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Il caso di una recente modifica alla disciplina relativa ai permessi di ricerca di idrocarburi: un esempio dei possibili pregiudizi derivanti dalle

O DELLE PROPRIETÀ “ SOTTO FALSO NOME ”

5. Terza macro-categoria: le autorizzazioni amministrative all’utilizzo di risorse pubbliche

5.1. Il caso di una recente modifica alla disciplina relativa ai permessi di ricerca di idrocarburi: un esempio dei possibili pregiudizi derivanti dalle

incertezze di qualificazione del “bene”[*]

[*] La norma in commento è stata oggetto nelle prime settimane del 2012 di una serie di

ulteriori proposte di modifica, l‘ultima delle quali contenuta nel d.l. 9 febbraio 2012, n. 5, più noto come ―decreto sviluppo‖, che hanno reso evidente il problema di tutela dei diritti che si solleva in queste pagine. Si è dunque ritenuto, nelle conclusioni della ricerca, di sviluppare le problematiche qui solo accennate e di provare ad applicare ad esse gli esiti del lavoro svolto.

Un buon esempio dei rilevanti problemi di tutela dei diritti che derivano dal fatto che l’utilizzo in esclusiva di risorse pubbliche determina la costituzione di “porzioni” rilevanti di ricchezza privata, e che di un tale fatto non vi sia ancora sufficiente consapevolezza “giuridica”, è dato da un recente provvedimento di riforma della disciplina per l’ottenimento dei permessi di ricerca di idrocarburi liquidi e gassosi in mare.

Il 26 agosto 2010 entra in vigore il d.lgs. 128/2010, il cui art. 2, co. 3, lett. h), aggiunge, tra l’altro, l’art. 6, comma 17 al d.lgs. 152/2006 (il Testo Unico dell’Ambiente).

Tale nuova disposizione introduce, “ai fini di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema”, un divieto generale di eseguire “attività di ricerca, di prospezione nonché di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi” nelle zone di mare “poste entro dodici miglia marine dal perimetro esterno delle suddette aree marine e costiere protette, oltre che per i soli idrocarburi liquidi nella fascia

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marina compresa entro cinque miglia dalle linee di base delle acque territoriali lungo l'intero perimetro costiero nazionale”.

La disposizione sopra citata si applica anche ai procedimenti autorizzatori in corso fatti salvi, così recita la norma, i “titoli abilitativi già rilasciati”. Ora, proprio con riferimento ai titoli abilitativi già rilasciati, si pone una questione assai delicata, che riguarda in generale la tutela dell’iniziativa economica privata, coperta dall’art. 41 Cost., ma, più nello specifico, anche il diritto a non vedere pregiudicata l’utilità economica derivante da un permesso già ottenuto e il cui valore intrinseco, in funzione delle onerose attività di ricerca nel frattempo compiute su quel titolo e delle eventuali scoperte realizzate, può essere in ipotesi grandemente aumentato; utilità quest’ultima, in ipotesi tutelabile – se fossero verificate le ipotesi della presente ricerca – proprio ai sensi dell’art. 42 Cost.

In via generale, l’attività di ricerca di idrocarburi è subordinata al rilascio di un titolo abilitativo esclusivo denominato, appunto, permesso di ricerca(309). Può aspirare all’assegnazione di un permesso di ricerca ogni operatore in possesso dei prescritti requisiti di capacità tecnica ed economica, opportunamente valutati dal Ministero dello Sviluppo Economico, il cui programma dei lavori di ricerca sia stato approvato dalla Commissione per gli Idrocarburi e le Risorse Minerarie (CIRM) istituita presso il medesimo Ministero dello Sviluppo Economico.

La norma primaria di riferimento per la concessione del permesso di ricerca è l’art. 6 della l. 9/1991, secondo cui il predetto titolo “è accordato con decreto del Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato, sentiti il Comitato tecnico per gli idrocarburi e la geotermia, e la Regione o la Provincia Autonoma di Trento o di Bolzano territorialmente interessata di concerto, per le rispettive competenze, con il Ministro dell'ambiente e con il Ministro della marina mercantile per quanto attiene alle prescrizioni concernenti l'attività da svolgere nell'ambito del demanio marittimo, del mare territoriale e della piattaforma continentale” (art. 6, co. 1).

