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4.2 Il Terzo Settore nel Regno Unito

4.2.3 Charity nel Kent

In mancanza di dati a livello locale si è proceduto con la consultazione on- line del registro delle charity. Nel gennaio 2006 risultavano registrate nella contea del Kent (escludendo l’area autonoma di Medway) 3.487 charity. Per ognuna di queste sono disponibili presso il database del registro informazioni riguardanti i recapiti (indirizzi e talvolta numeri telefonici/fax e indirizzi e-mail), la descrizione delle attività, l’ambito territoriale, il settore di intervento, i destinatari, e le modalità operative. Sono inoltre disponibili informazioni in merito alle entrate e all’anno di iscrizione nel registro.

Per l’analisi del registro si è proceduto alla lettura di ciascuna delle schede infor- mative delle charity registrate estraendo le informazioni sul reddito (talvolta tuttavia non presenti o non aggiornate all’ultimo anno dichiarativo), sull’anno di registrazio- ne e sul tipo di attività svolta. Per quest’ultima informazione si è proceduto quando possibile ad una verifica incrociata dei dati contenuti nel registro con altre fonti —i.e. siti internet—. La classificazione delle attività risultanti è stata articolata facendo riferimento alle categorie dell’ICNPO non tuttavia senza qualche indecisio- ne. Sebbene l’obiettivo di questo paragrafo non sia quello di discutere sulla valenza dell’ICNPO, che tra l’altro costituisce il sistema di classificazione del Terzo Settore maggiormente usato e riconosciuto a livello internazionale, non si può non eviden- ziare una certa difficoltà incontrata nell’utilizzo di questo strumento classificatorio. Certamente, a contribuire a gran parte delle indecisioni sperimentate nell’associare una organizzazione ad un settore piuttosto che ad un altro sono state l’inesperienza, il lavoro in solitario senza possibilità di avere un confronto e l’impossibilità di veri- ficare puntualmente l’esattezza delle informazioni rinvenute nel registro mantenuto dalla Charity Commission. Considerando pur questi difetti di natura soggettiva è essenzialmente una la riflessione che si sente di dover fare. Nello specifico ciò che si crede debba essere rivista è la tendenza dell’ICNPO nel sovrapporre due piani

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che tra loro andrebbero distinti: il piano dei fini e quello delle modalità usate per perseguirli. Come si vedrà maggiormente nel dettaglio a seguire, un gran numero di organizzazioni sono state classificate sotto la categoria “Philanthropic Intermediaries And Voluntarism Promotion” nella quale rientrano organizzazioni di promozione del volontariato, grant-making e fund-raising organisation. Nonostante a prima vista il problema sembrerebbe non sussistere per le grandi fondazioni laddove in quest’ulti- me il fine e i mezzi tendono a coincidere, è nelle piccolissime realtà associative dei “Friends of ” o delle “School Parent-Teacher Association”, ad esempio, dove l’ope- rato di raccolta fondi tende ad integrarsi perfettamente con l’intervento attivo in un settore specifico (nel settore educativo per promuovere lo studio degli studenti, anche attraverso incontri e attività a vario titolo; nella promozione degli aspetti storici e culturali di chiese o del valore delle arti musicali, pittoriche e teatrali; nella sensibilizzazione verso le condizioni degli ammalati e dei bisogni specifici da essi rappresentati) senza la possibilità di distinguere in modo corretto ai fini analitici l’aspetto dei mezzi da quello dei fini. Per questa motivazione una revisione del- l’ICNPO sarebbe forse opportuna cercando di discernere in modo più efficace le due dimensioni citate. Vediamo adesso sintetizzate le informazioni ricavate dall’analisi del registro effettuata.

Il grafico 4.5 raffigura l’andamento delle registrazioni nel periodo che va dal Gen- naio 1962 al Gennaio 2006. La linea che rappresenta la frequenza delle registrazioni per anno mostra due picchi piuttosto evidenti. Il primo è in corrispondenza della istituzione del registro. L’alto numero di frequenze nel periodo tra il 1962 e il 1963 è quindi da ricondurre solo in parte alla costituzione di nuove charity, quanto piut- tosto frutto della registrazione di charity precedentemente formatesi. Il numero di registrazioni annue decresce progressivamente nei due anni a seguire per effetto del progressivo smaltimento delle operazioni di registrazione arretrate. Il secondo picco coincide con la riforma dei poteri della Charity Commission (Charity Act 1993 ) la quale si vede attribuire potere ispettivi favorendo il controllo continuativo sull’u- niverso delle charity e consentendo un migliore aggiornamento del registro stesso. Anche in questo secondo caso, quindi, il picco è probabilmente da imputare in gran misura a distorsioni create da fenomeni diversi che non la costituzione di nuove charity in proporzioni superiore alla media. Prendendo in considerazione quanto af- fermato, diventa realistico sostenere che nell’arco di tempo considerato l’istituzione di nuove charity segue dei ritmi costanti aggirandosi intorno alle 50 nuove orga- nizzazioni per anno nel territorio considerato. Una interpretazione favorita anche dall’esame delle frequenze cumulate, meno sensibili ai picchi annuali, che descrivono

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una crescita fondamentalmente costante.

