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I tentativi (mancati) di individuare una nozione di proprietà nella Costituzione

A LLA RICERCA DI UNA NOZIONE POCO UTLIZZATA

3. I tentativi (mancati) di individuare una nozione di proprietà nella Costituzione

A proposito delle norme sulla proprietà contenute nella Costituzione, si è detto che sarebbero “sì povere, ambigue ed imprecise da non consentire alcuna ricostruzione ermeneutica che voglia rimanere sul terreno della tradizione giuridica”(366).

Gli articoli della Costituzione che rilevano ai fini della nozione costituzionale di proprietà sono il 42, il 44 e il 47.

L’art. 42, così recita: “1. La proprietà è pubblica o privata. I beni economici appartengono allo Stato, ad enti o a privati. 2. La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti. 3. La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d'interesse generale. 4. La legge stabilisce le norme ed i limiti della successione legittima e testamentaria e i diritti dello Stato sulle eredità”.

Secondo l'art. 44, “Al fine di conseguire il razionale sfruttamento del suolo e di stabilire equi rapporti sociali, la legge impone obblighi e vincoli alla proprietà terriera privata, fissa limiti alla sua estensione secondo le regioni e le zone agrarie, promuove ed impone la bonifica delle terre, la trasformazione del latifondo e la ricostituzione delle unità produttive; aiuta la piccola e la media proprietà. La legge dispone provvedimenti a favore delle zone montane”.

Infine, dispone, l’art. 47 che “1. La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l'esercizio del credito. 2. Favorisce l'accesso del risparmio popolare alla proprietà dell'abitazione, alla proprietà diretta coltivatrice e al diretto e indiretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi del Paese”.

Come è evidente dalla lettera del testo, la Costituzione non dà dunque una definizione di proprietà né di diritto di proprietà.

Di conseguenza, scrive Tarello, “ogni definizione è permessa (agli operatori giuridici) purchè essa non vada contro, nelle sue conseguenze operative, al disposto di singole prescrizioni in materia di ―proprietà‖ contenute

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negli articoli della Costituzione che ne fanno letterale menzione (cioè gli artt. 42, 44, 47)”(367).

E, sempre secondo Tarello, il “silenzio del costituente” relativamente alla definizione di proprietà può essere inteso sia “come accettazione di una realtà esistente (di solito la nozione di proprietà del preesistente codice di diritto civile; sporadicamente una nozione giusnaturalistica e imprecisata di proprietà)”, sia “come rinvio e delega al legislatore futuro (di cui ogni definizione e determinazione della proprietà verrebbe ad essere costituzionalmente legittima)”(368).

Pertanto, almeno secondo questa dottrina, occorrerebbe rimettersi al legislatore ordinario che diviene in tal modo “il signore della fonte” essendo il soggetto deputato a riconoscere come e in quali casi debba esistere, in diritto positivo, la proprietà privata.

È però evidente che in questo caso la garanzia costituzionale delle situazioni reali di appartenenza private svanisce immediatamente, limitandosi la previsione costituzionale a prevedere una generica garanzia di istituto.

Normalmente però quando la Costituzione riconosce e garantisce una posizione giuridica soggettiva, e la tutela, prevedendo che i limiti ad essa possano essere disposti solo con legge, ciò logicamente presuppone che la situazione limitabile riceva dal testo costituzionale un qualche contenuto di carattere prescrittivo e sostantivo, ancorchè di carattere generale ed essenziale, e non basta non rinvenirlo di primo acchito per cancellarlo.

In primis, il compito sarebbe dovuto ricadere sulla giurisprudenza costituzionale ma, come si è visto, la Corte ha, nella quasi totalità dei casi, fatto leva sul terzo comma dell’art. 42 per imporre limiti al potere conformativo del legislatore ordinario, anziché sul primo comma del medesimo art. 42.

Tanto che, secondo Gambaro, dal punto di vista definitorio del diritto di proprietà, gli esiti a cui arriva la Corte sono minimali e riassumibili nella nozione “che non potrebbe essere ricondotta alla nozione di proprietà quella situazione di appartenenza in cui il titolare difetti di sia pur minimi poteri di godimento e disposizione su un bene”(369).

