• Non ci sono risultati.

Profili di una “mappa” delle nuove proprietà e dei nuovi ben

O DELLE PROPRIETÀ “ SOTTO FALSO NOME ”

2. Profili di una “mappa” delle nuove proprietà e dei nuovi ben

Le accennate notazioni di carattere specifico sulle energie, unite alle considerazioni più generali formulate nei capitoli precedenti, testimoniano dell’impossibilità, nel “sistema del codice”, di fissare una generale categoria giuridica dei nuovi beni. La scelta di procedere con metodo empirico è dunque un obbligo.

In particolare, occorre ricercare “sul campo” queste nuove utilità; evidenziarne le difficoltà operative; constatare l’assenza di una disciplina organica e coerente riferibile alla categoria dei beni immateriali; esplorarne la loro possibile inclusione nella nozione costituzionale di proprietà come possibile “soluzione” per una loro collocazione sistematica all’interno dell’ordinamento.

Il perimetro delle “nuove forme di ricchezza”, in base a tutto quanto sin qui accennato, è definibile anche intuitivamente, come utilità suscettibili di valore economico per lo più originate dall’evoluzione tecnologica e dal mutato contesto sociale (che sta ad esempio imponendo una sostanziale redistribuzione dei benefici erogati dallo Stato), ma anche utilizzando definizioni di matrice più prettamente giuridica, come la seguente di Greco, secondo cui i beni immateriali sarebbero “entità prive di consistenza fisica, e tuttavia apprezzate dall‘uomo per la loro idoneità a soddisfare bisogni ed esigenze della sua vita individuale e l'ordinamento giuridico attua la protezione di quei beni. E precisamente, se con lo strumento dei diritti della personalità o se con l'opposto strumento dei diritti cosiddetti patrimoniali, e fra questi ultimi se mediante i soli diritti di obbligazione od anche attraverso i diritti reali (Ult. cit., 357). Pur tuttavia, una tale questa questione attiene alla teoria generale dei diritti piuttosto che al diritto positivo, sia esso civile e costituzionale. E l’assetto dei diritti che è qui dato, impone di seguire la strada già tracciata: e dunque di partire dalla definizione di bene contenuta dall’art. 810; e poi di proseguire con la valutazione se attorno a tale definizione possa trovare spazio anche la categoria dei beni immateriali; e infine di formulare l’ulteriore e definitiva valutazione se ai beni immateriali sia dunque applicabile, con le peculiarità che sono proprie a tale categoria, lo statuto del diritto di proprietà.

59

sociale”, i confini della categoria risultano dunque sufficientemente determinati(192).

A questo punto, sono forse opportune alcune brevi osservazioni, per lo più di carattere metodologico, prima di procedere.

La “mappa” che qui si propone non intende avere alcun valore di carattere sistematico nella partizione dei beni(193), né alcuna aspirazione di completezza(194). Una tale ambizione richiederebbe tutt’altra prospettiva di indagine e in ogni caso esulerebbe dall’obiettivo della presente ricerca. Essa ha piuttosto lo scopo, più limitato, di orientare le considerazioni di carattere costituzionale che si svolgeranno nei capitoli successivi.

La “mappa” è redatta sulla base dei principali contributi di dottrina dei quali si è venuti a conoscenza nel corso della presente ricerca e che si è ritenuto potessero in qualche modo ben esemplificare le problematiche sottostanti all'incertezza di statuto che i nuovi beni e le nuove proprietà scontano nel nostro ordinamento(195).

Nel disegnare la “mappa” dei nuovi beni e delle nuove proprieta si è optato di non utilizzare come criterio determinante la classica distinzione beni pubblici/beni privati bensì di fare principalmente riferimento alla partizione

(192) La definizione è di Greco (Beni immateriali, Noviss. dig. it., cit., 356), ma generalmente condivisa; ad es., per Messinetti (Beni immateriali, Enc. Giur., cit., 4), similmente, i beni immateriali sono quei beni che, all’interno di un sistema economico basato sulla produzione, sono a tutti gli effetti strumenti del processo produttivo e, dal punto di vista naturalistico, sono privi del

tratto della corporeità.

(193) Peraltro, sull’utilità e sulla stessa possibilità di una teorica dei nuovi beni o di una loro esaustiva classificazione, visto l’ingresso incessante di nuovi beni nella realtà dei commerci e il continuo mutare di quelli di volta in volta codificati, sono in molti a dubitare. Tra questi, autorevolmente, Gambaro (La proprietà, cit., 36 ss.).