Figura 4.5: Registrazione delle charity in Kent, dal 1962 al 2006. (Fonte: elaborazione personale su dati registro Charity Commission).

La distribuzione delle charity nella contea del Kent presenta una preponderan- za netta di alcuni settori rispetto agli altri (figura 4.6). Il settore della cultura e ricreazione con 1.100 charities (31,53%) è il settore predominante per numerosità della popolazione: al suo interno sono le organizzazioni rivolte alla creazione e al mantenimento di spazi ricreativi, culturali e sportivi. Il primo comparto di questa categoria è formato da tutte quelle charity rivolte alla promozione delle arti e della cultura, alla sensibilizzazione verso i beni culturali o architettonici e alla loro tutela (comparto 1.100). La eterogeneità dei fini e delle denominazioni non consente una descrizione diversamente sintetica. Ben diversa invece la situazione per i restanti due comparti. Il comparto 1.200 contiene le organizzazioni a carattere ricreativo e spor- tivo. Quasi la totalità delle charity ricreative è composto da organizzazioni rivolte al mantenimento di “hall ”, ossia di spazi chiusi destinati alle più diverse attività4 (272 charity), e dai social club —i.e.”Women’s institute”5— (260 charity). Le charity rimanenti in questo comparto hanno come scopo la costituzione e il mantenimento di playing field (molti sotto la denominazione “King George”) e di infrastrutture sportive. Il terzo sottogruppo del primo settore (1.300), è formato da organizzazioni il cui obiettivo è quello di fornire servizi ai propri membri e alla comunità.

In fase di categorizzazione delle informazioni è sorto a questo punto un ulteriore problema. Inizialmente si erano classificate come appartenenti a questo comparto

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anche associazioni di carattere massonico il cui fine è la costituzione di un fondo per le vedove e gli orfani di ex-confratelli (vari “Rotary club”, “Lodge fund ” e “Inner wheel club”) o per general charitable purposes. Si è preferito tuttavia far rientrare le prime nel comparto 4.300, quella delle organizzazioni il cui fine è la raccolta fondi e beni materiali (coperte, vestiti ecc. . . ) per i poveri, e le seconde nel comparto 8.100 delle organizzazioni a carattere filantropico. Pertanto, il comparto 1.300 risulta essere formato da un’unica tipologia di organizzazioni (varie “Royal air force” o “Royal naval association”) il cui scopo è invariabilmente quello di promuovere il reclutamento militare, rinsaldare la memoria collettiva del corpo militare, e aiutare i figli e le mogli di ex-militari6.

Nel campo della educazione e della ricerca (gruppo 2) prevalgono le pre-school. Queste organizzazioni si pongono come obiettivo lo sviluppo delle doti scolastiche ritenute necessarie al perseguimento con successo dell’iter scolastico. Per loro natura queste scuole rientrano tutte nel gruppo della educazione primaria e secondaria (sot- togruppo 2.100) e costituiscono circa il 70% del totale delle charity del sottogruppo e circa il 60% sul totale delle charity nell’intero settore educativo e ricerca. Nuova- mente in questo caso l’ICNPO mostra il suo limite nel categorizzare efficacemente le realtà di Terzo Settore. L’ICNPO distingue infatti tra pre-school e playgroup in- serendo le prime nei servizi educativi (gruppo 2) e le seconde nel settore dei servizi sociali (gruppo 4). Tuttavia, non è raro trovare all’interno del registro charity de- nominate pre-school che nella descrizione delle proprie attività usano esplicitamente il termine di playgroup.

Il criterio adottato nella attribuzione ad una categoria piuttosto che ad un’altra delle diverse organizzazioni è stato quello del confronto tra denominazione usata e la descrizione delle attività. Laddove per i playgroup emergesse un orientamento fondamentalmente ludico si è optato per la classificazione nei servizi sociali rivolti ai bambini, mentre si sono inserite nel settore educativo quei playgroups che, in situazioni di ambiguità, mostravano nella descrizione delle attività o un orientamento educativo o, in modo più esplicito, il termine “pre-school ”.

