla nozione costituzionale di proprietà e il continuo (e insufficiente) rimando alle definizioni “classiche”

A LLA RICERCA DI UNA NOZIONE POCO UTLIZZATA

1. La pressoché totale assenza di riflessioni sulla nozione costituzionale di proprietà e il continuo (e insufficiente) rimando alle definizioni “classiche”

Rispetto alla proprietà multiforme dei civilisti, l’immagine a cui rimanda la proprietà nel diritto costituzionale italiano è quella di una foresta pietrificata. In questo contesto, la proprietà non è un diritto in azione bensì un monolite forgiato attorno al bene terra(344).

A tale limite, che si potrebbe definire “strutturale”, si deve poi sommare un discutibile approccio metodologico adottato dalla maggior parte della dottrina che si è occupata di questi temi.

(344) Cfr. BALDASSARRE, Ult. cit.

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Come sarebbe logico attendersi, qualsiasi discorso costituzionale sulla proprietà dovrebbe partire dall’analisi del “concetto di proprietà privata secondo la Costituzione”(345) – vale a dire, dovrebbe rispondere alla preliminare domanda “cos‘è la proprietà in diritto costituzionale”.

E ciò in ossequio al generale principio per cui una ricerca dovrebbe preliminarmente definire l'oggetto della propria indagine, a meno che la definizione di tale oggetto non sia rilevabile dalle premesse del discorso, cosa che nel nostro caso non è, e solo poi concentrare la propria analisi su problematiche di carattere più specifico.

In Italia, invece, il dibattito dottrinale, e così la giurisprudenza costituzionale, si sono molto incentrati sui limiti posti dalla Costituzione al diritto di proprietà, e dunque in primis sul limite rappresentato dalla funzione sociale, attribuendo ad essa valore conformativo del diritto(346), e molto poco sulla nozione costituzionale di proprietà(347).

Così invertendo, ad esempio, le conclusioni di quella autorevole dottrina tedesca che attribuisce all’art. 14 della Legge Fondamentale il significato secondo cui la funzione sociale è questione che attiene più alla legge ordinaria che ai principi costituzionali(348). Se è vero, infatti, che la Costituzione ha la funzione di garantire la libertà dell’individuo nei confronti dello Stato, dovremo dire che le norme costituzionali della proprietà che menzionano la funzione sociale intendono semplicemente porre un “limite ai limiti della proprietà” stabiliti dalla legge ordinaria, cioè intendono vincolare il potere legislativo a non limitare arbitrariamente quello che rimane, nella sua conformazione essenziale, un diritto assoluto(349).

Molto poco si è dunque riflettuto sul contenuto del diritto di proprietà secondo la Costituzione(350). E pur tuttavia è solo da questa analisi, più tecnica e meno connotata ideologicamente, che possono derivare indicazioni utili per un inquadramento costituzionale delle nuove forme di ricchezza. In questo senso, l'ambito di indagine della ricerca, quello della proprietà e delle nuove proprietà in Costituzione, pur riguardando un terreno tradizionalmente molto carico di connotati ideologici, sarà qui svolto unicamente avendo ad oggetto il piano tecnico degli elementi che lo definiscono, al fine di verificare se la nozione costituzionale di questo diritto sia nel corso del tempo sensibilmente mutata e possa, oggi, in ipotesi includere nel suo alveo beni (qui intesi in senso economico) che fino a ieri o non esistevano o erano alieni dall'essere disciplinati utilizzando le regole stabilite appunto dal diritto di proprietà.

(345) Ibidem.

(346) Cfr. M.S. GIANNINI, Basi costituzionali della proprietà privata, in Politica del diritto, II, 1971, n.45, ora anche in Scritti, Vol. VI, 1970-1976, Milano, 2005, 216.

(347) L’unico contributo recente di cui si ha notizia è quello di BALDASSARRE (Proprietà, cit). (348) Cfr. BALDASSARRE, Proprietà, cit., 10.

(349) Cfr. L. MENGONI, Proprietà e libertà, in Riv. Crit. Dir. Priv., 1988, 427 ss. (350) Cfr. BALDASSARRE, Proprietà, cit., 3.

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Vanno a questo punto fatte due precisazioni.

La prima è che, come per ogni altro valore costituzionale, anche la nozione costituzionale di proprietà si ricava, primariamente, dalla lettera della Costituzione, e quindi dalle elaborazioni della giurisprudenza costituzionale e della dottrina costituzionale. E, come per ogni valore costituzionale, non ci si deve aspettare che il testo della Costituzione lo definisca compiutamente (o, come è in molti casi, non ci si deve aspettare che lo definisca tout court).