(194) Una “mappa” di questo tipo, semmai, pone in evidenza i limiti della ricerca e la necessità, se si volesse dare un seguito all’analisi sullo statuto delle “nuove forme di ricchezza”, di costituire una sorta di Osservatorio delle nuove proprietà e dei nuovi beni; osservatorio che dovrebbe essere alimentato sia dalle soluzioni proposte dagli interpeti sia dalle soluzioni fatte proprie dalla giurisprudenza di merito e di legittimità, e che dovrebbe riunire le soluzioni proposte non solo all’interno del nostro ma anche di altri ordinamenti, non solo di civil law ma anche di common

law; e che dovrebbe avere a particolare riferimento la giurisprudenza delle Corti europee che,

come si vedrà, nell’ambito della c.d. tutela multilivello dei diritti fondamentali, occupa uno spazio sempre più rilevante nella definizione delle utilità che possono essere oggetto di proprietà.

(195) In questo senso, si è tenuto conto del fatto che la nozione costituzionale di proprietà ha ad oggetto gli elementi essenziali del diritto, appunto in una prospettiva costituzionale, che non corrispondono affatto a quelli codificati nell’art. 832 c.c. Il costituzionalista, indipendentemente dalle distinzioni utilizzate dal civilista, è chiamato ad un lavoro di “svuotamento”, tenderà cioè a far rientrare nella nozione costituzionale di proprietà tutte le situazioni che configurano una relazione qualificata di appartenenza. Il civilista analizza invece dall'“interno” le singole nuove proprietà di volta in volta proposte dal legislatore e, inevitabilmente, compie un’operazione opposta, di “riempimento”, verificando che la disciplina delle singole nuove proprietà contenga tutte le attribuzioni proprie del diritto di proprietà e ove lo scarto rispetto alla nozione codicistica dell'art. 832 sia considerato eccessivo, tenderà inevitabilmente ad escludere tali utilità dal novero delle cose oggetto di proprietà (cfr. GAMBARO, Trattato dei diritti reali, cit., 977).

60

“pugliattiana” tra beni destinati a soddisfare in interesse privato e beni di interesse pubblico(196).

La scelta è apparsa più aderente alla dimensione concreta dei fenomeni da analizzare(197), e, in linea generale, la sensazione è che la distinzione proprietà pubblica/proprietà privata esprima oramai in termini soltanto parziali le differenze di statuto che interessano i beni. Tanto che si potrebbe fare propria di questa ricerca la conclusione secondo cui “una moderna concezione del diritto di proprietà consente di riconoscere rispetto alla stessa cosa l‘esistenza anche di più beni giuridici”(198), e che “il concetto stesso di bene, non solo si smaterializza(…), ma viene di conseguenza a perdere la sua caratterizzazione nel diritto pubblico o nel diritto privato”(199).

Le nuove proprietà e i nuovi beni che si descrivono nei capitoli successivi sono dunque così organizzati: si è mantenuta la distinzione con cui si apre la presente ricerca - ovvero tra le utilità c.d. di “derivazione pubblica”, proposte in primis da Charles Reich (licenze, autorizzazioni e benefits concessi e o rilasciati dallo Stato), e le nuove forme di ricchezza che originano “dall’informazione e dalla conoscenza” (dai nuovi beni immateriali, quali le informazioni aziendali riservate o i domain names aziendali, fino alle informazioni del settore pubblico, ecc.); si è poi “incrociata” questa distinzione con quella appena accennata tra nuovi beni c.d. “di interesse pubblico” e nuovi beni c.d. “di interesse privato”.

All’esito di questa operazione, ne sono risultate quattro macro-categorie. In una prima macro-categoria – dedicata a quelle utilità che, a prescindere dallo statuto loro ascrivibile, realizzano indiscutibilmente e in via prioritaria un interesse privato del soggetto titolare e che fanno riferimento ai beni c.d. “dell'informazione e della conoscenza” – si sono innanzitutto inclusi i beni della proprietà intellettuale, ivi compresi, i beni rinvenienti dalla ricerca biotecnologica, e i diritti c.d. non titolati, dalle topografie dei prodotti a semiconduttori, fino agli altri segni distintivi diversi dal marchio registrato, tra cui appunto i domain names, le informazioni industriali riservate, o, ad esempio, i patrimoni di conoscenze che si determinano a seguito della costituzione delle reti di imprese.

