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Cenni sulla disciplina del fallimento internazionale nell’ordinamento italiano

La materia fallimentare è esclusa dall’ambito di applicazione della Convenzione di Bruxelles del 1968. Ciò implicava, in assenza di altri criteri di origine comunitaria, la vigenza dei criteri di giurisdizione nazionali, come detto al paragrafo precedente. La legge di riforma del diritto internazionale privato, legge 31 maggio 1995 n. 218, si caratterizzava e tutt’oggi si caratterizza per l’assenza di criteri di collegamento specifici per la materia. Pertanto, per il tramite del II comma dell’art. 3 della legge di riforma, che rinvia alla competenza per territorio per le materie escluse dalla Convenzione di Bruxelles, si giunge all’applicazione delle norme ex art. 9 della legge fallimentare, regio decreto 16 marzo 1942 n. 267 92, almeno secondo la dottrina maggioritaria 93.

nell’adattare l’ordinamento nazionale al Reg. CE n. 1346/2000, hanno disciplinato anche il fallimento internazionale tout court, introducendo disposizioni simili, ma non completamente identiche; a tal proposito si veda ad esempio la soluzione tedesca: PERDELWITZ A., op. cit., p. 24. Sulla questione delle norme interne

riproduttive di norme comunitarie si veda per tutti GAJA G., L’interpretazione di norme interne riproduttive

della Convenzione di Bruxelles da parte della Corte di giustizia, in Rivista di Diritto Internazionale, 1995, pp. 757 ss.

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In ordine alla assenza, nel nostro ordinamento, di una norma sulla giurisdizione internazionale in materia fallimentare si veda: per quanto concerne la situazione precedente all’entrata in vigore della legge n. 218 DANIELE L., Il fallimento nel diritto internazionale privato e processuale, op.cit., pp. 15 ss.; CAMPEIS G., DE PAULI A.,Elementi di estraneità nelle procedure concorsuali, in Il fallimento e le altre procedure concorsuali, 1995, pp. 116 ss. Con riferimento alla situazione successiva alla legge di riforma, si veda per tutti DANIELE L.,voce Fallimento,op.cit.; QUEIROLO I., L'influenza del Regolamento comunitario sul difficile

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L’art. 9 I comma prevede che il fallimento sia dichiarato dal tribunale del luogo in cui l'imprenditore ha la sede principale dell'impresa. La nozione di sede principale del debitore è stata identificata dalla giurisprudenza nel luogo in cui è situato il centro degli

affari 94.

Una norma che ha creato notevoli problemi è vecchio comma II dell’articolo 9 della legge fallimentare (ora divenuto III comma), che prevede che l'imprenditore che ha all'estero la sede principale dell'impresa possa essere dichiarato fallito nella Repubblica, anche se è stata pronunciata dichiarazione di fallimento all'estero. Tale irrilevanza della sentenza straniera dichiarativa di fallimento, oltre a costituire una manifestazione del principio di territorialità, con quanto consegue in termini di giustizia sostanziale, mal si coordina con altre norme cardine della riforma del diritto internazionale privato, e segnatamente con gli artt. 7 sulla litispendenza internazionale e 64 sul riconoscimento automatico delle sentenze straniere.

Del resto, in assenza di una disciplina puntuale, anche nell'ipotesi in cui si volesse riconoscere valore alla sentenza straniera dichiarativa di fallimento, non è chiaro quali tra gli effetti che la decisione produce nello Stato di origine, dovrebbero estendersi all'ordinamento italiano 95.

L’entrata in vigore del Reg. CE n. 1346/2000 ha reso il quadro ulteriormente complicato.

coordinamento tra legge fallimentare e legge di riforma del diritto internazionale privato, in Liber Fausto Pocar, vol. 2, 2009, pp. 835 ss.