La Costituzione è infatti scritta con il linguaggio della “politica costituzionale” e non definisce mai – in modo preciso, diretto, univoco – gli istituti che regola nella parte prima, né dal suo testo è mai possibile trarre tutti gli elementi necessari alla ricostruzione delle posizioni giuridiche che garantisce. In altre parole, la Costituzione deve essere sempre necessariamente eterointegrata in via interpretativa.

La seconda precisazione è che il contenuto dei valori costituzionali, non è immutabile, e dunque, poichè la dottrina e la giurisprudenza costituzionali scontano in tema di riflessioni sulla proprietà un consistente ritardo, non è detto che, ai fini della presente ricerca, l'analisi delle fonti “classiche” (i.e., dottrina e giurisprudenza costituzionali italiane) possa essere sufficiente o esaustiva e non sia necessario guardare altrove.

Fatte queste precisazioni, la normale e logica premessa a qualsiasi discorso sulla proprietà, è che negli Stati costituzionali c.d. a democrazia pluralistica la nozione di proprietà secondo la Costituzione è considerata una nozione distinta e autonoma rispetto a quella del civilista(351), e anzi, in un sistema di Costituzione rigida, ne costituisce il necessario presupposto logico-giuridico(352).

Ne discende che è la nozione costituzionale di proprietà che costituisce l’antefatto normativo rispetto alla nozione civilistica; e che, a meno di non scadere in una affermazione tautologica, la nozione costituzionale di proprietà non può trovare la propria giustificazione o ragion d’essere nella nozione civilistica.

(351) Addirittura, “già Locke distingueva tra un concetto generale di property, comprensivo dei

diritti alla vita, alla libertà e al patrimonio, e un concetto più particolare di estate” (Cfr.,

BALDASSARRE, Proprietà, cit., 1).

(352) E, infatti, come giustamente notato, “Si cadrebbe in una contraddizione, non solo teorica, ma

soprattutto pratica, se non si ammettesse che ciascun valore costituzionale [e dunque anche quello

rappresentato dalla proprietà] debba avere un contenuto semantico a sé stante e indipendente da

quello proprio dei principi e dei concetti appartenenti ai sottosistemi giuridici subordinati a quello costituzionale: se così non fosse, infatti, risulterebbe compromesso o vanificato il postulato relativo al condizionamento di validità delle norme costituzionali nei confronti delle fonti e degli atti inferiori, il quale è, per l‘appunto, connaturato a un ordinamento giuridico caratterizzata da una rigidità costituzionale «garantita»” (Cfr., BALDASSARRE, Proprietà, cit., 1). Insomma, l’introduzione delle Costituzioni rigide non ha solamente comportato la modificazione del sistema delle fonti normative ma ha soprattutto “trasformato il sistema della legalità”, creando una doppia articolazione della stessa (legalità ordinaria e legalità costituzionale) e ponendo a fondamento dell’intero sistema un ordine di valori superiore (principi costituzionali), dotati di autonomia propria rispetto al rimanente contesto normativo (Cfr., Ult. cit., 1).

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E dunque se, da una parte, l’esigenza di individuare interpretazioni valide porta a ricercare il senso delle disposizioni sulla proprietà privata contenute in leggi ordinarie commisurando queste ultime ai precetti costituzionali di riferimento, dall’altra parte, i valori costituzionali, come è stato autorevolmente argomentato da Baldassarre, debbono essere individuati sulla base di un autonomo riferimento della Costituzione alla realtà sociale o, più precisamente, “sulla base della consapevolezza che i valori costituzionali non possono non avere un connotatum e un denotatum loro proprio”(353).

Tuttavia, se esiste un generale accordo sull’autonomia concettuale della nozione costituzionale di proprietà, non si può dire che tale convinzione abbia determinato, da parte della dottrina costituzionalistica, un mutamento significativo nel modo di procedere alla individuazione in concreto del concetto costituzionale di proprietà privata(354). E così, come precisato dallo stesso Baldassarre, continuano a giocare un ruolo determinante le c.d. definizioni “classiche”, tutte precedenti all’entrata in vigore della Costituzione, tutte più o meno condizionate dal fatto di dipendere da fonti “extracostituzionali”, e così sintetizzabili(355).

Secondo una prima “classica” definizione (approccio giusnaturalistico), la proprietà privata è un diritto “pre-statuale”, e dunque “pre-costituzionale”: è un “diritto naturale innato” riconosciuto a ciascun uomo come attributo della propria personalità, come elemento essenziale della “dignità umana”.

