• Non ci sono risultati.

3.2 Storia del Terzo Settore in Italia

3.3.2 Legislazione speciale

3.3.2.1 La legge 381/1991 sulla cooperazione sociale

La diversità tra la cooperazione tradizionale e la cooperazione sociale risulta evidente quando ci si sofferma sulla difformità dello scopo sociale. È la legge n◦ 381 dell’8 novembre 1991 che si preoccupa di definire, nell’articolo 1, lo scopo sociale delle cooperative sociali:

‘Le cooperative sociali hanno lo scopo di perseguire l’interesse generale della comunità alla promozione umana e all’integrazione sociale dei cittadini attraverso:

(a) la gestione di servizi socio-sanitari ed educativi;

(b) lo svolgimento di attività diverse —agricole, industriali, commerciali o di servizi— finalizzate all’inserimento lavorativo di persone svantaggiate’

(Lg. n◦ 381/1991 art.1 comma 1)

Si parla quindi, nel caso della cooperazione sociale, di uno scopo rivolto preva- lentemente al beneficio generale e diretto della comunità, perseguito attraverso la promozione umana e l’integrazione sociale dei cittadini. Effettivamente, lo scopo sociale di questa recente forma giuridica di cooperazione è in linea con i contenuti

Capitolo3. Storia e normativa del Terzo Settore

di principio della Costituzione italiana, dalla promozione della persona alla rimo- zione degli impedimenti per una uguaglianza sostanziale, dal principio del dovere di solidarietà sociale all’importanza della dimensione lavorativa, quale espressione di un diritto-dovere rivolto al progresso materiale e spirituale della società12. La legge n◦ 381 sancisce, in definitiva, il passaggio da una cooperazione essenzialmente mu- tualistica, cioè rivolta al beneficio dei propri soci, ad una cooperazione solidaristica. Questo almeno in teoria.

Il comma sopra citato definisce, oltre lo scopo sociale, anche le modalità at- traverso le quali lo scopo deve essere perseguito. Si identificano così due diverse tipologie di cooperazione sociale: una cooperazione di tipo A che gestisce servizi socio-sanitari ed educativi, e una cooperazione di tipo B finalizzata all’inserimento lavorativo di persone svantaggiate. L’uso del termine socio-sanitario, in riferimento alla cooperazione di tipo A, riflette la necessità che il servizio reso non si esaurisca nella mera assistenza sanitaria ma attui allo stesso tempo un servizio a carattere sociale. Pertanto il personale della cooperativa (che può appartenere o meno alla compagine dei soci) dovrebbe possedere prima ancora che competenze professionali specifiche una attitudine ad istaurare relazioni sociali che potremmo definire per certi versi “empatiche”13. I beneficiari dei servizi, infine, devono potersi classificare come persone bisognose di intervento sociale, e pertanto l’intervento della coopera- tiva deve essere valutato in base ad opportuni parametri riferiti ai beneficiari, come l’età, la condizione personale, familiare o quella socio-economica14.

La cooperazione sociale di tipo B, invece, è finalizzata all’inserimento lavorativo di persone svantaggiate all’interno dei diversi settori del mercato (agricolo, indu- striale o commerciale). La definizione di persona svantaggiata è fornita dalla stessa legge all’interno dell’articolo 4 comma primo:

‘[. . . ] si considerano persone svantaggiate gli invalidi fisici, psichici e sensoriali, gli ex degenti di istituti psichiatrici, i soggetti in trattamento psichiatrico, i tossico- dipendenti, gli alcolisti, i minori in età lavorativa in situazioni di difficoltà familiare, i condannati ammessi alle misure alternative alla detenzione [. . . ]. Si considerano inoltre persone svantaggiate i soggetti indicati con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il Ministro della sanità, con il Ministro dell’interno e con il Ministro per gli affari sociali, sentita la Commissione centrale per le cooperative’

Capitolo3. Storia e normativa del Terzo Settore

Inoltre:

‘Le persone svantaggiate di cui al comma 1 devono costituire almeno il trenta per cento dei lavoratori della cooperativa e, compatibilmente con il loro stato soggettivo, essere socie della cooperativa stessa. La condizione di persona svantaggiata deve risultare da documentazione proveniente dalla pubblica amministrazione, fatto salvo il diritto alla riservatezza’

(Lg. n◦381/1991 art.4 comma 2)

Tuttavia, non rientra nel computo della quota percentuale15 il soggetto svantag- giato che risulti socio volontario nel libro dei soci16. La percentuale di soci svan- taggiati, a norma di legge, deve essere presente al momento della costituzione della società cooperativa, viene controllata dalla Prefettura al momento dell’iscrizione del- la cooperativa nel registro prefettizio e deve mantenersi in caso di variazione della compagine dei soci. In caso contrario, se entro un anno non si è attuata la reintegra- zione della quota percentuale, la cooperativa viene cancellata dal registro prefettizio e dall’albo regionale, perdendo così ogni agevolazione, tributaria e di altra natura, vincolata a tale iscrizione.

La distinzione in due tipologie è stata assunta, in un primo momento, come alternativa, per cui la cooperativa poteva operare nelle modalità di cui alla lettera a) o alla lettera b) del primo articolo della 381/9117. Solo in seguito è stata concessa come legittima la formazione di cooperative sociali polifunzionali, che prevedano nel loro statuto cioè, sia attività di cui alla lettera a), sia quelle previste dalla lettera b)18. In ogni caso, l’integrazione delle due tipologie in un’unica cooperativa è possibile solo nel rispetto delle seguenti condizioni:

• Il collegamento tra le attività delle due tipologie deve essere funzionale, per- tanto è richiesto che le rispettive attività siano tra loro coordinate;

• L’organizzazione amministrativa delle cooperative sociali consenta la netta separazione delle gestioni relative alle attività esercitate ai fini della corretta applicazione delle agevolazioni concesse dalla normativa.

La legge 381 nasce dopo dieci anni di sedimentazione nelle aule parlamentari all’interno di un contesto di regolazione in cui la cooperazione era pensata in termini

Capitolo3. Storia e normativa del Terzo Settore

esclusivamente mutualistici. Si tratta certamente di un testo innovativo nei suoi contenuti, risultato dello sforzo da parte della classe dirigente nazionale di dare voce e spazio alle istanze cha da anni premevano per ottenere il giusto riconoscimento e una adeguata regolazione giuridica. Non mancano tuttavia diversi punti problematici in merito alla capacità della legge nell’aver fornito una risposta adatta alle esigenze di questa componente imprenditoriale del Terzo Settore.

Stanzani (1996) espone un importante commento critico che solleva questioni tra loro correlate nel complesso dibattito sull’effettiva accezione d’attribuire alla “cooperazione sociale” quale agire socialmente orientato. La critica fatta dall’autore recupera interrogativi presenti in letteratura e ripresi più volte da altri studiosi. Egli rileva, in prima istanza, come nel testo normativo si perde la tripartizione concettuale fatta da alcuni studiosi italiani (Borzaga e Lepri, 1988):

• Cooperative di servizi sociali : cooperative, cioè, produttrici di servizi sociali i cui soci operano nel settore socio-sanitario. Nata con finalità mutualisti- che, questa forma di cooperazione è stata favorita sia dai vincoli finanziari e burocratici imposti dall’esterno ai servizi pubblici, che ne hanno impedi- to l’ampliamento in termini quantitativi dei servizi erogati, sia dalla rigidità strutturale che caratterizza gli enti di erogazione pubblica, causa principale della scarsa flessibilità ed economicità nella gestione dei servizi. La coopera- zione di servizi sociali si propone, quindi, come esperienza innovativa capace di garantire, attraverso una gestione imprenditoriale e alla flessibilità strutturale, una erogazione economicamente più conveniente;

• Cooperative di solidarietà sociale: sono cooperative che ampliano la mutualità anche ai non soci e ai beneficiari dell’azione cooperativa. È questa una nuova forma che usa le capacità imprenditoriali per soddisfare fini solidaristici, che mobilita e coinvolge risorse economiche ed umane della comunità locale, che fa ricorso al contributo di una compagine sociale volontaria. Questa forma di cooperazione costituisce esattamente quel tipo di cooperazione nata come tra- sformazione dei gruppi di volontariato all’interno di una logica di condivisione dei problemi sociali del territorio, tanto che gli stessi beneficiari sono coinvolti nella vita della cooperativa;

• Cooperative integrate: sono le cooperative attualmente denominate “di inte- grazione al lavoro” o di tipo B.