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Per riferimenti bibliografici in tal senso si veda: DE SANTIS F., Op.cit, pp. 93 ss. Per una critica alla dottrina maggioritaria vedi VELLANI C., op.cit., pp. 364 ss. La medesima impostazione (cioè il rinvio alla competenza

del territorio per fondare la giurisdizione) è utilizzata dalla giurisprudenza per applicare ai fallimenti internazionali l’art. 24 della legge fallimentare. Si tratta di una soluzione criticata dalla dottrina in quanto la competenza ex art. 24 non può correttamente ricondursi al genus competenza per territorio. Si veda a tal proposito LUZZATTO R., Commento all’art. 3 (Ambito della giurisdizione), in AA.VV., Commentario del nuovo diritto internazionale privato, Padova, 1996, p. 31.

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La giurisprudenza italiana procede a approfondite analisi in base a vari indici: luogo di direzione; luogo di impiego del personale dipendente; luogo in cui sono tenute le scritture contabili e documenti sociali; luogo di svolgimento attività contrattuali e commerciali. È valorizzato il criterio della sede effettiva. Viene accolta per gli enti una presunzione del tutto analoga a quella prevista dal regolamento, tuttavia essa è superata più facilmente di quanto non possa esserlo nel sistema del regolamento. A tal proposito si veda

QUEIROLO I.,Le procedure di insolvenza nella disciplina comunitaria, op.cit., pp. 281 ss. e giurisprudenza ivi citata.

95

Si veda a tal proposito CAMPEIS G., DE PAULI A., La procedura civile internazionale, Padova, 1996, pp. 627

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L’Italia, a differenza di molti altri paesi europei, non ha infatti emanato disposizioni di adeguamento al Regolamento 96, originando complesse questioni di "compatibilità" della normativa interna con l’ordinamento europeo, non sempre risolvibili attraverso l’affermazione, sic et simpliciter, del primato del diritto comunitario 97.

Il Regolamento incide infatti in modo notevole sulla disciplina italiana 98, sia in termini di norme sostanziali, sia in termini di impatto sulla disciplina internazionalprivatistica, sia infine per quanto riguarda i profili procedurali del fallimento. Si pensi ad esempio all’art. 38 che prevede la possibilità di nominare un curatore provvisorio, istituto estraneo al nostro ordinamento 99; alla necessità di disciplinare la distinzione tra procedura principale e procedura secondaria; alle norme sulla pubblicità ex artt. 21 ss.; alle norme sulla legge applicabile, tra le quali alcune hanno natura di norme materiali uniformi. Non si è inoltre realizzato l’auspicato coordinamento tra la nuova disciplina comunitaria e la riforma della legge fallimentare 100.

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A parte gli Stati che hanno emanato una disciplina apposita, hanno invece optato per una semplice circolare interpretativa la Francia, come detto supra, e la Svezia (Circolare del Ministero della giustizia del 2002, sulla quale SWARTING O., MALMBERG LIVIJN U., European Council Regulation of 29 May 2000 on Insolvency Proceedings - the First Year From a Swedish Perspective, consultabile nel sito dell’International Insolvency Institute, www.iiiglobal.org, 2003, pp. 1 ss.

97

Così DE SANTIS F., Op.cit, p. 92.

98

Sul tema si veda anche PISCIOTTA G.,Il regolamento (CE) n. 1346/2000 sulle procedure d’insolvenza e il suo impatto nell’ordinamento italiano, in Europa e diritto privato, 2001, p. 413 ss.

99

Il D.lgs. 9 gennaio 2006 n. 5, che ha riformato il R.D. 16 marzo 1942 n. 267, ha tuttavia previsto la possibilità che il tribunale, su istanza di parte, possa emettere i provvedimenti cautelari o conservativi a tutela del patrimonio o dell’impresa oggetto del provvedimento. Essi hanno efficacia limitata alla durata del procedimento e vengono confermati o revocati dalla sentenza che dichiara il fallimento, ovvero revocati con il decreto che rigetta l’istanza.

100

A tal proposito si veda CAVALAGLIO A.,Spunti in tema di regolamento comunitario sulle procedure di insolvenza e di riforma urgente della legge fallimentare, in Il fallimento e le altre procedure concorsuali, 2003, pp. 237 ss.; PROTO V., Regolamento UE sulle procedure di insolvenza: un’opportunità per il

legislatore italiano, in Il fallimento e le altre procedure concorsuali, 2000, pp. 709 ss. Di fronte a un quadro normativo immutato si può riproporre una tesi sostenuta in dottrina a proposito della Convenzione del 1995, e cioè un’interpretazione adeguatrice dell’art. 9 che consenta di usare le due norme sulla sede che esso pone, quale fondamento rispettivamente di una procedura principale e di una secondaria, cfr.