Il grafico 4.6 evidenzia come il settore della sanità sia scarsamente sviluppato, per lo meno in termini di unità organizzative rivolte alla fornitura di servizi di carattere sanitario. In totale le charity in questo settore sono 23, di cui 14 sono organizzazioni di “Crisis Intervention” (3.300) —organizzazioni che intervengono in caso di suicidi, abusi e violenze—. Solo due invece le charity con funzioni di assistenza sanitaria vera

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e propria, appartenenti al comparto 3.200 ossia a quel campo di servizio riguardante servizi a carattere residenziale per gli invalidi gravi e per gli anziani con particolari patologie. Sette invece le charity raggruppate sotto la categoria residuale “Other Health Services” corrispondente al sotto-gruppo 3.400 nel quale confluiscono enti per la promozione dell’igiene e profilassi, per i servizi ambulatoriali, riabilitativi e d’emergenza (e.g. ambulanza). Concretamente di queste sette charity una fornisce servizi di trasporto d’emergenza, una servizi ambulatoriali per i malati di reni, e le restanti servizi terapeutici di varia natura.

Figura 4.6: Charity in Kent distribuite per settore di attività (ICNPO). (Fonte: elaborazione personale su dati registro Charity Commission)

Quello dei servizi sociali è il secondo settore per diffusione con 1.029 organizza- zioni. Formato da tre comparti, quello dei servizi sociali veri e propri (4.100), quello per gli interventi di emergenza internazionale, per l’aiuto ai profughi e la fornitura di alloggi temporanei (4.200), ed infine quello formato dalle charity il cui obiettivo è il supporto del reddito e l’assistenza materiale ai poveri e bisognosi (4.300). Il primo e il terzo sottogruppo sono, in modo evidente, i più popolosi, distribuendosi tra di loro in modo sostanzialmente uniforme. Come accennato precedentemente, rientrano nel sottogruppo 4.100 le charity con funzioni ricreative e ludiche per i bambini, il cui ruolo è funzionale soprattutto in termini di integrazione e sviluppo della personalità del bambino in un ambiente più sano possibile. Per questi playgroup infatti l’intera- zione con i genitori sembrerebbe costituire un tratto fondamentale7. Ma quello dei

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playgroup non è l’unico caso caratterizzato da una ambivalenza di categorizzazione. Anche i youth club (YMCA, YWCA, Boy Scout, Girl Scout, Big Brother /Big Sister ecc. . . ), che formano una componente consistente del primo sottogruppo —circa il 40% delle 515 charity— e che vedono il coinvolgimento di un gran numero di vo- lontari (Kendall e Knapp, 1995), detengono dei caratteri non del tutto definibili in termini di servizi sociali per i giovani, sebbene siano esplicitamente inclusi in tale gruppo dall’ICNPO. Mentre, quindi, i playgroup si collocano a cavallo tra i servizi puramente ricreativi, quelli educativi ed integrativi, allo stesso modo gli youth club detengono tanto i caratteri delle organizzazioni ricreative che di quelle attive per favorire l’integrazione e il corretto sviluppo dei giovani. È difficile quindi in entram- bi i casi valutare con piena certezza a quale sottogruppo essi devono essere riferiti. Solo una attenta analisi caso per caso, o un sistema di categorizzazione diversamente sensibile permetterebbe la risoluzione delle ambivalenze illustrate.

I destinatari delle charity nel sottogruppo 4.100 sono sopratutto gli anziani, i portatori di handicap fisici e/o mentali, i bambini nati in famiglie disagiate, e in misura minore gli homeless (per servizi diversi dagli shelter temporanei) e i carer. Per quasi tutte queste categorie di utenti è facilmente individuabile la ricorrenza di brand nelle charity. Quasi tutte le organizzazioni per gli anziani, ad esempio, presentano la denominazione “Age concern”, per i portatori di handicap ricorrenti sono il brand “Mencap” e “Mind ”, mentre per i bambini “Home-Start ”. Non mancano inoltre associazioni dedicate a persone con particolari malattie (cancro, alzheimer, epilessia) per il supporto sia in termini materiali che di counselling ed advocacy. Quest’ultime tuttavia rappresentano una quota minima sul totale delle charity.