In base alla seconda “classica” definizione (scuola storica del diritto)(356), la proprietà è una nozione “pre-data” rispetto alla legge, nel senso che è fondamentalmente forgiata dal divenire storico dei rapporti giuridici di una determinata società(357).

Infine, stando alla terza “classica” definizione (positivismo giuridico moderno): la proprietà è una nozione che si ricava “nella legge”. In base alla generalità degli autori che si rifanno a un tale approccio(358), la proprietà privata è tutelata dalla Costituzione nei limiti e nella conformazione delineati nel codice civile e nelle leggi ordinarie, per il fatto che la norma costituzionale, benché prefissi al legislatore alcune finalità e regole (ad esempio, la funzione sociale), rimette sostanzialmente alla legge la determinazione del riconoscimento e delle garanzie del diritto soggettivo di proprietà privata. In breve, tale diritto avrebbe una definizione e godrebbe di una tutela solo indirettamente costituzionale.

(353) Cfr., BALDASSARRE, Proprietà, cit., 2. (354) Ibidem.

(355) Ib.

(356) F.C. SAVIGNY, Sistema di diritto romano attuale, 1840, trad. it., Torino, 1886, 341.

(357) A questo schema si riconnette l’originaria versione della “proprietà secondo la Costituzione” (Wolff, Schmitt), in base alla quale la proprietà è innanzitutto un istituto giuridico, cioè un insieme di rapporti giuridici di natura patrimoniale più ampio della proprietà in senso civilistico, che è socialmente conformato in un certo modo nel momento presente e che, nella sua sostanza, grazie alla diretta garanzia costituzionale di cui gode, non può essere modificato dal legislatore e dalla amministrazione pubblica.

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Sempre secondo Baldassarre(359), tutti e tre gli approcci svolgono incoerentemente il principio della “proprietà secondo la Costituzione”, e ciò essenzialmente perché in tutti e tre i casi non è contemplata la novità più rilevante dei moderni Stati costituzionali, vale a dire l’introduzione di una Costituzione “rigida”, che ha posto a fondamento dell’intero sistema un ordine di valori superiore (i principi costituzionali), e che non può trovare la propria giustificazione in una fonte normativa altra (il diritto naturale), in una fonte non normativa (il divenire storico), o addirittura in una fonte subordinata (la legge ordinaria).

In particolare, la tesi che collega il concetto di proprietà privata ad un “diritto naturale innato” appare come l’esempio più evidente della sovrapposizione alla Costituzione di ordini normativi superiori, di natura “pre- costituzionale”.

Ma anche la teoria che individua nel riconoscimento costituzionale della proprietà privata la garanzia di un “istituto giuridico”, nel senso di un complesso di relazioni giuridiche forgiato essenzialmente dalla “storia” e dalla “coscienza sociale”, comporta in ogni caso che si ammetta l’esistenza di un ordine di valori al di là della [praeter] Costituzione(360).

E infine, la teoria della “proprietà privata secondo la legge ordinaria” comporta che, in relazione alla materia considerata, tra Costituzione e legge sussista una relazione di indifferenza, tanto che essa può essere interpretata in duplice e opposto senso: sia come “decostituzionalizzazione” della garanzia della proprietà privata, dal momento che rimette alla legge il significato sostanziale del concetto di proprietà supponendo la natura meramente formale della previsione costituzionale; sia come “costituzionalizzazione” della disciplina posta dalla legge ordinaria, dal momento che è quest’ultima la fonte cui è connessa la regolamentazione di tutti i profili giuridicamente rilevanti della proprietà privata.

Ciò è sufficiente per concludere che la teoria in questione, che pure è autorevolmente sostenuta(361), più delle altre si manifesti come di dubbia compatibilità con i postulati dello Stato costituzionale, i quali esigono che i valori costituzionali siano definiti nel loro contenuto essenziale dalla Costituzione (formale), cui compete in via esclusiva, in relazione a quei valori, ogni possibile signoria delle fonti.

(359) Ult. cit., 2.

(360) Ciò non toglie che pure in tal caso si possano dedurre elementi utili per la formulazione di una corretta procedura ermeneutica, ove si ritenga che il riferimento alla “storia” e alla “coscienza sociale”, possa assumere un significato normativo sul piano dell’interpretazione costituzionale, attraverso la selezione di interessi individuabili nella Costituzione (formale).

(361) Cfr. G. TARELLO, La disciplina costituzionale della proprietà (Lezioni introduttive, in Corso

di diritto civile, 1972-73, Genova, 1973, ora parzialmente riprodotto in) Cultura giuridica e politica del diritto, Bologna, 1988, p. 238-309.

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2. La mancata presa di posizione della giurisprudenza costituzionale

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