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Cenni su leggi e politica

Capitolo 1: nel par 1.1 fornirò, partendo dall'aneddoto riportato da Plutarco, le

1.3 Cenni su leggi e politica

In questo paragrafo vorrei brevemente osservare come le posizioni di Protagora sulla natura dell'evidenza e sull'asserzione avessero anche un senso direttamente

politico. È difficile spiegare infatti la radicalità dell'attacco filosofico dei pensatori

“socratici” a Protagora e alla “sofistica” in generale senza considerare che si trattò anche di un durissimo contrasto politico e ideologico151; e si può rilevare come la tendenza a considerare solo dal punto di vista teorico-filosofico la grande produzione socratico-platonica abbia il difetto di non vederne l'indirizzo sostanzialmente elitario e violentemente antidemocratico152. Al contrario mi pare che sia illuminante considerare il fatto che le opzioni intellettuali su linguaggio e conoscenza tra V e IV secolo avessero una valenza immediatamente politica, che ne determinò almeno in parte le soluzioni. Politica è tanto l'idea protagorea che sia la dimensione (pubblica e collettiva) del discorso a costituire il mezzo migliore di conoscenza e di decisione, quanto il naturalismo radicale della conoscenza, scettico verso la legge e la convenzione, della “seconda” sofistica del V secolo (una sofistica molto diversa, di matrice ultraoligarchica: Trasimaco, Crizia, Antifonte153); e chiaramente politica è ancora l'opzione “socratica” del rispetto della legge, quale ci viene tramandata da Senofonte e dall'apologia platonica: è sul modello della “costituzione dei padri” (pátrios politeía) e sul ricorso alla legge che ripiegherà la cultura conservatrice ateniese al volgere del IV secolo, dopo la definitiva disfatta dell'avventura oligarchica. Non credo sia necessario insistere qui sulla portata politica della posizione

151 Come osserva con particolare incisività Moses Finley ne La democrazia degli antichi e dei

moderni, che attribuisce a Protagora il ruolo di filosofo (o ideologo, a seconda dei punti di vista)

della democrazia ateniese. Questo libro ha costituito il punto di partenza del mio interesse per Protagora. Sul carattere sostanzialmente ideologico e antidemocratico, per Finley, dell'attacco platonico ai sofisti cfr. anche La politica nel mondo antico, pp. 183-5.

152 Per la complessa valutazione di Socrate v. il paragrafo seguente, par. 1.4.

generale di Protagora sulla natura comune e discorsiva dell'evidenza154; mi limito qui a considerare questo argomento da un punto di vista più specifico, quello della

revocabilità delle deliberazioni politiche, in cui si ritrova il ruolo chiave della

concezione protagorea dell'asserzione. N e La democrazia degli antichi e dei

moderni155 Finley individua (con un vero e proprio colpo d'ala) una connessione profonda fra le posizioni filosofiche di Protagora e la graphḕ paranómōn, la cosiddetta “procedura di illegalità”, per effetto della quale l'assemblea poteva tornare

sulle proprie decisioni. Ciò che si sa su questo istituto specifico nell'Atene del V

secolo è in realtà pochissimo156; tuttavia non c'è dubbio che esso, insieme alle varie procedure di appello che consentivano di ridiscutere decisioni già prese, fosse percepito come uno dei principi costitutivi del regime e della “logica” democratica. Quando Aristotele per esempio racconta del colpo di stato oligarchico del 411 ne La

costituzione degli ateniesi, osserva come la prima mossa politica, insieme

all'istituzione dei Quattrocento, fosse l'abolizione delle “accuse di illegalità” e delle denunce relative al comportamento in assemblea157: da quel punto in poi tutto ciò che veniva proposto e deciso da quell'organismo ridotto non era più revocabile o citabile

in giudizio, e anche in questo, oltre che nella riduzione ai Quattrocento (o ai possibili

Cinquemila), consisteva il “colpo di stato” e il sovvertimento della democrazia. Un altro dato notevole di cui siamo in possesso è che nella costituzione di Thurii di cui

154 Cosa che confermano sia il grande monologo di Protagora nel dialogo platonico a lui dedicato, sia la sua posizione di capofila nella fondazione della colonia ateniese di Thurii, un esperimento di grande importanza anche propagandistica per la democrazia ateniese (Protagora ne curò la costituzione, e a una tale elaborazione sono da ricondurre probabilmente il Proemio della costituzione di Caronda e le notizie che dà Diodoro Siculo, cfr. Lana, cit., pp. 37 e 47).