Le organizzazioni di aiuto ai poveri (4.300) costituiscono per certi versi il re- taggio di una concezione dell’aiuto in termini assistenziali e paternalistici. Il fine di queste charity varia dal fornire rifugio in almshouse alla distribuzione di vestiti, cibo e altri beni materiali (finanche carbone, thè, o un “pasto completo per Natale”); espressioni come “deserving poor ”, “aged, poor, sick or disabled ” e “persons in need ” nell’indicare i beneficiari dell’intervento della charity mettono ulteriormente in ri- salto le radici storiche di queste organizzazioni. Una affermazione non solo dettata da una intuizione ma confermata anche dal grafico ottenuto guardando al periodo di registrazione di queste organizzazioni (figura 4.7). Usando le organizzazioni che for- niscono servizi sociali (4.100) come strumento di contrasto, si distinguono 2 percorsi differenti. Da una parte abbiamo le charity del terzo comparto (4.300) concentrate per iscrizione soprattutto nei primi anni del registro. Dall’altra, abbiamo una mi-

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nore concentrazione delle organizzazioni del primo sottogruppo più uniformemente dislocate sull’asse temporale mostrando, già a partire del 1970, maggiori tassi di iscrizione. Ciò che si vuole in altri termini evidenziare è il forte peso sulla popolo- sità del sottogruppo in questione di organizzazioni relativamente anziane, costituite sul vecchio modello della charity8. La presenza di iscrizioni di organizzazioni sot- to questo gruppo anche dopo i primi anni dalla creazione del registro è dovuta sia alla crescente diffusione di fondi promossi da organizzazioni massoniche rivolte alle famiglie bisognose di ex-confratelli, in particolar modo a cavallo degli anni ’90, sia per la costituzione di alloggi rivolti soprattutto ad anziani versanti in condizioni di povertà. Molte di queste charity, come vedremo meglio successivamente affrontando l’ampiezza dei redditi, presenta entrate inferiori alle 1.000 sterline annue suggerendo la presenza al loro interno di una quantità minimale di personale.

Figura 4.7: Charity del sottogruppo 4.1 e 4.3 distribuite per anno di registrazione. (Fonte: elaborazione personale su dati registro Charity Commission).

Il settore ambientale conta un numero di organizzazioni poco al di sopra delle 50 unità, distribuito per tre quinti nel primo gruppo, tutela e valorizzazione del territorio e del paesaggio, e per i restanti due quinti nel campo della tutela degli animali e mantenimento di “pet cemetarie”.

Il settore del “Development & Housing” (colonna ‘6.1’ nella figura 4.6) include al suo interno esclusivamente organizzazioni di sviluppo comunitario, 96 in tutto. Sono quelle charities conosciute come community centre, piccolo luoghi di aggregazione della popolazione locale, spesso di piccole frazioni cittadine, nate per fornire servizi di intrattenimento o di “formazione” (piccoli corsi di informatica, corsi di yoga,

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di pittura ecc. . . ) e comunque orientati alla promozione della coesione sociale e dell’incontro inter-generazionale.

Nel campo dell’advocacy e dei servizi a carattere legale (gruppo 7) rientrano 49 organizzazioni. Più esattamente appartengono al primo sottogruppo (7.100) orga- nizzazioni di advocacy (tra cui alcune legate specificatamene a minoranze etniche) e al secondo (7.200) organizzazioni di intermediazione legale e i “Neighbourhood Watch Schemes”, schemi di azione cittadina per la riduzione dei piccoli crimini. 18 delle 40 charity nel comparto 7.100 sono i noti “Citizens Advice Bureaus” organizzazioni di consulenza multi-tematica rivolti ai cittadini. Altre organizzazioni sono rivolte alla difesa e alla promozione degli interessi di portatori di handicap fisici o mentali. Le rimanenti sono costituite da schemi di “neighbourhood watching” e da organizzazioni di intermediazione legale legate alla charity nazionale “Mediation”.

Il dominio della filantropia e della promozione del volontariato (settore 8) è il terzo grande blocco di charity formato da ben 743 unità. Si tratta di organizzazioni grant-making o fund-raising i cui beneficiari principali sono le scuole e gli ospedali. Molte di queste charity sono “Friends of . . . ” con il riferimento esplicito all’ente beneficiario. Numerosi sono anche i PTA, ossia le “Parent-teacher association”, organizzazioni il cui fine fondamentale è quello di raccogliere fondi per le attività scolastiche ma che, in alcuni casi, contemplano tra le loro attività anche momenti di raccordo e confronto tra i genitori e gli insegnanti. In misura minore, qualche decina, sono presenti anche i “volunteer bureau” finalizzati alla promozione del volontariato e alla dislocazione dei volontari sul territorio. Spesso all’attività di pura promozione si affiancano, in tali enti, interventi diretti di carattere sociale e di advocacy.