E’ evidente che questi esiti sono insufficienti.

Può essere allora utile ritornare ad alcune considerazioni svolte in partenza a questo capitolo, la prima delle quali era che la Costituzione è scritta con il linguaggio della “politica costituzionale” e pertanto non definisce mai – in modo preciso, diretto, univoco – gli istituti che regola nella parte prima, né dal suo testo è mai possibile trarre tutti gli elementi necessari alla ricostruzione delle posizioni giuridiche che garantisce.

(367) G. TARELLO, La disciplina costituzionale della proprietà (Lezioni introduttive, in Corso di

diritto civile, 1972-73, Genova, 1973, ora parzialmente riprodotto in) Cultura giuridica e politica del diritto, Bologna, 1988, 245.

(368) TARELLO, Ult. cit., 246.

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In altre parole, la Costituzione deve essere sempre necessariamente eterointegrata in via interpretativa.

Una tale affermazione è ben provata dal fatto che se i criteri ermeneutici indicati in precedenza per dimostrare che non esiste alcuna nozione costituzionale di proprietà fossero applicati anche ad altri valori costituzionali si arriverebbe all’esito di demolire o privare di contenuti quasi l’intera prima parte della Costituzione.

Sul piano del paradosso, come ha ben rilevato Gambaro, si potrebbe notare ad esempio che neppure il termine “uomo” cui l’art. 2 garantisce diritti inviolabili appare mai definito nel testo della carta fondamentale e se non si riconoscesse qui l’operatività giuridica delle “fonti culturali” si correrebbe il rischio che il legislatore ordinario possa addirittura dare una configurazione restrittiva alla categoria degli “esseri umani”(370).

Su di un piano meno paradossale e più strettamente ermeneutico, è sempre Gambaro a rilevare che numerose espressioni del testo costituzionale traggono il loro significato dalle elaborazioni dei relativi concetti, da parte delle singole dottrine giuridiche: espressioni quali “diritti ed interessi legittimi” (art. 113), o “pubblici uffici” (art. 97), sono chiarite dalla dottrina amministrativistica; quelle relative ai “trattati internazionali”(art. 80 e art. 87), ai “rappresentanti diplomatici” (art. 87), o alle “organizzazioni internazionali” (art. 11), dalla dottrina internazionalistica; e quelle relative a “amnistia ed indulto” (art. 79), “grazia” (art. 87), “misura di sicurezza” (art. 25), si traggono invece dalla dottrina penalistica(371).

Si potrebbe dunque affermare che nel caso della garanzia costituzionale della proprietà, le difficoltà non sono tanto imputabili alla lettera della Costituzione, che sul punto è lacunosa né più né meno di quanto lo sia con altri istituti giuridici in essa indicati, quanto piuttosto al fatto che è difficile identificare la dottrina giuridica da cui elaborare il relativo concetto.

Torniamo ora per un momento alla lettera del dettato costituzionale. Di primo acchito parrebbe che la nozione di proprietà privata di cui all’art. 42 Cost. debba essere desunta dal discorso dei civilisti. Tuttavia, come si è visto nella prima parte della ricerca, costoro elaborano la nozione di proprietà senza badare alla Costituzione e concepiscono la nozione di proprietà in ambito diverso, si potrebbe dire indipendente rispetto al testo costituzionale.

Peraltro, la stessa lettera della Costituzione in alcuni casi fa evidente riferimento a una nozione di proprietà che non è quella civilistica. Così, ad esempio, l’art. 47 Cost. quando impegna la Repubblica a favorire l’accesso del risparmio popolare alla proprietà dell’abitazione, intende una situazione abitativa dotata dei caratteri della stabilità e sicurezza del godimento e non necessariamente

(370) Ult. cit., 117. (371) Ibidem.

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della proprietà civilistica della casa(372). O ancora, quando il terzo comma dell’art. 42 Cost. prescrive che la proprietà privata può essere espropriata salvo indennizzo, ciò naturalmente non esclude che il titolare di un usufrutto, di una enfiteusi, di una servitù prediale – tutte situazioni che escludono la proprietà – non possa essere espropriato.