155 Pp. 26-27.

156 Lo studio principale sull'argomento, di Wolff, (“Normenkontrolle” und Gesetzenbegriff in der

attischen Demokratie) mostra in definitiva che se ne può dire ben poco di preciso; specie per il V

secolo si può solo immaginare. Il suo senso generale è tuttavia abbastanza chiaro leggendo i diversi riferimenti ne La costituzione degli ateniesi di Aristotele. È chiaro che in materia di decisioni politiche (diversamente dai verdetti giudiziari) il peso delle leggi scritte nelle decisioni non doveva essere affatto preponderante e che le richieste di appello si basassero su obiezioni procedurali. Tucidide per esempio non f a mai riferimento a leggi scritte che abbiano determinato le decisioni dell'assemblea; mostra però come spesso la questione, drammatica quanto le decisioni da prendere, fosse l'applicazione/pertinenza o meno di norme procedurali, cfr. infra (in nota) l'esempio di Nicia nelle decisioni sulla spedizione in Sicilia.

parla Diodoro Siculo158 era inserita, insieme a molti altri elementi di chiara ascendenza protagorea, una procedura prevista di modificazione (diórthōsis) delle leggi159.

Questi fatti fanno apprezzare come uno degli elementi distintivi della democrazia e del governo popolare ateniese fosse, oltre alla forza degli ordinamenti e degli istituti rinnovati da Clistene160, la possibilità del potere degli organi deliberativi generali, in parte regolata da norme procedurali, di riesaminare qualsiasi decisione politica161 (anche rimettendo a giudizio chi l'aveva proposta). L'assemblea è un

158 Che come già osservato sarebbe un rifacimento di Protagora del codice di Caronda. Per tutta la discussione a proposito cfr. Lana, cit., pp. 32-52.

159 Cfr. Lana, cit., p. 40. Anche l'attività legislativa e/o di modifica delle leggi nell'Atene del V secolo è estremamente difficile da inquadrare, perché l'equilibrio concreto dei vari elementi è impossibile da ricostruire. Questo anche perché, come osserva di nuovo Finley (Uso e abuso della storia, p. 44), non esisteva ancora una precisa struttura concettuale che distinguesse fra leggi e decreti, e ancor meno è da pensare che esistessero leggi “costituzionali” in senso moderno. Tutto questo spinge però proprio nella direzione del potere esteso degli organi collettivi: se c'erano alcuni principi intoccabili della democrazia non era perché facessero parte di una “costituzione”, ma perché nessuno “osava” proporne la modifica in Assemblea (come si legge abbastanza chiaramente in Tucidide). Sul ruolo legislativo molto esteso di Assemblea (e Consiglio) nell'Atene del V secolo dopo le principali riforme democratiche (Clistene ed Efialte) cfr. Ostwald, From Popular

Sovereignty to the Sovereignty of Law. Law, Society and Politics in Fifth-Century Athens, che

fornisce anche un ritratto molto intelligente di Protagora (pp. 239-243).

160 C'è senz'altro una linea retorica forte nel V secolo, che è il rispetto della legge (scritta) come salvaguardia del governo popolare; ma ci sono anche tradizioni diverse e complementari. Nelle

Supplici di Eschilo si trova per esempio un passo notevole (vv. 946-9) in cui Pelasgo rivendica, in

contrapposizione alle leggi scritte dei regni barbari (Egitto in questo caso, nei grandi regni la trasmissione scritta dei decreti era necessità) l'ascolto di “una lingua libera”. La libertà greca è qui correlata alla possibilità orale di esprimersi e di dissentire liberamente in assemblea. È la linea retorica della parresia.