Ad essi, per omogeneità, si potrebbero poi aggiungere altri beni quali quelli costituenti l’azienda, l’avviamento e la clientela, o quelli aventi ad oggetto l’immagine di cose corporali, e la cui “genesi” è latu sensu riconducibile a processi di conoscenza o astrazione.

(196) L’idea di utilizzare le locuzioni “di interesse privato” e “di interesse pubblico” viene da Pugliatti (Interesse pubblico e interesse privato nel diritto di proprietà, in La proprietà nel nuovo

diritto, cit., p. 1-52).

(197) Merita notare, peraltro, che questa distinzione è stata di recente fatta propria anche dalla

Commissione Ministeriale per la Riforma dei ―beni pubblici‖, istituita presso il Ministero della

Giustizia nel giugno 2007, presieduta da Stefano Rodotà, e incaricata di elaborare una proposta di riforma della disciplina dei beni pubblici.

(198) A. TRABUCCHI, Istituzioni di diritto civile, cit., 528, nota (3). (199) Ibidem.

61

A latere di questi beni – a latere nel senso che esprimono pur sempre un interesse privato – ma in un'altra macro-categoria a sè stante poiché diversa è la loro “derivazione”, si sono poi raggruppati i beni che originano da provvedimenti pubblici e che Reich identifica in occupational licenses, drivers‘ licenses, franchises, benefits e subsidies. Vi si possono dunque ricomprendere le utilità dispensate dallo Stato sotto forma di sussidi, incentivi, sgravi fiscali, licenze di commercio, abilitazioni all’esercizio di professioni protette, ecc.

La loro qualificazione come “beni”, almeno da un punto di vista civilistico, pone delicate questioni di carattere sistematico, ma, come si vedrà, una tale possibilità è oggi vagliata con attenzione da parte degli stessi giuristi privatisti, che hanno ad esempio individuato “caratteri di realità” nella possibilità che, in molti casi, queste utilità si possano ad esempio trasmettere per via ereditaria(200).

Ancora, accanto a queste utilità – accanto inteso nel senso che originano sempre da provvedimenti pubblici ma, diversamente dalle precedenti categoria, soddisfano in via proprietaria un interesse pubblico – si sono raggruppate in un’altra macro-categoria, quelle particolari nuove proprietà che Reich definisce use of public resources.

Vanno qui annoverate tutte le autorizzazioni all’utilizzo di risorse pubbliche o alla gestione di beni in regime di monopolio, dalle autorizzazioni alla prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi, fino alle più recenti autorizzazioni amministrative all’utilizzo di vie aeree, o ancora alle autorizzazioni per l’utilizzo dell’etere per trasmissioni radiotelevisive, fino, in un'altra ma non così dissimile prospettiva, alle concessioni di servizi, come sono quelle per la gestione di giochi e lotterie; e, per le stesse ragioni, pur con le precisazioni che verranno fatte in seguito, anche le autorizzazioni alla erogazione di servizi che realizzano un prevalente interesse pubblico ma sono gestiti da soggetti privati abilitati, quali ad esempio, quelli relativi all'erogazione di prestazioni sanitarie in regime di convenzione.

Accanto a queste utilità, seppure in modo improprio rispetto ai criteri di suddivisione che si stanno ora utilizzando, va ricompresa, come è stato rilevato in dottrina, “quale momento speciale dell‘emersione dei ―nuovi beni‖”(201), all’interno della stessa macro-categoria, la “gestione in forma privata di beni pubblici che, pur conservando il vincolo di destinazione, perdono anche la struttura tipicamente pubblica del regime dell‘appartenenza e si configurano quali beni vendibili ai privati o valorizzabili nell‘ambito di una gestione di tipo strettamente privatistico e imprenditoriale”(202). Questo nuovo regime riguarda un nucleo significativo di beni pubblici, tra cui molti beni materiali che costituiscono

(200) Cfr. A. ZOPPINI, Le «nuove proprietà» nella trasmissione ereditaria della ricchezza (note a

margine della teoria dei beni), in Riv. Dir. Civ., 2000, II, p. 185-248.

(201) MOSCARINI, Proprietà, cit., 172. (202) Ibidem.

62

(costituivano?) il patrimonio immobiliare dello Stato e che sono stati recentemente soggetti a provvedimenti di privatizzazione, ma il cui statuto rimane in bilico tra proprietà pubblica e privata, e per i quali soprattutto in tema di limiti ai poteri del proprietario, si applica un regime diverso da quello classico.