SALERNO F., Legge di riforma del diritto internazionale privato e giurisdizione fallimentare, in Rivista di diritto

internazionale privato e processuale, 1998, p. 20. Tuttavia, rebus sic stantibus, non vi è alcuna norma che consenta di differenziare lo svolgimento o gli effetti, del fallimento aperto in Italia a seconda la giurisdizione italiana sia stata fondata sul criterio della sede principale o su quello della sede secondaria.

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Nell’ambito dei lavori della Commissione di studio per la revisione sistematica del diritto commerciale, (c.d. Commissione Rovelli), il gruppo di lavoro n. 8 - sezione diritto internazionale privato - presieduto da Sergio Maria Carbone, aveva elaborato un progetto di disciplina italiana dell’insolvenza transfrontaliera 101 ispirato in larga parte al Reg. CE n. 1346/2000, salve soluzioni autonome in materia di riconoscimento delle decisioni extra europee.

Tal progetto introduceva la distinzione tra procedura principale (aperta nel territorio dello Stato in cui è situato il centro degli interessi principali del debitore, che per le persone giuridiche si presumeva essere il luogo in cui si trova la sede statutaria) e procedura secondaria, aperta nel luogo della dipendenza. Era inoltre riprodotta la definizione di dipendenza accolta dal Regolamento. Secondo tale progetto (art. 2) la presenza in Italia del centro degli interessi principali del debitore diveniva criterio attributivo sia della giurisdizione che della competenza per l'apertura di una procedura principale, mentre la presenza di una dipendenza criterio attributivo di giurisdizione e di competenza per l'apertura di una procedura territoriale o secondaria. La presenza in Italia di beni del debitore era criterio attributivo sia della giurisdizione che della competenza per l'apertura di una procedura secondaria.

L'art. 2 comma II della proposta si ispirava all'art. 24 legge fallimentare, stabilendo la competenza del tribunale fallimentare in merito a tutte le controversie derivanti dal fallimento, e sancendo così anche a livello internazionalprivatistico il principio della vis

attractiva concursus. L'art. 2 III comma riaffermava espressamente il principio

dell'irrilevanza della pendenza all'estero di una procedura straniera territoriale o secondaria nel caso in cui in Italia fosse in corso una procedura del medesimo tipo. La disciplina del riconoscimento di provvedimenti stranieri non prevedeva in materia il principio dell'automatico riconoscimento delle sentenze straniere, accolto sia nell'art. 64 della legge 218/1995 sia nell'art. 16 del Reg. CE n. 1346/2000. Esso veniva infatti subordinato ad un procedimento ad hoc, svolto davanti alla Corte d'appello e finalizzato all'accertamento della sussistenza di determinati requisiti, primo fra tutti la competenza internazionale dell'autorità straniera, necessariamente fondata sul centro degli interessi principali del debitore.

Il progetto disciplinava anche gli effetti del riconoscimento, diversi a seconda che in Italia fosse già aperta una procedura territoriale di insolvenza oppure non risultasse

101

Sul quale si veda: CARBONE S. M.,Una nuova ipotesi di disciplina italiana sull’insolvenza transfrontaliera, in Il fallimento e le altre procedure concorsuali, 2000, pp. 950 ss.

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pendente alcun procedimento concorsuale. Nella prima ipotesi, il riconoscimento avrebbe determinato la trasformazione della procedura territoriale in procedura secondaria. Nella seconda ipotesi esso avrebbe determinato l'apertura di una procedura secondaria in Italia, oppure l'estensione degli effetti della procedura principale straniera ai beni presenti nel territorio dello Stato. Spettava infatti al tribunale decidere sull'opportunità di aprire una procedura secondaria in Italia, in base a valutazioni di economia processuale e di consistenza dei beni del debitore in Italia (a tal fine il debitore avrebbe dovuto rendere apposita dichiarazione). Se la decisione fosse stata nel senso di non aprire una procedura secondaria, gli effetti della procedura principale straniera si sarebbero estesi ai beni presenti nello Stato 102.