161 Anche questo è un carattere eminente del potere assembleare. Un esempio lampante del gioco sottile con le norme procedurali che veniva condotto nell'Assemblea e nella Boulḗ è la dettagliata ricostruzione tucididea del dibattimento sulla spedizione in Sicilia, con i ripetuti tentativi di Nicia di far ritornare gli ateniesi sulla loro decisione (VI, 8-26, cfr. in particolare 14: “E tu, o pritano, se credi tuo dovere aver cura della città e vuoi essere buon cittadino, poni ai voti la proposta e ripresentala alla discussione degli ateniesi (...)”. Cfr. nelle Storie anche III 42, 1-2 sull'opportunità di ridiscutere più volte in assemblea difesa da Diodoto contro Cleone). È ovvio che ci fossero norme e procedure determinate anche per effettuare un riesame; ma si noti anche come la dialettica assembleare (e l'abilità politica) si giocasse anche intorno alla decisione di usarle. Il che lascia intravedere un problema molto generale (non solo antico), che non fu probabilmente estraneo alla sofistica

soggetto pragmatico che valuta le proprie decisioni e persino la pertinenza delle norme. Ora, questo ripropone esattamente la situazione in cui si trova l'asserzione di Protagora: ogni enunciato non è valido di per sé, ma esattamente nella misura in cui esso gode di una valutazione evidenziale e pragmatica; se essa viene meno anche l'enunciato cade: esso è essenzialmente ritrattabile162. La concezione protagorea dell'asserzione e dell'evidenza doxastica ha cioè un corrispondente preciso nella forma del potere deliberativo del soggetto politico dell'assemblea163. Non è un caso che nel Teeteto, attaccando Protagora, Socrate sia ripetutamente polemico proprio

verso il carattere incerto e revocabile (perché dipendente dal dokeîn) delle decisioni della città164.

Al volgere del IV secolo questa situazione muterà in maniera decisa: gli esiti catastrofici della guerra spartana indeboliranno lo stato ateniese e anche la componente popolare, direttamente collegata al suo imperialismo; così la politica conservatrice muta in modo sostanziale, dai tentativi radicali degli oligarchi (col naturalismo spinto della seconda sofistica) al culto dell'“ordinamento dei padri”. È un fatto culturale decisivo che il rispetto della legge diventi l'ideologia preponderante nelle élite conservatrici, e a questo passaggio corrisponde anche l'innalzamento di Socrate a modello politico. Ne è un manifesto il primo libro delle Elleniche di Senofonte (un'eminenza ultraoligarchica a sua volta165): suona quasi ironico, e segna un passaggio epocale, che un istituto popolare per eccellenza, la graphḕ paranómōn

protagorea: che i nómoi, come gli enunciati, non “parlano” solo per ciò che “dicono”, ma per effetto di una valutazione contestuale di pertinenza/applicabilità: anch'essi dipendono dunque in parte da una decisione/affermazione pragmatica.

162 È come dire che non diciamo nulla una volta per tutte, e tutto vale nella misura in cui è riconfermato da una valutazione interna, evidenziale che ogni volta noi rifacciamo. La verità, o la decisione migliore passano – almeno idealmente – per il percorso più radicale possibile di discussione e per il ruolo accordato in essa all'evidenza. È tra le cose più moderne partorite secondo me dal mondo antico: la verità è semplicemente spingere fino in fondo, fin dove si riesce ad arrivare (e a darle forza politica) sulla strada dell'opinione (cfr. infra nota 205 per la formulazione di questo aspetto dell'evidenza in alcuni autori moderni: Hegel, Melville).

163 Per questo, sia pure con licenza, l'intuizione di Finley mi pare molto preziosa.

164 Cfr. 178d (in cui lo ribadisce due volte) e 172e. Almeno nell'elaborazione del trittico Teeteto-

Sofista-Politico Platone è critico, oltre che verso la forma del giudizio-enunciazione, verso il suo

corrispettivo politico, la legge. Anche se la legge è necessaria, la vera costituzione corretta (quella in cui governa colui che sa) sta al di sopra di essa e deve poterne prescindere: è la tesi del Politico. 165 Sulla posizione di Senofonte, attivo nella fazione oligarchica nel colpo di stato dei Trenta, cfr.

di cui si è detto, sia qui intentata contro le procedure “illegali” dei popolari, e che Socrate, quale modello di virtù politica, sia l'unico a opporsi alle decisioni popolari dichiarando “di non volere in nessun caso agire contro la legge”166.