Per quanto riguarda la dimensione economica delle charity del Kent i dati di- sponibili non erano sempre completi e uguali per tutte le schede. Si è proceduto pertanto a creare un dato di sintesi che descrivesse l’entità delle entrate delle orga- nizzazioni attraverso una semplice media sui redditi degli ultimi tre anni per come disponibili nelle schede informative. Il risultato complessivo è coerente con i dati nazionali precedentemente mostrati. La gran parte delle charity, il 62,74% (2.059 organizzazioni) ha un reddito medio annuo uguale o minore le £10.000. Poco più della metà delle organizzazioni della prima fascia, quelle che godono di entrate fino alle £1.000 (21,21%), presentano un reddito medio annuo estremamente basso com- preso tra le £0 e le £100, sintomo di una esistenza più virtuale che sostanziale. Man mano che si sale nella fascia di reddito il numero delle charity si flette sensibilmente.

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Il 29,52% delle charity, 969 guardando alla numerosità del gruppo, ha un reddito compreso tra le £10.000 e le £100.000 mentre solo il 7,74% (254 organizzazioni) possiede un reddito superiore alle £100.000. Di quest’ultimo gruppo, infine, solo una porzione minima (lo 0,15% sul totale, ovvero 5 charity) può contare su entrate superiori al milione di sterline (figura 4.8)9.

Figura 4.8: Charity in Kent distribuite per classe di entrata media annua (media calcolata su ultimi 3 anni). (Fonte: elaborazione personale su dati registro Charity Commission).

Le figure 4.9 e 4.10 sono state ottenute disaggregando i dati per i settori di intervento (i numeri sull’asse dell’ascisse si riferiscono ai codici numerici usati nel- l’ICNPO). Da esse si evince come ogni settore di attività sia caratterizzato, sotto il profilo delle fasce di reddito, da una specifica impronta. Tralasciando alcuni settori secondari per la nostra analisi (5, 10 e 12)10, concentriamo l’attenzione per i settori più immediatamente attinenti ai servizi di welfare. Tra quest’ultimi le charity ten- denzialmente più povere sono quelle che operano nell’ambito ricreativo e culturale: oltre il 70% di queste possiede un reddito annuo inferiore o uguale alle £10.000 e il 97% inferiore alle £100.001. All’estremo opposto il settore sanitario che, se pur conta un numero molto basso di unità, presenta la più alta concentrazione di charity con entrate maggiori di £100.000 (26%). Guardando i redditi più alti —quelli superiori il milione di sterline— è tuttavia il settore dell’educazione a presentare le charity più ricche con l’8% degli enti con reddito compreso tra il milione e i 10 milioni di sterline e l’1% con reddito superiore i 10 milioni di sterline (figura 4.9).

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Figura 4.9: Distribuzione delle charity per settore di intervento e classe di entrata media annua. (Fonte: elaborazione personale su dati registro Charity Commission).

saggregati (figura 4.10). Questi ultimi servono soprattutto per mettere in evidenza alcuni tratti caratteristici all’interno dei settori come sorta di completamento ai commenti precedentemente fatti in merito alla numerosità della popolazione. Le percentuali disaggregate svelano infatti elementi di riflessione coerenti con quanto affermato prima. Se in generale le charities nel primo gruppo, quello impegnate nelle attività culturali e ricreative, si delineavano come quelle tendenzialmente più povere, l’osservazione per sottogruppi mostra come il pattern tenda a differenziarsi all’interno del primo settore, così come pure accade per gli altri settori che andremo a vedere. Difatti, da un lato abbiamo le organizzazioni ludico-sportive e ricreative e i club per ex-militari, organizzazioni che richiedono per lo più piccoli budget e scar- so personale, dal tratto maggiormente volontaristico ed “introverso”, dall’altra nella pur molteplicità di organizzazioni di stampo hobbistico per la promozione delle arti e della cultura spiccano grandi organizzazioni strutturate e rivolte ad un pubblico più ampio che non i semplici associati, organizzazioni che gestiscono talvolta ingenti flussi di denaro e che sono gioco-forza obbligati ad un maggiore dinamismo interno per il fatto stesso di avere a che fare con una utenza terza rispetto all’organizzazio- ne e numerosa. Ci si riferisce per esempio ai musei, o alle charities che gestiscono patrimoni architettonici.

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citati, a più alta fascia di entrate medie e ciò vale soprattutto per gli istituti che for-