Tale interessante progetto non è stato comunque recepito nella riforma della legge fallimentare 103.

Il D.lgs. 9 gennaio 2006 n. 5, che ha riformato l’art. 9, ha lasciato invariato il I comma; per i successivi si è limitato a modificare la numerazione; in questo modo il sempre citato comma II è divenuto comma III (l’attuale comma II prevede invece che il trasferimento della sede intervenuto nell’anno antecedente all’esercizio dell’iniziativa per la dichiarazione di fallimento, non rilevi ai fini della competenza); il nuovo comma IV riproduce il previgente comma III, aggiungendo un doveroso riferimento alla normativa europea: “Sono fatte salve le convenzioni internazionali e la normativa dell’Unione Europea.”

La montagna ha partorito il medesimo (criticato) topolino 104.

102

Per l’intero testo del progetto si veda: CARBONE S. M., Una nuova ipotesi di disciplina italiana sull’insolvenza transfrontaliera, op.cit., p. 959.

103

Per un commento alla legge di riforma del diritto fallimentare, ex multibus: BONFATTI S., PANZANI L., La

riforma organica delle procedure concorsuali: aggiornato con D.Lgs. n. 169/2007, Milano, 2008; DE CRESCENZO U., PANZANI L., MATTEI E., La riforma organica delle procedure concorsuali, Milano, 2006;

GUGLIELMUCCI L., Diritto fallimentare. La nuova disciplina delle procedure concorsuali giudiziali, Torino,

2006.

104

A questo punto appare improbabile l’introduzione di una disciplina specifica in tempi brevi. Non sembra neppure auspicabile la soluzione dell’inserimento nella legge 218/1995 di un rinvio simile a quello operato nei confronti della Convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968 e della Convenzione di Roma del 19 giugno 1980, ai fini di un ampliamento della sfera soggettiva di applicazione della disciplina comunitaria, cfr. LUPONE A.,., La convenzione comunitaria sulle procedure d'insolvenza e la riforma del sistema italiano

di diritto internazionale privato, in PQM, Rivista di giurisprudenza e vita forense a cura del Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Pescara, I/99 serie Saggi, http://pqm.homestead.com/files/1_99/199saggi_1.htm

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Nel 2008 una sentenza del Tribunale di Napoli 105 ha stabilito, relativamente a una decisione straniera di insolvenza, che “nel caso in cui, manchino apposite convenzioni internazionali ovvero non sia applicabile il Reg. CE n. 1346/2000, vale il principio della territorialità” e pertanto la sentenza straniera “non può produrre in Italia gli effetti propri di una dichiarazione pronunciata da un’autorità italiana”. Il Tribunale ha quindi concluso che “la procedura concorsuale aperta in Ucraina resta in rapporto di estraneità rispetto al nostro ordinamento, con riferimento nella specie all’eventuale sospensione delle azioni esecutive individuali pendenti in Italia.”

E del resto non può non porsi il problema di quale spazio resti al legislatore nazionale, sia per concludere trattati con Stati terzi sia per la produzione di norme interne in materia internazionalprivatistica, a seguito della sentenza 1 marzo 2005, Andrew Owusu, C-281/02, in Racc. p. I-1383. Sul punto JAYME E., Il diritto

internazionale privato nel sistema comunitario e i suoi recenti sviluppi normativi nei rapporti con Stati terzi, in Rivista di diritto internazionale privato e processuale, 2006, p. 360, ritiene che residuino spazi assai ristretti. Su tali temi si rinvia al Capitolo II paragrafo 7 in particolare.

105

Tribunale di Napoli, 10 gennaio 2008, Dsk Chornomorske Morske Paroplavstvo, in Il Fallimento e le altre procedure concorsuali, 2008, p. 571 ss. e in Rivista di diritto internazionale privato e processuale, 2008, pp. 542 ss.

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CAPITOLO II

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