Peraltro proprio con riferimento a tali beni, alcuni autori, tra cui ad esempio D'Addino Serravalle, hanno fatto notare che il modello proprietario classico (costituito dal potere pieno ed incondizionato di godimento del bene con esclusione dei terzi) è oramai considerato insufficiente a rappresentare tutte le soglie dell'appropriabilità(203). A dire, dunque, che il modello classico di proprietà vacilla anche all’interno dei suoi confini più sicuri, che è appunto quelli dei beni materiali.

Per tale ultima sotto-categoria di utilità si potrebbe utilizzare la definizione di “beni di interesse pubblico privatizzati, privatizzabili o valorizzabili nell‘ambito di una gestione di tipo strettamente privatistico e imprenditoriale”.

Infine, in un'ultima macro-categoria, a chiusura del cerchio dei nuovi beni, si potrebbero includere quelle utilità che rappresentano i beni “dell'informazione e della conoscenza”, ma che, a differenza della prima macro-categoria in cui questi beni esprimevano un prevalente “interesse privato”, esprimono invece in questo caso un prevalente “interesse pubblico”: sono questi i beni dell’informazione pubblica, le immagini pubbliche, e altri beni pubblici immateriali in senso sia naturalistico (paesaggio) che giuridico (i crediti pubblici). L’interessi per tali beni è mitigato, nell’ambito della presente ricerca, dal fatto che ricadono (ancora) a tutti gli effetti nell'ambito della proprietà pubblica. Pur tuttavia se ne darà cenno perché essi sono probabilmente una delle frontiere “di rilievo” su cui si misureranno in un prossimo futuro i confini, ormai mobili, tra proprietà pubblica e proprietà privata(204).

Conclusivamente, all’esito di questa “mappa”, si può constatare che emergono dalla “realtà delle cose” nuove forme di utilità che sfuggono alla definizione di bene generalmente o classicamente intesa (dai beni della proprietà intellettuale, alle occupational licenses, drivers‘ licenses, franchises, benefits, subsidies, descritti da Reich, fino alle autorizzazioni amministrative ad usare risorse pubbliche quali le via aeree, le aree demaniali, le onde elettromagnetiche per trasmissioni televisive), e per le quali è forse riduttiva la già richiamata definizione di Greco(205), secondo cui nuovi beni sono quei beni che, all’interno di un sistema economico basato sulla produzione, sono a tutti gli effetti strumenti del processo produttivo e che, dal punto di vista naturalistico, sono privi del tratto

(203) Cfr. P. D'ADDINO SERRAVALLE, I nuovi beni e il processo di oggettivazione giuridica. Profili

sistematici, Napoli, 1999.

(204) Peraltro, con riferimento ad alcuni di questi beni si possono notare processi di privatizzazione “mascherati” che andrebbero approfonditi, come è il caso, ad esempio, della recente cessione dei diritti di sfruttamento dell'immagine del Colosseo o l’altrettanto recente iniziativa del sindaco di Agrigento di commercializzare il marchio “Valle dei Templi”.

63

della corporeità, ma è altresì riduttiva, sotto un altro profilo, anche la nota definizione di Reich, che non tiene conto di quanto i beni dell’informazione e della conoscenza abbiano contribuito a modificare gli assetti della ricchezza, e per i quali è infine riduttiva la stessa definizione di Pugliatti, che ha il pregio di mettere in evidenza la pluralità di forme in cui può manifestarsi il diritto di proprietà, ma manca di affrontare il tema delicato dell’immaterialità dell’oggetto di proprietà.

Peraltro, come si è visto, il tema dell’immaterialità è certamente fondamentale nella discussione sui nuovi beni, ma all’interno delle nuove forme di ricchezza(206), è forse necessario includere anche beni che rientrano nella nozione di bene materiale generalmente intesa (la maggior parte dei beni di interesse pubblico privatizzati, privatizzabili o valorizzabili nell‘ambito di una gestione di tipo strettamente privatistico e imprenditoriale, tra cui molti beni del patrimonio immobiliare dello Stato), per i quali, tuttavia, come si è accennato, soprattutto in tema di limiti ai poteri del proprietario, si applica un regime diverso da quello classico(207).

In sintesi, dunque, la proprietà, che storicamente è istituto che “riflette fedelmente lo stato sociale, i principi che lo dominano, i costumi ai quali esso si appoggia”(208) starebbe ancora una volta cambiando pelle, e sarebbe limitativo farne “solo” una questione di immaterialità del suo oggetto.

Outline

Documenti correlati