Quanto alla validità temporale del permesso di ricerca, i commi da 4 a 6 del medesimo art. 6 della l. 9/1991 stabiliscono che esso inizialmente ha una durata di sei anni; tuttavia, (art. 6, co. 5) “il titolare del permesso ha diritto a due successive proroghe di tre anni ciascuna, se ha adempiuto agli obblighi derivanti

(309) La nozione di “attività di ricerca” di idrocarburi è puntualmente individuata dal DM 26 aprile 2010 (“Disciplinare tipo per i permessi di prospezione e di ricerca e per le concessioni di

coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in terraferma, nel mare territoriale e nella piattaforma continentale”) il quale la definisce all’art. 1, co. 1, lett. r, come “insieme delle operazioni volte all'accertamento dell'esistenza di idrocarburi liquidi e gassosi, comprendenti le attività di indagini geologiche, geochimiche e geofisiche, eseguite con qualunque metodo e mezzo, nonché le attività di perforazioni meccaniche, previa acquisizione dell'autorizzazione di cui all'articolo 27 della legge 23 luglio 2009, n. 991”. Tale ultima norma nello specifico prevede che

“L'autorizzazione alla perforazione del pozzo esplorativo, alla costruzione degli impianti e delle

opere necessari, delle opere connesse e delle infrastrutture indispensabili all'attività di perforazione è concessa, previa valutazione di impatto ambientale, su istanza del titolare del permesso di ricerca (…), da parte dell'ufficio territoriale minerario per gli idrocarburi e la geotermia competente”.

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dal permesso stesso”; inoltre, si stabilisce al co. 6 che può essere accordata un'ulteriore proroga al titolare del permesso qualora, alla “scadenza definitiva del permesso” (ossia successivamente allo scadere della seconda proroga triennale), siano ancora in corso lavori di perforazione o prove di produzione per motivi non imputabili a sua inerzia, negligenza o imperizia: in tal caso, la proroga è accordata dal Ministero per il tempo necessario al completamento dei lavori e comunque per un periodo non superiore ad un anno.

Qualora l’attività di ricerca abbia successo, ossia se l’esito del pozzo esplorativo si riveli positivo a valle dell’espletamento delle prove di produzione, ai sensi dell’art. 9 della l. 9/1991 “al titolare del permesso (…) è accordata la concessione di coltivazione se la capacità produttiva dei pozzi e gli altri elementi di valutazione geo-mineraria disponibili giustificano tecnicamente ed economicamente lo sviluppo del giacimento scoperto”.

Appare quindi evidente che, nel sopra delineato quadro normativo e regolamentare, la titolarità del permesso di ricerca sussume una complessa articolazione di diritti e obblighi, in ultima analisi in funzione dell’interesse pubblico al più appropriato (e sostenibile) sfruttamento delle risorse naturali, in un contesto di pianificazione e minuziosa vigilanza delle iniziative degli operatori privati, e, comunque, nell'ambito di un ordinamento che tutela la libertà nell'esercizio dell'attività di impresa e la proprietà privata.

Ebbene, in un tale contesto, e su tale speciale disciplina relativa alla ricerca degli idrocarburi, si sono innestate le recenti modifiche legislative relative alla valutazione di impatto ambientale di cui si è dato cenno, il cui esito positivo costituisce presupposto all’esecuzione di qualsiasi attività mineraria.

Ora, quello che immediatamente rileva è che nelle recenti modifiche legislative, a tacere di altre complesse questioni connesse al mancato coordinamento di tali norme con la disciplina specifica relativa alla prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi, nulla si dice in ordine alla posizione del soggetto che abbia già ottenuto il permesso di ricerca ma che, all’esito positivo delle attività previste si trovi, ad esempio, nella condizione di dover richiedere, non per sua negligenza, una proroga del permesso di ricerca nei termini di cui si è detto, o peggio, che all’esito positivo delle attività di prospezione e ricerca, si trovi nella condizione di poter richiedere il rilascio della concessione per lo sfruttamento degli idrocarburi presenti nell’area. A rigore, in entrambe tali ipotesi, le autorizzazioni da richiedere non rientrerebbero nell’ambito dei “titoli abilitativi già rilasciati” e dovrebbero pertanto essere assoggettate alle più stringenti norme in materia ambientale di cui si è accennato, con ciò determinandosi l'inutilità degli ingenti investimenti medio tempore sopportati, e, in ipotesi, l'impossibilità di sfruttamento delle scoperte realizzate(310).

(310) A questo proposito, giace, ancora priva di risposta, richiesta, da parte del Ministero dello Sviluppo Economico, di parere al Consiglio di Stato in ordine alla corretta interpretazione della norma (per la precisione, si registra, al momento il solo Parere Interlocutorio Numero 01445/2011

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È evidente che in questi casi, anche a voler tacere della plausibile violazione dei generali principi di proporzionalità e ragionevolezza(311), si prospetta una delicata questione di tutela di diritti contrapposti, che vanno dalla tutela dell’ambiente e della salute alla tutela del diritto di iniziativa economica degli operatori che esercitano attività minerarie(312), e, per quanto qui maggiormente interessa, alla tutela dei diritti di esclusiva riconosciuti ex lege ai titolari dei permessi di ricerca e delle concessioni di sfruttamento.

Qualificare i diritti in conflitto e definirne la portata assume dunque rilievo cruciale.

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