Capitolo3. Storia e normativa del Terzo Settore

Nella ripartizione fatta dalla legge 381 le prime due forme di cooperazione vengo- no assimilate nella tipologia di cui al punto a) dell’articolo 1. Questo accorpamento non tiene però conto delle diverse finalità che caratterizzano le cooperative di servizi sociali e quelle di solidarietà sociale, con il risultato che non sempre si può parla- re, con riferimento ad una cooperativa legalmente denominata di tipo A, come di una cooperativa sociale in senso stretto, almeno se si usa il concetto di “cooperativa sociale” nell’ottica di contenuti dell’agire a carattere solidaristico.

Non si tratta di una distinzione solo terminologica. In termini concettuali, affer- ma Stanzani, una cooperativa di servizi sociali è professionally oriented e, pertanto, maggiormente guidata dall’esigenza di garantire un’occupazione professionale qua- lificata per gli operatori sociali, mentre una cooperativa di solidarietà sociale è care oriented, cioè guidata da finalità solidaristiche di sostegno della persona, sia nella dimensione sanitaria o formativa che nella dimensione sociale, comunitaria.

La scelta del legislatore appare, quindi, più come il frutto di una mediazione tra interessi mutualistici categoriali ed interessi solidaristici che una azione volta a garan- tire e promuovere effettivamente la diffusione di organizzazioni capaci di agire come catalizzatori di fiducia e solidarietà all’interno delle comunità locali. L’ambiguità della legge, inoltre, permette alle “cooperative sociali mutualistiche” di beneficiare di quegli stessi incentivi economici e fiscali, oltre che delle relazioni privilegiate con gli enti pubblici, di cui solo le “vere” cooperative sociali (quelle di solidarietà sociale e di integrazione al lavoro di soggetti svantaggiati) dovrebbero godere. In tale senso si può affermare, senza sorta di smentita, che la legislazione concede un uso specu- lativo della forma giuridica della cooperazione sociale; speculativo nel senso che la cooperazione sociale è usata non quale strumento di crescita e benessere sociale ma come mezzo per soddisfare interessi primariamente mutualistici.

Questa osservazione viene ripresa anche da Borzaga (1998, pg. 27) che conferma, per cooperative che presentino di fatto una configurazione di intenti mutualistica, la possibilità di assumere lo status di cooperativa sociale senza avere i requisiti di quella che lui definisce “impresa sociale”19. Il fatto che la legge costituisca un alibi per un uso speculativo della cooperazione sociale, e quindi non conforme al concetto di impresa sociale, si deduce anche dalle modalità attraverso cui la legge è stata sviluppata in seno alle aule parlamentari (Preite, 1991). La Commissione parla- mentare, durante l’iter di formazione della legge, decise infatti di non sottoporre le cooperative sociali alla clausola della non distribuzione degli utili (uno dei principali

Capitolo3. Storia e normativa del Terzo Settore

parametri per riconosce in una organizzazione un soggetto di Terzo Settore). Seb- bene i vincoli imposti dal Codice Civile nell’utilizzo degli utili20 impediscono una lettura della cooperazione sociale in termini di impresa for-profit, manca nella legge 381 il vincolo di non redistribuzione degli utili. Solo la legge sulle ONLUS introduce tale vincolo ma, essendo le previsioni della legge valide per le sole organizzazioni che intendono acquisire lo status di ONLUS, la sua efficacia nel ridurre la presenza di una cooperazione sociale professionally oriented è pressoché nulla, tanto più che, al di là dei suddetti incentivi fiscali, sono previsti diversi oneri per chi si adegua al decreto sulle ONLUS.