E’ dunque evidente che la nozione costituzionale di proprietà e la relativa garanzia è indipendente dalla nozione civilistica della stessa, allo stesso modo in cui, come opportunamente rilevato da Baldassarre, è necessario distinguere nei sistemi di common law tra la proprietà come “great and primary right” e i diritti dominicali come “auxiliary and subordinate”(373).

Secondo Gambaro(374), ciò che si richiede alla dottrina ai fini della individuazione della garanzia costituzionale della proprietà non è dunque l’utilizzo o la forzatura dell’istituto civilistico, ma “una indicazione delle sue funzioni [ndr, della proprietà] e degli strumenti istituzionali che sono necessari per perseguirle”.

Ma anche seguendo queste indicazioni si prova troppo poco. Si arriverebbe infatti alle seguenti insufficienti conclusioni.

Prima conclusione: non si può negare che la proprietà sia un valore costituzionale (pertanto essa sarebbe sacrificabile solo di fronte ad altri valori costituzionali e non di fronte ad altre esigenze prive di rango costituzionale).

Seconda conclusione: ove debba operare il contemperamento tra garanzia costituzionale della proprietà ed altri valori costituzionali il legislatore ordinario, pur godendo di ampia discrezionalità, non sarebbe completamente libero, poiché dovrebbe ritenersi costituzionalmente obbligato a limitare il sacrificio della proprietà a quelle incisioni che sono strettamente necessarie a promuovere il valore antagonista.

Tali conclusioni provano troppo poco perché continuano ad eludere il problema, concettuale ma dalle vaste implicazioni pratiche, del contenuto minimo del diritto di proprietà secondo la Costituzione (che riguarda, è utile ricordarlo, l’oggetto di proprietà e i modi di esercitare l’appartenenza).

A dire il vero, l’indicazione che la nostra dottrina ha voluto fornire al giudice delle leggi è stata anche un’altra.

Si è sostenuto che se si considera la funzione sociale, non come limite esterno, ma come qualificazione (conformazione) del diritto di proprietà privata(375), sarà proprio attraverso il principio della funzione sociale che si potrà agevolmente introdurre, da una parte, “il concetto della pluralità dei tipi (del diritto) di proprietà”(376), e, dall’altra, il principio secondo cui la definizione del

(372) SORACE, Ult. cit., 1035. (373) BALDASSARRE, Ult. cit., 1. (374) GAMBARO, Ult. cit., 119.

(375) M.S. GIANNINI, Basi costituzionali della proprietà privata, in Politica del diritto, II, 1971, n.45, ora anche in Scritti, Vol. VI, 1970-1976, Milano, 2005, 216.

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diritto sarebbe demandata dalla diversa conformazione che ne dà la funzione sociale.

Si dovrà però ammettere che anche questa indicazione finisce con l’eludere la questione della definizione del contenuto del diritto di proprietà secondo la Costituzione. E infatti questa indicazione non è stata accolta dalla nostra Corte costituzionale la quale intuendo i rischi che un giudizio “sulla concretizzazione della funzione sociale della proprietà comporta”, rifiuta recisamente di misurare la legittimità costituzionale dei limiti imposti alle proprietà private su questo parametro(377).

Sotto il profilo della forma della tutela significa che la nostra Corte preferisce esercitare il proprio potere di controllo “basandosi sulle parole di un testo [ndr, insufficienti, da sole] piuttosto che sui principi che possono trarsi dal sistema [ndr, che dovrebbero portare, appunto, alla definizione della nozione costituzionale di proprietà]”(378).

Da quanto accennato si può dunque concludere che nonostante, almeno nominalmente, l’opzione (rectius, l’enunciazione) di voler approdare ad una nozione costituzionale di proprietà privata appaia netta, tanto nella dottrina appena riferita quanto nella giurisprudenza costituzionale, non si può tuttavia dire che dall’una o dall’altra si sia agito per così dire di conseguenza, e non può pertanto dirsi che possa trarsi un autonomo e chiaro concetto di proprietà secondo la Costituzione.

4. La generale nozione di proprietà privata negli Stati costituzionali

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